LE RELAZIONI DEI BIPOLARI
Psicologo, Psicoterapeuta
Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)
per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it
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La depressione è una malattia della mancanza della volontà e/o del desiderio.
Stare in una relazione è volontà e desiderio.
Da qui, purtroppo, nasce una profonda antitesi.
Entriamo nel dettaglio di questa dinamica.
Chi è depresso, chi vive un periodo depressivo all’interno di un quadro clinico di tipo bipolare o ciclotimico, o chi semplicemente vive un periodo depressivo, è caratterizzato dalla mancanza totale o parziale della volontà e/o del desiderio per cui ha grande difficoltà a impegnarsi in qualsiasi tipo di attività, a maggior ragione in quelle a forte contenuto emotivo e affettivo come stare in una relazione sentimentale e/o affettiva. Da qui può nascere un senso di oppressione, di eccessivo carico di responsabilità, di eccessivo impegno, tutti dovuti allo stare in relazione con un’altra persona.
Ecco che può nascere un desiderio di fuga volto ad alleggerire questo carico emotivo e affettivo che si vive nella relazione. Se si mette in atto la fuga, ci si potrebbe pentirsene nel momento in cui la depressione va via e rendersi conto che il desiderio di seperazione nasceva da una spinta depressiva e non esistenziale o di crisi di coppia.
Conseguentemente mai prendere la decisione di separarsi all’interno di un periodo depressivo, ma semplicemente far presente al proprio partner che si desidera stare un po’ soli, ripiegarsi in sé.
Allo stesso tempo il partner non deve insistere affinché la persona depressa compia uno sforzo di volontà, che si dia una svolta, che s’impegni maggiormente nella relazione. Il partner depresso non ha volontà sufficiente per impegnarsi in tutto questo. Se la depressione dovesse prolungarsi insistere unicamente perché l’altro accetti di curarsi, essere assertivi su quest’ultimo aspetto. Spesso chi è depresso non riconosce di esserlo e tende ad attribuire le cause del suo malessere a crisi esistenziali e a cause esterne o a un malessere di coppia. Aiutarlo ad accettare la dimensione di malattia della depressione significa aver già fatto un enorme passo in avanti.
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Il perdono è un processo lungo durante il quale si attraversano diverse fasi, ciascuna è indispensabile per riuscire realmente a superare la frattura creata dal tradimento
Per capire come arrivare a perdonare è necessario capire cosa è veramente il perdono. Spesso, infatti, si tende a confondere il perdono con la riconciliazionema sono due atti distinti. Perdonare significa riuscire a vedere i limiti di chi ci ha ferito, ridargli una dimensione più reale, di persona con pregi e difetti, comprendere senza per questo giustificare.
E’ un atto che richiede profondo equilibrio interiore nonché l’accettazione piena di noi stessi. Comprendere e accettare i nostri difetti e le nostre fragilità ci permette di farlo poi con gli altri. Perdonare non significa dimenticare ma far sì che il passato non continui a ferirci, ricordare senza provare dolore. In quest’ottica il perdono non è qualcosa che serve a chi ci ha offeso per liberarsi delle sue responsabilità ma innanzitutto un processo per liberare noi delle conseguenze dell’offesa che abbiamo ricevuto.
Non è facile perché molto spesso crediamo di aver perdonato e non è vero. Dopo aver preso consapevolezza di ciò per perdonare un tradimento è necessario compiere una serie di passaggi. Il tradimento rappresenta una profonda ferita personale per chi lo subisce, quasi assimilabile a un vero e proprio lutto.
Quindi, nella fase iniziale della scoperta non è possibile perdonare, è come chiedere a chi ha subito un lutto di dimenticare la persona che non c’è più. E’ necessario vivere la fase emotiva del dolore e della rabbia che segue la scoperta di un tradimento. Al contempo la persona che ha tradito deve permettere allavittima del tradimento di esprimere anche con forza tutto il dolore e la rabbia che ha dentro.
Tentare da parte dell’autore del tradimento di trovare subito delle spiegazioni razionali al proprio gesto non fa altro che amplificare dolore e rabbia della vittima che non solo si sente tale ma paradossalmente anche colpevolizzata. Solo dopo che si è attenuata la fase emotiva descritta, è possibile comunicare nella coppia e chiedersi perché sia successo.
