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IL RANCORE IN FAMIGLIA

Da “Il rancore in famiglia” (forum “dipendenze affettive”)

Selezione a cura di Carlotta Onali

Argomento: dipendenza e rancore in famiglia

Ciao a tutti,
spero di instaurare un confronto con questo tema, perchè ne sento il bisogno.
Già detto che sono dipendente affettiva, o meglio, che lo sono sempre stata e che da un paio d’anni sto adoperandomi in vari modi per uscire dai condizionamenti più dannosi che non mi hanno mai permesso di relazionarmi, e di conseguenza di vivere, in modo sereno ed equilibrato.
Il percorso va avanti, procede con alti e bassi, la consapevolezza si fa sempre più strada, arricchendosi di sfumature sempre più illuminanti.
Per certi versi si va un po’ per tentativi, io ne ho attuati molti.
Terapia, confronto, dialogo, studio, letture, forum, sofferenza, relazioni, correzioni, impegno, isolamento, abbandono, accettazione, fiducia, autostima, pazienza…e molto altro ancora.

Oggi mi sento più forte sotto tanti aspetti.
Attualmente sono single, l’ultima relazione (finita male) per la quale sono finita su questo forum e’ stata determinante perchè mi ha permesso dopo tanto tempo di espormi nuovamente a quegli stimoli che attivavano la mia dipendenza, la mia non autosufficienza emotiva.
Ho potuto affrontare i miei limiti, le mie paure, le mie insicurezze relazionali sotto una nuova luce e cioè quella di quando si vive e si fronteggia una cosa chiamandola con il suo nome esatto ed avendone piena coscienza.
Inoltre, il fatto di non aver saputo gestire serenamente l’ultima relazione, mi ha fatto arrivare qui, dove ho potuto crescere ulteriormente.

Ma la dipendenza si sviluppa nel contesto familiare.
Si ripropone attraverso le relazioni, ma nasce all’interno della famiglia.

Questo e’ il mio problema di oggi. Mi rendo conto che sono ancora rabbiosa nei confronti della mia famiglia.
Razionalmente ho capito che loro hanno fatto del loro meglio per me, pur compiendo errori fatali; ho capito che mi hanno dato tutto ciò che avevano e cioè quello che hanno a loro volta ricevuto dalle loro famiglie d’origine.
Ho capito perfettamente che quando si vive una vita dura, sia a livello emotivo che a livello pratico, come la loro, e’ già tanto se non ci si trasforma in mostri veri e propri.
Incapacità di comunicare, anaffettività, ossessione, fobie, aggressività, dipendenza, assenza fisica ed emotiva: tutte cose che loro hanno conosciuto da molto piccoli e per tutta la loro esistenza. Come potevano educarmi attraverso altre risorse?
Lo so, eppure ancora non l’ho accettato pienamente, nonostante io ami immensamente i miei genitori e sia consapevole di quanto loro amino me.
Lo accetto razionalmente, sono anche capace di scriverlo, ma sento nei loro confronti ancora un enorme rancore, che non riesco a superare, forse perchè non l’ho affrontato come si deve.
Non riesco a tradurre in sensazione ciò che ho appreso intellettivamente.

Oggi ho riscoperto in me una forza maggiore, che consiste nel fatto che il mio desiderio più grande e ciò di cui sento davvero il bisogno sono io. Io con le mie aspirazioni, i miei gusti, la mia strada, il mio futuro, i miei sentimenti, i miei principi, il mio valore, le mie sensazioni, le mie scelte.
Oggi, per la prima volta, sto contribuendo alla costruzione della mia vita con un’attenzione per me stessa del tutto nuova. Oggi non sento il bisogno asfissiante di avere di fianco una figura maschile da cui dipendere emotivamente per risolvere ciò che ancora non va nella mia vita e dentro di me.
Sento il bisogno di farlo io, pur non chiudendomi dentro casa. Non avrei paura di accogliere una nuova relazione, ma la cosa oggi non mi preoccupa. Non quanto prima, almeno.
Mi sento più stabile e mi sento di poter affidarmi alla vita e a me stessa un pochino di più.

Ma non riesco ad abbandonarmi al perdono totale nei confronti dei miei genitori, c’e’ qualcosa che mi ostacola, e non sono loro. Oggi loro hanno capito qualcosa del mio dolore, sanno che sto affrontando un percorso personale per tirarmene fuori, hanno capito tanti dei loro sbagli e, a modo loro e per quanto possono, cercano di rimediare.
Il problema sono io, sono io che non riesco ad andare oltre, a fare un passo decisivo verso la loro completa accettazione. Continuo a sentire un senso di ostilità nei loro confronti.
Ed ho paura che finchè non riuscirò ad accettare e perdonare loro, non potrò in realtà accettare e perdonare totalmente me stessa.

Non e’ che io sia convinta di aver superato tutti gli altri aspetti insiti nella dipendenza affettiva, ma credo, anzi, che per fare un ulteriore passo in avanti verso il mio benessere emotivo, sia necessario superare questo nodo.

Sono consapevole che qui nessuno può fare nulla al posto mio, e che molto probabilmente nemmeno io da sola avrò mai tutti gli strumenti necessari per risolvere tutto ciò. Sono convinta di avere dentro le risorse, ma credo di avere bisogno di qualcuno che mi indichi meglio la strada e che mi supporti, che mi stimoli e che mi accompagni nell’affrontare un discorso così cruciale con me stessa (terapia). Almeno questo e’ ciò che penso oggi.
Ma spero, nel frattempo, di poter confrontarmi con qualcuno qui su questo argomento perchè per me e’ davvero un tasto dolente.
Grazie per aver letto, Yana

Ciao Yana, stasera iniziando a leggere il tuo post il mio pensiero è andato a mio padre.
Ho pensato subito che avrei trovato delle similitudini tra il tuo sentire ed il mio nei confronti di quest’uomo ma mi sono accorta che non è così.
Anche stasera, serata di lavoro importante per me, lui è venuto ed io ho dovuto chiedergli alla fine se gli fosse piaciuto ciò che avevo fatto: la risposta è stata un timido si, come a dire si abbastanza.
So già per certo che domani mi elencherà con dovizia di dettagli ciò che non gli è piaciuto e si scorderà di dirmi cosa è andato bene.

Eppure io non sento rancore ma solo tanta tristezza per qualcosa che non avrò mai perchè al contrario dei tuoi genitori, mio padre ancora non ha capito cosa del nostro non-rapporto mi fa soffrire. Anzi credo non abbia nemmeno capito che mi fa soffrire!
Forse di fronte a questa totale forma di incomunicabilità io ho ceduto le armi: non mi aspetto più nulla e non nutro rancore.

Credo che questo, il nutrire rancore, avvenga quando comunque noi ci aspettiamo dagli altri di più di quello che riceviamo perchè li riteniamo abbastanza intelligenti e capaci da darci di più.
Per esempio io nutro una profonda stima nei confronti di mia madre e quando lei, per stanchezza o per distrazione, non mi comprende o non risponde con la solita prontezza, io mi irrito.
Sono cosciente che tutto ciò non è giusto e mi sono chiesta più volte perchè accada e mi sono risposta che non accetto che lei non si comporti come io reputo essere alla sua altezza.
Così non mi irrito o provo rancore per mio padre.

Però comprendo perfettamente il tuo stato d’animo, perchè io non lo vivo con i miei genitori ma con mio marito: cambia il soggetto ma non l’effetto.
Io sento di dover fare ancora un ulteriore passo per far coincidere ciò che razionalmente ho compreso con ciò che sento.
A volte mi sembra di riuscirci ma poi succede qualcosa che mi riporta alla mente un episodio che mi ha ferito e allora riemerge il dolore, la rabbia di aver permesso a qualcuno di ferirmi così tanto, di aver deluso le mie aspettative.
Ma come ha potuto un uomo che conosco bene assumere atteggiamenti così rovinosi?
La risposta la conosco bene eppure non mi aiuta.

Ho cercato aiuto nella psicoterapia in questo ma alla fine, forse perchè non sono riuscita ad approfondire, anche così nulla è cambiato.
Vorrei tanto poterti offrire una risposta, quella che anche io cerco da mesi ma ho solo le considerazioni che ti ho già scritto per ora.
Chissà che magari insieme non riusciamo a capirci qualcosa di più!!!
Un abbraccio grande Zebretta

Cara Yana,
stai ripercorrendo e hai ripercorso a ritroso le tappe della tua esistenza. Hai capito certi meccanismi da dove sono stati scaturiti e hai scoperto i tuoi e i loro limiti. La rabbia che provi dentro è quella che hai provato da bambina, la rabbia perché i bambini non hanno altre difese che questa. I bambini sono egocentrici e nello stesso tempo si aggrappano al “sole” che è il padre e la madre. Per il bambino il genitore è come un “Dio” che è amorevole e benigno e non può avere cedimenti, se ne ha il bambino lo “odia” perché dimostra di essere fragile così come si sente lui fragile, allora chi lo proteggerà? si chiede. Oltretutto il bambino non ha coscienza di sè altro dai genitori e, quanto più nel tempo questo diventerà più evidente, tanto più lui sentirà rabbia nei confronti dei genitori che hanno nella coppia (equilibrata o disequilibrata che sia) il loro vero nucleo; il bambino si sente tagliato fuori da quell’amore o da quell’odio che sente tra i genitori. Si sente come Adamo scacciato dal Paradiso.
Tu dici di aver riconosciuto e che loro hanno riconosciuto di avere delle responsabilità, ma probabilmente sei in una fase del riversare su di loro la maggior parte della responsabilità emotiva. Riconosci razionalmente le tue responsabilità ma non quelle emotive non riesci ad accettare che ciò di cui loro ti hanno privata è stato determinante perché tu hai reagito delegando a loro.
Tu pensi che essendo una bambina dovevano essere loro a fare il meglio per te, e non accetti il fatto che i tuoi genitori sono diversi hanno esperienze e caratteri diversi, cultura diversa; per loro ciò che hanno fatto era il giusto, era quello che avevano imparato e che gli era stato insegnato. Sei tu che emotivamente devi riconoscere che probabilmente fino ad oggi non hai avuto fiducia nella tua forza e hai deciso che era la loro forza a dover fare per te. Non hai avuto la forza per staccarti emotivamente da loro, loro non lo hanno fatto perché non è nella loro formazione mentale; la responsabilità è tua, perché tua è la tua vita. Ognuno deve imparare che può fare della propria vita ciò che desidera a prescindere da ciò che gli è stato dato e non dato.
Se ogni ostacolo diventa la giustificazione per delegare la responsabilità emotiva sui genitori, vuol dire che il bambino dentro di noi non ha ancora preso coscienza del fatto che è lui a determinare la propria vita ma vive ancora la nostalgia della vita simbiotica vissuta nei primi due anni dell’esistenza. Quando emotivamente riuscirai a vederlo (ci vuole analisi ma anche tempo) la fase successiva sarà perdonare te. Quando questo sarà consolidato allora sarai in grado di perdonare anche loro e riuscire ad essere serena anche se loro non sono ciò che desideri o speri. Questo periodo è utile per tirare fuori la rabbia di anni, quando sentirai che quella rabbia non nutre più la tua soddisfazione allora passerai alla fase della coscienza di cui parlavo prima.

Per Zebretta:
Quando non sarà più determinante e non farà più male che tuo padre non riconosca il tuo valore, perché tu sai di averne uno a prescindere da lui, allora questa malinconia non pungerà più. Anzi non cercherai più di essere brava o bella ai suoi occhi perché tu sai di esserlo comunque, mentre capisci che lui non è in grado di reggere il confronto con te perché in realtà è molto più insicuro di quanto non ti sia mai sembrato sin da bambina che per te era la “cartina tornasole” del mondo maschile. Un abbraccio ad entrambe. Pat
P.S.: è dura, durissima, io l’ho passato prima di voi. Ma quando si è fuori da tutto questo, nonostante qualsiasi dolore possa tornare a farvi male sarete in grado di affrontarlo con una forza nuova. Pat

Cara Yana, ti comprendo benissimo. Ho vissuto provando rancore per tutta la mia vita nei confronti soprattutto di mio padre ma anche per mia madre ma credo di avere superato questa fase. Purtroppo non so darti un consiglio che vada bene per te. Ognuno ha il suo percorso. Per me quello che mi ha “liberata” dal rancore, è stato il confronto come genitore: il comprendere che anche io, che sono certa dell’amore immenso che provo per mia figlia, sto facendo i loro stessi errori quando non ne aggiungo altri di miei. Questo mi ha fatto comprendere fino in fondo che gli errori non derivano dal poco amore ma dai limiti che noi abbiamo. Io amo mia figlia immensamente come ogni madre eppure sbaglio.. come ogni madre… Saprai dare amore se ne hai ricevuto ma non averlo ricevuto non vuol dire che non siamo stati amati. Mio padre aveva una madre che incuteva terrore.. la sua vita era stata davvero dura… I nostri genitori hanno vissuto delle vite terribili.. e i loro genitori ancor di più.. hanno vissuto due guerre e avevano “camionate” di figli. Altro che pensare a come rispondere alle richieste dei figli.. loro dovevano cercare di fare in modo semplicemente che i figli sopravvivessero…Questo nel passato della mia famiglia. So che questo non basta per fare la pace con i nostri genitori. Temo che, come in ogni tappa del nostro percorso, il primo gradino per risolvere i nostri problemi sia la consapevolezza che non è abbastanza, però.. una volta raggiuntala credo sia necessario lasciare che la vita ci guidi cogliendo i suoi suggerimenti. La mia vita mi ha posto innanzi alla malattia di mio padre e solo così ho iniziato il percorso che mi sta portando ad elaborare vecchie ferite che credevo insanabili. La rabbia si è sciolta lasciando posto al dolore, all’amore e a tante sensazioni ed emozioni profondissime ed intensissime che erano racchiuse dentro un contenitore di rabbia. E sai una cosa? Credevo che la rabbia fosse l’unica cosa da “combattere” invece era solo un piccolo sintomo che mascherava un mondo di emozioni sommerse.
Talvolta mi lascio prendere dalla paura di queste sensazioni che escono fuori che sono sconosciute.. mi sorprendono come un fiume in piena che travolge ogni cosa…. Se ti accadrà non averne paura… accogli quel fiume come sto cercando di accoglierlo io.. è l’unico modo per fare la pace con se stessi e con le nostre radici: i nostri genitori che amiamo. Non avere fretta e non avere paura… se quello che vuoi davvero è fare la pace con loro vedrai che la vita di dirà come fare.. ti mando un abbraccio fortissimo
Gio62

Ciao a tutti, molto interessante questo tema, e grazie per averlo proposto.
Io a volte mi chiedo: perchè sei qui a farti mille domande sul passato, su come si sono comportati loro (i genitori), sulle scelte che hanno fatto, che inevitabilmente hanno pesato sul mio futuro, sui modelli e valori che mi hanno trasferito,etc.. Tu, a questa età, dovresti gestire la tua vita in modo autonomo e libero, dovresti farti una famiglia come la vuoi tu, a coltivare una relazione sana e costruttiva con un compagno, e non dovresti passare il tuo tempo a distruggere tutto come Attila! E invece scopro che ho ancora bisogno della loro approvazione, io che sono praticamente cresciuta da sola (e questo lo dico con una punta di orgoglio!) , che ho scelto tutto da sola (dalle scuole superiori, agli sport alle elementari, le amicizie da frequentare, i vestiti da comperare..) che non ho mai fatto pesare i miei problemi, che non ho mai fatto pesare il peso delle loro scelte su di me. Io che fino a ieri ero il simbolo dell’autonomia, mi scopro debole, dipendente dal mio compagno, dentro una relazione che contava moltissimo per me, e che a causa dei miei comportamenti asfissianti e scostanti è finita. Come ho perdonato tutto ai miei (apparentemente) non perdonavo niente a lui. E coltivo sempre di più il sospetto, di non averli perdonati veramente e per questo di essere ancoràta ancora a loro; di essermi autoboicottata, perché scegliere il mio compagno significava probabilmente rinnegare mio padre, e il sistema dei valori nei quali sono cresciuta. Scegliere il mio compagno e la vita insieme a lui era una sorta di tradimento nei confronti della mia famiglia, alla quale mi sentivo e mi sento tuttora legata da un sentimento anomalo, (una dipendenza?). E oggi sento più vivo che mai questo rancore, non solo per il passato, ma per il fardello che mi sento dentro oggi, e che non riesco a scrollarmi di dosso. Come se paradossalmente quella presenza che chiedevo invano da piccola, fosse diventata una realtà solo oggi , fuori tempo massimo, con tutto il peso e l’ingombro delle cose fuori posto.

Buona giornata! Piggy

Cara Zebretta,
Il nostro sentire nei confronti dei nostri “padri” ha invece molte similitudini. O meglio, tu provi piu’ tristezza e io rancore (misto ad un’infinita tristezza), ma la sensazione che provi quando lui non e’ capace di apprezzarti, o non in grado di esternarlo, e’ la medesima.
Sono cresciuta in mezzo ai suoi rimproveri, alle critiche; anche quando le cose andavano bene..potevano sempre andare meglio, per lui. Di conseguenza, anche per me.

Conosco bene questa sensazione che ti ferisce e t’influenza per tutta la vita, e che ti fa inglobare in fondo a te stesa una subdola errata convinzione: quella di non essere mai all’altezza, di non essere adeguata.
Per me combattere contro questa sensazione, che e’ sempre stata molto inconscia e quindi presente in modo latente, e’ qualcosa di molto difficile, anche adesso che me ne rendo conto.
Forse perche’ le emozioni più nascoste riguardo a questa ferita le ho razionalmente comprese ampiamente , ma non sono mai emerse realmente per un contatto vivo con me stessa.
E’ di questo che ho bisogno, ma probabilmente continuo ad erigere delle barriere perchè ho paura di farmi sopraffare dal vortice di sofferenza che si scatenerebbe.
Credo di non avere il coraggio, o la forza, di lasciarmi andare veramente su questo punto.
Forse non e’ ancora arrivato il momento, o ci sto arrivando piano piano: il nostro inconscio e’ rimasto bambino, ma lavora per proteggerci in fondo, ed ha una logica che forse non apprezziamo abbastanza. Ci permette di affrontare le nostre angosce limitatamente a quanto il nostro organismo (mente e corpo) e’ in grado di sopportare gradualmente.
Quindi forse devo solo farmi trasportare dagli eventi, come dice Gio62, e lasciare sfogare gradualmente tutti i sentimenti che mi porto dentro da una vita. La rabbia, il rancore, ma anche tanti altri.

C’e’ una frase che hai detto, che mi ha fatto riflettere tantissimo:

Credo che questo, il nutrire rancore, avvenga quando comunque noi ci aspettiamo dagli altri di più di quello che riceviamo perchè li riteniamo abbastanza intelligenti e capaci da darci di più.

Non mi ero mai soffermata su questo aspetto e credo tu abbia perfettamente ragione.
E’ vero, credo di aspettarmi sotterraneamente qualcosa di più dai miei genitori da sempre, e non ho ancora smesso di farlo. Questo continua a significare che non ho ancora imparato ad accettarli veramente, a perdonarli e a smettere di delegare a loro tutta la responsabilità della persona che sono oggi.
Ragazze, com’e’ difficile!

Grazie Zebretta, mi hai fornito uno spunto importantissimo per continuare a capire..e forse a liberarmi un pochino di più..
Un bacio enorme Yana

Pat,
tutto ciò che dici e’ vero, verissimo.
Mi riconosco in tutto, riesco a vedere tutto, ma non riesco a sentirlo pienamente con il cuore. Emotivamente, non ho ancora superato, non mi prendo per ora ancora tutte le mie responsabilità, come dici tu, nonostante lo abbia capito, letto, sentito dire, addirittura scritto, molte volte.
E’ questo che mi rende inquieta. Vorrei decidere di sentire tutte queste cose, ma non e’ così che succede.

Ci sono stati momenti in cui ho pensato che stava per sopraggiungere la fase in cui tutto sarebbe sgorgato fuori. In parte e’ successo, ci sono stati diversi periodi della mia vita in cui ho provato una rabbia accecante, un dolore acuto, e nelle ultime situazioni in cui tutto ciò e’ accaduto, non sono stata in grado di trattenere nulla. Ho buttato fuori, ed e’ stato un inferno, anche se in parte mi ha liberata.
Ma sento che non e’ finita, perchè oggi, ancora, dopo tutto questo, mi sento ancora rancorosa ed in certi frangenti la cosa e’ incontrollabile (ed io cerco comunque di tenerla sotto controllo).

Oramai il tempo dell’infanzia e’ passato, ed anche il tempo in cui non capivo, ma, anche se sotto molti aspetti i miei hanno potuto vedere l’angoscia e l’odio scaturito dal nostro e dal loro rapporto, anche se per certi versi si sforzano di venirmi incontro, loro sono comunque e saranno sempre le persone che sono.
Dovrei accettarli esattamente per ciò che sono, arrendermi, amarli per le loro qualità e per i loro limiti, eppure i loro limiti continuano ad urtarmi.

L’indifferenza non e’ possibile quando si parla della propria famiglia, e non posso e non voglio allontanarmi da loro, come si può fare con una relazione che non fa per noi. L’unico modo e’ accettare, lo so, ma faccio una tremenda fatica.
In questo, tempo fa, pensavo di essere più avanti, oggi mi rendo conto che sono indietro.

Grazie infinite Yana

Recupero questo thread di Yana perché quest’argomento oggi mi sta particolarmente a cuore. Penso, infatti, che per me il non aver superato il rancore in famiglia sia ciò che più di qualunque altra cosa sta ostacolando la mia crescita e il mio cammino verso la serenità.

Il rancore, come ho già scritto, ci annebbia e ci rende incapaci di misurarci in modo lucido con noi stessi e con gli altri. Quando il rancore si “materializza” come sentimento negativo verso un’altra persona è per lo meno “tangibile”, lo vedi e sai che lo puoi affrontare, puoi fare finta di non vederlo, è una tua scelta… ma è comunque lì, assume la forma della persona “odiata” e ci sfida ad affrontarlo…

Il rancore che si origina nella famiglia di origine, per quanto riguarda la mia esperienza, ha una connotazione molto più subdola. Non è un sentimento che mi induce a vedere mio padre o mia madre come miei carnefici, come responsabili delle mie frustrazioni e delle mie sofferenze, dei miei traumi e delle mie paure… Proprio per quello non l’ho riconosciuto. Per tanti anni, in particolare dal periodo universitario sino ad oggi (parliamo di 15 anni circa) questo sentimento negativo mi ha corroso lentamente senza prendere una forma ben definita. Erano una serie di comportamenti interiorizzati che a volte si manifestavano come ossessività nello studio, a volte come rigidità nei rapporti interpersonali, a volte come eccessivo senso del dovere e della moralità, a volte come arroccamento e chiusura mentale. Quando tutte queste dinamiche si sono accumulate hanno creato una sovrastruttura al di sopra del mio carattere, che pur non facendo parte dell’ essenza della mia personalità l’hanno condizionata drammaticamente. Io non mi rendevo conto che tutto quello non era parte di me, quindi non riuscivo ad essere obiettivo, perché la sovrastruttura deformava la mia visuale.

Le situazioni di sofferenza affrontate nell’infanzia e nell’adolescenza erano troppo pesanti da affrontare, quindi le ho intellettualizzate per non sentire la loro portata dolorosa… mi sono “contratto” per trattenerle dentro di me. La mia esperienza traumatica di qualche mese fa è stata però una svolta in termini di consapevolezza, sono riuscito a ricondurre finalmente tutte le mie nevrosi alla loro origine e quello che era vago e non ben definito ha preso finalmente forma. E’ stato devastante accorgermi, ed è stato un momento che non dimenticherò mai, che nel “rispondere male” ai miei genitori veniva fuori esattamente quello che per anni mi ha fatto vivere una profonda inquietudine, ha fatto crollare la mia autostima, mi ha reso debole, vulnerabile e… dipendente . L’origine era la stessa. Finalmente conoscevo la radice dei miei mali.

Lavorare su queste dinamiche è difficilissimo, perché si tratta di pensieri irrazionali ormai stratificati e sedimentati dentro… ci vuole un lavoro enorme per scardinarli dalle fondamenta… eppure quando ho avuto consapevolezza di tutto ciò ho trovato dentro di me una forza di volontà che non pensavo assolutamente di avere tra le mie risorse (ero ormai completamente “scarico”). Quest’energia proviene dalla volontà di interrompere, finalmente, lo spreco di energie mentali e poterle incanalare in un cammino, pur lungo e faticoso, che porta a stare bene con me stesso .

Sto già meglio e questo è il segno che la strada è quella giusta.

Un abbraccio Dentwilliams

Ciao dent,
tu stai vivendo ciò che io ho vissuto e continuo ad affrontare ogni giorno. Per molti anni ho pensato che la colpa dei miei comportamenti negativi o dei miei fallimenti fosse imputabile alla mia incapacità, alle mie mancanze. Poi quando ho recuperato l’amore per me stessa ho riconosciuto che se errori avevo commesso era perché nessuno mi aveva insegnato a credere in me stessa; anzi i miei genitori mi hanno cresciuta minando proprio le mie sicurezze interiori. Non perché non mi amassero ma perché erano anch’essi una coppia di insicuri in modo uguale e inverso l’uno nei confronti dell’altro e avevano bisogno di sentire la dipendenza dei figli. A tre anni ho subito un trauma e piuttosto che ammettere a loro stessi che non erano riusciti a proteggermi proprio per la loro stessa dipendenza affettiva nei confronti della famiglia di origine, hanno preferito negare (tuttora mia madre non riesce ad ammetterlo e sono discorsi recenti…di contro ho avuto la soddisfazione questa estate di avere conferma da una mia zia che fortunatamente sta facendo un proprio percorso di crescita) e farmi sentire bugiarda, visionaria e colpevole. Oggi non ho più intenzione di convincerla, so di essere nel giusto, so che lei mi vuol bene; in modo malato però, da dipendente. Lei non riesce a vivere una sua vita autonoma con mio padre, ha bisogno di sentirsi continuamente occupata con la vita degli altri, soprattutto noi figli. Quando ho capito all’inizio del mio percorso che veniva da lì la mia dipendenza è stato un fiume in piena di rabbia. Sono andata a vivere per mio conto, i rapporti con loro sono diventati conflittuali o formali..oggi ho messo un freno a tutto questo. Capisco che non sono in grado (papà ha altri limiti)di amarmi come vorrei e non gliene faccio una colpa, sono cresciuti così e all’epoca avevano altre esigenze primarie che non quelle psicologiche; ma non intendo ricalcare la vita che loro vorrebbero per me nè permettergli di invadere il mio privato. Cerco di amarli come posso e di trovare un terreno di comunicazione possibile. Mi è più facile quando la mia vita è serena, quando ho momenti di confusione, dubbi, cerco di tenerli fuori; di isolarmi perché so di non poter contare sul loro aiuto tranne che quello economico. In questi ultimi cinque anni ho analizzato il mio profondo, ho scoperto forze dentro di me che non sapevo di avere; mi sono sentita un individuo e non più l’appendice di qualcuno. E’ stata una sensazione bellissima e auguro a tutti di arrivare a provarla. Prosegui su questa strada: qualche volta avrai dei dubbi; qualche volta potrai essere sommerso da una sensazione di perdere quasi la rotta, di avere le vertigini…proseguire ti farà sentire di avere il timone tu nelle tue mani. Un abbraccio e grazie mi hai dato modo di parlare un po’ del mio percorso. Pat

Ciao a tutti. Lo avevo promesso ( in un altro thread) e lo scrivo! Lo scrivo perchè penso possa essere di aiuto a qualcuno e anche perchè è un’esperienza molto bella da condividere.
Non mi riferisco ad un post piuttosto che ad un altro ma quello che voglio assolutamente dire è che non bisogna avere fretta nel risolvere la rabbia. Vorrei dire che, nella mia esperienza, lo scorrere della vita ci aiuta.. dobbiamo solo essere pronti ad accettare e ad essere più recettivi e le soluzioni ai nostri problemi arriveranno. Provare rancore è normale.. è una fase.. io ci ho convissuto per decenni.
Il rapporto con mio padre ha minato i miei rapporti con il sesso maschile per anni. Ma ha reso differenti anche i rapporti con il resto del mondo perché buona parte della mia insicurezza la devo alla mancanza affettiva di mio papà.
Lui fisicamente c’era ma mai una carezza, mai un apprezzamento.. tutto il contrario!
Fin da quando ho ricordi vedo una bambina che avrebbe fatto ogni cosa per raggiungere suo padre ma che non riusciva a raggiungerlo e si sentiva infelice.. Nell’adolescenza vedo un padre che mi ha ostacolato in ogni modo, che mi ha criticato in ogni modo… e una madre che non era da meno nonostante facesse la parte della mia amica .
Vedo una Gio che ha portato tanto rancore alle figure maschili in alcuni momenti della vita, una Gio che ha odiato suo padre disegnandolo come un mostro.
Poi un giorno Gio ha guardato suo padre con occhi diversi e ha visto un uomo: è stato come se cadesse una maschera ..
E ho capito.. ho visto tutta la sua fragilità. Ho visto nello specchio nel quale mi riflettevo l’immagine di mio padre che avrebbe voluto tante volte raggiungermi ma non sapeva come e probabilmente aveva sofferto molto. Ho visto un vecchio sofferente che non ha più voglia di vivere perché gli manca la capacità di amare e senza amore si muore… si muore dentro.
Non so come è successo ma da quel momento qualcosa è scattato.. La sua malattia ci ha aiutati e, per assurdo, i momenti in cui io mi curo di lui ( ad esempio accompagnandolo a fare esami) e siamo soli senza la presenza di mia madre, sono talmente belli ed intensi da sembrarmi dei miracoli.
E ho capito alla mia veneranda età cosa voglia dire avere un padre vero, sentire la presenza di un padre. Ho provato quelle sensazioni che le mie amiche provavano e che non comprendevo. Ho compreso che esiste un filo che lega il padre e la figlia. Lo immaginavo ma non lo sapevo.
E’ assurdo ma la sua presenza.. la presenza di un uomo vecchio che sta malamente in piedi e probabilmente ha poco da vivere.. mi da sicurezza come non ne ho mai avuta.
Ho scoperto che mia madre ha giocato un ruolo fondamentale in questo nostro rapporto conflittuale allontanandoci, probabilmente, per potere lei avere il controllo e la gratificazione totale della mia presenza ed affetto…..
Non ho mai visto questo aspetto di mia madre.. non l’ho mai considerata così.. per me era la donna succube e debole del marito/papà/padrone: la vittima… ma i ruoli non erano così. L’anello debole era mio papà. Era mia mamma che esercitava il controllo.
Ma scoprire questo aspetto di mia madre non me la fa odiare… io sono madre ora e so cosa vuole dire esserlo, so quanto facilmente si fanno errori e lei mi ha amata più di se stessa! Ma questo mi apre un mondo che non conoscevo.
Incredibilmente la scoperta di questo ha aperto un varco in quel muro che pareva insormontabile. Mio papà parla poco.. non parlerà mai dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. Non mi ha dato mai un abbraccio forse mai me lo darà perché sarebbe fare una violenza al suo modo di essere. Sto smettendo di desiderarlo tanto perchè le nostre anime si sono abbracciate comunque.Ho scoperto la via del suo cuore.. Quando gli ho parlato l’altro giorno ( vedi che schifo! Uno sfogo) lui non ha detto nulla. Si è rinchiuso in se stesso dicendo “basta o me ne vado” perché non voleva farsi vedere emozionato ma poi non ha dormito per tutta la notte… poi era sorridente nonostante non sia nel momento migliore della sua vita.
E’ stranissimo ….avere avuto il coraggio di parlargli mi ha fatto fare la pace anche con me. Mi sento più leggera ed è come se avessi un peso in meno …
In rancore ci distrugge. Io pensavo di provarlo solo nei suoi confronti e invece era parte di me, e ora sono in pace ed è bellissimo.
So che davanti a noi c’è un momento molto duro e non voglio neppure pensare a come potrà essere soprattutto quando mi lascerà.. ma ora so che siamo in pace…La vita scorre e finisce.. l’importante è viverla al maglio.
Io non ho mai sperato tutto questo e se lo avessi voluto raggiungere non ce l’avrei fatta… Ecco quello che volevo soprattutto dire. Ognuno di noi ha una strada e nessuno può dirci cosa è meglio.. dobbiamo solo ed unicamente imparare ad ascoltarci.. ad affidarci. Ragionando non avrei mai potuto giungere a questo. E’ certo importante comprendere ma è ancora più fondamentale lasciarsi andare al fiume della vita accogliendo le possibilità che ci vengono date.
Spero che questo post possa essere di aiuto a qualcuno.
Un abbraccio a tutti
Gio62

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

VIOLENZA NELLA COPPIA

Tratto dal thread “vi racconto la mia storia….”

Autore: Virna

Argomento: violenza nella coppia

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Ciao a tutti, ho 30 anni. vi racconto la mia storia perchè spero sia d’aiuto e di speranza a tutti quelli che come me hanno subito o subiscono ancora violenze psicologiche o fisiche, perchè oltre a queste righe ci sia un messaggio che anche nelle giornate sterili e disperate un seme può fiorire.
ho 30 anni, lui l’ho conosciuto a 19 perchè era venuto a studiare nella mia città. amore bellissimo, travolgente, di quelli che per anni ti baci e senti dentro “le farfalle” che borbottano, che lo sogni tutte le notti e ti svegli col sorriso sapendo che poi lo vedrai… poi.. poi il tracollo. la mia famiglia di origine si sfascia, nel giro di tre mesi mi ritrovo orfana di padre, stroncato da un tumore, e con una madre invalidata da un ictus. e lui al mio fianco, un pò più oscuro, più nervoso, fino al suo ricovero in ospedale per esaurimento nervoso. andiamo a vivere assieme, facciamo il “grande passo” e mi sembrava di essere felice, ma poco a poco le cose peggiorano. sempre più nervoso e distante, capita che mi insulta per la fiamma del gas troppo alta, perchè gli sposto le cose… non che si litiga o si discute, mi sento insultare, dare della stupida, della superficiale.. si alza la voce per un nonnulla, all’inizio rispondo, poi inizio a far parte di questo gioco, poco alla volta le discussioni si fanno più accese, lui non lavora, non è nella sua città, io ho una mamma alla quale dedicare certe attenzioni… l’alcool entra prepotentemente nella sua vita, due o tre bottiglie prima di birra poi di vino al giorno, ogni volta che provo a farlo smettere sono nomi e “sono io l’essere inferiore invidioso della sua vita rock and roll”. non si decideva a trovare lavoro, avevamo perso tutti gli amici..tre anni fa le prime botte, eravamo in montagna a cuocere della carne alla brace e allo squillo del mio telefonino ha preso dei sassi, 4 o 5, grandi come una mano, e me li ha lanciati urlandomi che mia madre non doveva disturbarci in montagna. all’inizio credevo fosse un episodio sporadico, volevo dimenticare e godermi quei mesi di pace e serenità che sarebbero seguiti, pensando che se mi fossi comportata bene non ce ne sarebbero stati più. forse nel mio inconscio speravo anche di “cambiarlo”, di renderlo mite come l’avevo conosciuto. un anno dopo, dopo una serata tranquilla ad ascoltare musica, mentre mi apprestavo a dormire .. ha iniziato a prendermi a calci, a insultarmi in ogni modo, a darmi degli schiaffi urlandomi dietro che non mi potevo permettere di addormentarmi senza il suo consenso, perchè lui era ancora li che ascoltava musica e io l’avevo abbandonato. quando sei dentro a certi meccanismi, non è facile come per chi legge capire le cose, quando giorno dopo giorno e per anni sei abituata a certe cose, come dire, ci fai il callo, l’amore diventa ossessione, morbosità, paura, fobia, essere succube dell’altro e infine giustificare certe azioni. quella sera prese una bottiglia cercando di spaccarmela in testa, mi mise le mani sul collo, la bava alla bocca, e io urlavo se potevo, altrimenti tacevo in silenzio, io non so quant’è durato quel raptus, in quei momenti mi sentivo come spettatrice, la paura mi paralizzava e una parte di me diceva non stà succedendo davvero… sangue, sangue caldo da dietro la testa, poi il suono del citofono, i carabinieri allarmati da qualche vicino che probabilmente aveva sentito le mie urla, o la mia testa contro il muro.. poco importa.. ad ogni modo la salvezza. voi direte… ma poi l’hai lasciato? no, non ancora, dopo due settimane durante le quali mi sono fatta negare ho ceduto alla mia debolezza, ancora una volta sono stata debole, non mi sono amata come avrei dovuto, e sono tornata da lui, che era in un mare di lacrime, forse pentito, sicuramente mi sono fatta impietosire dallo stato in cui si era ridotto in mia assenza. un’altro anno c’è voluto prima che lo lasciassi, un altro anno di insulti, schiaffi, isolamento dal resto del mondo (solo andando da mia madre o a lavorare mi distraevo) e quel che fa più male quella minaccia psicologia, quel sottile stato di continua tensione, quel fino a qui tutto bene…. ma anche quell’ossessione che se me ne fossi andata mi sarei sentita in colpa di averlo abbandonato, quell’intestardirmi sul pensiero di amare che in realtà era un gioco morboso in cui ero vittima e carnefice, incapace di liberarmene e succube della situazione. una volta si arrabbiò con me perchè entrai in un pub a chiedere se avevano un bagno, e si ruppe una mano dal pugno violento che diede contro a un cartello stradale mentre mi urlava che ero una stupida a chiedere le cose, ad essere gentile.. un’altra volta alzò le mani anche contro mia madre facendola cadere, per fortuna su un letto, e dovemmo passare la notte io e mia madre chiuse a chiave in camera con la paura che lui, nella stanza a fianco, tornasse a darci il resto delle botte. quest’estate, di ritorno da un concerto, l’ennesima crisi, un raptus in autostrada mentre guidavo, all’improvviso ha iniziato a darmi dei pugni forti in testa. ho accostato, sono scappata, ho chiamato la polizia. pronto soccorso, prognosi di 7 giorni per trauma celebrale…- lei signorina lo vuole denunciare? – -no, ha dei disturbi, sicuramente è solo perchè ha bevuto troppo- iniziai a soffrire di attacchi di panico, all’improvviso il respiro si faceva convulso e il cuore mi saliva alla gola, iniziavo a urlare, a piangere, a sbattere la mia testa contro a un muro. poi a settembre, la liberazione. l’ho lasciato. ho sofferto della lontananza, si, ho perso 5 kg in meno di un mese. come prima cosa mi sono rivolta a un istituto di igiene mentale spiegando degli attacchi di panico, dell’apatia che avevo addosso, raccontando la mia storia a una psicologa e uno psichiatra che mi seguono tutt’ora. che dire… finchè non raggiungi il fondo, ma proprio il fondo, non te ne accorgi, e forse a volte non serve neanche quello. ad ogni modo ora è aprile e sono qui, e capita sempre più spesso che sono serena. di notte lo sogno, a volte, che mi mette le mani addosso o mi dice che torna e non mi lascia più, e io nel sogno mi sento soffocare, inizio a piangere. anche stanotte l’ho sognato, era dolce e premuroso come i primi anni e poi mentre mi baciava mi stringeva sempre più forte il collo…
e continuo a ricevere telefonate anonime, e so che lui è stato ricoverato in condizioni pessime e con ricovero obbligatorio in psichiatria, minaccia di uccidermi una volta uscito, a me sembra di vivere un incubo senza fine perchè più cerco di rifarmi una vita più so che lui è ancora ossessionato da me, e spero solo che i medici che lo hanno in cura si rendano conto della situazione e della pericolosità del soggetto.
che dire ancora? sul perchè io abbia voluto subire, sui meccanismi celebrali, ci stò lavorando, sulla qualità della vita ora non ne ho dubbi, anche se con molte cicatrici e qualche ferita aperta sono io, con la mia integrità, e voglio vivere. ho conosciuto un ragazzo qualche mese fa, ed è stato colpo di fulmine, ci conoscevamo già da qualche anno, ma eravamo entrambi alle prese con relazioni infelici. sto vivendo un rapporto sereno e alla pari, lui sa tutto del mio passato e mi appoggia e ogni mattina mi sorride solo perchè è contento che al mondo ci sono anch’io, senza pretese ma semplicemente amandomi. progettiamo un futuro assieme, senza fretta, passo a passo e nel completo rispetto uno dell’altro, sono felice, e come me anche voi lo sarete, ne sono certa.
un abbraccio.

Virna

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

SCELGO ME e LA FUGA VERSO ALTROVE

Tratto dalla discussione del forum “scelgo me!” (forum “fine di un amore”)

Autore: v_veronica07

Sezione: Messaggi di Speranza

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Ciao a tutti,
è la prima volta che scrivo anche se conosco questo forum da oltre un anno. La mia relazione a distanza si è appena conclusa (anche se temo che non fosse mai iniziata…). Ho 38 anni e sin da piccola un unico romantico sogno…una mia famiglia! Durante lo svolgersi della mia esistenza ho accumulato esperienze che erano il riflesso della mia convinzione interna:l’obiettivo di una famiglia è per me impossibile. Non ne sono capace. Ed ho fatto di tutto per dimostrarmelo. Unicamente attratta da uomini sfuggenti, indifferenti, immaturi, incapaci di dare. A 27 anni mi sono resa conto, dopo la lettura del libro della Norwood, di essere affetta da dipendenza affettiva. Segue psicoterapia di 5 anni con una psicologa e di altri 3 anni con psichiatra…ambedue utili a livello di acquisizione di consapevolezza ma nulla di più. Con enormi difficoltà, abitando in una piccola provincia del sud dove l’amore che fa soffrire è assolutamente normale, creo un gruppo per donne con dip affettiva che ha breve vita dato che era composto da solo 4 donne peraltro neanche molto motivate.
E quindi veniamo alla mia ultima “storia”. Lo conosco in chat oltre un anno fa. Fu subito passione. Lui separato, 2 figli e appena uscito da una storia di 2 anni. Mi convinco che è affidabile nonostante sia fantastico quando stiamo insieme ma scompaia non appena ritorna nella sua città. Poi dopo un mese, alla vigilia della nostra prima lunga vacanza insieme, mi lascia per tornare con la sua ex. Decido di non sentirlo più. Dopo 2 mesi torna da me dichiarando di avermi sempre pensato e che vorrebbe stare con me “seriamente”. L’idillio dura 2 mesi durante i quali si rifiuta di farmi conoscere i suoi figli, perchè da troppo poco tempo si è lasciato con la sua ex e mi nasconde a sua sorella ….sembriamo amanti clandestini. Infine non si fa sentire…lo sorprendo a chattare con altre e lo lascio. Il tutto con enorme dolore. Mi fa sentire rifiutata, la mattina mi sveglio (se riesco ad addormentarmi) con una forte ansia. Trascorre l’intero inverno e a giugno ricompare dichiarando di non volere storie al momento e raccontandomi che negli scorsi mesi era ritornato per la terza volta con la sua ex facendo in tempo a firmare un compromesso per l’acquisto di una casa in cui vivere con lei, poi per una sfuriata di lei si sono lasciati. Io sono molto fredda e distaccata e più lo sono e più mi corre dietro fino ad offrirmi una crociera insieme a titolo risarcimento danni per la vacanza che l’anno prima non avevamo mai fatto. Non senza titubanze accetto. Solito film lui è presente e affettuoso finchè siamo insieme, sempre che non senta da parte mia alcuna richiesta, e appena distanti diventa irraggiungibile. Al ritorno dalla crociera mi confessa di essere un pò malinconico perchè ricorda solo i momenti più belli trascorsi con la sua ex e che gli fa bene sentirla per ricordarsi l’impossibilità della loro relazione. Mi sento usata e glielo dico. Lui afferma che ho equivocato. Di nascosto guardo i messaggi sul suo cell e scopro che manda gli stessi sms a me alla sua ex e ad altre 2 donne. Dopo un meraviglioso weekend trascorso insieme, con lui amorevole come non mai, lo ritrovo in chat. Nel suo profilo ha messo una foto in cui eravamo insieme naturalmente epurata della mia immagine. Uso questo ultimo dolore per trovare la forza di troncare e scompaio per un paio di giorni. Mi manda un sms in cui mi dice che suo padre è molto grave ed è ricoverato in ospedale. Lo chiamo, gli sono vicina. Lo rassicuro, gli dò tutto il mio calore. Il giorno dopo (oggi) lui di nuovo in chat, con quella foto. Gli faccio presente che mi ha dato un dispiacere mettendo proprio quella foto. Non mi risponde.
Fine del terzo atto BASTA!
E ci vuole coraggio e forza per non rispondere alle sue richieste di aiuto e scegliere per una volta ME.
Scegliere l’immancabile vuoto, i sensi di colpa, l’ansia, la solitudine e l’inferno che conosco bene. Ma rimane poco tempo ed il mio sogno da realizzare e una battaglia tutta mia da combattere …quella contro la vocina interna che dice “non ce la fai, non è per te”
Chiudo con una frase che ho letto oggi “Dì a te stesso dapprima che vuoi essere; poi fa di conseguenza ciò che devi fare” Epitteto.
Un grazie a tutti per l”ascolto”

v_veronica07

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Tratto dalla discussione del forum

“La fuga verso “Altrove” ovvero mi presento”

Autore: Skara

Sezione: Messaggi di Speranza

Selezione a cura di Carlotta Onali

Dopo aver interagito un poco con voi, aver letto moltissimo, mi sono resa conto di non essermi presentata, ma di aver lasciato qua e là qualche orma sulla mia storia.

Famiglia difficile la mia, povera di tutto, soldi, affetto, cultura, una crescita con nonna e zia dai due anni ai dodici, del prima nulla si sa per certo le versioni sono discordanti, due anni fino ai 14 con dei genitori ricomparsi dal nulla, violenza e abuso pane quotidiano, nasce la fuga verso “altrove”, da casa con l’aiuto di un assistente sociale e il rientro ad una vita più serena, pare tutto vada bene studio, mi diplomo, mi laureo, trovo un lavoro stabile, ma nel frattempo passano gli anni e a 38 dopo l’ennesima ricaduta in una storia “persa” già in partenza, l’inizio della terapia che mi ha condotto fino a voi.

Apparentemente tutto scorre, c’è il lavoro, il mutuo, ma nel frattempo ho traslocato 14 volte, cambiato 7 città, perchè “altrove” ovvero io, neppure sapeva di fuggire, pensava solo di essere una dinamica donna nell’era della flessibilità, invece era sempre una fuga, dai rapporti, tre storie importanti in 40 anni di vita, tutte segnate, a vederle ora dopo due anni di analisi, dall’infattibilità di ognuna.

“Altrove” ha scoperto alla non piccola età di 40 anni che ha sempre avuto paura delle relazioni, che dentro le riecheggiano o come abbandoni o come violenza, quindi o si evitano scegliendo accuratamente persone complesse, ad incastro mirabilante con le proprie nevrosi, uno molto grande da fanciulla, un peter pan da adulta, uno sposato nella maturità, o peggio scelte in modo da far risuonare quella corda mai ricucita della ferita antica.

Vivo così la mia duplicità adesso, consapevole che il mio funzionamento adattivo e sociale è buono, il mio mondo affettivo un deserto, che anche io ho contribuito a creare. Cosa farò di questa consapevolezza non so, forse le emozioni ed i sentimenti non si riallineeranno mai con il pensiero, però ora scatta la campanella d’allarme, e tolto il carro armato con cui ho superato senza dubbio difficili traguardi, finalmente sento che ho anche un anima, piena di bellezza e desolazione, che trema e palpita, ho scoperto cosa voglia dire sentirsi, sentire se stessi.

E poi ho scoperto voi, tanti, diversi, vivi.

Una carezza

Skara

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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AUGURIO D’AMORE (messaggio di speranza dal forum)

Cari tutti,anche quest’anno si sta avvicinando il periodo delle feste, che per qualcuno forse è già iniziato. Scrivo per tutti, ma principalmente per quelli che in questo momento stanno soffrendo e che probabilmente sentiranno acuire in modo feroce la loro sensazione di solitudine. Nei momenti di pausa dal quotidiano, quando le famiglie e gli amici si stringono per festeggiare qualcosa, quando ci si ferma per un attimo e si ha più tempo per riflettere, non è una novità: se non si sta bene si rischia di percepire con più forza la propria sofferenza. Anche quest’anno voglio volgere un pensiero speciale per chi si trova in questo stato;so come ci si sente, ci sono passata anche io, e so che può essere davvero doloroso.Non voglio scrivere nulla di scontato o di banale, voglio solo portarvi la dimostrazione del fatto che la sofferenza si supera, che si può star meglio, che anche le separazioni o i soprusi più devastanti, ed apparentemente impossibili da superare, sono gestibili e possono addirittura generare un nuovo modo di essere o una nuova vita, anche migliore. Voglio ricordare che si può stare meglio, anzi bene, perché so quanto in certi momenti sembra impensabile poter tornare a vivere sereni.Non bisogna avere fretta, anche se, quando si sta male, la cosa più naturale ed immediata è quella di desiderare solamente di uscirne subito e di saltare tutte le fasi di sofferenza che in molte situazioni invece sono inevitabili ed anche indispensabili, per uscirne, ma anche per raggiungere una nuova consapevolezza e quindi una nuova fase della propria vita. In alcuni casi c’è la messa in discussione e lo sgretolamento di un’intera vita, di un modo di vivere che è sempre stato vissuto come scontato, di un’unione che costituiva un appoggio o una condivisione fondamentale per noi.

La rottura di questo non può che portare alla sofferenza, alla distruzione di tutti quei punti di riferimento che improvvisamente ci vengono a mancare e che così facendo ci danno la sensazione di non poter quasi più respirare, o di non riuscire a trovare la motivazione per continuare a farlo.Ma la distruzione di qualcosa, seppur dolorosa, non preclude una ricostruzione, a volte anche di qualcosa di più bello, o il ritrovamento di qualcosa di noi che magari prima ci mancava senza che ce ne rendessimo conto.Con questo non voglio permettermi assolutamente di sminuire il dolore di molti, che certamente deve essere vissuto e che ha ragione di essere. Voglio solo ricordare che può finire e che può anche trovare un senso che adesso sembra non avere.Io sono stata una persona molto infelice ed oggi mi sento, tra tutti i miei alti e bassi e le mille difficoltà, una donna serena.Porto sempre con me quella speranza e quella fiducia necessarie per affrontare ciò che non va, sono ancora capace di sentire dentro di me intensamente il dolore quando vivo un distacco, un’ingiustizia o qualsiasi cosa che sperimento come portatrice di malessere, ma nonostante questo mi sento aperta alla vita ed ho fiducia nel futuro. E’ cambiato il mio modo di sentire la vita e di pormi di fronte o all’interno degli eventi e questo ha fatto tantissima differenza.Volevo dirvi che per raggiungere questo stato ho sofferto molto ed ancora oggi ci sono delle cose nella mia vita che vanno sistemate.Ma credo, nonostante tutto, che ne valga la pena, e lo penso veramente.Ho ancora tantissima strada da fare, cioè tutta quella che mi manca nella vita, ma la serenità che ho raggiunto nel rapportarmi con me stessa rispetto al mio passato è un dono grandissimo che ho deciso di farmi, che ho accolto insieme a tutte le fasi che sono state necessarie per arrivarci, e che oggi mi permette di camminare in modo più equilibrato attraverso tutti gli avvenimenti.

Non so se sono riuscita a trasmettere quello che volevo, ma so che il sostegno, la fiducia e la speranza sono stati i regali più importanti che ho ricevuto nei miei momenti più difficili.Di certo con queste parole non risolverò i vostri problemi, ma voglio comunicarvi una cosa che reputo importante. Io sono cresciuta e mi sono rigenerata nel tempo, e continuo a farlo, attraverso moltissime risorse concrete, è vero, ma quello che è stato importante, sempre, è stata proprio la fiducia che ce la potevo fare, la convinzione, la volontà, la pervicacia.E questi atteggiamenti sono stati spesso incoraggiati dalle persone che mi stavano vicino, che comprendevano il mio stato d’animo o che mi sostenevano pur non comprendendomi a fondo. Spero davvero che queste feste non siano per alcuni troppo dolorose, ma soprattutto spero che, comunque verranno vissute, non abbiano il potere di oscurare del tutto la speranza che sicuramente contenete dentro di voi e che prima o poi, ne sono certa, si farà sentire di nuovo. Buone feste

Yana (moderatrice del Forum)

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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QUESTA GELOSIA SCONOSCIUTA… (discussione del forum)

Tratto dalla discussione “Questa gelosia sconosciuta…” (forum “GELOSIA E TRADIMENTO”)

Autore: Sommer

Argomento: gelosia

Selezione a cura di Carlotta Onali
Per la prima volta nella mia vita sento gelosia del passato della persona che in questo momento sto conoscendo. Lui, come me, ha vissuto un rapporto importante che lo ha lasciato in pezzi ma a differenza di me continua a mantenere rapporti amichevoli con la sua ex… qualche volta si sentono. Il loro rapporto si è concluso due anni fa.
Non discuto sulla serietà del ragazzo in questione sono consapevole che il disagio sia dentro me per questo ho bisogno di voi. Sono sicura che i vostri pareri, le vostre esperienze mi aiuteranno a fare luce.

A creare dolore è bastato leggere una frase sulla sua ex risalente al 2005 scritta sul suo blog sul quale non scrive più. Nulla di che… ma è bastato per sentire un dolore dentro che ha causato un pianto assurdo. Il sentire quanto fosse importante per lui mi ha ferita, il dolore che ho sentito mi ha riportato alla mente sensazioni vecchie legate alla scoperta del tradimento…le ho subito riconosciute quindi sono consapevole che si tratta di ferite ancora aperte/dolore ancora non del tutto elaborato. Un po’ esagerato provare smarrimento di questo tipo causato da una frase scritta tre anni fa quando nessuno dei due conosceva l’altro. Non trovate? Mi chiedo perchè io stia provando questo…

Ho paura che lei possa tornare nella sua vita, a volte le persone si amano si fanno del male ma poi si ritrovano mentre io sono qualcosa di nuovo che ancora non ha nessuna radice forte.