Quindi alla fase emotiva ne segue una cognitiva di consapevolezza dell’accaduto. Solo alla fine di questa fase è possibile veramente perdonare. Il perdono non potrà essere mai totale, la ferita rimane, ha bisogno di tempo per cicatrizzarsi. Ilperdono è quindi un processo lungo e doloroso e non un atto isolato
Quando è un atto isolato e prematuro, non è vero perdono ma potrebbe solo nascondere la paura di perdere il partner, anche se ha tradito o rivelare un’incapacità di prendere atto di un disagio nella coppia che ha prodotto il tradimento. Un perdono come processo emotivo e cognitivo invece può rappresentare anche un momento di crescita psico-affettiva per la coppia.
“Ma si può davvero perdonare, se è vero che l’Io si mantiene vitale solo grazie al suo amor proprio, al suo orgoglio, al suo senso dell’onore? Anche quando vorremmo sinceramente perdonare, scopriamo che proprio non riusciamo, perchè il perdono non viene dall’Io. E allora forse, meglio del perdono, che probabilmente è pratica insincera, a me sembra più costruttivo percorrere il sentiero del reciproco riconoscimento , dove chi ha tradito deve reggere la tensione senza cercare di rappezzare la situazione e, con brutalità cosciente, deve al limite rifiutare di rendere conto di sé. Il rifiuto di spiegare significa da un lato non misconoscere il tradimento ma lasciarlo intatto nella sua cruda realtà, e dall’altro che la spiegazione deve venire sempre dalla parte offesa. Del resto chi, dopo essere stato tradito, sarebbe in grado di ascoltare le spiegazioni dell’altro? Lo stimolo creativo presente nel tradimento dà i suoi frutti solo se è l’individuo tradito a fare un passo avanti, dandosi da sé una spiegazione dell’accaduto. Ma per questo è necessario che il traditore non giustifichi il suo tradimento, non tenti di attenuarlo con spiegazioni razionali, perchè questa elusione di ciò che è realmente accaduto è, di tutte le offese, la più bruciante per il tradito, e allora il tradimento continua, anzi si accentua.”
Da Le cose dell’amore di Umberto Galimberti, Feltrinelli
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Scopriamo come comunicare ai figli che i genitori si stanno separando, informandoli della separazione nella maniera più giusta e meno traumatica
Scopriamo insieme come comunicare ai figli la separazione dei genitori. Cosa bisogna dire ai figli della separazione, come bisogna parlare della separazione ai figli: questo infatti si chiedono i genitori che stanno per separarsi ed è il momento di sciogliere questo dubbio. La separazione è certamente un argomento delicato per i figli, ma si possono trovare le parole giuste.
I figli devono o no sapere tutto della separazione dei genitori? La separazione, come il divorzio, sconvolge i figli ed è bene sapere cosa dire loro se mamma e papà si separano o divorziano. Comunicare ai propri figli la decisione di separarsi rimane una delle fasi più delicate nel processo di separazione.
La delicatezza di questa fase dipende sia dall’età anagrafica dei figli che dal vissuto che hanno questi ultimi della coppia precedente alla decisione di separarsi. Infatti, non bisogna solo considerare solo cosa dire al momento dellaseparazione ma anche quello che è stato vissuto prima dai figli e quello che succederà dopo.
Per quanto riguarda il prima, è molto più deleteria per i figli la conflittualità della coppia genitoriale cui hanno assistito che il momento della separazione in sé. Più sono piccoli e maggiormente hanno vissuto tale conflittualità in maniera angosciosa e l’annuncio della separazione può rappresentare il culmine di tale stato d’angoscia che dura già da lungo tempo.
Bisogna dire al figlio, indipendentemente dall’età, che i genitori si separano, ma lui non si separa dai genitori, che loro non saranno più coppia coniugale ma che continueranno a essere coppia genitoriale, i suoi genitori. E dai genitori non ci separa mai. Tale concetto deve essere dimostrato nei fatti nel post comunicazione della separazione.
Se si riesce a dimostrare al figlio che madre e padre continuano a essere insieme come genitori, anche la comunicazione più traumatica a qualsiasi età stempera col tempo i suoi effetti negativi. L’unica cautela nel comunicare la separazione in base all’età dei figli è il tipo di linguaggio da utilizzare.
Per bambini piccoli bisogna usare un linguaggio semplice (mamma è papà abiteranno in due case diverse, ad esempio) mentre man mano che si sale con l’età, si può comunicare in maniera più articolata e complessa. In ogni caso non bisogna mai parlare delle dinamiche di coppia che sottostanno alla separazioneper evitare successivi schieramenti di fronte da parte dei figli.
Per riflettere:
Io non mi separo. Resto un bambino intero. Anche il papà e la mamma restano interi. Separati ma interi. Cambiano tante cose, però certe no. Il bene che gli voglio. Il bene che mi vogliono. Io sono sempre il loro bambino. Di tutti e due. E loro sono sempre miei,
ciascuno per conto suo.