I fatti dicono di starmene calma e tranquilla, inoltre lei vive un altro rapporto, ma le mie sensazioni corrono e mi feriscono…ad esempio non sono riuscita a chiudere occhio la notte successiva alla lettura di quella frase, mi sono addormentata con fatica e a brevi tratti mi svegliavo come impaurita con il cuore in gola e questo non accadeva dal periodo immediatamente successivo alla scoperta del tradimento e all’abbandono. Sento la paura di poter essere abbandonata a causa di qualcun’altra…penso alla sua ex perchè con lei ha condiviso qualcosa di importante quindi penso che possa avere dell’ascendente su di lui ma potrebbe benissimo essere una nuova conoscenza o semplicemente il suo decidere di non proseguire la conoscenza con me.

Sto vivendo una situazione familiare complessa e dolorosa che ha come scombussolato il mio sistema emotivo e sono sicura che sta incidendo anche sulla mia sfera prettamente personale. Non posso parlarne a questo ragazzo siamo nella fase della conoscenza non sarebbe opportuno sia perchè non ci sono fatti e poi perchè sarebbe davvero inopportuno per la fase esistente tra noi mettermi a parlare della sua ex e delle mie paure.

Mi aiutate a capire voi? Grazie Sommer

 

Ciao sommer,
leggendo le tue parole mi è sembrato di sentire me stessa..
Io ho il terrore, non la paura.. il terrore del passato sentimentale di chi condivide ormai la propria vita con me.
Col tempo ho imparato a non fare domande, a lasciar stare il passato lì dove sta perchè ho visto che mi fa star male da morire.

Però non è facile, cavolo se non lo è.. Anche perchè sono una testarda ostinata e ho la devastante capacità di autoconvincermi di cose allucinanti che magari nascono da situazioni innocenti ma la mia mente le distorce in dubbi, angosce, pensieri foschi e questo non solo riferito alle ex ma anche al presente.

Tornando al passato.. ho imparato a capire che se è il suo PASSATO e io il PRESENTE, un motivo ci sarà: non dico che ho imparato ad evitare di starci male, ma ho iniziato a comprendere che se fra di loro è finita e a me viene dimostrato che è così e che ci sono solo io nel suo cuore, bè.. allora è così.

Però scrivi che hai letto cose passate, che comunque loro si sentono ancora.. io ho un mio carissimo amico che era mio ex, lui ora è impegnato ma riusciamo a sentirci serenamente ogni tanto e ad uscire con il gruppo di amici comuni senza nessun problema.

Ho notato che su tutto questo meccanismo di gelosia influisce molto la nostra vita familiare: io ho iniziato a star da cani quando ho scoperto i tradimenti di mio padre, avevo 16-17 anni e da lì ho iniziato a non esser più sicura su niente. Il problema che ho io di base è un decisamente bassa autostima e da lì nascono le mie paure più assurde.
Se stai attraversando una situazione familiare burrascosa può essere che influisca in maniera decisiva sulla tua vita sentimentale.

Dici che è troppo presto parlare con questo ragazzo di questa sofferenza.. io credo che se si condivide un affetto, per quanto sia iniziato da poco, certe paure devono venir affrontate assieme, ma senza buttare in tragedia il tutto: semplicemente esporre il proprio punto di vista, ciò che si sente anche per far capire all’altro che si sta soffrendo.

Lui magari nemmeno immagina che tu in questo periodo stia male per il suo passato e nel momento in cui lo scoprisse potrebbe rimanerci male proprio perchè non ne avete parlato prima, ad esempio. Ma sono io così, se ho qualcosa che non mi fa star tranquilla cerco di sbrogliare il nodo il prima possibile proprio per evitare di soffrire ulteriormente e inutilmente il più delle volte..

spero di averti dato perlomeno uno spunto di riflessione; ti sono vicina perché ti capisco perfettamente
Un grande abbraccio Malinconia

 

Grazie Malinconia.
Da ieri sera sono più serena, mi sono fermata a riflettere su alcune cose e questo mi ha “calmata”.

Io so per certo che l’insicurezza che mi ha travolto è stata scatenata da un evento legato alla mia famiglia che mi ha fatto percepire fragile e da li è stato un susseguirsi di pensieri distorti. Questi pensieri/stati d’animo innescano un dolore che faccio fatica a controllare…tipo reazioni a catena. Stavo benissimo fino a quando non sono venuti fuori problemi di famiglia e all’inizio me la sono cavata alla grande dopo qualcosa si è incrinato lasciando dentro me una sgradevole sensazione dentro.

Un’amica mi ha fatto un elenco di persone che dopo la fine di una relazione rimangono amiche e anche io ne conosco qualcuna. Ma come ho già scritto forse non è l’ex il problema, potrebbe benissimo essere una ragazza nuova…quindi il problema è un’altra e l’ex sembra essere rivale perchè ha già condiviso emozioni/progetti/sentimenti. Ma come hai detto bene tu se lei fa parte del suo passato da due anni un motivo ci sarà e se io in qualche modo sono nel suo presente allora è su questo che devo concentrarmi e lasciare che le cose evolvano.

Manca autostima, in questo sono d’accordo con te, ma c’è anche la paura che tutto possa non evolvere non so quanto e precisamente come queste due cose siano legate tra loro. Io ho paura di questo, ho paura di dover affrontare un distacco.

Ci siamo detti poco in merito agli ex, lui a novembre quando ne abbiamo parlato mi è sembrato ferito. Ha detto una frase con un tono di voce molto sofferente e questo mi ha fatto capire che il ricordo di lei è doloroso…questo vale anche per me.

Sono demoralizzata perchè mi rendo conto di quanto lavoro io debba ancora fare su me stessa. Ogni volta che penso di essermi messa “in piedi” accade qualcosa che mi fa capire che non è esattamente così. Mi sembra un lavoro così enorme…mi sembra di fallire continuamente ogni volta sbuca fuori qualche punto che va rivisto e corretto. Io prima queste paure non le sentivo. Il tradimento ha aperto un pozzo senza fondo.

Avrei bisogno di essere tranquillizzata ma al momento non posso avere di più.
Grazie Sommer 

Ciao sommer,
mi sono rispecchiata nelle tue parole, quando dici che il tradimento ha aperto un pozzo senza fondo.
E’ esattamente ciò che penso anch’io. Il tradimento ha spalancato una voragine all’interno di me e da questo enorme buco emergono sentimenti che pensavo sopiti o definitivamente superati, stati d’animo che non conoscevo affatto, pensieri che non pensavo di avere. Tutto è in bilico e continuamente in discussione.
Mi sento continuamente sospesa e sono profondamente stanca di lavorare su di me.
Come te anch’io avrei bisogno di essere tranquillizzata, di essere in qualche modo sollevata ma anche per me ciò non avverrà.

Riguardo la tua gelosia credo sia veramente legata al tradimento a cui sicuramente si sono sommati i problemi famigliari. Non so se anche prima del tradimento avessi problemi di autostima ma sicuramente dopo un evento così traumatico tutto si enfatizza e moltiplica di intensità.
Non è tanto l’ex o un’amica o quant’altro ad essere l’effettivo problema quanto, secondo me, il non essere più sicuri di niente. Il tradimento ti lascia un senso di insicurezza profondo che non è facile da superare.
Io pensavo che se avessi lasciato mio marito forse avrei avuto fiducia in un nuovo compagno. Poi ho riflettuto che ormai il mio metro di fiducia è inesorabilmente cambiato e quindi immagino che, se fossi al tuo posto, soffrirei del medesimo problema.
Con affetto Velia

 

Grazie Velia.
Stavo bene…davvero fino a qualche giorno fa stavo bene. Mi sentivo tranquilla con le mie percezioni/emozioni/sensazioni poi ho iniziato a sentirmi di nuovo frammentata. Orribile sensazione.
E’ vero…si perde fiducia in se stessi in primo luogo e di conseguenza anche nelle proprie percezioni.

Soffro, soffro ogni volta che percepisco quanto il mio rapporto precedente sia stato distruttivo e soprattutto soffro ogni volta che comprendo quanto io abbia permesso a quel rapporto di distruggermi.

Una domanda: sentite la competizione con l’altra/ex? Bisogna concentrarsi su se stessi, lo so ma io non riesco a non fare certi pensieri. Cosa state facendo/avete fatto per affrontare questo aspetto? Sommer

 

Ciao Sommer,
questo è un tema che mi tocca molto da vicino e che ho vissuto in diverse fasi.

Premetto che io non sono mai stata una persona gelosa: ho sempre riso e scherzato sull’argomento ma non ho mai sentito quello spasimo che ho poi compreso essere davvero la gelosia.
Con mio marito, in particolare, non l’avevo mai vissuta perchè avevo l’assoluta certezza che per lui esistessi solo io.

Questo è uno dei motivi per cui ho faticato tanto ad arrendermi all’evidenza dei fatti e a dover accettare il suo tradimento.
Ed è senz’altro il motivo che ha reso il tutto ancora più difficile e doloroso.

Ciò che più mi ha mandato in confusione, come ha detto anche Velia, è stata la sensazione di non potermi fidare delle mie percezioni.
Questo mi spaventava molto. Un po’ mi spaventa anche ora ma cerco di superare tutto ciò considerando che non posso sapere e capire tutto, non posso controllare tutto e tutti e devo accettare questo aspetto.
Cosa un po’ difficoltosa per me che anche sul lavoro sono una patita del controllo.
Ho la convinzione che avere il controllo significhi anche essere al sicuro.
Il punto è che posso “controllare” solo me stessa.

Per quanto riguarda l’altra, mi sono sentita in competizione per quegli aspetti che so mio marito ha trovato in lei e che prima trovava in me.
Questo mi ha ferita molto.
Adesso non mi sento in competizione con lei: mi addolora sempre pensare che abbia fatto parte del nostro cammino, questo sì.

La mia percezione di lei e del tradimento è cambiata nel tempo, man mano che lavoravo su di me e che ricostruivo il mio matrimonio.
In questo momento c’è molta vicinanza emotiva tra me e mio marito e questo mi fa sentire tranquilla, anche se certo non tranquilla come quattro anni fa.

Non so se riesco a spiegarmi bene, oggi ho anche la febbre e fatico a mettere insieme i pezzi nel mio cervello.
Quello che voglio dire è che dopo un tradimento si diventa consapevoli che l’altro può farti male, quanto più ti ama tanto più può ferirti.
Questo spaventa e la paura è certamente una sensazione sgradevole e dolorosa, soprattutto se ci si lascia sopraffare; è anche vero che amare una persona vuol dire, secondo me, saperla accettare nella sua interezza e con la possibilità che dunque possa ferirci.

Credo anche io che proseguire la relazione o instaurarne una nuova non cambi le sensazioni di chi ha subito un tradimento: le paure sono le stesse.
Penso che man mano che ci si conosce e che ci si rapporta ad altre persone, la paura verrà riproporzionata.
Non abbiamo usato correttamente gli strumenti in nostro possesso in una circostanza specifica, eppure noi ci relazioniamo ogni giorno con decine di persone e ci sono momenti precisi, anche in questo luogo virtuale, in cui le nostre capacità percettive ci consentono di comprendere altri esseri umani.

In fondo abbiamo imparato che dobbiamo migliorare la tecnica, gli strumenti già li abbiamo.
Il mio psicoterapeuta mi ripete sempre che nel momento stesso in cui ho accettato che gli altri non siano perfetti e che mi possano ferire, ho fatto un salto nel mondo adulto.
Certo, anche io rimpiango a volte la sensazione di profonda sicurezza ed abbandono ma la consapevolezza che ho adesso è ciò che mi consentirà di affinare la tecnica.

Non sono sicura di essermi spiegata come volevo ma più di così, oggi, non posso.
Spero di averti scritto comunque qualcosa di utile.
Un abbraccio Zebretta

 

Leggendo le varie risposte che sono state date mi son venute in mente due concetti che reputo importanti: la fiducia ed il “controllo”.

Ora cerco di spiegarmi meglio.
Io ad essere sincera sono anni che non ho più fiducia in niente e nessuno, il periodo in cui ho visto il mondo che conoscevo, il mio mondo, la realtà in cui vivevo, sgretolarsi davanti ai miei occhi è stato quando ero adolescente, più o meno 7-8 anni fa.

Ho già accennato alle situazioni che ho vissuto in quel periodo: mia madre alcolista da una vita, mio padre assente e per di più che tradiva mia madre con altri uomini..
Ciò che mi ha gettato nella confusione più assoluta è stato l’aver perso i punti di riferimento che fino a quel periodo per me erano fondamentali e che ritenevo ben saldi.. niente di più sbagliato..

Mi sono resa conto che ero assolutamente “inutile” perchè non ero riuscita a controllare la situazione, non ero riuscita ad accorgermi di cose, situazioni che avevo davanti a me da tanto tempo..
Sto pagando ancora quel periodo, le ferite che mi porto dentro sono aperte, vive.. ci sono momenti che mi fanno male Dio solo sa quanto.. ci sono momenti in cui la lucidità và a farsi benedire e l’unica cosa che sento è un dolore profondo, che parte da radici ben aderenti al mio cuore e quando questo capita sembro un’altra persona.

Mi sono resa conto che non avrò mai il controllo di nulla se non di me stessa, ed è forse la cosa più difficile da comprendere e da mettere in atto.. e questo riflette dei cambiamenti anche nella vita di coppia.

Mi sono resa conto che o mi fido di chi mi sta accanto o è meglio che me ne stia da sola, l’alternativa di farmi divorare dai dubbi, dalle angosce, dai sospetti non mi alletta più ormai..

Sommer, tu chiedi come si possa riuscire ad attutire questo dolore.. io posso parlarti per me, per la mia esperienza.. e non ti nascondo il fatto che di strada ne ho veramente tanta da fare, perchè il dolore a volte è talmente forte che tutti i buoni propositi vengono oscurati dalla disperazione!

Io ho iniziato ad evitare il discorso “ex”, lo evito come la peste perchè mi fa star male, malissimo e se c’è qualcosa che mi fa soffrire allora cerco di parlarne fino alla nausea con il diretto interessato perchè parlarne mi fa star meglio. E ne parlo anche con mia mamma, mi conosce meglio di chiunque altro e, per quanto sia in conflitto con lei quando beve (per fortuna sono periodi!), sfogarmi con lei mi aiuta a “ritrovare la bussola” e a non farmi sopraffare da sentimenti negativi. Oppure ne parlo con qualche mia amica e mi confronto con loro su come reagisco e come reagiscono loro a determinate situazioni sentimentali

Grazie per aver scritto questo post, si sta rivelando un’ulteriore spunto di riferimento per la sottoscritta
Un abbraccio, e ricordati che non sei sola con questo dolore!!! Malinconia

 

Quello che mi ha portato a scrivere il thread è stata la sensazione di poter perdere il controllo…cerco di spiegare non so se quando parliamo di perdita di controllo intendiamo la stessa cosa.

Ho letto quella frase e il dolore è esploso…non ricordo di avere pensato a nulla la sensazione che ho avuto è stata quella del cuore che mi esplodeva mi sono portata le mani sul viso e sono scoppiata a piangere. I pensieri sono venuti dopo e non mi sono piaciuti.

Qualche ora e mi sono ripresa, capire che quel dolore non l’aveva causato lui. Mi sono intristita perchè ho pensato: “Brava Sommer!!!! Non vuoi che lui ti faccia del male ma se avessi fatto una scenata, se non ti fossi controllata non solo avresti ferito/deluso lui ma avresti danneggiato te stessa allontanandolo e questa è l’ultima cosa che desideri” (poteva non essere questa la conseguenza ma credo che non avrebbe giovato perchè sarei davvero stata inopportuna…la distanza e la fase che stiamo vivendo non sarebbero stati elementi a favore).
Per questo mi sono chiesta:
Cosa alimenta questa gelosia che non conoscevi? A che punto sei del tuo percorso? E’ normale quello che hai provato? E adesso cosa faccio?

Lo so sono esagerata ma mi sono visualizzata come una donna che fa scenate…tipo alzarsi dal tavolo al ristorante lasciandolo solo come uno stoccafisso…versare il contenuto di un bicchiere in testa e scappare via…non rispondere alle telefonate o peggio prenderle e chiudere il contatto…iniziare con i sospetti. Insomma avete capito scene da film, non sono così e difficilmente diventerò così ma il dolore e la paura in quel momento erano così forti che ho avuto la sensazione che avrei fatto qualcosa di eclatante solo per puntare l’attenzione che quel disagio c’era. Non so se riesco a farmi comprendere.

Poi la conversazione tra noi c’è stata ero ancora un po’ scossa la malinconia è stata notata ma sono riuscita a confonderla/giustificarla con la stanchezza. Oggi sono tranquilla questo ragazzo è davvero un tesoro, in questo momento non ha certo bisogno delle mie paranoie/paure devo rispettare il fatto che sta vivendo anche lui un momento complesso.
Sono felice di averlo incontrato, aver saputo leggere le sensazioni/emozioni di quell’incontro e correre verso lui, solo che a volte penso dove stia la fregatura della serie “troppo bello per essere capitato a me”.

La mia famiglia è un tasto dolente, sono ferita tanto ferita…distrutta e disossata ma decisa a non lasciarmi soffocare.
Cosa ne pensate? Sommer 

Ciao sommer,
Purtroppo credo che per quanto si cerchi di superare gli accadimenti della nostra vita, e per quanto li possiamo riporre in luoghi segreti e pensare che stiano lì, buoni e tranquilli senza più poterci far del male, c’è sempre un qualche cosa che li può richiamare in vita e sbatterceli in faccia. Il dolore che si prova in quei momenti è pari, se non addirittura di intensità superiore, a quello che si era provato nel passato. Ma si supera con molta più facilità e ci lascia un po’ scombussolati, vagamente malinconici ma meno doloranti rispetto al passato e soprattutto è più facile da riconoscere e capire.

Io credo che ciò che ti ha provocato una reazione tanto sproporzionata all’evento in se sia stato il ricordo, magari sopito, di qualcosa di simile che ti è accaduto con il tradimento. O forse semplicemente è la paura di arrivare anche solo a pensare che lui sia veramente interessato a te e non stia meditando alcun inganno.
Il tradimento ci lascia ferite e doloranti e soprattutto senza alcuna stima di noi stesse e quindi, in questo momento iniziale del tuo rapporto hai semplicemente tanta paura e la tua frustrazione e la tua paura di essere ancora ferita si sono manifestate in questo modo.

Non è facile ricominciare ad aprire il nostro cuore ferito a qualcuno e abbiamo paura che possa nuovamente sanguinare e qualche volta questo ci porta ad avere comportamenti che esulano dalla nostra “normalità”. Non so bene come spiegare ma è come se si attivassero i recettori del dolore e il nostro corpo entra in tilt e ha reazioni assurde ad eventi apparentemente, per gli altri, normali. Ma in quei momenti è il nostro vissuto che riemerge e che parla ma non è facile per gli altri capirlo e spesso nemmeno per noi, almeno nel momento dello “scoppio”.
Penso sia questo che intendi quando parli di perdita di controllo.

Soffrire di gelosia retroattiva poi è una caratteristica di tutte le persone un po’ insicure, a mio avviso. E’ il nostro modo per cercare di dire a noi stessi che siamo NOI quelli veramente importanti, che lui ha cominciato ad esistere solo dal momento in cui ci ha conosciute. In parte sicuramente è anche vero ma certo il passato non si può cancellare e continuare a figurarselo davanti non giova affatto. Si rischia di creare dei fantasmi che in realtà non esistono. E poi potrebbe anche lui essere geloso del tuo passato.

I sentimenti che ci hanno accompagnato nel nostro passato fanno parte di noi e ci rendono quello che noi siamo nel presente e che, nel tuo caso, ha colpito e interessato questo ragazzo.

Per quanto riguarda la tua famiglia io credo che sia importante ad un certo punto mettere dei paletti. La famiglia, i rapporti famigliari, sono importanti ma non ci devono impedire di vivere la nostra vita. Non è sempre facile fare questo: si scatenano sensi di colpa, ci possono essere addossate responsabilità e quant’altro. Ma forse ad un certo punto dovrebbe scattare in noi la molla dell’autoconservazione. Non possiamo farci carico più di quanto non abbiamo già fatto dei problemi della nostra famiglia.
Con affetto Velia

 

Malinconia immagino che la situazione che hai vissuto in casa non sia stata per nulla semplice. Io ho vissuto dinamiche diverse ma allo stesso tempo devastanti.
Mi sono sentita responsabile della crisi dei miei genitori per molto molto tempo…quando ero piccola e la situazione tra loro stava precipitando io ero l’elemento in più. Era difficile parlare tra di loro che tutto quello che riguarda me diventava esasperante quindi quando il loro scontro veniva innescato da qualche decisione che riguardava me o da qualcosa che avevo fatto/detto io il mio senso di colpa cresceva in modo esponenziale portandomi lentamente a fare il meno richieste possibili, non dire che qualcosa non mi piaceva o a manifestare necessità. Mi andava bene tutto…
La stessa dinamica è tristemente riemersa con motivazioni diverse nel rapporto con il mio ex…il sentirmi responsabile di alcune sue reazioni mi ha portato nello stesso meccanismo. Anche se ero in grado di capire che non era mia responsabilità non sono stata in grado subito di reagire.
E’ stato durissimo capire…dolorosissimo. Ancora oggi è fonte di pianto, di dolore.

Sono stata soffocata, ostacolata, alterata dall’ambiente e dalle tare ereditarie legate alla mia famiglia. Ho impiegato tempo a trovare il mio modello di vita e per ottenerlo ho fatto di tutto compreso sbattere la porta di casa dove non sono tornata per un anno sia fisicamente sia interrompendo rapporti con i miei genitori. E’ stata la cosa più salutare…avevo bisogno di aria. Il distacco emotivo non è perfetto…ho ancora del lavoro da fare.

Velia io a mio attivo ho solo una scenata di gelosia non ho ancora deciso se è da candidare all’oscar o da inserire in una tragedia greca. Dopo aver saputo del tradimento prima ho fatto un pianto dignitoso, silenzioso…le lacrime mi rigavano le guance poi sono esplosa.
Comprendo la tua rabbia e immagino che sia difficilissimo ricostruire dopo un uragano della portata del tradimento.
Hai ragione quando dici che il non aver potuto agire nell’immediato è stato provvidenziale perchè avrei sofferto molto di quel passo falso. Solo il pensiero mi fa stare male figuriamoci se avessi davvero agito.

Il mio ex ha lasciato una pesante eredità. Ho ripreso a camminare ma non ho ancora un’andatura stabile…cado spesso, mi rialzo zoppicando a volte riesco a correre ma non ho ancora trovato un’andatura armoniosa.

Sto meglio rispetto ad una settimana fa, mi è rimasta una strana sensazione di stanchezza…non so come spiegare. Ho dormito pochissimo nei giorni scorsi e pensato molto adesso che inizio a riprendermi sento stanchezza fisica ed emotiva. Oggi mi sono isolata da tutto e tutti.
Oggi non ho sentito la mia voce… Sommer 

Oggi ho letto dei vecchi thread…uno si è rivelato essere molto interessante non ho ancora finito di leggerlo, è molto lungo.
Mi sono sentita compresa nelle paure che mi tengono compagnia in questo periodo e che non conoscevo fino a poco tempo fa.
Il circolo/la trappola è: dipendenza- paura della perdita- pensieri negativi- ansia- perdita controllo emotivo. Controllare questo circolo necessità di una grande dose di volontà.

Pensavo di avere chiaro molte cose dentro di me e pensavo di essere a buon punto del mio cammino invece mi sono resa conto che forse non è proprio così…ho pianto come conseguenza del sentirmi demoralizzata. Allo stesso tempo mi sento fortunata ad avere capito cosa sia ad inquietarmi perchè se so cosa mi fa stare male allora non brancolo nel buio più nero. Avere/potere avere una spiegazione alternativa al mio sentire non credo sia poco.
Sapere che quel disagio è prevalentemente dentro me dovrebbe aiutarmi a riflettere prima di qualunque azione e questo ridurrà, quanto meno spero, la probabilità di commettere errori. Non so se riesco a spiegarmi…

Sono stata due anni sola, ho affrontato una paura liquida non indifferente per avvicinarmi a questo ragazzo e adesso che lui è reale nella mia vita apro un altro capitolo della mia crescita personale.

Io e lui siamo simili e c’è un buon dialogo, molta comprensione e vicinanza emotiva. Mi piace molto, moltissimo…di più, non voglio perderlo, desidero che tutto prosegua ed evolva.
Sono contenta di non aver agito sull’onda della mia emotività…sarebbe stato veramente terribile. Sapere di NON avere fatto quel passo falso mi fa stare bene…

Devo imparare a controllarmi nella sfera affettiva come mi controllo in tutte le altre relazioni. Almeno questo è quello che al momento credo sia il da farsi. Come?…ancora non lo so. Sommer

 

Ciao Sommer,
gran bel tema complicato!
Della gelosia mi colpisce il carattere estremamente indomabile, anche quando siamo razionalmente molto preparati sull’argomento e su molte tematiche che lo sottendono.

Non credo avrò molto da aggiungere a quanto già detto; mi sento di risponderti prima di tutto perchè mi sono trovata ad affrontare questo tipo di situazioni emotive diverse volte e quindi mi ritrovo nei tuoi pensieri e nei tuoi quesiti, in secondo luogo perchè vorrei portare la tua attenzione sugli aspetti positivi della questione, visto che quando l’ansia da gelosia sopraggiunge, si tende a farvisi rapire e ad assecondarla, con un interminabile susseguirsi di ragionamenti distruttivi che si focalizzano sugli aspetti negativi.

Quindi la mia intenzione non è quella di fornire chissà quali nuovi spunti, ma piuttosto quella di dialogare insieme con questa dinamica per esorcizzarla un pò.

Quello da cui parto sono questi due fondamentali concetti con cui concordo pienamente e che secondo me sono il cardine di questa “problematica”:

Soffrire di gelosia retroattiva è una caratteristica di tutte le persone un po’ insicure, a mio avviso (Velia)
e poi tutto il ragionamento fatto sia da te che da altri sull’illusione-bisogno-impossibilità di avere il controllo su tutto, che è legato alla paura della perdita, o più generalmente della sofferenza.

Io non credo che tu abbia bisogno di comprendere molto di più Sommer, a questo proposito (opinione personale), ma semplicemente che tu debba continuare, come stai facendo ampiamente, a lavorare per l’accettazione e l’elaborazione di questa sensazione che scatta dentro di te.