Beatrice Masini e Monica Zani, Io non mi separo, Carthusia editore, 2011
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Si dice che per gli uomini sia impossibile lasciare la moglie, lo psicologo ci spiega come mai per è così difficile per i nostri compagni riuscire a dirci addio
La difficoltà dell’uomo di lasciare la propria moglie, anche se è infelice, è legata sia a motivazioni psicologiche sia sociali. Vediamo nel dettaglio quali sono:
Per sorridere : “Una donna sposa un uomo sperando che lui cambi, e lui non cambierà. Un uomo sposa una donna sperando che non cambi, e lei cambierà.”
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Stare insieme solo per i figli – Molte coppie decidono di restare insieme per il bene dei propri figli, ma non è detto che questa scelta si riveli alla fine vincente
Chi non ha sentito la classica frase: “Non mi separo a causa dei figli”? Il più delle volte quest’affermazione è un pretesto per nascondere una difficoltà personale a separarsi. Separarsi non è facile: richiede coraggio, determinazione, predisposizione al cambiamento. Pensare di rimanere per i figli, per il loro benepreserva dalle proprie indecisioni personali.
Ma non giova ai figli. Il modello che loro si trasmette, è quello di una coppia coniugale conflittuale che sta insieme solo a causa e per ’colpa’ dei figli. Appunto, i bambini percepiscono la loro ‘colpa’ di essere aghi della bilancia di una conflittualità di coppia che ha ben altre origini e la cui difficoltà a separarsi è principalmente soggettiva e individuale.
Ai bambini giova un ambiente familiare sereno sotto tutti i punti di vista. Di sicuro non salteranno di gioia se i genitori si separano ma se questi ultimi continueranno a essere coppia genitoriale, anche se non più coniugale, il dolore della separazione presto passerà. Anche per i bambini vale il motto: “Meglio un dolore che urla che una ferita sempre aperta.”
Riflessione finale: “Invece di osservare noi stessi spesso disprezziamo gli altri. Questa si chiama proiezione: cioè proiettiamo sugli altri i problemi che abbiamo dentro di noi, trasferendoli su chi è del tutto “innocenti”. Così facendo evitiamo di guardare noi stessi.
Tutti ci siamo comportati in questo modo in situazioni difficili e siamo tutti, più o meno, stati oggetto di proiezioni da parte degli adulti, quando eravamo bambini. Esempio: quando un adulto è sotto stress a causa di problemi personali, è facile che dica a un bambino: come sei piagnucolone e noioso! Smettila! Sei davvero impossibile!”
Questo è un tipico esempio di proiezione: trasferire un problema personale, su qualcuno che non c’entra affatto. Molti di noi sono stati trattati così da bambini: gli adulti scaricavano addosso a noi i loro problemi. E così la maggior parte di noi ha imparato quanto possa essere semplice “risolvere” i problemi della vita: basta dare la colpa a qualcun altro.
Questo è, naturalmente, poco costruttivo. Trovate il modo di parlare apertamente delle proiezioni con i vostri amici e colleghi. Cosa fare quando vi accorgete che state proiettando qualcosa su qualcuno. Il primo passo, sicuramente, l’avrete già intrapreso! Consiste nel vedere e nel sapere che lo state facendo.” (Kay Pollak)
E’ importante invece spiegare bene ai figli cos’è la separazione e insistere sul fatto che loro non sono stati in nessun modo la causa scatenante della fine del matrimonio. E’ normale che all’inizio il bambino sia pieno di paure, ma se vedrà che le cose nei suoi confronti non cambiano, i genitori sono sempre presenti ed affettuosi, piano piano si tranquillizzerà.
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Come viene gestito l’affidamento condiviso nel caso di figli minorenni nati al di fuori del matrimonio
Nel caso delle famiglie di fatto che decidono di separarsi il Tribunale si regolerà in merito alla questione dei figli minorenni esattamente come farebbe con una coppia regolarmente sposata. E’ anzi preferita la soluzione dell’affidamento condiviso anche quando si parla di coppie di fatto
Generalmente in caso di separazione dei genitori il figlio viene collocato presso la madre, ma il padre in regime di affidamento condiviso (ma sarebbe così anche in caso di affido esclusivo) ha diritto a vedere il figlio secondo i termini e le condizioni stabilite in accordo con la madre o, in caso di disaccordo, dal Tribunale.
E’ anche possibile nel caso in cui gli orari e i giorni stabiliti non siano sufficienti o non si adattino agli orari di lavoro del padre, richiedere una modifica. E’ infatti ritenuto un principio importantissimo dell’affidamento condiviso quello di incoraggiare e sostenere il figlio nella costruzione di una relazione solida con entrambi i genitori.