Io credo che sia normale che certi meccanismi emergano anche quando siamo più consapevoli ed abbiamo fatto un grande lavoro su noi stessi, perchè il superamento di certe dinamiche o convinzioni inconsce non è immediato. Anzi, da una parte credo anche che riaffrontare emotivamente determinati temi conflittuali per noi sia una parte del lavoro necessario.
Se ci sono dei nodi irrisolti dentro di noi emergeranno finchè non li avremo elaborati a dovere, e questo potrebbe ripetersi svariate volte nelle più disparate occasioni e situazioni: se impariamo ad accoglierli nonostante il disagio che ci arrecano, continueremo a progredire in quello che deve essere l’insegnamento da attingere e l’evoluzione di noi da compiere.

Credo che tu Sommer stia compiendo un grande passo in avanti circa la tua crescita in questo momento, o quantomeno ne hai certamente la possibilità, se cogli questo malessere in tal senso.
C’è una cosa che ho imparato e che può sembrare banale, ma che secondo me è una grande verità: il fatto che nella vita ogni cosa s’impara facendola.
Quindi anche superare le difficoltà è un’abilità che si ottiene attraverso il confronto stesso con le difficoltà.

Hai sottolineato questa caratteristica rispetto al “paragone” con la ex:
Ho paura che lei possa tornare nella sua vita, a volte le persone si amano si fanno del male ma poi si ritrovano mentre io sono qualcosa di nuovo che ancora non ha nessuna radice forte

Se da un lato questa può essere sempre una possibilità (ma allora dovremmo avvicinarci solamente a compagni “vergini sentimentalmente”, e sai anche tu che questo, realizzabile o meno, comporterebbe problematiche relazionali ben più “gravi” dal punto di vista della stabilità del rapporto e della condivisione), dall’altro lato questa, come hai già osservato, potrebbe rivelarsi completamente solo una tua paura.

Puoi guardare lo stesso dato di fatto attraverso un’altra ottica: tu sei la persona da conoscere, quella che può potenzialmente dargli anche più di quanto lui stesso può immaginare e da cui lui è attratto ADESSO.
C’è una sostanziale differenza tra adesso e prima: forse prima non vi sareste incastrati come adesso, perchè entrambi eravate differenti e probabilmente avevate bisogno di altro, che oggi non vi stimola ed appartiene più perchè vi siete evoluti. Come tu non hai più bisogno di ciò che desideravi prima, vale lo stesso per lui.

E se questa tua paura dovesse per qualche motivo rivelarsi veritiera, allora sai benissimo anche tu che, per quanto sicuramente doloroso e deludente, vorrebbe dire che non è lui la persona con cui puoi incastrarti serenamente adesso. Per quella che sei tu adesso, come conseguenza della tua crescita ed esperienza di vita.

Questo implicherebbe che c’è ancora di meglio per te.
Da qualsiasi parte si gira la cosa, secondo me il risultato finale non cambia: il nostro cammino ci porta dove è meglio per noi, che sia quello che desideriamo ora o meno.

Nel frattempo credo che vivere ed amare nonostante la paura sia la cosa migliore che tu possa scegliere perchè, come una persona qui mi ricorda spesso con grande saggezza, l’alternativa alla vita è l’immobilità.

Un’altra cosa su cui vorrei portare l’attenzione è questa, che però sottolineo non vuole nel modo più assoluto essere un consiglio.
Hai scritto che “non puoi parlarne con il tuo ragazzo” e poi hai dato le tue motivazioni.
Non so onestamente cosa sia meglio o peggio fare nella tua specifica situazione, ma vorrei solo sottolineare che quando siamo convinti che “non possiamo” fare una cosa, in realtà spesso non ci rendiamo conto che siamo noi che abbiamo compiuto una scelta.
Abbiamo sempre più alternative di fronte ai dilemmi; quindi prova a valutare, se ti sembra il caso, come mai per te la scelta migliore è stata ed è (se ho capito bene) quella di non confrontarti con lui e se le motivazioni non riguardino qualcosa dentro di te che trovi particolarmente difficile affrontare.

In realtà avrei altre cose da dire, in particolare sulle dinamiche famigliari legate a questo tema, ma questo argomento si è talmente articolato, che per ora mi fermo qua.

Mi scuso perchè molto probabilmente sono stata un pò troppo “filosofica”, ma forse avevo necessità di srotolare questi pensieri e metterli per iscritto.
Vi ringrazio per queste riflessioni e ringrazio te, Sommer , per avere aperto la discussione perchè per me è importante affrontare questi temi.
Un abbraccio a tutti Yana 

“come mai per te la scelta migliore è stata ed è (se ho capito bene) quella di non confrontarti con lui e se le motivazioni non riguardino qualcosa dentro di te che trovi particolarmente difficile affrontare”. (Yana)

In questo momento sta affrontando un periodo complesso legato al fatto che si trova all’estero e si sta mettendo in gioco sotto l’aspetto professionale. Io sono il fulmine prima della partenza…l’interesse per me lo ha ammesso nella paura e solo dopo essere partito.
Lui ha proposto, non volendo rinunciare, di vivere questo momento con tranquillità, di continuare a conoscerci nella misura in cui questa distanza consente e di “riparlarne” di persona nei mesi prossimi quando è previsto un incontro.
Manifestargli gelosia adesso senza che ce ne sia reale motivo che senso avrebbe se non quello di creare ansia, di rovinare tutto e di farlo sentire messo alle strette? E’ il mio modo per avere rispetto di lui e della fase che sta vivendo.

Entrambi siamo stati delusi, traditi e abbandonati ed entrambi ci portiamo dentro delle ferite e delle paure non ancora del tutto risolte. Credo che ci siano dei percorsi o parte di percorsi che ognuno deve fare con se stesso vorrei cercare di capire/capirmi prima di condividere. Non voglio censurarmi ma non voglio essere come egoista puntando l’attenzione su di me non tenendo conto di lui.

Non ho alcuna difficoltà a differenza di quanto avveniva in passato ad ammettere che ho delle insicurezze. Accetto le mie insicurezze perchè ho capito che se non occulto il fatto che esistono allora significa che posso solo migliorare. Le mie insicurezze, i miei dubbi sono amici e non nemici perchè sono il punto di partenza per un cambiamento. Ho imparato ad essere “umile” (non riesco a trovare un altro termine spero di farmi comprendere).
Sto provando gelosia,voglio capire le insicurezze che la alimentano perchè non voglio che questo aspetto evolva in modo sbagliato/incontrollato dentro me. Vorrei per quello che posso che il dolore migliori la mia vita e non il contrario.

Si vive per tentativi ed errori…la vita è tutta una serie di tentativi ed errori. Sono d’accordo con te Yana, bisogna vivere…il fatto è che a parole è tutto facile ma vivere sebbene sia naturale è dannatamente difficile.

La mia famiglia…ho bisogno di condividere alcune pensieri perchè mi stanno facendo male. Forse vado off e un po’ mi sento in colpa ma non posso farlo con nessuno.
Sto subendo un silenzio atroce ed un isolamento da parte di un componente della mia famiglia con la motivazione che io ho smesso di prendermene cura a causa del mio dolore. Vengo “colpevolizzata” quindi “punita” perchè mi sono concentrata troppo su di me “Il tuo dolore ti ha fatto dimenticare….”
A me sembra una violenza psicologica cerco di spiegarmi.
Io non ho smesso di prendermi cura degli altri ho modificato il modo di prendermene cura…ho detto che ero per quello che potevo disponibile…cosa che ho fatto quando mi è stato chiesto. Ho smesso di anticipare la richiesta di aiuto, questo si.
Io non avevo la forza di prendermi cura di me stessa e ho dato poco a me stessa per molto tempo. Inoltre la persona in questione iniziava una relazione con una persona impegnata proprio mentre io venivo tradita e lasciata per l’altra ammetto che non ero in grado nè di vedere la sua felicità in quel ruolo nè di accogliere il suo inevitabile dolore quando tra loro è finita. Lei era “l’altra”…ho avuto rispetto ma volevo distanza di quel ruolo da me. Inoltre una frase mi ha ferita: “…certe persone non capiscono perchè vengono tradite” io mi sono sentita ferita da quella frase anche se non era riferita a me nello specifico. Io ero una persona tradita e di certo in quel momento era la frase meno opportuna che mi si potesse dire.
Io non sempre ho ricevuto le attenzioni e l’aiuto che avrei desiderato nei miei momenti di difficoltà. Ho imparato che le persone possono darmi (o decidere di non darmi) quello che possono nella misura in cui sono in grado di farlo, per quello che sono e anche per lo stato emotivo in cui si trovano.
Io ci vedo della subdola violenza, non so come reagire, il modo in cui farmi capire/spiegare. Nessuno ha mai chiesto perchè mi fossi allontanata ma si è pronti a dirmi che ho sbagliato a farlo senza ascoltare le mie motivazioni. Questa persona dice che le ho mancato di rispetto ma anche io credo che lei abbia mancato nei miei riguardi.

Non riesco ad affermare questa nuova Sommer all’interno della famiglia alla luce del mio percorso personale, del mio cambiamento…

Scusatemi ma sento che questa cosa mi sta rallentando sono sicura che trovare un mio nuovo ruolo e farmi rispettare nella famiglia possa aiutarmi a sentirmi meno inquieta, è come se avessi perso identità.

Voglio bene a questa persona, ci vedo tanta tenerezza nella sua voglia di protezione da parte mia e nel fatto che gli sono come mancata ma non accetto questo modo ostile di fare nè di essere bersaglio della sua rabbia.
Scusatemi ancora e grazie mille per l’appoggio… Sommer 

Carissima Sommer,
hai tutta la mia comprensione e vicinanza per il dolore che il rapporto e l’incomprensione con questo famigliare ti sta procurando, accompagnato da questa sorta di “perdita d’identità”.

Non mi riesce difficile concepire la sensazione di perdita di contatto con se stessi, perchè le dinamiche famigliari fanno parte di noi, dello sviluppo della nostra personalità.
Quando c’è un cedimento, una perdita o una frizione consistente all’interno di un legame famigliare, il nostro stesso mondo interiore accusa il colpo.
I nostri legami famigliari più stretti sono l’origine della nostra personalità e sono lo specchio di noi stessi da così tanto tempo e in modo così viscerale, che recidere questo legame anche solo nel suo aspetto più negativo appare sempre molto complesso.

Eppure sappiamo che fa parte della crescita riuscire ad emanciparci dal nucleo familiare e ad un certo punto diventa nostra responsabilità.
Questo però non ci solleva dal dolore quando ci sentiamo in conflitto o veniamo delusi in qualche modo da uno di questi legami fondamentali per il nostro cuore.

Quindi ti comprendo.
La tua posizione mi sembra complicata perchè sono mischiati insieme questioni di affetti famigliari e un tuo personale cambiamento.
Il conflitto che si viene a creare dentro quando ci distanziamo in qualche modo dagli schemi che ci sono stati proposti, e che in qualche modo ci hanno nutrito, è immenso.
E’ già difficile venire completamente compresi ed accettati da conoscenti, amici e compagni quando si muta uno schema di comportamento o un atteggiamento; figuriamoci quando l’accettazione deve partire da chi ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Forse la sensazione di perdita di identità, almeno per un pezzettino, risulta speculare.

Si pensa che questo dovrebbe avvenire in maniera più naturale con un familiare, perchè più incondizionato è l’amore..ma sappiamo che non funziona proprio così.
Almeno non sempre e specie se manca un dialogo efficace, o se ci sono altre problematiche consistenti.

Se tu sei convinta di quello che sei diventata adesso, degli aspetti che hai maturato di te, continua sulla tua strada.
Continua a crederci, è quello che mi viene da dirti, indipendentemente dal senso di colpa o dal dispiacere che le dinamiche conseguenti ti provocano.
Sembra duro dirlo così, ma quando decidiamo di cambiare, una delle responsabilità che dobbiamo assumerci è quella di sapere che non tutti approveranno o capiranno. E spesso tra queste persone ci sono quelle più care, che comunque nonostante tutto continueranno ad amarci, a modo loro.
Tu mi dirai che basterebbe anche non comprenderti o non approvarti, senza però accusarti o prendere le distanze in maniera cosi eclatante.
Io la penso così e credo che vivrei il tuo stesso stato d’animo, ma evidentemente quella persona è in grado di esprimere il suo malessere o il suo disappunto solamente in questo modo.
E secondo me se tu, nonostante la sofferenza, continui a percorree la strada che hai intrapreso, perchè sei convinta che sia quella più giusta anche nei tuoi stessi confronti, potresti cambiare qualcosa.
A volte quando decidiamo di modificare o ridimensionare un nostro atteggiamento siamo noi per primi che non siamo subitamente in grado di approvarci completamente, perchè il senso di colpa ci aggredisce e chi si relaziona con noi lo alimenta.
Ma dobbiamo tentare con tutta la forza che abbiamo di perseverare, per fare quel passaggio che porta al vero consolidamento del nuovo modo di essere.

Per quanto riguarda la decisione di non esprimere il tuo disagio in questo momento al ragazzo con cui ti relazioni, tu hai valutato determinati aspetti ed hai agito di conseguenza. Stai agendo in base a ciò che tu sei e va benissimo così.
La mia non era un’opinione favorevole o sfavorevole, infatti non so bene dirti come reagirei io stessa, magari esattamente come te;
la mia intenzione era portare l’attenzione sul fatto che molto spesso agiamo in un determinato modo convinti di essere in qualche modo alle strette: ma chi ci mette veramente alle strette siamo noi.
Siamo noi che, inconsapevolmente o meno, dettiamo le regole, mettiamo paletti, prendiamo delle decisioni, e questo sia in senso positivo che negativo. Lo facciamo in base a convinzioni, valori, priorità, paure.
Mi aveva colpito il tuo “non posso”.
A volte, se spulciamo tra le motivazioni che prendiamo in considerazione per effettuare delle scelte, possiamo scoprire cose interessanti sul nostro modo di porci, di pensare, di agire.
Un abbraccio Sommer! Yana 

Stamane tra le lacrime mi sono detta: “non so ancora come ma andrò fino all’inferno a piedi e scalza ma non mi arrendo, troverò un modo per farmi capire”. Poi mi sono guardata allo specchio e sono scoppiata a ridere perchè in questo momento sono poco credibile con della babbucce con la testa da orso, un pile con le bretelle, spettinata, occhi molto tristi e soprattutto sono impaurita come una bambina
Ma dove vuoi andare Sommer…a quale battaglia ti stai preparando se quello di cui hai bisogno è solo che qualcuno ti abbracci forte dicendo che è tutto tranquillo, che tornerà il sereno.

Quello che mi è di conforto è sapere che quello che sento sia compreso e rientri nella “normalità” del momento. Sapere che quella che sento come una regressione in fondo è solo un momento, un passaggio.

Ma devo arrendermi al fatto che spesso non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Io ci ho già provato: ho scritto, ho telefonato, ho urlato e pianto in turco, aramaico e ostrogoto. Al momento non sono riuscita a farmi capire o forse non sono stata ascoltata. Non so cosa mi inventerò ma di una cosa sono sicura non farò nessun passo indietro nel senso che troverò parole, gesti e momento per spiegare e farmi ascoltare ma sento di avere il diritto ad avere me stessa come priorità e soprattutto ad avere rispetto del mio dolore e momenti. E se sarà necessario dovrò alzare bandiera bianca e battere in ritirata perchè io le battaglie contro i mulini a vento non ne voglio fare più.
Ci sono degli atteggiamenti che percepisco come una violenza psicologica perchè fanno leva sul senso di colpa. Ho fatto presente alla persona in questione che non portano da nessuna parte se non a creare situazioni ostili e ho fatto anche presente di quanto siano destabilizzanti per me a livello emotivo. Tristemente noto che non ne viene tenuto conto, ancora una volta avere comunicato a qualcuno una mia fragilità e proposto un diverso modo di comunicare viene usato per colpirmi.

Il fatto che si tratti della propria famiglia d’origine quale confine? Nel senso bussare ad una porta che continua/si ostina a rimanere chiusa è da dipendenti e questo vale nell’amore uomo/donna ma anche nell’amore in generale, nelle amicizie. Spero di farmi comprendere, non riesco a dirlo diversamente.

Yana ho capito quello che volevi dirmi sottolineando il mio “non posso” la tua è stata un’ottima osservazione. Ho riflettuto anche io se in fondo non fosse un modo più o meno consapevole di attuare vecchie dinamiche. Perchè ho fatto un elenco del perchè non potevo tenendo conto di lui ma non ho detto nulla del vantaggio che il parlarle poteva portare a me. Lui deve vivere serenamente ma anche la mia serenità è da tenere in considerazione. Sono riuscita a dare delle spiegazioni a me stessa per cui la mia risposta continua ad essere “No, non posso” ma forse sarebbe giusto dire “No, non voglio”. Le notizie che ho di lui continuano a farmi sentire nel giusto. Lui non ha bisogno delle mie paure ed io devo/voglio imparare a gestire le mie paure da sola…in questo momento è solo una mia paura e come tale devo affrontarla e superarla. Al momento penso/sento questo.

C’è un tempo per ogni cosa ed io devo stare attenta alla mia predilezione per i frutti acerbi. Devo imparare ad aspettare la stagione del raccolto. Questo rapporto al momento ha bisogno di tempo.

Qualcuno ha vissuto la mia stessa fase e vuole condividere la sua esperienza? Io sono cambiata ma la mia famiglia no ed io non mi riconosco nella loro comunicazione sono disposta a mediare ma non a lasciarmi soffocare/annullare. Non voglio arrendermi…nel bene e nel male quella è la mia origine.
Sono timidamente orgogliosa di questa Sommer, sono contenta di quella bambina impaurita che ha imparato ad essere coraggiosa. Voglio che continui a crescere così…
Al momento non riesco a dire di più ma mi piacerebbe che il confronto continuasse, se possibile.
Grazie Sommer 

Ciao Sommer,
avete toccato molti punti sensibili della mia esperienza.
Spero di riuscire a spiegare con chiarezza cosa sento, anche se mi rendo conto che è difficoltoso perchè sono punti su cui lavorare ancora molto, anche per me.

Anche nella mia famiglia c’è qualcuno che vive una relazione con una persona sposata, relazione tutt’ora in essere e dalla quale io cerco più che posso di distaccarmi.
Preferisco non parlarne, non solo perchè è un argomento che inevitabilmente va a toccare punti molto dolenti per me, ma anche perchè valuto (nel senso di comprendo il suo modo di rapportarsi) questo famigliare anche attraverso questa storia.

L’esperienza che ho vissuto mi ha permesso di capire molto di più delle dinamiche relazionali e la voglia di affrontarle in un discorso aperto a volte è davvero tanta.
Eppure non posso perchè mi trovo un muro contro, fatto di convinzioni e credo anche di necessità di difendersi, che mi rende difficilissimo qualunque tipo di confronto.

A me è stato detto che, in fondo, il ruolo di amante era funzionale alla rivitalizzazione di quel matrimonio.
In quel momento ho visto passare davanti ai miei occhi tutto il dolore, lacerante e profondo, che questa esperienza “rivitalizzante” ha avuto su di me e ho capito quanta distanza ci fosse tra me e questo mio famigliare.
Una distanza enorme, che si respira ogni volta che si ritorna su quest’argomento.
Ci si torna anche se io sono riluttante e non interagisco e credo sia evidente a chiunque quanto mi pesi parlare di questo o gioire di quegli incontri.
Rispetto la sua scelta, è la sua vita ma non posso condividerla.
Eppure il mio “dovere” è ascoltare e capire, perchè se non lo faccio io, chi dovrebbe farlo?

Sono cresciuta in una famiglia con un forte senso del dovere, in cui mi si è continuato a ripetere che bisogna fare questo, bisogna dire quello , a prescindere da cosa io penso e sento perchè le regole non sono in discussione.
E non lo sono nella misura in cui violarla significa amare di meno.

Anche di fronte al tradimento, che io non ho mai confermato ma so, da alcune frasi buttate qua e là, essere stato intuito, mi sono state riproposte le regole d’oro al riguardo.
In modo molto sottile e forse per questo ancora più invasivo e doloroso.
La pressione che ho subito in quel periodo (come se non ne avessi già abbastanza) ha finito coll’esplodere e travolgere i confini di quello che fino ad allora era stato il senso del dovere per me.
Non so come spiegare, all’improvviso azzeri tutto e tu diventi il centro dell’universo perchè è il solo modo che hai di salvarti.

Cominci a chiederti quale senso abbia il dovere, fino a che punto ci si deve spingere prima di perdersi in favore di qualcun altro.
E con fatica cominci a costruire le tue regole, i tuoi confini.
Le persone intorno a te sono abituate a misurare il tuo amore in base alla tua disponibilità, alla tua presenza e sono confuse.
Credo che il punto cruciale sia riuscire a far capire che amare di più se stessi non vuol dire amare meno gli altri, anzi, vuol dire amarli di più e in un modo diverso.

Ho provato in molti modi a spiegare quello che sento e questo mi è costato anche scontri violenti e ferite profonde.
Non posso dire di sentirmi compresa, non intimamente:leggo una sorta di rassegnazione alla nuova me, come se fossi ormai “perduta”.
E al contempo provo una sorta di tenerezza verso queste persone che sono legate indissolubilmente a me, come se all’improvviso fossi io la persona adulta che deve confortare i più piccoli dell’amore che prova nei loro confronti.

Non so nemmeno io come comunicare con loro: forse non sono ancora abbastanza forte per poterlo fare senza che mi feriscano.
Quindi sto cercando di evitare il confronto, di lascer cadere le provocazioni per non aumentare le fratture.
Spero, col tempo, di riuscire a diventare abbastanza sicura di me da riuscire farmi capire.
Cerco, nel frattempo, di ricordare che lo smarrimento che vedo nasce dall’amore, anche se dimostrato in un modo non proprio funzionale.

Avrei altre cose da aggiungere ma mi sono dilungata più di quanto credessi su questo punto e mi sento anche un po’ provata: per la prima volta, dopo tanti mesi, mi ritrovo con gli occhi lucidi davanti allo schermo.
Un forte abbraccio Zebretta

 

Zebretta,
riconosco quel muro fatto di convinzioni e di necessità di difendersi che rende impossibile qualsiasi tipo di confronto di cui parli. Credo di non essere ancora pronta perchè il solo pensiero di affrontare un confronto dopo tutti i fallimenti che ho collezionato mi sfinisce. Non ho nessun elemento nuovo, rispetto ai mesi precedenti, che possa farmi sperare in un risultato diverso.

Concordo con Yana quando mi suggerisce che posso cambiare qualcosa anche solo continuando a percorrere la mia strada.
Perchè se sono serena inevitabilmente trasmetterò questo e potrò relazionarmi diversamente in modo naturale anzichè forzato.

“all’improvviso azzeri tutto e tu diventi il centro dell’universo perchè è il solo modo che hai di salvarti” (zebretta)
Non riuscivo a sentire le frasi d’occasione: “…non ci pensi che lui sta bene senza di te? Rassegnati al fatto che lui non ti vuole più e sta con un’altra…”
Non discuto sul fatto che fosse la realtà dei fatti. Non capisco perchè continuare a ripetermelo…cosa pensavano che me lo ero dimenticato?
Non sopportavo il fatto che non si capisse che il mio malessere era profondissimo e che avevo paura. Tutti avevano anche in quell’occasione delle aspettative di reazione e sono rimasti delusi anche nel modo in cui ho elaborato quel dolore.
Avevo nel cuore e nelle orecchie un rumore di fondo lasciato dal mio ex e quello che mi veniva gentilmente offerto come aiuto l’ho rifiutato perchè non era un aiuto ma fonte di altro disagio/dolore. Ma non ne ho fatto una colpa a nessuno…ho semplicemente preso consapevolezza che non mi potevano essere d’aiuto. Ho dato delle motivazioni non sono sparita e nella mia solitudine ho iniziato a curarmi, a rigenerarmi…
Ho un elenco di situazioni in cui ho dato il mio ascolto, il mio aiuto…dato dietro richiesta. Come ho già detto ho smesso di avere la presunzione e di impegnarmi per capire di cosa gli altri avessero bisogno.

Stasera mi sento demoralizzata, ho pianto molto. Vorrei essere in grado di rispondere diversamente…non ci riesco. Mi dispiace un po’
La cosa che mi butta a terra è questo incrocio, questa contaminazione famiglia/amore. Vorrei tenere separate le cose invece basta poco e tutto viene alterato/mescolato portandosi via e/o alterando quello che di bello questo ragazzo riesce a darmi seppur nella distanza.
Mi sento senza identità negli affetti…invece vorrei essere qualcuno adesso.

A volte vorrei mettere le mani oltre lo schermo del pc per fargli una carezza…mi concentro perchè la sua voce mi rimanga il più possibile nelle orecchie e dopo i saluti inizio a strizzarmi l’anima con i pensieri e le paure che iniziano a sbucarmi fuori da ogni dove, quando meno me lo aspetto.
Ero serena fino a poco tempo fa. L’evento legato alla mia famiglia ha intaccato qualcosa e la lettura di quella frase ha fatto precipitare tutto. E se fosse un segno negativo premonitore?
Scusatemi vi ringrazio tantissimo. Sommer 

Spendo un enorme quantità di energie per ” tenere a bada” i sentimenti negativi che certi schemi comportamentali della mia famiglia e il loro modo errato di relazionarsi tra di loro (e ahimè a me) mi suscitano.

E’ cosa comune, quando un membro della famiglia cambia e abbandona il comportamenti disfunzionali ( che però sono molto funzionali all’equilibrio malato della famiglia) che gli altri si trovino un pò spiazzati dal suo comportamento
perchè a loro volta devono cambiare qualcosa, mettersi in discussione e forse non erano pronti a farlo

Con gli anni si sono abituati, sopratutto mia mamma a non considerarmi più la parte ” malata”,
io cerco il + possibile di essere diplomatica ma nello stesso tempo di non lasciarmi coinvolgere dai loro problemi…

Ci si riesce? Difficile
L’ideale nei casi come il mio sarebbe quello della terapia famigliare ( quando ho smesso di avere problemi abitavo sempre con loro).