Solitamente in caso di affidamento condiviso il genitore non collocatario è tenuto a versare all’altro un assegno di mantenimento per i figli che copra le spese cosiddette ordinarie per il minore. L’importo dell’assegno può variare in relazione alla situazione economica del padre e della madre e anche in base alle necessità del figlio.Bisogna inoltre ricordare che non è possibile scaricare o detrarre dalle tasse l’assegno di mantenimento che si versa per i figli, ma unicamente quello per il coniuge.
L’affidamento congiunto dei figli è invece differente rispetto all’affidamento condiviso che spingeva per periodi di convivenza di pari durata del figlio presso i genitori, spesso impraticabili, nel corso dei quali la responsabiltà del minore ricadeva nella sfera di influenza del genitore collocatario. Nel caso dell’affidamento condiviso la responsabilità dell’adulto nei confronti del figlio non dipende dalla collocazione
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Quando si vive una crisi di coppia ci si chiede se ci si ama ancora e se questo amore è sufficiente per riprovarci, ma come essere sicuri?
Prima di capire se si è ancora innamorati bisogna chiedersi che cosa s’intende essere innamorati. Questa risposta è ampiamente variabile da persona a persona, da età a età. Tendiamo comunque di trarre dei brevi criteri generali. L’innamoramento è una fase iniziale della relazione oltre ad esserne la condizione attivante. Se non ci s’innamora, non nasce neanche la relazione stessa. Potremmo identificare l’innamoramento con la fase passionale, quella in qualche modo ‘adrenalinica’.
Ma la fase passionale caratteristica dell’innamoramento è destinata a esaurirsi per trasformarsi in amore, quello vero, quello progettuale, meno impetuoso rispetto alla passione ma più stabile. Diverse persone in questo passaggio non colgono un’evoluzione della fase iniziale dell’innamoramento ma una perdita di quest’ultimo. Invece l’innamoramento non è perso ma è solo evoluto in amore.
A questo punto bisogna chiedersi se si ama o no piuttosto che se si è innamorati o no. Per rispondere a questa domanda non bisogna chiedersi se si provano ancora le farfalle nello stomaco, ma se si ha ancora desiderio di condividere intimità fisica, sessuale, relazionale, affettiva col proprio partner.
Se si continua ad amare, si capisce se si vuole continuare a condividere la propria vita coll’altro nei suoi molteplici aspetti e non solo se si continuano a provare certe sensazioni. Non dimenticando che una relazione è fatta anche di alti e bassi e fasi di appiattimento nella relazione sono naturali senza che questo possa far dire che non si ami più.
Termino con un brano molto indicativo sul riconoscere il proprio stato d’innamoramento.
“L’amore è una pazzia temporanea, erutta come un vulcano e poi si placa. E quando accade, bisogna prendere una decisione. Devi capire se le vostre radici si sono intrecciate al punto da rendere inconcepibile una separazione. Perché questo è l’amore. Non è l’ardore, l’eccitazione, le imperiture promesse d’eterna passione, il desiderio di accoppiarsi in ogni minuto del giorno. Non è restare sveglia la notte a immaginare che lui baci ogni angoletto del tuo corpo. No, non arrossire, ti sto dicendo qualche verità. Questo è semplicemente essere innamorati, una cosa che sa fare qualunque sciocco. L’amore è ciò che resta quando l’innamoramento si è bruciato; ed è sia un’arte, sia un caso fortunato.
Tua madre ed io avevamo questa fortuna, avevamo radici che si protendevano sottoterra una verso l’altra, e quando tutti i bei fiori caddero dai rami, scoprimmo che eravamo un albero solo, non due. Ma, a volte, i petali cadono senza che le radici si siano intrecciate.”
Da Il mandolino del capitano Corelli di Louis De Bernieres
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Come viene gestito l’affidamento condiviso nel caso di figli minorenni nati al di fuori del matrimonio
Nel caso delle famiglie di fatto che decidono di separarsi il Tribunale si regolerà in merito alla questione dei figli minorenni esattamente come farebbe con una coppia regolarmente sposata. E’ anzi preferita la soluzione dell’affidamento condiviso anche quando si parla di coppie di fatto
Generalmente in caso di separazione dei genitori il figlio viene collocato presso la madre, ma il padre in regime di affidamento condiviso (ma sarebbe così anche in caso di affido esclusivo) ha diritto a vedere il figlio secondo i termini e le condizioni stabilite in accordo con la madre o, in caso di disaccordo, dal Tribunale.