Ah…il mio ruolo era quello dell’elemento di disturbo, la parte malata della famiglia, la pecora nera.
Quella che con il suo comportamento sbagliato accentrava tutti i problemi su di se
Il mito familiare era che tutti i problemi erano creati dal mio modo di comportarmi ribelle e trasgressivo,
e questo evitava quindi agli altri (genitori) di guardarsi dentro e scoprire i propri di problemi: di coppia, di insicurezze, di depressioni
Es: mio padre e mia madre litigavano? C’ero sempre di mezzo io
Mio fratello piccolo andava male a scuola? Certo con quella situazione in casa ( così non veniva rimproverato e dopo 3 dico 3 bocciature al liceo si è fermato senza prendere il diploma)
Mia sorella era un pò depressa? La si capiva e si cercava di accontentarla anche nell’impossibile per riparare i danni subiti dalla situazione familiare negativa (ovviamente creata dalle mie ” colpe”)

Ogni tanto ci riprovano, a coinvolgermi nelle loro dinamiche…..ma io gentilmente sorrido (con grande sforzo) e invento una scusa urgente per andarmene….
Animachebrilla

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

I FIGLI NON SONO PROPRIETA’ DEI GENITORI

Da “i figli non sono proprietà dei genitori…” (forum “dipendenze affettive”)

Autore: Dana

Argomento: dipendenza dai genitori, legame genitori-figli, dipendenza dai figli

Nonostante il forum si intitoli “mal d’amore”, oggi parliamo di genitori, vi va?
E di figli…e di quando i figli percepiscono il messaggio che i genitori si sentono padroni, anzi, proprietari delle loro vite.
Parliamo di quando ogni tentativo di mantenere uno spazio di vita proprio viene vissuto come una mancanza di rispetto da mamma e papà che, quindi, non mancano di farti pesare quanto tu DEBBA loro. E allora eccola lì, eccola che parte la filippica su quanti sacrifici loro hanno fatto per te, su quanto tu sia un’ingrata perché OSI non condividere al 100% ciò che tu, invece, ritieni appartenere alla tua sfera personale, su come loro ti abbiano CONCESSO di andare all’università, di cercare la tua strada, e su quanto in cambio si aspettano da te che tu aderisca alle loro aspettative…su TUTTI i fronti.

Voglio molto bene ai miei genitori e loro a noi figli, su questo non nutro dubbi.
Ma la loro visione del “fare il nostro bene” spesso coincide con il “fare quello che loro reputano sia il bene per noi, al di là dei nostri desideri”…benché siamo maggiorenni e vaccinati.
Loro, in particolare mia madre, hanno scelto per me il liceo classico (mentre io avrei voluto fare l’artistico), mi hanno spedita all’università ma impedendomi di tentare la strada dell’accademia d’arte, hanno scelto per me la città dove vivono i parenti perché potessero tenermi meglio sotto controllo….

Ormai vivo per conto mio da 10 anni: avrei dovuto semplicemente mandarli a quel paese da subito, dire loro che potevano tenersi i loro soldi e anche il loro affetto, se era legato all’aiuto materiale che mi davano, e prendere la mia strada; avrei dovuto svincolarmi dalle loro scelte forzate, rimboccarmi le maniche e costruirmi un’esistenza mia, di cui loro avrebbero potuto far parte nella misura in cui avessero rispettato la mia individualità, il mio volerci essere indipendentemente da chi mi aveva messo al mondo. Non ce l’ho fatta. Ho avuto paura di deluderli. Ho avuto paura di appropriarmi della mia vita per non sentirmi dire che non ero la figlia che loro avrebbero voluto. Ho accettato di buon grado le loro scelte, cercando di trovare il compromesso che me le facesse considerare meno insopportabili. Avevo 18 anni e mi sono incamminata su questo sentiero che non sentivo completamente mio, ma che mi ha comunque appassionato, divertito, regalato emozioni, appagato. Questo, a onor del vero, devo riconoscerlo.

Ma per me è sempre stata una lotta per l’indipendenza. Per ottenere il più piccolo riconoscimento di me come individuo pensante ho sempre dovuto combattere lunghe ed estenuanti battaglie. Per fortuna mi hanno dotata, nel DNA, di un discreto caratterino…quindi in qualche modo le mie vittorie le ho avute, anche se fra una serie di sconfitte e con il risultato che oggi, alla soglia dei 29 anni, sono ESAUSTA.

Veniamo a quello che mi spinge oggi a scrivere.
Come qualcuno di voi saprà, a ottobre il fidanzato storico che mi portavo dietro dall’adolescenza mi molla. Ovviamente, dati gli 11 anni di storia, lui era parte della famiglia e come tale ha vissuto molte delle dinamiche che ci riguardano (così come io della sua…). Alla resa dei conti, parte di queste dinamiche hanno in modo più o meno diretto influito sulla sua decisione di prendere un’altra strada. Ma non è questo il punto. Il punto è che, riflettendo su quanto lui mi aveva detto, ho dovuto riconoscere che in nome di quel legame, anche economico, che mi tiene sotto scacco dei miei genitori, io avevo rinunciato troppo spesso ai MIEI desideri, alle MIE aspirazioni, a quello che IO realmente volevo. Dopo aver preso coscienza di ciò, ho attraversato un periodo di “rifiuto” nei confronti dei miei che, peraltro, nel pieno della mia crisi emotivo-sentimentale non trovavano di meglio che pungolarmi affinché riprendessi il mio lavoro di tesi…lasciando passare sottilmente il messaggio che loro erano tutto sommato contenti della rottura del mio fidanzamento perché lo consideravano, da sempre, fonte di distrazione. Superato il “periodo nero” mi sono riavvicinata, ma con un nuovo atteggiamento. Ora sono più “strafottente”, passatemi il termine. Ora sono decisa a muovermi solo nella direzione che IO reputo giusta per me, rifiutando di fare tutte quelle cose che ho sempre odiato fare ma a cui non riuscivo a sottrarmi. Loro questo non sono disposti ad accettarlo. Come si ribellano a ciò? Standomi ancora di più col fiato sul collo. I discorsi sulla laurea, sul fatto che io gli DEVO un risultato soddisfacente, che non posso permettermi il lusso di tagliarli fuori dalle mie cose (per esempio, non ho voluto condividere con loro dettagli sulla mia attuale situazione sentimentale) perché io vivo la mia vita e faccio quello che faccio grazie a LORO e ai loro sacrifici.

La mia reazione? Sono in piena fase di RIGETTO verso tutto quello che finora ha fatto parte della mia vita con la loro approvazione: studio prima di tutto. E’ stupido e irrazionale, lo so. Vivo un sentimento di rabbia che mi fa desiderare di punirli proprio su quello a cui tengono di più, con conseguente senso di colpa devastante sia nei loro confronti (è terribile provare sentimenti di vendetta verso i propri genitori); ma soprattutto nei miei, che sto mandando all’aria un progetto che ho portato avanti con sacrificio. Mi sento sfiduciata e incapace. Dovrei riuscire a razionalizzare questa situazione e a concentrarmi su quello che è OGGETTIVAMENTE il mio bene….che sicuramente non è questa situazione di impasse in cui mi trovo….

Genitori e figli del forum, mi dite che ne pensate? Mi date un nuovo punto di vista?

Un abbraccio a tutti

“E una donna che reggeva un bambino al seno disse: Parlaci dei Figli.
E lui disse: I vostri figli non sono figli vostri. Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sé stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché vivano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farvi simili a voi: la vita procede e non s’attarda sul passato.
Voi site gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti. L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’Arciere; poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco.” (K. Gibran)
Dana

Carissima Dana, ecco qua la vecchia zia zoe pronta a darti tutto il suo appoggio in questo, come in molti altri casi, ribellarsi è giusto. io sono una madre, ho due figli, la piccolina una principessa di 7 anni e il mio bimbone grande e grosso che ne ha quasi 15. non mi sogno di essere una madre perfetta e neanche mio marito lo è. siamo due normalissimi genitori. mi sono confrontata con la tua esperienza e ti posso dire che il problema è di fondo e risiede nella motivazione di partenza. mi spiego: io, come tutti i genitori, ho delle aspettative nei confronti dei miei figli, voglio che siano felici, che realizzino le cose che desiderano etc.. come tutti, ma non li vivo come un prolungamento di me stessa. la riprova è che ho sempre avuto la sensazione che superassero tutte le mie aspettative. mi sono sempre sembrati più belli di ogni mia più ottimistica previsione, più intelligenti, irresistibili. va da se che tutto quello che loro desiderano per me va benissimo. ma non credere che non commetta gli errori di tutti, discuto sul colore della gonna che vuole mettersi la piccola (ma poi si mette quello che vuole), mi incavolo perchè il grande gioca troppo con gli “schermi” (la piaga della sua generazione) etc..
però sono contenta che abbiano delle forti aspirazioni e mi piace molto, mi entusiasma aiutarli a realizzarle. a volte cerco di influenzarli, discuto con loro, ma poi una volta che prendono una decisione la rispetto… questo per dirti che sono assolutamente d’accordo con te, stacca il cordone ombelicale, fai solo il bene tuo e della tua futura famiglia. molte crisi coniugali nascono proprio perchè ci si sente e ci si vive, intimamente, ancora come figli e non come persone autonome in grado di bastare e badare a se stesse in piena autonomia di giudizio. Solo così si è pronti a affrontare i doveri e gli errori del ruolo di genitori e anche a prendersi, in ogni caso, le relative responsabilità sulle nostre spalle. e su questo si potrebbe fare un altro forum sicuri di avere strepitoso successo!
Cara, come dice la protagonista di un film che i miei bimbi amano molto ( Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi) che non a caso tratta di tre bambini sfortunati e coraggiosi: c’è sempre una soluzione, c’è sempre un’altra soluzione. Hai 29 anni non ti devi sentire in ritardo… e per cosa poi? la laurea è l’unica soluzione? a volte cambiare strada fa bene, rinnova le energie e ci fa trovare nuove motivazioni e sviluppi inaspettati. segui le tue inclinazioni senza paura e se “ti tagliano i fondi” non trovare scuse! sei perfettamente in grado di provvedere a te stessa rendendoti autonoma (se non lo sei già). se ora non senti le energie per finire questo percorso per cui hai, al momento, smarrito la motivazione, fermati a riflettere e a godere di altri aspetti della vita. non è tempo perso!!!! io ho avuto la fortuna di avere dei genitori che hanno avuto piena fiducia in me e di questo non li ringrazierò mai abbastanza, mi hanno fornito di un patrimonio su cui ho fondato la mia vita. è questo quello che si deve ai figli solo un patrimonio affettivo che gli aiuti a sviluppare la loro vita in piena autonomia, il resto è qualcosa in più, mi riferisco alla sicurezza economica etc.. se c’è bene se no va bene lo stesso. pensa a quello che vuoi tu, sentendoti libera di raggiungerlo, ormai sei una donna adulta e autonoma, la rabbia si disinnescherà e troverai le forme per entrare in contatto con i tuoi e se loro non vorranno, tu avrai fatto tutto quello che è in tuo potere, poi capiranno, un abbraccio Zoe29

Ciao Dana,
ho letto tutto d’un fiato questo tuo bel thread, intenso ed emozionante, vivo e genuino come al solito.

Quello che scrivi mi tocca sul vivo e, lo sai, ti sembrerà strano (o ripetitivo) ma si riconduce molto al mio rapporto con l’intimità di cui abbiamo duscusso.
E’ un argomento, questo che hai proposto, che sto affrontando in modo piuttosto viscerale in terapia perchè è una delle cause scatenanti di alcuni aspetti della mia vita che ancora oggi mi porto addosso.

Quando parli dell’impasse in cui ti sei arenata non immagini quanto io ti comprenda e quanto io condivida con te questa esperienza, con tutta la frustrazione e l’insofferenza che ne deriva.

Come mi hai scritto nel mio thread, mi sento di ripeterti ciò che tu stessa hai sottolineato, ovvero che tra la mia e la tua esperienza familiare e di vita ci sono senz’altro delle differenze. Eppure ci sono alcune cose che hai scritto che sento mie. Che fanno parte anche del mio bagaglio emozionale ed affettivo, pur avendo conosciuto forse alcune cause comuni, ma che si sono espresse con differenti modalità.

Mi spiego meglio.
Nella mia famiglia nessuno mi ha mai imposto esplicitamente nessuna strada da seguire. Anzi. Tutto apparentemente sempre molto “liberale”, senza particolari espliciti divieti o percorsi prestabiliti o preferenziali.
Ho sempre vissuto nell’illusione di poter godere di molta autonomia e libertà grazie a questo “atteggiamento”.
Poi hanno cominciato ad emergere alcune cose, alcune sensazioni ed alcune verità sul mio modo di condurre la mia vita e i miei progetti, non ultimi quelli sentimentali, ma non solo.
Ad un certo punto c’è stata una vera e propria esplosione di rabbia nei confronti di me stessa e della mia famiglia, di rancore e, parallelamente, di senso di colpa, che ad oggi ancora è molto presente.

Anni fa, entrando in terapia, tutta questa libertà è stata messa in discussione, fino a farmi rendere conto che ci sono stati dei comandamenti più subdoli, e quindi meno visibili e “palpabili”, che mi hanno condotta alla stessa frustrazione ed alle stesse scelte obbligate di cui parli.

Certo, a me nessuno ha vietato un corso di laurea, nessuno mi fa pressioni per la tesi, ma il messaggio è stato forse meno materiale, ma potente allo stesso modo. Quello che ci sta sotto, che si esplica sotto varie forme, è comunque un messaggio morale, normativo, ed è stato anche nel mio caso piuttosto perentorio, anche se mai forse effettivamente pronunciato.

E’ il discorso dovere/volere di cui spesso si è parlato ultimamente, che anche molte famiglie libertarie in realtà custodiscono bene e che sanno utilizzare per una perfetta manipolazione morale/emozionale, anche se non lo vogliono ed anche se non se ne rendono conto.
E che poi t’incastra, ti lega, non ti rende sufficientemente autonoma, non ti da per alcune scelte il giusto spazio di crescita, anche se tu credi di averlo, e poi te lo devi raccimolare col tuo sudore in qualche modo, e con tanta sofferenza, se vuoi uscirne fuori.

Come mi hai detto tu, non so se questo discorso ti sarà utile, perchè l’atteggiamento delle nostre famiglie, quello di cui tu parli qui, è, per certi versi, differente.
Ma secondo me il messaggio che trasmette è sotto certi aspetti lo stesso e molto spesso è anche la stessa paura quella che lo sottende.

La paura di lasciare andare davvero i figli, perchè sapere e controllare , spesso filtrando il rapporto “anche” con i soldi, pur con tutto l’amore del mondo (che nemmeno io nego), implica un “tenere legato a sè”.

Da figlia ti posso fare questo discorso, che io stessa ho vissuto e che rivivo osservando molti bambini e i loro genitori di cui mi occupo nel mio lavoro.

D’altraparte sono consapevole che essere genitori non è per nulla facile, forse lo è stato ancora meno in certi momenti storici, e che non tutti hanno o hanno avuto la possibilità/il coraggio/le risorse per ricucire le proprie ferite e ricondurle poi ad una genitorialità sufficientemente funzionale (mi scuso per la parola), o quantomeno il meno possibile dannosa per i propri figli.

Comprendo a pieno il tuo sentimento di rabbia che forse devi solo meglio elaborare, o comprendere. Io sto lottando per certi versi contro questa stessa cosa, che si è diramata anche nella sfera dell’intimità.
Ci sono delle sfere, anche meno intime, che diventano parte della nostra intimità, perchè esprimono il nostro potere di scelta libera.
Se questa viene violata in maniera forte, sotto qualsivoglia forma, poi invade il nostro essere in grado di operare delle scelte fluide.
Perchè dentro di noi c’è sempre una voce che accompagna e che ripete a volume alto cosa è bene e cosa no.
E, magari, quella voce è in contrasto con ciò che per noi veramente è bene o male, con ciò che per noi è “giusto”.

Ti abbraccio Yana

Cara Zoe, cara Yana,
intanto grazie per le possibilità di confronto che siete sempre pronte a fornirmi …
Ho letto attentamente e più volte quello che avete scritto e mi sono presa qualche giorno per pensarci su.

Zoe, c’è una cosa in particolare di quello che hai detto che mi ha toccato.

Tu scrivi:” io, come tutti i genitori, ho delle aspettative nei confronti dei miei figli, voglio che siano felici, che realizzino le cose che desiderano etc.. come tutti, ma non li vivo come un prolungamento di me stessa. la riprova è che ho sempre avuto la sensazione che superassero tutte le mie aspettative. mi sono sempre sembrati più belli di ogni mia più ottimistica previsione, più intelligenti, irresistibili. ”

Ebbene, forse qui sta almeno una parte del problema. Spesso ho la sensazione di non essere in grado di soddisfare le aspettative dei miei genitori; la sensazione di non fare mai abbastanza, che non ci sia niente che io possa fare che li renderebbe “fieri di me”; la sensazione che qualunque cosa faccia con la loro approvazione sia un quarto del mio dovere e che qualunque cosa faccia per la mia soddisfazione sia invece motivo di delusione per loro.

Solo per farti un esempio banale: ho finito gli esami universitari e non ho ricevuto una sola parola di congratulazioni, ogni volta che ho preso un 30 o un 30 e lode mi sono sentita dire “bene, brava…ora il prossimo quando ce l’hai?”…da un paio di mesi ho ripreso a dipingere, cosa che amo moltissimo e che non facevo da 10 anni; lo dico a mia madre e ricevo in cambio una risatina e la raccomandazione a non “perdere tempo”.
Le gratificazioni mi sono sempre giunte dall’esterno (il capo, i colleghi, gli amici, il fidanzato, mio fratello) e da me stessa, che per fortuna e non so come, viste le premesse, conosco il mio valore, e ne vado fiera, e i miei limiti, che cerco di superare ma da cui non mi faccio frustrare oltre misura.

A volte penso che l’unica soluzione sarebbe arrivare a un punto di rottura. Ho provato anche a parlare con loro dicendo quali messaggi arrivano da certi atteggiamenti, anche quando (come dici bene tu, Yana) non ci sono parole esplicite che esprimano obblighi o divieti. Ma il risultato è stato sentirmi dare della paranoica e dire che loro “non meritano di essere trattati così perché vivono in funzione delle necessità mie e di mio fratello”. A questo punto che fare? La via del dialogo sembra impraticabile. Lo scontro conduce solo all’inasprimento delle posizioni. Piegarmi ancora in questo momento è per me insopportabile.

Il punto è che il mio obiettivo, a questo punto, non sarebbe neanche tanto diverso dal loro. Ho sputato sangue per arrivare al punto in cui sono, lavorando, mandando avanti una casa per conto mio, studiando, ambientandomi in una città che ho dovuto imparare ad apprezzare, inserendomi in un contesto molto diverso da quello in cui sono cresciuta…perché dovrei voler gettare la spugna a un passo dalla fine? Eppure tanta insistenza e tanto controllo da parte loro mi conducono nella direzione opposta. Proprio per quel sentimento terribile che vi dicevo: punirli togliendo loro il premio più ambito, la moneta di scambio più preziosa. Io non rinuncerei all’obiettivo perché non m’interessa raggiungerlo, ma perché la pressione a raggiungerlo ora e bene me lo fa rifiutare.

E’ una lotta interiore, la mia, tra la ragione che mi dice “fai un ultimo sforzo, trotta fino al traguardo e poi prenditi la tua vita e fa quello che ti rende felice” e il sentimento di rabbia seguito da senso di colpa di cui sopra, che non riesco a mettere a tacere benché senta che è controproducente anche e soprattutto per me stessa.
Sono vittima del mio “sentire” che mi ha gettata in una situazione di stallo da cui vorrei uscire e anche in fretta, perché purtroppo la sessione di laurea si avvicina inesorabilmente… Dana

Cara Dana, so che è una banalità ma penso che tu debba guardare in te stessa e decidere in piena autonomia. Io guarderei bene la rabbia, perchè sei così arrabbiata? cosa ti comunica questa rabbia? Sono una fan di Alba Marcoli, che senz’altro conosci, secondo me ti darebbe una mano leggere “il bambino arrabbiato”. La Marcoli lavora sulle fiabe con gruppi di genitori per curare la loro relazione con i figli. parte dal concetto del passaggio di un “fardello” che passa da una generazione all’altra e che per ogni famiglia è diverso, pur riconducendolo a “temi” comuni. Io fossi in te non mi farei vincolare dai 6 mesi o da un anno, non ti mettere in queste trappole. mi sembra che tu sia arrivata a un “esame” ben più importante: staccare il cordone ombelicale e far capire ai tuoi genitori che la tua vita è tua da ora in poi, senza se e senza ma. è una cosa che fai per te stessa ora ma, credimi sulla parola, la fai anche per la tua famiglia futura e specialmente per i tuoi futuri figli. Scarica questo fardello dalle tue spalle e non lo imporrai a quelle dei tuoi figli. Quello che è più giusto non è laurearsi o no, ma quello che decidi tu. potresti anche solo affrontare un colloquio chiarificatore con i tuoi in cui “metti dei paletti”, evitare un litigio, a volte, è molto peggio che affrontarlo. Leggendo il tuo intervento e anche quello di Yana devo dire che qualsiasi genitore ha “un modello” in testa e, secondo me, è bene che ce l’abbia, nello stesso tempo è altrettanto importante accompagnare verso l’autonomia il figlio, dargli il coraggio di affrontare la propria vita da subito standogli al fianco. è ovvio che l’opposizione del figlio ai genitori è fisiologica ma nel genitore deve prevalere la solidarietà col figlio che affronta la lotta decisiva per entrare nell’età adulta, che consiste nell’affrontare “il mondo esterno” comunque lo faccia (studio, lavoro, famiglia etc..) ed è già abbastanza dura! mi pare inutile aggiungere ulteriori ostacoli. però da figlia devo dire che bisogna anche “tirare un pò fuori le palle”, bisogna affermare la propria volontà e far capire al genitore che abbiamo un progetto di vita che è il nostro e che difendiamo. questo è un “combattimento” al quale ogni figlio è chiamato e che nessuno può combattere al posto nostro… fai il tuo dovere di figlia che conquista il suo mondo, loro, magari dopo qualche salutare litigata, capiranno, perchè sono stati figli anche loro, un abbraccio a presto Zoe29

Non posso non rispondere al thread perchè è un argomento che sto affrontando anche io, con me stesso, con il mio terapeuta.
Il rapporto con i genitori è sempre stato anche per me traumatico,e purtroppo questo si è ripercosso in maniera devastante sul mio percorso personale,anche per me come per Yana non ci sono mai stati vincoli precisi o imposti per seguire determinate strade, ho goduto anch’io di molta libertà.
Eppure è sempre stata una libertà fasulla, perchè nel vero rapporto familiare, nel dialogo, nell’affetto non materiale è mancato praticamente tutto.
Io nell’assoluta libertà concessami ci leggo un altrettanta assoluta incomunicabilità dei miei genitori verso di me, scandagliando i ricordi con l’aiuto del mio psicoterapeuta ho colto chiaramente che proprio in infanzia, quando le mie richieste erano altissime verso di loro,quando ho iniziato a muovere delle richieste di dialogo intimo sono stato allontanato perchè loro stessi non sono mai stati in grado di raggiungere la profonda e reale intimità, perchè ha sempre spaventato anche loro.
Non ci sono colpe,non me la sento di puntar contro di loro il dito ma ciò non toglie che mi abbiano deluso, e ammetterlo è stato difficilissimo..

Crescendo con la convinzione di non poter avanzare richieste mi sono plasmato per quello che loro richiedevano da me, perchè mi era stato inculcato che per ottenere qualcosa da loro non dovevo avanzare richieste, non dovevo fare i capricci e sopratutto non potevo esprimere desideri diversi dai loro.
Pena l’essere messo da parte.

Non ricordo sinceri complimenti di mio padre per qualcosa di buono che ho fatto, soprattutto a scuola, ho sempre pensato che essere bravo e diligente fosse una cosa dovuta, mentre l’errore fosse qualcosa che non potesse essere ammissibile.

Ora sono a un punto cruciale del mio rapporto con loro, sto per intraprendere un nuovo percorso scolastico (ma di vita sopratutto..) e questo mi confonde, da un lato c’è il desiderio di prendermi i miei spazi, dall’altro il timore di prendermeli perchè questo mi slegherebbe del tutto da loro e perderei per sempre le malsane stampelle cui mi sono sempre appoggiato offrendo loro in cambio l’immagine della persona che volevano che io fossi.
Ma il mio sè non è quello purtroppo, e a un certo punto diventa impossibile continuare a mantenere in vita l’immagine dell’aspettativa degli altri perchè prima o poi qualcosa in noi si smuove, è dura costruirsi dopo anni passati ad accontentare gli altri, ed è proprio difficile attuarlo praticamente perchè sono dei meccanismi talmente oleati che vengono spontanei e spesso sono incontrollabili.

E’ un percorso di sofferenza svincolarsi dai genitori, tra tante cadute e arresti con spesso la volontà di tornare indietro, ma è l’unica strada per perseguire la propria felicità.

Ethan Hunt

Quoto l’ultimo post di Zoe in questo thread.
Mi sento sulla stessa linea: ogni genitore ha un modello in testa, e aggiungo dei limiti e dei lati oscuri non risolti, oltre che poi tutti i punti forza ed i lati positivi (tra cui il tantissimo amore verso i figli).

Il guaio grosso è quando il genitore, per una varietà ampia di situazioni, vissuti esperiti e altre concause, non riesce a lasciare la figlio un sano spazio di crescita.
L’autonomia è qualcosa che si apprende durante lo sviluppo, fa parte dei diritti e delle esigenze primarie dei bambini e se è deficitaria poi arriva un punto in cui si è costretti a “tirare fuori le palle” (per citare Zoe) se non si vuole soccombere alla continua dipendenza da qualcosa o da qualcuno (anche solo dal pensiero o dal modello originario del genitore, che ci condiziona in modo “castrante”, anche se non lo condividiamo razionalmente).

Non è semplice farlo, ma, ognuno con le sue risorse e le scelte più giuste per sè, può farcela, ed arriva un momento in cui non si può più rimanere inermi o ignari di fronte al “problema”.
Non se si ha intenzione di crescere e di affermare così, in modo più fermo, la nostra personalità con tutte le responsabilità che ne conseguono.

Sono d’accordo anche sul non trincerarsi dietro a delle “trappole” che sono mantenute in piedi da noi stessi nel momento in cui ne siamo soggiogati.
Rompere il filo non è affatto una passeggiata, io non l’ho ancora reciso del tutto; emotivamente è un bel fardello da trasportare e ti accompagna in molte fasi e sfere della vita. Non puoi fare finta che non ci sia ad un certo punto.
Io mi sono accorta che oltre ad essere ancora saldo e ben nascosto dietro a tante cose presenti nella mia vita, sono io che ho le forbici in mano per poterlo tagliare.

Ma dietro a questo legame fatto di amore ma un pò ingombrante ci sono dei blocchi radicati da anni che ti convincono di essere davvero “insuperabili”. E sono sempre stati lì, ma sembrano uscire allo scoperto nel momento cruciale. La razionalità non basta per uscirne.
La sensazione è un pò quella di cercare di correre con dei pesi da 100 chili legati ai piedi, hai l’impressione di correre sul posto, di non avanzare mai, con il risultato di sprecare una moltitudine di energie e di sentirti frustrato ed arrabbiato.

E’ vero, bisogna comprendere quale origine ha la rabbia che proviamo e che ci lega, dove è diretta, come opera, come ci frena, in che modo non ci fa progredire e come sfogarla in direzioni positive. Oltre che lasciarla andare per lasciarci andare.

Un bacio Yana

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

NON CREDO PIU’ ALL’AMORE PER SEMPRE

Tratto dalla discussione “Non credo più all’amore per sempre” (forum “la fine di un amore”)

Argomento: riflessioni sull’amore e sul matrimonio

Autore: Vaiolet

 

Ho chiuso un matrimonio che durava da 10 anni. Mi sono sposata che ne avevo 25, non per convenienza o per tradizione nè per religione, ma per il solo ed unico motivo che ero innamorata pazza di quell’uomo e lo volevo al mio fianco per tutta la vita. Non siamo andati a convivere, non abbiamo fatto prove, non abbiamo avuto dubbi.
Dopo 10 anni pensavo di essere fortunata perchè lo amavo ancora e la nostra unione sembrava solida e infinita. Ora so che non è così, so che faceva acqua da tutte le parti, che scricchiolava e che si reggeva per un soffio. Niente litigi e incomprensioni, ma un logorìo costante che giorno dopo giorno come una goccia, scava anche il granito. Ma è talmente lieve che non te ne accorgi, che arrivi a pensare che in fondo, quello è il matrimonio, dopo anni di passione, un quieto vivere con una persona che ti assomiglia ormai così tanto che separarti da lei è come separarti da una parte di te. Pensi di amare, certo in un modo diverso, ma è amore, ti ripeti. Pensi di essere felice, certo non ti batte più il cuore e il desiderio è un ricordo, ma ti dici “questo è il matrimonio, bellezza, che altro vuoi?”. Hai il rispetto, la condivisione, la serenità, una casa, le vacanze, un lavoro, la spesa la fa lui, io faccio il bucato. Poi la sera a cena parli del nulla e tra un boccone e l’altro senti che la tua vita di scivola tra le mani e pensi un’altra giornata è finita, ma domani ne arriva una uguale. Ti chiedi se è davvero quello che vuoi, ma non hai il potere per cambiare, ci sei troppo dentro per capire e vai a dormire.

Ho descritto il mio matrimonio, che pure avrei definito felice, ma quanti ce ne sono così o anche peggio? Che si trascinano perchè nessuno dei due riesce davvero a guardarsi dentro e a dire: non sono felice.
Ormai non credo più al matrimonio, ne sento troppe di storie come la mia. Non è pessimismo, è constatazione dei fatti, è la realtà. L’amore non dura, non è fatto per durare perchè è irrazionale e imprevedibile. Il matrimonio è solo un aiuto a farlo durare di più, ti tiene nei binari, ti indica una direzione da seguire, ma tante volte ti impone anche di essere infelice. L’amore inizia ed è un mistero, e così allo stesso modo finisce. Ed è giusto che finisca, è nella sua natura perchè l’amore deve essere gioia, felicità, emozione, vita. Se manca tutto questo, non è amore, è solo un matrimonio, è solo un contratto.Vaiolet

 

Il matrimonio è nero su bianco….è un contratto, una certificazione!
l’amore è l’esatto opposto…è mille colori!
il secondo vive bene senza il primo
il primo non ha senso senza il secondo

però non devi fare di tutta l’erba un fascio
ci sono matrimoni o convivenze o unioni, chiamale come vuoi, tanto è il legame che conta, che vanno avanti bene pur con i loro problemi.
Io credo, pur essendo giovane, che non devi dannarti per qualcosa che comunque, nel bene o nel male, hai provato, hai vissuto e di cui ti sei nutrita e, forse, illusa….è un male comune.
Semmai hai avuto la forza di superare questa fase….non è poco! etrusco 

Vaiolet ho letto le tue parole, all’inizio con il sonno che mi porto dietro ogni mattina che mi alzo, a volte penso ad una leggera depressione, magari primaverile
poi man mano che continuavo a leggere ero presa dal vortice delle emozioni che quelle parole mi stavano dando
“l’amore deve essere gioia, felicità, emozione, vita”
“l’amore è mille colori” dice etrusco
possibile che bisogna restare attaccati alla quotidianità che invece parla di lavoro, di traffico, di spesa, di cena, di scuola e lascia pochissimo spazio all’amore e di quel poco spazio bisogna accontentarsi, bisogna trarne la linfa che ti servirà a vivere la tua giornata grigia
no, l’amore è altro, ne sono ogni giorno sempre più sicura
l’amore colora la tua scrivania, la tua auto, il carrello della spesa, i tuoi piatti preferiti, colora i vestiti dei bambini
grazie delle belle riflessioni che mi hai dato stamane
buona giornata a tutti laura.m

 

L’amore è tutto quello che avete detto e anche di più…….
L’amore, quello vero, quando esplode ti prende e ti porta via, in alto, ti fa volare e la vita si colora, ogni cosa che fai è illuminata di una luce stupenda.

L’errore più grande, quando questo amore (che di solito è legato ad una fase più o meno lunga di una storia) si trasforma in un altro tipo di amore, quello che dovrebbe permetterti di costruire un futuro insieme alla donna o all’uomo che ami, è di non saperlo riconoscere, pensare che non ci sia più niente e mandare all’aria tutto!

Qui tutti noi stiamo soffrendo per qualcosa che abbiamo perso ma, in fondo, è anche vero che nelle parole di tanti sul forum possiamo trovare una sacrosanta verità: noi che abbiamo amato, con il cuore, con il corpo, a 360°, sapremo amare di nuovo e anche di più e questo deve essere motivo di forza per la nostra “guarigione”, non siamo noi che abbiamo perso qualcosa…. Gecko 

Vaiolet, è vero quello che tu scrivi anche se penso che il vero matrimonio sia quello che con gli anni si trasforma, si modifica, l’amore cambia aspetto, fa parte della tura vita, è una parte di te.
Essere felici non credo sia necessariamente provare lo stesso amore che provavi anni prima, ma condividere, essere complici, capirsi con lo sguardo, ricevere e portare rispetto della persona con la quale hai costruito.
Non credo che questo sia impossibile, credo sia difficile sì!
Parlarsi, aprirsi, confidarsi, queste credo che siano le basi fondamentali, il resto cambia, si sa, ma rimane il “pieno” di una coppia, la vera autenticità.
A me non è successo e tanti qui non hanno avuto questa fortuna. Ma credo che tanti ci siano arrivati! Beati loro!
Qui ed ora la fiducia manca completamente e ho la certezza che io non ci potrò mai più arrivare! ma esiste questa unione, sono certa! paolaeman63

 

cara vaiolet, mi dispiace leggere queste tue parole, qualche settimana fà eri diversa. forse ora che sei rientrata dal tuo viaggio di lavoro stai metabolizzando la cosa e ti senti persa. hai ragione, il matrimonio non è questo..l’altro giorno ho visto mio padre che prendeva mia madre in modo molto dolce e le dava un bacio, solo così perchè ne aveva voglia. davanti agli occhi ho il loro esempio. stanno insieme da tutta la vita, hanno superato la malattia di mia madre e la depressione di mio padre, e tutto questo lo hanno fatto insieme. certo ci sono stati anche tanti, ma tanti problemi, però in casa abbiamo sempre parlato di tutto, ci siamo sempre confrontati. loro insieme hanno fatto il possibile per darci un futuro, un’opportunità. a volte li vedo a giocare a carte fino alle 4 del mattino o ad organizzare cene per gli amici, o le vacanze per riprendere fiato dopo un anno pazzesco..ma fanno tutto insieme. a volte penso che non avrò mai lo stesso tipo di rapporto con un uomo perchè quelli che ho incontrato fino a questo momento non sono degni di essere definiti tali.

Dopo tanti anni è possibile vivere un momento di stanchezza, ma se c’è la volontà le cose si risolvono sempre. lo dico e ne sono convinta, i problemi, quelli veri, quelli che non si riescono a superare sono quelli che arrivano quando meno te lo aspetti, quando non hai più voglia di sapere cosa ha fatto l’altra persona durante il giorno, quando si smette di parlare o ascoltare i bisogni dell’altro. magari tu non hai colto i segnali di distanza, magari entrambi avete fatto finta di niente dando così la possibilità alle micro-fratture di rompere in modo irreparabile il vostro rapporto, ora che importanza ha? non posso nemmeno immaginare il dolore che provi, già il mio mi toglie il respiro e la mia storia non è stata poi così importante..ma sei una donna forte e devi per forza andare avanti. è l’unica cosa che puoi fare in questo momento. paperottola

 

Una piccola, grande riflessione.
I valori condivisi dalla società attuale quali sono? La correttezza, la lealtà, l’onestà? Sono i valori di 20, 30, 50 anni fa? Oggi cosa è giusto e cosa è sbagliato? Il matrimonio com’è vissuto e, prima ancora, com’è preparato?
Io ho imparato che bisogna “giocare” a carte comuni, bisogna – come nel poker – adattare il proprio stile a chi ci sta accanto. In un’epoca di relativismo morale, gli assoluti come il matrimonio non trovano fondamentalmente più spazio. Questo è quello che siamo diventati. E non è populismo, ma lo spaccato della realtà.
Saluti. kitano

IL LUNGO CAMMINO DEL PERDONO

Tratto dalla discussione del forum “ll lungo, lunghissimo cammino del perdono”

Argomento: Perdono

Autore: Zebretta

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Oggi è un giorno particolare per me: esattamente un anno fa mio marito mi ha confessato la sua relazione extraconiugale; un anno fa quella storia è finita….ed è cominciata la mia.
Non ha confessato spontaneamente: l’ho costretto quando ho scelto di smettere di non vedere.
Ricordo tutto di quel giorno: lui che tra le lacrime confessava una storia con una donna che non amava e che ciononostante non era riuscito a chiudere;il tempo; che ora era ed il silenzio…
Sono rimasta seduta sul divano incapace di dire e provare nulla.
L’unica cosa che sono riuscita a dirgli è stata : “non toccarmi”; dopo mesi di dolore, di disperazione, di annullamento di me stessa ho visto per la prima volta il dolore nei suoi occhi.
Ho passato il pomeriggio a parlare con una mia amica, sbrodolandole letteralmente addosso quello che avevo tenuto per me tanto a lungo e lei mi ha detto che ci avrei messo tanto tempo a guarire:” tra un anno sarai ancora qui a cercare di riprenderti”.
Un anno?! No no, un anno così io non lo passo….

Beh, è passato un anno, mi è passato sotto il naso senza che nemmeno me ne accorgessi.
E’ stato così pieno e così intenso che sembra ne siano passati dieci.
Della donna che ero è rimasto poco e su quel poco ho dovuto lavorare tantissimo, rimettendo in discussione tutto di me stessa, di mio marito e del nostro matrimonio.
La cosa buffa è che io ero convinta di essere una donna lineare,con un’idea estremamente radicata e ferma di cosa è giusto e cosa è sbagliato e invece adesso mi ritrovo a fare i conti con una persona complessa, con idee complesse.
E’ come percepirsi non più ad una sola dimensione ma tridimensionale.
Ho ancora tanto da scoprire di me perché sento di avere solo dato una prima piccola occhiatina dell’universo immenso che c’è dentro di me.
Questo da una parte lo trovo molto bello e stimolante, dall’altro mi spaventa.
E’ meraviglioso scoprire di possedere risorse a noi ignote ma proprio questa non conoscenza di sé implica anche non conoscere bene tutti i propri limiti e le proprie incapacità.
Ma non posso e non voglio tornare indietro.

Oggi sono ancora qui, con mio marito: è lui che mi tiene per mano, lui che mi dice che ce la possiamo fare e che mi consola nei, seppur rari oramai, momenti di crisi.
Sicuramente abbiamo camminato tanto e siamo cambiati altrettanto ma siamo anche consapevoli delle difficoltà che ancora dobbiamo affrontare.
Proseguire la nostra storia necessita il perdonare e perdonarsi.
Lui ancora non si è perdonato: per un certo verso questo mi rassicura.
Indubbiamente non è giusto ma mi da la certezza del suo essere in grado di percepire l’errore commesso.
D’altronde mi rendo conto che mi aggrappo a questo facendone una sicurezza per il nostro rapporto: ma non è sano.
Sarebbe opportuno che si perdonasse, che imparasse ad accettare che non è perfetto ed anche io dovrei fare altrettanto.

Ultimamente il tema del perdono è emerso più volte nel corso di varie discussioni e mi sembra importante affrontarlo, per lo meno io lo considero importante forse perché mi ci sto confrontando pienamente.
Ho postato qui perché credo che sia un processo necessario in tutte le storie relazionali, sia che siano finite o ancora in corso.
Ma più che altro per capire come arrivare a perdonare è necessario capire cosa è veramente il perdono

Spesso infatti si tende a confondere il perdono con la riconciliazione ma sono due atti totalmente autonomi.
Perdonare significa riuscire a vedere i limiti di chi ci ha ferito, ridargli una dimensione più reale, di persona con pregi e difetti, comprendere senza per questo giustificare.
E’ un atto che richiede profondo equilibrio interiore nonché l’accettazione profonda di noi stessi.
Comprendere ed accettare i nostri difetti e le nostre fragilità ci permette di farlo poi con gli altri.
Perdonare non significa dimenticare ma far sì che il passato non continui a ferirci, ricordare senza provare dolore.
In quest’ottica il perdono non è qualcosa che serve a chi ci ha offeso per liberarsi delle sue responsabilità ma innanzitutto un processo per liberare noi delle conseguenze dell’offesa che abbiamo ricevuto.
Non è facile perché molto spesso crediamo di aver perdonato e non è vero.

Io ho capito di non averlo fatto ancora veramente perché non riesco a ricordare senza provare dolore o rabbia in alcuni momenti.
E quando non perdoniamo l’offesa rivive nella nostra mente e nel nostro cuore continuando a ferirci.
Sono cosciente di ciò che mi impedisce di perdonare: sono arrabbiata con me stessa per avergli permesso di ferirmi e non mi fido più della mia capacità di giudizio.
Comprendo che questo mi porta sempre al punto di partenza: la scarsa accettazione di me stessa e la conseguente scarsa autostima.
Non so dire in che misura essa fosse comunque presente prima di questa dolorosa esperienza e quanto questa abbia contribuito nell’acutizzarla ma so quanto sia difficile recuperarla.
Cercando di salvare il mio matrimonio ho lavorato, sto lavorando molto sul tema del perdono.
Certo alla fine dovrò trovare dentro di me la forza e la capacità di perdonare, me stessa in primo luogo e so che la strada è ancora lunga.
Tuttavia nel lungo cammino di questo anno il confronto in questo forum mi è stato di grande aiuto e penso che il possa esserlo anche su questo tema.
Ho cercato di condensare in poche righe un argomento così difficile ma poi un post troppo lungo magari può essere faticoso da leggere.
Spero che ne nasca un terreno fertile di discussione …..
Un abbraccio a tutti

Zebretta 

ciao zebretta… dopo aver letto il tuo racconto ci sono in me sentimenti dolorosi e contrastanti: solidarietà, tristezza per quanto ti è accaduto, gioia per aver letto che il tuo matrimonio continua e che tuo marito ti tiene per mano, rammarico e delusione per il ricordo di quanto accaduto a me.
A suo tempo avevo scoperto la tresca e mettendo insieme i pezzi avevo capito quanto era successo. In quel momento ho provato una disperazione che mai avevo provato prima e che mi ha segnato permanentemente in quanto da quel momento una parte di me è cambiata, si è spenta… non sò come descriverlo. Il dolore più grande era, ed è, quando nella mia testa rivivevo i momenti in cui lei era l’oggetto del desiderio, coronato, di un’altro (lo conoscevo pure).
Ho chiesto, voluto ascoltare il suo racconto nel dettaglio per tranquillizzarla, consolarla, liberarla, capire come fosse potuto accadere. Era sera e quella notte mi chiese di dormire semplicemente con lei (ci eravamo lasciati e non ci vedevamo da diversi giorni). Una notte infinita, tormentata, con la voglia di andarmene per la sofferenza che provavo, e il desiderio di restare perchè potevo ancora guardarla mentre dormiva.
In seguito, anche lei rimase segnata da quanto accaduto e io rimasi paziente, cercando di essere il più dolce e sensibile possibile. Rimasi in attesa che le cose migliorassero, che lei superasse i suoi blocchi e le sue difficoltà… per 4 anni! 4 anni che ora mi rendo conto furono devastanti per me, per la mia persona, per la mia autostima. Per tutto quel tempo mi sono annientato: ho vissuto per lei, per far star bene lei, per far ripartire in nostro rapporto. Ho lasciato perdere tutto per concentrarmi su noi, per tornare ad essere felici. 4 anni in cui credevo di aver perdonato ma in cui in realtà soffrivo, il ricordo (frequente) mi logorava, la rabbia per la non curanza del mio dolore cresceva dentro di me. Gli sforzi infiniti per accontentarla, risultare unico, migliore, valido, amabile.
Sorrido ironicamente nel pensare che per 4 anni ho atteso instancabilmente mentre lei si curava unicamente dei fatti suoi! Il comportamento da me adottato doveva essere il suo e viceversa. Invece il mio donarmi agli altri, in particolar modo alla persona che più amavo al mondo, unito al suo egoismo hanno ribaltato quanto doveva naturalmente essere.
A differenza tua zebretta, una volta capito il suo tradimento ho cercato di comprenderla e perdonarla: questo è stato il più grande errore che potessi commettere. Così facendo, lei si è liberata del fardello che portava, passandolo interamente a me, per poi lavarsene le mani: non mi ha mai chiesto perdono, scusa, non ha mai capito quanto mi avesse fatto e quale tremenda agonia stessi vivendo. Non ho mai avuto il piacere di essere preso per mano, consolato, confortato, mai, neppure una volta in tutto questo tempo.
In conclusione, mi ha lasciato: stesso copione di quel tradimento, solo che questa volta ha voluto andare oltre a quello che sostanzialmente fu una notte e via, e mossa dal desiderio di innamorarsi nuovamente, provare forti emozioni mi ha lasciato. In quel momento la gelosia nel pensare lei ancora tra le braccia di un’altro e la rabbia per tutto quello che ho dovuto passare per cercare di farla stare bene mi stavano facendo impazzire e ancora non l’ho superato completamente.
Questo accadde un anno fa e, come per te, pare sia volato in un batter d’occhio: sembra ieri che mi diceva di non amarmi più. Ma allo stesso tempo, se ripenso al ragazzo che ero, ai sentimenti che provavo sembra passata un’eternità.
Ora ho paura di esser diventato più freddo, più razionale e distaccato, più attento a non essere ferito e di conseguenza più distratto, assente nei confronti di chi mi affiancherà nel prossimo futuro.
L’augurio, per entrambi, è che tutta questa sofferenza si traduca in qualcosa di meraviglioso.
Un abbraccio,

Flender


Dal punto di vista etimologico perdonare significa concedere un DONO: è così in tutte le lingue, dall’inglese ‘forgive’ al francese ‘pardonner’ ed al tedesco ‘vergeben’. Non sono molte le persone predisposte all’atto di donare, ed anche se dal punto di vista etico o religioso si può essere d’accordo sul principio,…………… metterlo in pratica è tutt’altra cosa
Il perdono implica la propria liberazione da un nemico interno, costituito dall’odio.
L’odio, come l’amore, è un sentimento molto forte, che può legare indissolubilmente ad una persona e che dunque fa si che l’offensore sia sempre nei pensieri dell’offeso, nei suoi ricordi, nei suoi progetti.
L’odio crea una dipendenza.
Un forte abbraccio

Ros

Ciao Zebretta.. Ho pensato a lungo su cosa potere scrivere in risposta a questo tuo bellissimo thread e non so se sarà appropriato.
Leggendoti ho pensato al perdono e mi è venuto in mente mio papà. Il percorso che mi ha portata al perdono adesso mi sembra semplice ed inevitabile( ehmm ci sono voluti un po’ di anni). E’ come se semplicemente avessi seguito una strada che era già segnata. Il perdono è stato per me la trasformazione dall’odio all’amore.
Poi ho pensato al mio ex…. Mi ha fatto molto male e gli ho portato molto rancore. Ma poi sono giunta all’indifferenza… dal rancore profondo sono giunta all’accettazione capendo che quell’uomo è più malato di me e che non avrebbe mai potuto amarmi come io desideravo. L’ho scelto apposta! Questo è perdono? Non so
Penso al padre di mia figlia. Non lo perdono. Razionalmente mi dico che lui è fatto così e non potrò mai cambiarlo ma solo accettarlo per quello che è.. ma non riesco ad accettarlo.. mi fa ancora troppo male il suo comportamento.
Perdono? Anche nel suo caso forse dovrebbe essere accettazione.. forse anche affetto perché in fondo abbiamo condiviso e condividiamo la cosa più bella che abbiamo potuto fare: una figlia! Mi verrebbe da dire che forse non è indispensabile perdonare sempre.. ma quando in mezzo ci sono dei figli forse è un cammino che vale la pena di tentare di percorrere.

Poi ho pensato al tradimento.. Io ho vissuto una serie di storie nelle quali il mio compagno mi tradiva ma “il tradimento vero” è stato solo quello di mio marito.. quando, come hai detto tu, ho deciso che volevo smettere di non vedere e, nel mio caso, smettere di permettere di tradirmi. E’ stato un giro di boa nella mia vita. Ringrazio quel tradimento perché è stato l’inizio di un cambiamento molto lento e doloroso che mi ha portata dove sono adesso. Purtroppo per me il tradimento non ci ha portati a riavvicinarci ma ad allontanarci ancora di più e definitivamente perché penso che questa unione avesse delle fondamenta molto fatiscenti..
Gio62

Il tradimento è una grave ferita e va collocata in un contesto. Ha un motivo di essere. Nella maggioranza delle storie il motivo è il non amore o la fine dell’amore e quando è così noi lo sappiamo ( dentro di noi) perchè il tradimento , in questo caso, é la conseguenza di molte cose che non vogliamo vedere o non siamo pronte o non riusciamo. Io la penso così e non solo per la mia esperienza ma anche per quello che vedo intorno a me. In questo senso un tradimento ci obbliga a guardare anche dentro di noi profondamente prendendoci le nostre responsabilità ( non colpe!!!) senza per questo assolvere un tradimento che è davvero un colpo basso.
Gio62
Gio…la tua risposta la aspettavo con impazienza per la verità….ci contavo
Mentre scrivevo pensavo a mio padre, a tuo padre e a te.
Ultimamente mi capita spesso di associarti al pensiero del mio babbo, forse perchè so che devo compiere un cammino simile al tuo e ho tanta ammirazione per te che sei riuscita a risolvere il tuo rapporto con lui.
Mi rendo conto che dovrei perdonare anche papà ma sarà che lui mi ha ferito quando ero più indifesa, sarà che le mie aspettative su di lui erano grandi, io sento di riuscire a perdonarlo con maggiore difficoltà rispetto a mio marito.
Questo mi stupisce perchè se ripenso a me da piccola ricordo il dolore ma molto ovattato, mentre quello di oggi con mio marito è più vivo e acuto.
Si, credo fermamente che il perdono sia accettazione che porta con sè la fine del logorio interno, del dolore.
Sono consapevole, come te, che il tradimento sia stato un giro di boa: mi ha costretto a guardare di me anche ciò che non volevo vedere.
E lo fa ancora ma non riesco, proprio non ce la faccio a ringraziare che sia accaduto benchè sia cosciente che alcuni aspetti di me e della mia vita non li avrei considerati nè modificati altrimenti.
Ma probabilmente dipende dal fatto che ancora mi procura dolore, che ancora non ho perdonato fino in fondo.

Credo anche io che perdonare non sia sempre necessario: penso lo sia in proporzione al dolore che noi avvertiamo.
Ci sono persone che mi hanno ferito molto, volontariamente; che ancora cercano di farlo…le stesse che hanno creato tutte le difficoltà a mio marito dando origine a situazioni tanto complesse da essere ancora in atto.
So per certo che queste persone hanno cercato di farmi del male, ancora, proprio pochi giorni fa.
E mi sono chiesta se ho perdonato: la risposta è no e non credo che lo farò mai.
Non riesco a perdonare chi persevera nel volermi ferire, non ce la faccio proprio.
Le offese che ho subito, le angherie erano e sono grandissime: tempo fa li ho odiati, non mi vergogno a dirlo.
Oggi non più: penso che questo dipenda dal fatto che erano persone che anni fa consideravo amiche ma dalle quali avevo già cominciato a staccarmi perchè percepivo che qualcosa non andava: dunque le mie aspettative su di loro erano ormai bassissime.
Non ho bisogno di perdonarli perchè non sento più dolore dentro di me ma non ho accettato e non lo farò mai.

Caro Flender,
quando ho letto il tuo post mi sono molto dispiaciuta: non volevo alimentare un dolore che so essere enorme.
Capire come agire e reagire nei confronti di un tradimento non è facile.
Ma credo che tu abbia usato la parola chiave: autostima.
Sinceramente penso che tutti noi abbiamo dei buchetti qua e la in essa, nel senso che non sarebbe reale nè sano secondo me pensare ad un autostima totale.
Certo è che le dimensioni dei buchetti contano enormemente quando accade un tradimento.
Perchè il tradimento di per sè è il più potente mezzo di annientamento dell’autostima: non solo ti chiedi cosa c’è in te che non va per aver dovuto subire tanto ma ti domandi anche come hai potuto non vedere e non capire.
Ricostruire l’autostima dopo un tradimento è come ricostruire una città rasa completamente al suolo e deserta.

Gli sforzi infiniti per accontentarla, risultare unico, migliore, valido, amabile .

Questa tua frase mi ha colpito moltissimo: in essa c’è tutta la ferita della tua autostima, della tua ricerca di cambiarti per essere meritevole di amore.
Ma l’amore, quello vero, è quello ti accetta e che non ti cambia.
Il perdono è un processo lungo e doloroso: quando si perdona troppo celermente in realtà stiamo solo cercando un modo di difenderci, stiamo cercando di proteggerci dal dolore.
Cercare di comprendere e giustificare il tradimento credo tecnicamente si chiami NEGAZIONE.
Il perdono per essere tale deve essere rivolto proprio alle persone che non scusiamo.
Ho letto un libro veramente interessante su questa tema: lo consiglierò nell’apposita sezione. Penso che possa essere utile, a parte per il perdono in sè, anche e soprattutto per comprendere quali sono i nostri meccanismi di difesa e le ferite sottese.

Ha aiutato anche me a comprendere quali siano le motivazioni che mi impediscono o comunque rendono difficile il proseguire il mio cammino: sono diverse ma credo che questa frase ne condensi il senso complessivo

perdonare significa anche correre il rischio e superare la paura di essere umiliati una volta di più.