E’ anche possibile nel caso in cui gli orari e i giorni stabiliti non siano sufficienti o non si adattino agli orari di lavoro del padre, richiedere una modifica. E’ infatti ritenuto un principio importantissimo dell’affidamento condiviso quello di incoraggiare e sostenere il figlio nella costruzione di una relazione solida con entrambi i genitori.
Solitamente in caso di affidamento condiviso il genitore non collocatario è tenuto a versare all’altro un assegno di mantenimento per i figli che copra le spese cosiddette ordinarie per il minore. L’importo dell’assegno può variare in relazione alla situazione economica del padre e della madre e anche in base alle necessità del figlio.Bisogna inoltre ricordare che non è possibile scaricare o detrarre dalle tasse l’assegno di mantenimento che si versa per i figli, ma unicamente quello per il coniuge.
L’affidamento congiunto dei figli è invece differente rispetto all’affidamento condiviso che spingeva per periodi di convivenza di pari durata del figlio presso i genitori, spesso impraticabili, nel corso dei quali la responsabiltà del minore ricadeva nella sfera di influenza del genitore collocatario. Nel caso dell’affidamento condiviso la responsabilità dell’adulto nei confronti del figlio non dipende dalla collocazione
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Cos’è la sindrome d’alienazione parentale?
Si chiama sindrome d’alienazione parentale, spesso abbreviando in PAS, non è riconosciuta ufficialmente dalla comunità scientifica eppure può giocare un ruolo importante nelle cause di affidamento. Scopriamo di cosa si tratta esattamente
La sindrome da alienazione genitoriale (o PAS, dall’acronimo di Parental Alienation Syndrome) è una dinamica relazionale patologica elaborata dallo psichiatra statunitense Richard Gardner, anche se non è riconosciuta come vera e propria sindrome patologica dalla comunità scientifica e legale.
Gardner, teorico di tale sindrome, formula la PAS come un disturbo che origina nella fase conflittuale di definizione della custodia dei figli e descrive in dettaglio le fasi (lieve, moderato, grave) dell’alienazione operata su di un bambino da un genitore contro l’altro, e le tre tipologie di genitore alienante. Il genitore alienante sarebbe, secondo Gardner, un genitore patologico, e nella PAS che opera una sorta di lavaggio del cervello che porterebbe i figli a perdere il contatto con la realtà degli affetti, e a esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l’altro genitore (genitore cosiddetto «alienato»).
Le tecniche di «programmazione» del genitore «alienante» comprenderebbero l’uso di espressioni denigratorie riferite all’altro genitore, false accuse di trascuratezza nei confronti del figlio, violenza o abuso (nei casi peggiori, anche abuso sessuale), la costruzione di una «realtà virtuale familiare» di terrore e vessazione che genererebbe, nei figli, profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio verso il genitore «alienato».
I figli, quindi, si alleerebbero con il genitore «sofferente»; si mostrerebbero come contagiati da tale sofferenza e inizierebbero ad appoggiare la visione del genitore «alienante», esprimendo ― in modo apparentemente autonomo ― astio, disprezzo e denigrazione verso il genitore «alienato».
Gardner sosteneva che tale «programmazione» distruggerebbe la relazione fra figli e genitore «alienato» perché i primi giungerebbero a rifiutare qualunque contatto, anche solamente telefonico, con quest’ultimo. Naturalmente perché si possa parlare di PAS è necessario che detti sentimenti di astio, disprezzo o rifiuto non siano giustificati, giustificabili, o rintracciabili in reali mancanze, trascuratezze o addirittura violenze del genitore «alienato».
La teoria di Gardner suggerisce di basare la diagnosi di PAS sull’osservazione diotto presunti sintomi primari nel minore.
Richard Gardner è del parere che la PAS sarebbe una vera e propria forma di violenza che può far insorgere, sia nel presente sia nella vita futura dei minori coinvolti, sintomi psicopatologici quali:
Ai fini della comprensione della PAS non bisogna dimenticare che esistono due modalità diverse di essere coppia: la “coppia coniugale” e la “coppia genitoriale”. Il “conflitto coniugale”, quindi, non necessariamente può (o deve) scatenare anche un “conflitto genitoriale”, ed eventuali contrasti fra le due entità potrebbero essere affrontati con il sostegno della mediazione familiare.
Nel contesto della separazione e/o del divorzio, i figli assumono spesso il ruolo di “strumenti di combattimento” in una guerra di coppia che individua un genitore nel ruolo della vittima, e il genitore soccombente nel ruolo del carnefice violento e crudele. Ma alla fine le vere e proprie vittime di questa guerra sono proprio i figli, le vere vittime di tale sindrome.