Ecco, credo che non avrei potuto descrivermi meglio in questo momento…

Un grande abbraccio a tutti

Zebretta 

Da dove comincio..
Mio papà per me il vero perdono è quello.. Ho detto che è stato semplice ma lo è stato adesso che lo vedo a ritroso, naturalmente. Mi ricordo ancora quando proprio su questa tastiera piangevo lacrime come fossi un fiume in piena senza riuscire a trattenermi come non ho mai pianto, come se tutte quelle lacrime lavassero via il dolore, quando ho visto mio padre oltre quella cortina di nebbia fittissima perenne. Ma ancora non avevo perdonato. Avevo solo iniziato a vederlo per quello che era: un uomo con tante difficoltà, con tante debolezze, con un infinito timore, tanto, troppo simile a me, al punto tale che per anni ci siamo scontrati. Due bambini che non hanno mai imparato ad esprimere se stessi. Credo che tutto fosse fondato sull’incomunicabilità e il fatto che io abbia iniziato un cammino dentro di me e abbia trovato un pezzetto di persona più adulta, ha fatto in modo di cambiare atteggiamento di fronte e lui e a cominciare a slegarmi da un modello oramai consolidato
Non sarei mai riuscita a dirgli le cose che gli ho detto poco tempo fa. Anzi, solo alcuni mesi fa gli ho urlato addosso il mio odio e proprio di questo poco tempo fa, gli ho chiesto scusa, perché non lo provavo più. Gliel’ho chiesto con il cuore in mano. E’ stato semplice perché nel momento in cui questo processo è iniziato ho solo dovuto seguire me stessa vincendo le mie paura.
Prima delle ferie volevo chiarirmi con lui ma non l’ho fatto perché mi sentivo ancora debole .. ero su un terreno scivoloso e avevo paura che, oltre a non riuscire ad esprimere per il meglio quello che avevo dentro, lui potesse rifiutarmi ancora e non sapevo come lo avei preso.
“perdonare significa anche correre il rischio e superare la paura di essere umiliati una volta di più”.
Ecco era proprio per questo che non trovavo il coraggio.. ma poi,un giorno, ho solo dovuto seguire la strada verso casa sua consapevole che dovevo farlo per me, che l’unico modo per trovare lui era concedere a me stessa di esprimere quello che avevo dentro. E io gli ho sempre voluto bene, lui non me lo avrebbe detto e non avrebbe mai cambiato modo di agire…solo io potevo fare quel passo.
E dopo questo ho visto un miracolo perché lui ha fatto dei piccoli tentativi per cambiare.. e questo mi fa comprendere che avevo visto giusto nel suo cuore. Continuiamo a non parlarci molto ma quel poco è sufficiente. Non vedo più mio padre come un mostro ma neppure solo come una persona debole. Mio padre ha trovato il suo posto e mi sta insegnando ora più di quando ero piccola. In questo momento mi sta accompagnando a comprendere l’abbandono che è il mio terrore e mi sta insegnando la dignità della morte e delle sofferenza.
Lui non voleva farsi ricoverare a luglio, quando gli hanno trovato un tumore, e aveva tutti contro.. anche me in parte.. poi ha fatto altri esami e abbiamo scoperto che è davvero molto compromesso. Anche i medici adesso dicono: lasciamolo stare. Lui, che è sempre taciturno e non ho mai capito, comprende perfettamente la sua situazione ascoltando se stesso e con estrema dignità sta andando contro il suo destino.
Penso che in realtà sia più semplice perdonare un genitore che un partner: perché dentro di noi amiamo i nostri genitori, tanto più li odiamo tanto più li amiamo perché ci hanno feriti, perché ci aspettavamo da loro qualcosa che non potevano o non hanno saputo darci. Il filo che ci lega è fortissimo. Ma i nostri genitori sono esseri umani come noi, non sono gli esseri prefetti che avremmo voluto. Mi viene difficile pensare che un genitore, in genere, non ami un figlio, anche se ho degli esempi molto vicini, di persone cha hanno ripudiato perfino i propri figli. Non so che dire in questi casi…. Per fortuna non è stato il mio caso! ( e già di danni ce ne sono stati!)
Per quanto riguarda i partner.. come vedi essere riuscita in una tale impresa non mi insegna a sapermi gestire con il padre di mia figlia! Ci lavorerò anche perché lo devo a mia figlia.. anche se penso che ogni cosa che superiamo ci rende più forti e il giorno in cui sarò riuscita a separarmi da mio marito senza nessun rancore sarò una persona migliore e quindi devo farlo anche per me.
Un abbraccio forte
Gio62

Ho letto il tuo racconto letteralmente rapita…
In un certo senso mi ci ritrovo: non nelle parti fondamentali( non ancora almeno!) ma anche io comincio ad avvertire il desiderio di parlare con mio padre e come te temo non solo di essere respinta ma che lui non possa capire, nel senso che secondo me mio padre mi vive come figlia poco amorevole ma per causa mia.
In sostanza io sarei quella con il caratteraccio: e non è solo il mio senso di colpa a indurmi a fare questa considerazione( perchè ovviamente sento di essere manchevole, di non comportarmi come una brava figlia dovrebbe) ma anche la consapevolezza che mio padre ha la tendenza a “riaggiustare” gli eventi del passato in modo più gradevole per lui, possibilmente deresponsabilizzandosi.

Credo sarebbe più semplice, dopo un tradimento, lasciarsi pittosto che cercare di ricominciare insieme.

Sapessi quanto mi ha fatto tribulare questo pensiero!
Su questa considerazione ho speso tutte le energie che avevo nel tentativo di stabilire se ero o meno dipendente..
Sia io che mio marito abbiamo sempre considerato che non riuscivamo ad immaginare il nostro futuro senza l’altro.
In un certo senso è ancora così: mi sembra che la sua presenza nel mio futuro sia naturale come l’aria ma adesso sono perfettamente cosciente che potrei vivere benissimo anche senza lui ( e in questo mi è stato utilissimo andarmene di casa per un mese).
Magari a molti sembrerà banale ma io ho accolto questa consapevolezza con immensa gioia e sollievo.

Proprio ieri, dopo aver visto che ero un po’ triste dato il particolare anniversario, mio marito mi ha chiesto se non mi venisse mai la voglia di mollare tutto, di lasciar perdere per evitare la sofferenza.
Beh io mi sono sentita rispondere:”si, eccome!”. Non ci ho nemmeno pensato…
Lui è rimasto un po’ male e mi ha detto che per lui la sofferenza vale il nostro rapporto ma ha anche aggiunto che certo sono io quella che soffre di più….
Io sono contenta, contenta di sapere, adesso, che per me sarebbe più facile andarmene e invece scelgo di restare.

Non so se sono riuscita a spiegarmi….a volte nel tentativo di fare maggiore chiarezza mi ingarbuglio ancora di più
Zebretta
E’ possibile che tu abbia un gran brutto carattere. Anche io l’ho sempre avuto e me lo porto dietro e penso sia il risultato di come siamo cresciute, Zebretta. Ne sarai anche un pò responsabile tu ma lo è anche il rapporto con tuo papà e quindi.. dove sta la colpa? Prova a cambiare l’angolatura con cui vedi la situazione con tuo padre. Io penso sia importante lasciare gli schemi che ci imprigionano.
Il tuo comportamento è la risposta al suo e viceversa. Se nessuno di voi cambierà continuerete così.. allora tu che sei più giovane e più motivata e più sensibile.. cambia! semplice eh? ehmmm lo so che non lo è per niente..
E poi cerca di vincere la paura che hai di non essere compresa. fallo per te. Sai, molte volte andavo dalla psicologa e mi mettevo a piangere perchè dicevo: Ho compreso il modo di comunicare con molte persone.. ma non riesco a trovare un varco per comunicare con mio papà.. con chi porto dentro, perchè metà di me porta i suoi cromosomi! Mi sembrava assurdo.. era come se ci forse un muro insormontabile.. Ma se ti metti in ascolto e soprattutto ti dai fiducia forse arriverai a vedere quello squarcio. Non è detto che debba avvenire.. ma se tu lo vuoi io credo che ci siano buone probabilità che questo avvenga. Non avere fretta, segui le tue emozioni. Per me è stato così.. spero possa esserlo anche per te.
Gio62

Hai ragione cambiare non è semplice soprattutto quando implica perdonare chi ci ha ferito.
So anche che necessariamente uno di noi due deve rompere il circolo vizioso che abbiamo innescato ma lotto ancora con me stessa perchè sento una vocina che mi chiede perchè devo sempre essere io a fare la prima mossa.
E’ infantile, lo so ma è la verità.
La bimba che c’è in me vorrebbe sentire il suo papà che le dice che le vuole bene e la protegge.
Ecco io non mi sono sentita abbandonata, non nel senso stretto del termine: mi sono sentita non protetta.
Sono grande ormai e solo io posso proteggere me stessa, lo so…

Credo che il desiderio di ricostruire il rapporto con mio padre stia nascendo anche per la voglia incredibile che ho di pace, di avere una vita serena.
Voglio chiudere questo capitolo e iniziarne uno nuovo, senza nessuno strascico del passato.
Non so se ci riuscirò perchè non dipende solo da me.

Forse, come te, sono impegnata su troppi fronti e devo necessariamente trovare un po’ di equilibrio: non ho la forza necessaria per affrontare due problemi così impegnativi nello stesso momento.
Mi sento ancora fragile e non sufficientemente “attrezzata” per correre il rischio ed essere eventualmente nuovamente umiliata.

Credo comunque che sia solo questione di tempo: basta sapersi ascoltare ( che è più facile a dirsi che a farsi a volte…)
Zebretta

ciao zebretta e ciao gio62
questo thread è iniziato con un primo anniversario speciale che da inizio al “lungo, lunghissimo cammino del perdono” per qualcosa che zebretta, ma in realtà moltissimi di noi, ha ricevuto senza richiedere, qualcosa che ha fatto soffrire moltissimo, qualcosa che nessuno meriterebbe mai,
poi siamo passati al perdono dei papà e la cosa scusate mi ha un po’ infastidito, vi spiego perchè però…

io ho lo stesso identico problema vostro solo che il mio perdono, prima ancora la mia rabbia, coinvolge la mamma, il papà è morto tantissimi anni fa

stesse dinamica, terrore di parlarle, terrore di ascoltare le sue ragioni e per qualche fantomatico circolo vizioso riprendere come sempre sulle mie spalle tutte le colpe

quando è iniziata la crisi con mio marito la prima cosa che mi è stata rinfacciata è stata “ti ho dovuto fare anche da padre” ed io mi sono accollata anche questa colpa, come sempre

sono bastate poche sedute dalla psicoterapeuta per capire che il mio problema non era la mancanza di un papà, ma la presenza stile condor di una madre frustrata sia per infanzia sia per cultura sia per vedovanza sia per carattere

lei stessa pensate all’inizio non voleva che lo sposassi, non proprio ma avrebbe preferito un “medico”, diciamo così un uomo con una posizione migliore, che poi mio marito ha realizzato, io tra l’altro l’ho incontrato ancora studente svogliato

perchè sono arrabbiata? parlavamo di una piccola e grandissima al tempo stesso vittoria di zebretta di cui io ero entusiasta, per andare a sbattere sull’argomento genitori dove ancora sono alla ricerca di serenità, di protezione con un amaro retrogusto di rabbia protratta negli anni

sono molto contorta lo so, il mio lavoro sta anche nello srotolare la matassa che ho negli anni raggomitolato male
buona giornata ad entrambe
un grosso bacio
Laura.m

Cara Laura,
questo thread è nato, nelle mie intenzioni, per confrontarsi su un tema così difficile come il perdono.
Lo è tanto che io ancora ci lotto, anche e soprattutto con mio marito.
Ciò che mi premeva di più era parlare del perdono non come qualcosa dovuto o cercato per gli altri ma come mezzo per il raggiungimento della nostra pace interiore.
E soprattutto il perdono non coincide con la riconciliazione: questo passaggio è fondamentale.
Significa che in fondo io non posso scegliere veramente di restare con mio marito, di riconciliarmi con lui se prima non lo perdono e non viceversa.
Tanti di noi hanno creduto di avere perdonato in certe occasioni ed invece non era vero: io credevo di aver già perdonato mio padre e purtroppo non è così; Gio e Flender pensavano di aver perdonato i rispettivi partners ma anche loro si erano illusi.

Cos’è il vero perdono, come raggiungerlo veramente….questo è il tema di questo thread, che sia perdono per un padre, una madre o un compagno.
Il processo è sempre lo stesso, poi naturalmente i tempi sono diversi a seconda delle persone coinvolte, delle nostre aspettative nei loro confronti e del nostro dolore.

Sicuramente in questo momento io sento più prepotente in me la necessità di trovare un equilibrio vero con mio marito: lui è il mio presente, il mio progetto di vita in un certo senso.
Ma credo fortemente che sia necessario anche il perdono, che per me è vera accettazione, anche nei confronti di mio padre, che rappresenta il mio rapporto con il mondo maschile.
Il perdono di papà mi serve per ricostruire, per perdonare ed accettare anche me stessa: la parte di me che gli assomiglia, quella che si sente in colpa,quella che non si accetta e non si piace.
Non posso perdonare gli altri se non perdono anche me stessa.
E la difficoltà della situazione attuale è forse quella generata dal legame che sento tra questi fronti, diversi eppure simili, di perdono che sto affrontando.
Devo necessariamente perdonare tutti e due, anzi tutti e tre me compresa, ma fatico a farlo contemporaneamente.
D’altra parte so, sento, che essi sono strettamente dipendenti l’uno dall’altro.

Laura, io credo che il mio cammino per il perdono sia iniziato molto tempo fa: la differenza tra allora, quando questa storia dolorosissima è iniziata, e adesso è che prima io volevo perdonare, ora ne sento il desiderio.
Prima lo volevo perchè volevo il mio matrimonio ( perdono = riconciliazione), ora ne sento la necessità per me, con la consapevolezza che è sì un mezzo assolutamente indispensabile per la riconciliazione ma anche che scelgo il perdono per me stessa prima che per chiunque altro.
In questo senso io sento di aver ottenuto una piccola vittoria: non puoi ottenere ciò che non conosci e soprattutto non lo puoi nemmeno desiderare veramente.

Non sei contorta: solo, forse, avevi voglia di sentire qualcosa di positivo, di vedere che c’è un cammino possibile, tenuto conto anche che da un certo punto di vista le nostre storie si assomigliano tanto, ma poi ti sei ritrovata in un argomento, evidentemente, per te ancora più doloroso del tuo matrimonio.
Nei tuoi ultimi posts si legge un aumento di consapevolezza della reale situazione matrimoniale che stai vivendo, uno spostamento delle responsabilità, che oggettivamente e giustamente, non riconosci più a tuo totale carico.
Piano piano stai diventando “padrona” della situazione e benchè questo possa procurarti dolore unitamente alla consapevolezza che possa anche essere che il tuo matrimonio sia irrecuperabile, tutto ciò ti rende contemporaneamente più autonoma e più forte.
Ed è in ogni caso una bella sensazione.
Al contempo la difficoltà con tua madre ti fa sentire ancora fragile.

Non so Laura, la mia è un’ipotesi che si basa anche sulla mia esperienza.
In questo lungo cammino sono riuscita ad individuare quali sono le motivazioni che mi impediscono di andare oltre, di progredire.
So che è un cammino che nessuno può compiere al posto mio ma credo che parlarne aiuti, specie con chi ha saputo raggiungere il vero perdono, a prescindere dal fatto che sia stato perdonato un padre piuttosto che un marito.
Ti abbraccio forte

Zebretta

Cara zeb,
come vedi il perdono non è legato solo al contingente; anzi spesso quello che non riusciamo a “perdonare” nell’immediato è qualcosa che non riusciamo a fare altrettanto per il passato. Zeb questo thread mi piace molto perché dal dolore ricordato con una data fatidica, poi con naturalezza la tua prospettiva si è spostata su ciò che, probabilmente, ti impedisce di lasciar andare rabbia e dolore e accettare la fragilità dell’altro in pieno, senza per questo sentirti sminuita o meno donna.
“Credo che il desiderio di ricostruire il rapporto con mio padre stia nascendo anche per la voglia incredibile che ho di pace, di avere una vita serena.
Voglio chiudere questo capitolo e iniziarne uno nuovo, senza nessuno strascico del passato. Non so se ci riuscirò perchè non dipende solo da me.”
Io credo che questo desiderio nasce dal fatto che oggi ti senti più forte, hai affrontato un “tradimento” doloroso e stai ricostruendo il tuo rapporto con tuo marito, questo ti da la sicurezza che se vuoi, da parte tua c’è la capacità di andare incontro all’altro, hai acquisito la sicurezza dentro di te.
Credo che sì per ricostruire un rapporto con tuo padre serva la sua collaborazione, ma credo fermamente che per non avere nessuno strascico ti serva comunque un confronto con lui, che questo significhi ricostruire un nuovo rapporto o accettare ciò che lui è.
Zeb qualche settimana fa io ho avuto il mio confronto, lo avevo rimandato per molto tempo credendo che non mi fosse più necessario; che non servisse più.
Ora posso dirlo, non solo è servito per chiudere un capitolo lunghissimo della mia vita, ma per lasciare uscire fuori la mia “bambina” ferita, umiliata, non protetta; lasciarla andare costringendo mia madre a lasciare andare la madre “matrigna”, ossessiva, ipercontrollata e costringerla a vedere i suoi errori e capire che sono adulta e deve trattarmi da adulta. Mia madre oggi, pur con grande fatica, “cerca” di avere con me un rapporto maturo. Non so quanto riuscirà a controllarsi o a cambiare, tocca a lei. Io mi sento in pace, anche se la sua “non presenza” ossessiva a volte “mi disorienta”, nel senso che chi ha sempre avuto un ombra ha paura di non farcela a camminare senza.
Zeb quando sarà arrivato il momento di questo confronto accadrà, non ci sarà bisogno di programmarlo, io non l’ho programmato è arrivato così, come una tempesta a dissipare le mie “ombre”.
Zeb stai camminando verso il perdono…quando sentirai di non avere più rabbia verso il tuo lui sarai pronta per cominciare a ritroso il cammino verso tuo padre. Sei vicina, non affrettarti, lasciati portare dalla tua “coscienza interiore”. Un abbraccio

Pat

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

FINE DI UN AMORE (DISCUSSIONE TRATTA DAL FORUM)

Sono uscito dal tunnel della sofferenza per la fine di un amore. Ne sono uscito del tutto. Prima di poterlo dire con certezza ho aspettato del tempo… ho aspettato al varco i “flashback” che mi riportassero indietro nel tempo procurandomi angoscia… ma non ce ne sono stati. Dal sogno di cui ho parlato in un mio thread è passato più di un mese; già allora mi sentivo ormai relativamente tranquillo, ma quel sogno è stata un’importante conferma e da allora è iniziato un inarrestabile percorso che mi ha portato ad essere oggi quello che sono. 

No, non ho risolto tutti i miei problemi. Non può essere così semplice. Le dinamiche “malate” che hanno caratterizzato la mia ultima relazione affondano, come sempre accade, le loro radici nel mio contesto familiare di origine. Si trattava (e si tratta) di un malessere legato a privazioni di affetto subite nel passato (evito il termine “dipendenza affettiva” che è un po’ inflazionato). Affrontare il rancore che si crea nell’ambito familiare e i traumi da abbandono che si sono provati nell’infanzia/adolescenza è ben più difficile che dimenticare una persona che si pensava fosse la “donna della propria vita”. Sui rapporti familiari dovrò ancora lavorare tanto. “Lei” invece era ormai solo un “tappo” che teneva chiuse dentro tutte le angosce, le frustrazioni, le paure… Ho sofferto tanto (questo forum è pieno delle mie testimonianze), sono sceso in basso, ho visto il fondo ma poi ho iniziato a risalire… il tappo è saltato, è venuto tutto fuori e io non ho voluto inseguire questi pensieri irrazionali per rimetterli dentro di me e poterli ancora una volta trattenere… Sono andati via, li guardo allontanarsi sempre di più e per la prima volta nella mia vita mi sento me stesso… guardo fuori dalla finestra e vedo quel mondo che per tanti anni mi sono negato mentre ero impegnato ad inseguire le mie ossessioni, le sovrastrutture che erano stratificate sopra di me… il senso del dovere, l’inseguire la perfezione, il non sentirmi mai abbastanza “all’altezza”, il voler tenere tutto sotto controllo… ne avvertivo il peso, sì, ma pensavo che fosse la mia essenza ad essere “sbagliata”, non riuscivo a vedere questi aspetti come slegati dalla mia persona, perché distorcevano la mia visuale dal mio interno… e invece non erano parte di me… 

Non era amore, o meglio non lo era più, era solo un ossessivo contrarsi a difesa di tutte quelle sovrastrutture nocive. Quando sono arrivato a sentire questo è cambiata drasticamente la situazione. La potenza del pensiero ha spiazzato me stesso… il cambiamento è andato ben al di là di quella che sembrava essere solo una sofferenza per amore (e invece era ben di più)… oggi sento di esistere… qualunque cosa succeda io sono me stesso, sono unico e non mi sforzerò mai più di cambiare… la porta è aperta e chi vuole accettarmi per quello che sono può entrare, chi vuole cambiarmi e violentare la mia essenza non avrà più strada. 

Amici… la fine di un amore finisce e io sono semplicemente qui a testimoniarlo. Con la “fine” intendo non il momento esatto in cui il rapporto si interrompe (momento che di per sé ha un’importanza relativa), ma il percorso più o meno lungo e tortuoso che ci porta ad elaborare la conclusione della nostra storia. E’ sempre, quando più quando meno, una lunga fine, ma per quanto lunga arriva al capolinea. Inutile stare a spiegare tutte le “parole chiave” che utilizzo continuamente nei miei interventi… oltre che autoreferente sarebbe inutile… distacco, rancore, rammarico, consapevolezza, autostima, de-idealizzazione, amore per sé stessi, tempo, accettazione… ci vuole anche cautela nel capire quando si è davvero “fuori pericolo” e quando è solo un miglioramento temporaneo… in ogni caso non c’è un modello da seguire, siamo tutti diversi e abbiamo tutti storie diverse, per cui ognuno deve affrontare la propria situazione in un modo specifico per trovare il suo personale percorso. 

Ma non siamo soli , o comunque dobbiamo fare di tutto per non esserlo. La forza dobbiamo trovarla dentro di noi e dobbiamo mettere noi stessi al centro di tutto. Ma non è la solitudine la risposta. E non è soltanto continuando a guardare dentro sé stessi, a leggere libri e a rifletterci sopra che si può acquistare forza, lucidità, determinazione. Abbiamo sempre bisogno di interagire, di confrontarci, di aprirci al mondo. 

Io non sono stato solo. Ci sono stati amici (pochi ma buoni, anzi ottimi) che mi sono stati vicini, i miei genitori che mi hanno aiutato, i parenti che a loro modo mi hanno sostenuto e c’è stato il forum a cui devo tanto. E c’è stata in particolare, e c’è ancora, una persona… 

Auguro a chi ancora sta lottando che la fine della sofferenza arrivi presto. 
Vi abbraccio… Dent

Solo poche righe per scrivere qui quello che mi è già capitato di dirti, o forse quello che ho sempre pensato di dirti e che non ti ho detto se non in modo sbrigativo… 
mi fa felice leggere del tuo cammino verso la serenità, dei passi avanti che hai fatto, di quelli che mi hai raccontato, di quelli che ho visto, di quelli che testimoni qui… 
mi fa felice per te, per il dolore che provavi e che ora sta sananddo, con difficoltà a volte, con maggiore semplicità altre volte…e mi fa felice per me, perchè in un modo che non so neanche spiegarti bene, questo mi fortifica. Un abbraccio stretto, Giorgia


Ho chiuso la mia storia dopo 6 anni passati a distanza…ad aspettare tutte le sere la sua telefonata.. negandomi tanti piccoli piaceri della vita,perchè lui preferiva così, perchè il giorno dopo avevo da studiare e nn potevo perdere tempo a litigare…e cosi ho nascosto la testa nella sabbia, mi sono data delle giustificazioni assurde,mi sono fatta un male pazzesco;alla fine finisci per guardare la vita attraverso il buco di una serratura.. tutto il mondo è dietro quella porta e dall’altro lato ci sei tu con la sua voce appesa ad un filo.. é stata una pseudovita la mia; ed ora che è finita e nn tornerò mai più indietro mi rendo conto di quanto maledetto tempo tempo ho perso,di quanti anni ho lasciato che mi venissero risucchiati. E per quanto ci ho creduto fino in fondo in questa storia, al punto da decidere di andare a vivere da lui, io adesso nn posso altro che domandarmi dove ho messo il mio cervello per tutto questo tempo..come ho potuto soffocare me stessa, la mia libertà, il mio diritto alla felicità, e alla fine nn posso far altro che pensare che il vero nemico di me stessa sono stata IO; nn dobbiamo combattere per dimenticare qualcuno, ma per ricordarci di noi stessi, di come eravamo fatti prima che qualche bastardo/a ci plasmasse, di quello che desideravamo fare da grandi,di quello che ci faceva battere il cuore. 
quanti di voi si guardano allo specchio e nn si piacciono? io l’ ho fatto tante volte e per tante volte mi sono delusa, mi sono tradita; ora che ho avuto la forza di mettere un punto a questa storia sono orgogliosa di me, sento di avere quelle che chiamano palle.. che immaginavo solo gli altri avessero.e anche se la strada è lunga e stasera sono qui a scrivere invece di uscire come vorrei,io voglio ricominciare e nesun rammarico o senso di colpa o nostalgia subdola me lo deve impedire; é sale su una ferita, brucia.. ma alla fine cicatrizza.

Cari amici…pensate che sia giunto il momento del congedo, eh?! E invece no! 
Un grazie davvero con tutto il cuore a questa storia maledetta. 
Grazie al dolore sono cresciuta, grazie alla sofferenza ho aperto il cuore all’amore, grazie alla delusione riesco ad apprezzare maggiormente le cose che ho e che consideravo di poco conto. 
Ho sbagliato in tutta sta storia, ho sbagliato l’approccio, l’inizio, l’iter amoroso e ho sbagliato pure la fine. La rabbia con me stessa mi dilaniava, mi causava sensi di colpa allucinanti; sono arrivata ad incolparmi anche per le sue colpe, per la lavatrice che si rompeva, per l’essere nata. 
Credevo di essere invincibile, ero viziata e perennemente insoddisfatta. 
Il mio farmi desiderare ed allontanarlo non era altro che una “tattica del contrario”. Un ruffianare le attenzioni altrui. Avrei dovuto parlare, spiegare. Ma purtroppo l’abitudine a volte vince, ed io ero abituata a fare così. Era tutto così difficile da cancellare. 
Io dovevo provare, capire, rendermi conto dei miei errori, toccarli con mano, arrivare al limite. Bruciarmi e starci male….poi starci male ancora e non fare nulla, perchè dovevo scoprire come ci si sta. E capire cosa volevo, cosa cercavo. Perché cercavo sempre il contrario di ciò che avevo. Perché invece di essere sua complice diventavo sua nemica. 
Io penso davvero di non aver capito come trasmettere i miei bisogni, come vivere la coppia: in passato sono stata abituata ad un rapporto di dipendenza affettiva e una volta superata (almeno così mi sembrava, ma evidentemente mi sbagliavo), sono caduta nell’errore grave tanto quanto il primo, di vivere una relazione nel modo esattamente opposto. 
Io, come già ho scritto, penso di aver influito molto alla rovina del rapporto. Non perché solo io abbia difetti e lui no… perché per la mia guarigione e il mio processo di miglioramento interiore non m’importa sapere se e in che modo lui abbia sbagliato, ma UNICAMENTE dove IO ho sbagliato e dove IO posso porre rimedio per la prossima storia. 
Ho imparato ad essere più spontanea, aperta, semplice, fresca e meno egoista; ho imparato ad amare…nel senso più bello e puro del termine e ho imparato ad amarmi, ad essere contenta di quello che con tanta fatica mi sono costruita. 
Non importa se ho sbagliato, non importa se lui ha sbagliato… Dio perdona tutti… perché non dovrei farlo io con la persona che mi sta più a cuore di tutti e cioè me stessa? Tutti possono sbagliare… perché uccidermi nel dolore di non essere perfetta come pensavo? Ho capito, cazzo se ho capito… non è la più grande delle soddisfazioni? 
La vita è davvero bella e imprevedibile e a volte ci si lascia andare per paura, per difesa, per egoismo e col tempo quasi involontariamente questi sentimenti prendono il sopravvento su tutto. Conoscere persone è straordinario, per questo ho capito che devo cercare il più possibile di farmi conoscere per quello che sono. Ho imparato mio malgrado che la comunicazione, un sorriso, la sincerità e l’affetto sono le cose più importanti che meritano di essere coltivate e affinate. Non è più possibile vivere nel proprio guscio alzando tutti gli scudi del mondo per difesa e perché nessuno mai meriterà di avermi davvero. Amare se stessi prima di tutto, amare gli altri nello stesso modo. 
Come ho letto proprio oggi, il “bello” della rottura di una storia d’amore, sta proprio nell’equilibiro che si instaura a distanza di tempo tra chi lascia e chi subisce l’abbandono: se all’inizio c’è squilibrio dalla parte di chi lascia perché più forte e non cade nella desolazione (anzi, si sente sollevato e libero di un peso), col passare del tempo il meccanismo s’inverte; posso assicurarvi che si diventa talmente forti, in pace e sicuri dei proprio bisogni e del percorso di conoscenza di se stessi, che da vinti si passa a vincitori. 
Grazie… mai come ora sono cresciuta così tanto!

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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PERDONARE LA DIPENDENZA AFFETTIVA

“Perdonare è la capacità di scrivere una pagina nuova e di colmare il baratro che si è creato tra le persone” Madre Teresa di Calcutta

 

SINTESI DI UNA DISCUSSIONE TRATTA DAL FORUM

Eccomi qua a parlare di una faccenda che inizia a farmi pressione
L’ultimo passo, ancora non affrontato.
Di che si tratta? Provo un profondo RANCORE verso la DIPENDENZA AFFETTIVA.
E’ un sentimento che è nato nel momento in cui mi sono resa conto di averla acquisita e quanto essa mi aveva condizionata nella vita sotto l’aspetto relazionale.
Per molto tempo sono stata “presa” ad affrontare ogni aspetto, ogni paura… insomma, ogni sfaccettatura…
Poi mi sono dedicata ad altro… del resto avevo raggiunto il mio obiettivo.
Tuttavia, ultimamente, prestando attenzione a me stessa, mi sto rendendo conto che questo rancore verso la dipendenza affettiva mi sta condizionando negativamente. Trovo ingiusto che l’abbia acquisita… non è stata una scelta consapevole,
ero piccola quando è nata… ed anche se l’ho superata sono incavolatissima (il termine non rende ciò che provo, ma almeno a parole, qui nel forum,
mi auto-modero:grin:) perchè ho sofferto, perchè ho perso tempo prezioso… anni della mia vita! E mi fa incavolare ancora perché anche il provare rancore per lei mi fa perdere tempo!
Proprio questa mattina mi sono posta una domanda <<Come faccio a liberarmi dal rancore che provo verso la dipendenza affettiva?>> . Per il momento non so rispondermi.
A me è capitato di provare rancore per qualcuno in passato, ma poi sono riuscita a superarlo perché ho compreso che le ferite ricevute dalle persone in questione non erano state volontarie.
Ma in questo caso la faccenda è diversa, per lo meno, in questo momento mi sembra più complicata…
Allora, il mio obiettivo è : LIBERARMI DAL RANCORE VERSO LA DIPENDENZA AFFETTIVA !
Forse è meglio formularlo in modo positivo: PERDONARE LA DIPENDENZA AFFETTIVA !
Per ora non so altro… non so da dove iniziare… del resto mi è successo anche quando volevo raggiungere l’altro obiettivo : indipendenza affettiva… non sapevo che fare, ma poi, supportata dalle mie risorse interiori – motivazione, volontà e costanza – ci sono riuscita! Accolgo a braccia aperte ogni punto di vista! Barbara

gio62
Non ci ho riflettuto.. ti scrivo di getto e magari poi mi pento e ti riscrivo ….
Secondo me la dipendenza affettiva fa parte di te.. non riesci a perdonare quella parte di te che l’ha immagazzinata e fatta propria. La dipendenza non è un mostro.. ma sei tu, e quindi.. devi perdonare te stessa.
Poi.. da dove cominciare.. non me lo chiedere quando scrivevo della rabbia io provavo un grosso sentimento di rabbia orientato verso di me e adesso mi ha lasciato un po da quando ho cominciato a lavorare su me stessa in modo attivo ed intenso e ho capito che sto facendo tutto il possibile per superare questi limiti che mi sono posta.
Quando parli del tempo perduto è quello che provo in questi giorni riferito ai miei genitori e soprattuto a mio padre. E’ come se non lo avessi mai conosciuto e rischiassi di non conoscerlo mai.. eppure sono 44 anni che lo conosco e ci vediamo ogni giorno. Non l’ho mai voluto vedere perchè gli ho messo addosso la maschera del mostro che mi ha causato tutto questo.
Ma mio padre è una risorsa.. anche la dipendenza affettiva è una risorsa. Ci ha fatto “perdere tempo” ma a causa sua stiamo aprendo gli occhi vedendo cose che non tutti vedono. Conoscere se stessi non è un obiettivo che si pongono tutti.. ci si arriva quando si sta male e quindì si è obbligati a cercare “una cura”. Io non vorrei cambiarmi con un altro.
Ringrazio la mia dipendenza perchè attraverso lei sto imparando a conoscere me stessa.
Non so.. era una risposta di getto… Un abbraccio Gio

Questa mattina mi sono svegliata. Di solito mi alzo dal letto
immediatamente, invece sono rimasta lì ad ascoltarmi… cosa che non facevo da diverso tempo.
Come ho già detto mi sono resa conto fino a che punto fossi incavolata con la dipendenza affettiva…
Mi sono alzata, ho fatto le solite cose e intanto continuavo a pensarci. Poi ho acceso il PC con l’intenzione di lavorare un po’ prima di uscire… ma ero “distratta”. Quindi sono venuta qui e ho scritto.
Dopo un po’, poco prima di uscire, arriva la notifica e leggo il tuo punto di vista e queste tue parole mi sorprendono come un arcobaleno improvviso mentre c’è un temporale estivo! … anche la dipendenza affettiva è una risorsa. Ci ha fatto “perdere tempo”
ma a causa sua stiamo aprendo gli occhi vedendo cose che non tutti vedono.
Conoscere se stessi non è un obiettivo che si pongono tutti.. ci si arriva quando si sta male e quindi si è obbligati a cercare “una cura”. Io non vorrei cambiarmi con un altro. Ringrazio la mia dipendenza perchè attraverso lei sto imparando a conoscere me stessa.

E’ vero! E’ anche grazie alla dipendenza affettiva che sono quel che sono!
E’ grazie alla dipendenza affettiva che mi sono messa in cammino verso me stessa… ed ho “viaggiato” alla scoperta di aspetti di me sconosciuti!
E’ grazie alla dipendenza affettiva che il mio rapporto con me stessa e con gli altri è costruttivo! Potrei dire che la lista è lunga!
Grazie Gio! Grazie di cuore! Sento il cuor leggero e colmo di gioia! barbara

Buongiorno carissima gio!
Mi sono svegliata con un bel sorriso stampato in faccia… non so fino a quando avrò questa espressione tipo “stato di grazia”…
Dunque, come allora avrò modo di testare concretamente se ho superato la faccenda, quindi raggiunto l’obiettivo.
Per me ogni volta è stato così… oltre alla comprensione a livello razionale è stato necessario “testare” le reazioni emotive sul campo (detta così sembra una partita sportiva ).
C’è una situazione particolare che ha stimolato il mio rancore: quando vedevo M. per strada.
Come c’è l’attacco di ansia a me veniva un attacco di rabbia, perchè lui, indirettamente, rappresentava per me la dipendenza affettiva.
Quindi, anche se (grazie a te) mi rendo conto degli aspetti positivi… voglio “testare” concretamente.
Non so se mi sono spiegata! Non farò nulla di particolare per trovarmi nella situazione di cui parlavo… prima o poi accadrà! barbara

Ciao Barbara, sono contenta che con la mia risposta a getto ti sono stata di aiuto.
E’ molto bello stare qui, confrontarsi.
Il mio ingresso qui coincide con un momento ben preciso in cui hanno cominciato a riaffiorare le emozioni in modo più pieno.
Molte volte sento dire da alcuni qui che sembra di vivere periodi in cui non si prova nulla. E’ quello che sembrava a me, ma in realtà non si smette mai di provare emozioni. In realtà ci riferiamo all’amore e alle emozioni positive. Almeno, per me è stato così. C’è stato un momento in cui nella mia storia sono affiorate emozioni negative “scollegandomi” dalla mia parte positiva.E in quel momento mi sentivo vuota, come se non fossi in grado di provare nulla. Non so se riesco a spiegarmi perchè poi tutto sembra chiaro quando lo si prova ma prima no.
Queste riflessioni me le fai venire in mente tu parlando di espressione “da stato di grazia” 🙂 che parlatro so cosa vuole dire..:-)
Per molto tempo io mi sono trascinata senza apparenti emozioni in preda di rabbia, delusione, dolore ( queste sono emozioni!!!!) e poi ho iniziato un viaggio dentro di me ed anche ora che non direi di essere felice ma, al contrario, di provare molto dolore, lo provo nella sua pienezza. Non so come spiegarmi. le emozioni che sto provando in questo momento per mio padre che sta male sono un misto di emozioni ma non sono più solo negative. I sensi di colpa, il dolore e la tristezza, si mescolano con la compassione e anche con quello che credo sia amore ( dico “credo” perchè sono ancora “giovane” per saperlo). E di questo mix io ne ho la consapevolezza. Non ne ho il controllo ma non ne sono succube. E da un momento in cui ero arrivata a non riuscire più a sopportare, adesso è tutto più sopportabile perchè per ogni cosa negativa che affiora vedo e colgo anche la parte positiva. E’ molto bello questo che sto provando perchè credo di non averlo mai provato in modo così consapevole. E’ come se avessi ritrovato la mia strada che sentivo persa che adesso so deve passare attraverso queste emozioni che sono collegate al mio passato, al mio essere anche nel presente.
Sono contenta di avervi trovati.. non so se mi sono spiegata…
Un abbraccio (Gio62

Carissime Gio e Barbara..
Avete toccato una questione, secondo me, importantissima. Una questione che puo’, a seconda di come viene affrontata, far fare enormi passi nel superamento della dipendenza affettiva o nel raggiungimento della serenita’ nella vita in generale, oppure bloccare un passo decisivo.

Premetto che avrei voluto scrivere cio’ che sto per dire tempo fa e, accidenti, Barbara, se avessi saputo che la questione ti creava questo tipo di difficolta’, l’avrei scritta prima!!!
Non l’ho mai fatto perche’ avevo bisogno di ripescare e riportare il pensiero di un autore a proposito di questa visione sulla dipendenza affettiva, e non sono mai riuscita a ritrovarlo..penso di ricordare comunque l’autore, ma visto che non ne sono sicura, non voglio fare citazioni errate..
Dunque, ahivoi (), sono costretta ad esprimere con le mie parole questo pensiero, percio’ scrivero’ sicuramente tre volte tanto di quanto avrei fatto
In realta’ forse e’ meglio, perche’ questa visione io l’ho fatta mia, ci credo molto, e l’ho ampliata con considerazioni personali..

C’e’ un autore (forse molti altri) che ritiene che la dipendenza affettiva abbia in se una forza particolare che le conferisce lo stato di risorsa importantissima per attuare un cambiamento, proprio grazie alle sue caratteristiche.
Insomma Barbara…questa teoria penso fosse condivisa inconsciamente anche da te, perche’ e’ la stessa cosiderazione che hai fatto piu’ volte tu sulle “crisi”..il fatto che una crisi possa essere vista come una risorsa di miglioramento, di consapevolezza. Le crisi, i problemi, quindi anche la dipendenza affettiva, ci portano a riconsiderare alcuni dei nostri atteggiamenti, ad elaborare emotivamente qualcosa, o comunque prima o poi a porci delle domande. Se si guarda la crisi sotto un aspetto positivo, si puo’ scorgere il dono che in essa e’ nascosto. La si puo’ utilizzare per conoscersi, per migliorare, per non cadere negli stessi errori…

Lo stesso vale per la dipendenza affettiva.
In questo pensiero era contenuta l’idea che, proprio grazie alla forte passione, l’esasperazione dei sentimenti, il coinvolgimento, il “sentire” quasi a livello viscerale il dolore e i sentimenti e la forte ricerca dell’amore caratteristici di una persona dipendente affettiva, tale condizione (la dipendenza affettiva, appunto) puo’ incarnare una risorsa molto importante per capire se stessi, la vita, ed attuare un cambiamento.
Perche’ la dipendenza affettiva contiene in se’ un trasporto vitale enorme, una passione che, se viene trasformata in positivo, se vengono fatte di tutte le caratteristiche malate delle sane virtu’, puo’ essere considerata un grande dono, a dispetto di tante altre condizioni nevrotiche o psicopatologiche.

Questo pensiero e’ stato farcito di tutte le mie considerazioni personali sulla dipendenza, ma piu’o meno la linea su cui viaggiava era questa.

Quello che ha scritto Gio incarna perfettamente cio’ che penso io e quello che “provo” nei confronti della dipendenza. Io non sono arrabbiata da molto tempo con “lei”, l’ho accettata e l’ho anche ringraziata. Ultimamente poi, ne ho anche meno paura. Sono consapevole che potrei ricadere in qualche atteggiamento che la caratterizza, sono consapevole che il cambiamento effettivo forse va sempre alimentato e chi lo sa se sara’ mai sara’ totale..ma non m’interessa piu’.
La dipendenza affettiva mi ha fatto diventare la persona che sono, mi ha donato una sensibilita’ che molte persone non hanno (anzi, sono convinta che ce l’hanno, ma non riescono ad attivarla), mi sta facendo vedere la vita per quello che e’ e cioe’ meravigliosa e piena di amore e di sorprese che bisogna solamente scorgere. Mi ha fatto capire cose che non avrei mai compreso, tra cui, prima di tutto, i miei genitori.
Mi ha fatto sentire che anche io, come tutti, merito e posso essere amata e che, se voglio, posso amare con un’intensita’ ed un’autenticita’ enormi.
La dipendenza affettiva e’ stata per me un dono che mi porta ogni giorno sulla strada della felicita’ e della serenita’.
Come dice Gio, non tutti si pongono cosi’ nel profondo delle domande a proposito di loro stessi, non tutti sono portati a mettersi in discussione, a guardarsi dentro, a conoscersi per quello che realmente sono e a cambiare quello che non va delle loro vite…invece, secondo me, in linea generale, un dipendente affettivo che scopre di esserlo, e’ prima o poi portato a farlo!

Voglio fare un esempio assolutamente personale a cui pensavo tempo fa..

Da un po’ di tempo sto studiando la personalita’ “narcisista”, che mi sembra piu’ difficile da comprendere e da delineare della dipendenza affettiva.
Quello che sta sotto allo sviluppo di tale personalita’, senza entrare nei dettagli, e’ il fatto che queste persone, sempre a causa di ferite subite nell’infanzia, tendono a reprimere, a “non sentire” i loro stessi sentimenti.
Io vedo un po’ la personalita’ narcisista, con tutte le dovute differenze, come una dipendenza affettiva inconsapevole e schermata dall’apatia e dalla non accettazione assoluta del dipendere da un qualsiasi essere umano, anche in forma sana.
C’e’ una differenza, tra le tante, che secondo me genera una risorsa in piu’ nella personalita’ del dipendente rispetto al narcisista, ed e’ proprio questo suo sentire ed accogliere a cuore aperto questo sentire dei sentimenti e del dolore (a volte sembra che il dipendente “difenda” quasi questo suo sentire in modo cosi’ accentuato).
Per contro, il narcisista non vuole “sentire”, lo rifiuta, lo nega, ad ogni percezione di sentimento o dolore profondo si spaventa e mette un muro davanti a se stesso e intorno al suo cuore.
Ecco, questo muro, che secondo me il dipendente non ha, fatto di apatia, indifferenza, noncuranza, egocentrismo (fittizi), tipici del narcisista, penso che costituiscano un ostacolo enorme alla comprensione di se stessi. E quindi alla soluzione dei propri problemi e alla messa in discussione dei propri schemi.
Entrambi tendono a situare il problema fuori di se’ e dentro gli altri, ma, a causa della forte pressione dei sentimenti e delle sensazioni, che dal dipendente sono intercettati ed accolti, quest’ultimo secondo me e’ spinto molto piu’ che il narcisista a chiedersi prima o poi: “che cosa succede realmente?”

Questa e’ una mia personalissima conclusione, ma era per far risaltare la potenza risanatrice della dipendenza affettiva.

Anche io, come Gio, penso che la dipendenza affettiva sia una parte di noi.
La dipendenza affettiva non e’ altro che un nome che noi abbiamo dato ad un insieme di caratteristiche e di comportamenti di alcune persone.
Finche’ non scopriamo di cosa potremmo essere capaci potenzialmente (amare veramente), noi SIAMO dipendenti affettivi. E’ uno stato, una condizione, non ne abbiamo colpa, ma lo siamo.
Quindi anche per me, essere arrabbiati con la dipendenza significa essere ancora un pochino arrabbiati con se stessi e non essersi perdonati del tutto. Non abbiamo ancora perdonato la parte bambina di noi che non e’ riuscita a svilupparsi senza farsi male, quella parte bambina che, a causa della sua immaturita’ psicologica ed emotiva, ha scelto l’unica alternativa che le sembrava possibile. Non abbiamo colpe, ma siamo noi che dobbiamo comprenderlo fino in fondo e liberarci da esse.
Penso che considerare la dipendenza affettiva come qualcosa di esterno a noi, sia in minima parte come non accettarci completamente ed attribuire la responsabilita’ del problema ancora a qualcun altro.
Riuscire a vedere la dipendenza come qualcosa d’inglobato in noi, come parte della nostra personalita’ da poter migliorare penso sia un passo decisivo per liberarsene.
Forse, Barbara, non avevi ancora accettato del tutto quello che eri diventata e cio’ che questo tuo modo di essere ti aveva creato. Lo capisco, non e’ facile, ma solo prendendo atto di una cosa la si puo’ comprendere totalmente, accettare e poi dirottarla verso un cambiamento.
Alcune parti di noi si possono cambiare solo se si accetta veramente di averle incorporate, altrimenti e’ come se un po’ si pensasse che non avessero mai fatto parte di noi.
E’ vero che sottostanti ad esse si nascondono un amore ed un’autostima che noi possiamo alimentare, ma quando eravamo dipendenti lo eravamo, in tutta la nostra pienezza. Insomma, non eravamo sotto ipnosi!

Credo che anche la rabbia che ti continuava ad accompagnare quando incontravi lui (non so se succede ancora, ma comunque mi sembra di aver capito che hai paura di questo, o che comunque e’ una cosa che metti in conto possa succedere) fosse un segnale che ancora non “avevi lasciato andare” completamente la dipendenza, oppure lui (che per te la incarna), oppure la Barbara di prima, che non riuscivi a perdonare in modo completo.
E’ il discorso gia’ affrontato della rabbia, del rancore, del non totale perdono: ci tengono legati al nostro passato, ai nostri schemi precedenti (o che stiamo superando piano piano), alle persone che sono state oggetti della nostra dipendenza. In una parola alla dipendenza!

Sono contenta che tu abbia tirato fuori questo tema, perche’ penso sia un punto molto sottile su cui poter riflettere e che puo’ portare ad un vero superamento.
Inoltre, sono contenta che stamattina tu ti sia svegliata con il sorriso e con una sensazione di “stato di grazia”. Spero che tutte queste considerazioni ti possano essere utili, come le tue lo sono state per me quando sono arrivata qui. Un abbraccio infinito.. Yana

Perdonarsi la propria dipendenza affettiva? Più che perdonarsi, io direi accettarla, accettare che c’è un parte di noi (che per i motivi più disparati, ma soprattutto per il nostro modo di interagire con quelle cause) ci ha portati ad essere dipendenti affettivi o anaffettivi. Perché da come la vedo io, da come cerco di guardare tutte le facce della medaglia l’unica differenza tra un “narciso” e un “dipendente” è il modo in cui si è digerito
emotivamente dei fatti inerenti la propria storia personale. C’è chi porta dentro la ferita e se ne assume la colpa cercando di esorcizzarla ripetendo un comportamento di dipendenza dalle persone a cui vuol bene per punirsene, c’è chi rifiuta la responsabilità e decide di non cedere più alle proprie valenze affettive e ogni volta che qualcuno scalfisce la corazza costruita, se ne allontana con violenza e rabbia reiterando il comportamento antico; questi due modi generano altrettanto dolore e infelicità. In fondo la soluzione sarebbe accorgerci che l’infanzia è passata, che ciò che di buono o di negativo ci ha portato ci ha reso più forti e unici e quindi assumersi la responsabilità di ciò che si desidera per sè stessi. Non è facile, un ex dipendente affettivo rischia di diventare un anaffettivo e viceversa.
Io lotto ogni giorno perché le vecchie abitudini o le nuove paure non diventino un ostacolo alla mia voglia di essere felice. A volte ci si riesce, a volte si fa più fatica del necessario. E’ difficile osare sovvertire il passato, è difficile credere e avere fiducia nella possibilità di innamorarsi ancora con nuove modalità mettendo a rischio l’equilibrio così faticosamente ritrovato. E’ difficile, ma non impossibile.
Quello che mi aiuta e mi incoraggia a proseguire è l’aver constatato (due mie amiche finalmente si sono innamorate della persona giusta quando ormai non ci speravano più) come davvero proprio nel momento in cui è giusto che accada (quando siamo pronti, quando tutte le ferite si sono rimarginate, anche se le cicatrici ci sono ancora) un velo si solleva e ciò che cerchiamo diventa realtà e spesso ciò che desideriamo è proprio sotto i nostri occhi.
E quando il passato è stato analizzato e rivisto nella giusta dimensione, ecco che siamo pronti a cogliere ciò che ci viene porto nel modo giusto, la paura è sempre tanta ma è proprio quella paura che aiuta a non ricadere nei vecchi giochi. Io auguro a tutte, così come auguro a me stessa di riuscire a saper cogliere quel velo che si solleva….e saper tener presente, sempre, ciò che ho vissuto, senza che questo mi impedisca di “amare”
il volto sotto quel velo. Un abbraccio. Pat

Carissima Yana, affermare che le tue considerazioni, insieme a quelle di gio62, siano state “utili” non rende affatto l’idea!
Con amorevolezza mi avete mostrato un aspetto della dipendenza affettiva e un aspetto di me che non avevo valutato e di cui non ero consapevole.
Da dove comincio?… Dall’inizio, è spero di non incartarmi!
Quando ho scoperto la faccenda della dipendenza affettiva, attraverso il libro “Donne che amano troppo” per me è stato uno shoch… non ci volevo credere. In seguito l’ho ammesso (è diverso di accettato) a me stessa, tuttavia ho affrontato per tutto il tempo la faccenda come se fosse sgradita… da eliminare.
C’era… ma volevo a tutti costi che sparisse.
Esattamente com’era accaduto con i miei occhi. Non sono nata con gli occhi sporgenti, sono diventati così perché ad una certa età ho avuto problemi con la tiroide (ipertiroidismo).
Per me la dipendenza affettiva rappresentava solo ed esclusivamente la causa dei miei problemi relazionali.
Chissà, ci devo riflettere ancora, forse un aspetto del narcisismo mi appartiene (Yana, ti cito in parte: la personalità narcisista come una dipendenza affettiva inconsapevole e schermata dalla non accettazione assoluta del dipendere da un qualsiasi essere umano). Questo mi rispecchia esattamente. Non ho accettato il fatto di dipendere affettivamente!
Sotto l’aspetto “autonomia” ho iniziato molto presto a volermela cavare da sola… non volevo aver bisogno di nessuno sotto l’aspetto pratico della vita… naturalmente ho messo in atto questo meccanismo per difesa, i miei genitori erano poco presenti ed io ho reagito così. E’ stato raro chiedere aiuto a qualcuno… nel tempo era diventata un’abitudine per me tant’è che non mi veniva neppure in mente di farmi aiutare.
Ciò ha il suo lato positivo perché per poter fare qualcosa è necessario imparare, inoltre mi ha reso una persona piena di iniziative… ma è vero anche che con le persone che avrebbero voluto essermi di aiuto, perché era un modo per creare un legame (in senso positivo) con me, creavo una certa “distanza”.
Mi accorgo ora che sto cambiando sotto questo aspetto, perché in passato ero molto rigida… ultimamente accetto più spesso il contributo degli altri.

Forse, ci sono stati due aspetti che hanno giocato a mio favore:
1) La sofferenza e i disagi che vivevo da anni mi hanno MOTIVATA
2) Il non accettare il fatto di dipendere da qualcuno ha rafforzato la FORZA
DI VOLONTA’ e la COSTANZA.
E’ vero Yana, fino a ieri non avevo accettato (inteso come abbracciato, accolto) la dipendenza affettiva, l’avevo solo ammessa guardandola con “distacco” ed è diverso. Era come se la “vita” mi avesse dato una patata bollente ed io me la dovevo pelare. Fino a ieri non vedevo l’altra faccia della medaglia, o meglio, non associavo il fatto che anche grazie alla dipendenza sono ciò che sono.

Grazie gio62 e Yana per il vostro aiuto… non so se nel leggermi ho dato l’idea di quanto abbiate fatto a favore della mia accettazione e gratitudine verso ciò, che fino a ieri, mi ha più o meno, condizionata.
Yana, la questione della rabbia mi ha creato difficoltà solo ultimamente, o meglio, me ne sono resa conto solo ieri.
Penso che le vostre parole siano arrivate nel momento giusto per me, perché ero pronta a percepirle! Barbara

Ciao Pat
Si, si tratta di accettazione…
Ieri ho parlato di “perdono” perchè, come ho spiegato, avevo una percezione diversa (distorta?! ) della dipendenza…poi, grazie a gio62 e Yana, ho compreso.
E dire che in questi anni ho avuto a che fare con l’ACCETTAZIONE molto spesso…
Condivido ogni tua parola, in particolare:
In fondo la soluzione sarebbe accorgerci che l’infanzia è passata, che ciò che di buono o di negativo ci ha portato ci ha reso più forti e unici e quindi assumersi la responsabilità di ciò che si desidera per sè stessi. Il tuo augurio è bellissimo!
Un abbraccio che vi avvolge tutte

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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