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DIPENDENZA AFFETTIVA

“Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenze di un’infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo.

Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuosi lui vorrà cambiar per amor nostro, stiamo amando troppo.

Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo.” (Robin Norwood)


La problematica della dipendenza affettiva è recente: nasce sull’onda del successo, negli anni ’70,di un libro della psicologa americana Robin Norwood “Donne che amano troppo”. Tracce di tale tipo di dipendenza si possono rinvenire anche prima, ad opera di altri studiosi. Lo psicanalista Fenichel nel 1945 nel libro Trattato di psicanalisi delle nevrosi e psicosi introduceva il termine amoredipendenti ad indicare persone che necessitano dell’amore come altri necessitano del cibo o della droga.

Nella dipendenza affettiva, l’amore verso l’altro presenta diverse caratteristiche delle dipendenze in generale, pur presentando, rispetto a quest’ultime una differenza sostanziale: essa si sviluppa nei confronti di una persona e ciò la rende più difficile da riconoscere e da contrastare.

Una premessa è d’obbligo: è normale che in una relazione, in particolare durante la fase dell’innamoramento, ci sia un certo grado di dipendenza, il desiderio di “fondersi coll’altro”, ma questo desiderio “fusionale” collo stabilizzarsi della relazione tende a scemare. Nella dipendenza affettiva, invece, il desiderio fusionale perdura inalterato nel tempo ed anzi ci si tende a “fondersi nell’altro”.

Il dipendente dedica completamente tutto sé stesso all’altro, al fine di perseguire esclusivamente il suo benessere e non anche il proprio, come dovrebbe essere in una relazione “sana”. I dipendenti affettivi, solitamente donne, nell’amore vedono la risoluzione dei propri problemi, che spesso hanno origini profonde quali “vuoti affettivi” dell’infanzia. Il partner assume il ruolo di un salvatore , egli diventa lo scopo della loro esistenza, la sua assenza anche temporanea da la sensazione al soggetto di non esistere (DuPont, 1998). Chi è affetto da dipendenza affettiva non riesce a cogliere ed a beneficiare dell’amore nella sua profondità ed intimità. A causa della paura dell’abbandono, della separazione, della solitudine, si tende a negare i propri desideri e bisogni, ci si “maschera” replicando antichi copioni passati, gli stessi che hanno ostacolato la propria crescita personale.

Proprio per questi motivi spesso questo tipo di personalità dipendente si sceglie partner “problematici”, portatori a loro volta di altri tipi di dipendenza (droghe, alcol, gioco d’azzardo, ecc…). Ciò sempre al fine di negare i propri bisogni, perchè l’altro ha bisogno di essere aiutato. Ma è un aiuto “malato” in cui si diventa “codipendenti”, anzi si rafforza la dipendenza dell’altro, perchè possa essere sempre “nostro”. In questi casi la persona non è assolutamente in grado di uscire da una relazione che egli stesso ammette essere senza speranza, insoddisfacente, umiliante e spesso autodistruttiva. Inoltre sviluppa una vera e propria sintomatologia come ansia generalizzata, depressione, insonnia, inappetenza, malinconia, idee ossessive. Quasi sempre c’e incompatibilità d’anima, mancanza di rispetto, progetti di vita diversi se non opposti, bisogni e desideri che non possono essere condivisi, oltre ad essere poco presenti momenti di unione profonda e di soddisfazione reciproca.

Chi è affetto da tale tipo di dipendenza s’identifica con la persona amata. La caratteristica che accomuna tutti i rapporti dei dipendenti da amore è la paura di cambiare. Pieni di timore per ogni cambiamento, essi impediscono lo sviluppo delle capacità individuali e soffocano ogni desiderio e ogni interesse.I dipendenti affettivi sono ossessionati da bisogni irrealizzabili e da aspettative non realistiche. Ritengono che occupandosi sempre dell’altro la loro relazione diventi stabile e durataura. Ma, immancabilmente, le situazioni di delusione e risentimento che si possono verificare li precipitano nella paura che il rapporto non possa essere stabile e duraturo, ed il circolo vizioso riparte, a volte addirittura “amplificato”. Non ci si rende conto che l’amore richiede onesta e integrità personale perché l’amore è un accrescimento reciproco, uno scambio reciproco tra persone che si amano.Gli affetti che comportano paura e dipendenza, tipici della dipendenza affettiva, sono invece destinati a distruggere l’amore. Chi soffre di tale dipendenza è così attento a non ferire l’altro, da non rendersi conto che in questo modo finisce col ferire gravemente sé stesso.

Spesso, anche se non sempre e necessariamente, la persona amata è irraggiungibile per colui o colei che ne dipende. Anzi, in questi casi si può affermare che la dipendenza si fonda sul rifiuto, anzi, se non ci fosse, paradossalmente, il presunto amore non durerebbe. Infatti la dipendenza si alimenta dal rifiuto, dalla negazione di se, dal dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro irrisolvibilità. A questo riguardo Interessanti sono anche le considerazioni della psichiatria Marta Selvini Palazzoli. A suo parere quello che incatena nella dipendenza affettiva è l‘Hybris, vale a dire la ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela. La presunzione di riuscire prima o poi a farsi amare da chi proprio non vuole saperne di amarci o di amarci nel modo in cui noi pretendiamo

Il già citato psicanalista Fenichel è del parere che gli amoredipendenti necessitano enormemente di essere amati nonostante abbiano scarse capicità di amare. Essi elemosinano continuamente dal partner maggior amore ottenendo, però il risultato opposto. Si legano a partner che considerano non adatti a loro, ma nonostante ciò li renda arrabbiati ed infelici non riescono a liberarsi di quest’ultimi.

La dipendenza affettiva colpisce, sopratutto il sesso femminile, in tutte le fascie d’età . Sono donne fragili che, alla continua ricerca di un amore che le gratifichi, si sentono inadeguate.Esse hanno difficoltà a prendere coscienza di loro stesse e del loro diritto al proprio benessere che non hanno ancora imparato che amarsi è non amare troppo, che amarsi è poter stare in una relazione senza dipendere e senza elemosinare attenzioni e continue richieste di conferme.

Attualmente, la dipendenza affettiva, non è stata classificata come patologia nei vari sistemi diagnostici psichiatrici, come il DSM IV e si cerca di farla rientrare nei vari disturbi contemplati in essi, anche se ricerche svolte in questo campo, come quelle di Giddens, la considerano come un disturbo autonomo. Secondo quest’ultimo la dipendenza presenta alcune specifiche caratteristiche: L’”ebbrezza” (il soggetto affettivamente dipendente prova una sensazione di ebbrezza dalla relazione dei partner, che gli è indispensabile per stare bene). La “dose” – il soggetto affettivamente cerca “dosi” sempre maggiori di presenza e di tempo da spendere insieme al partner. La sua mancanza lo getta in uno stato di prostrazione. Il soggetto esiste solo quando c’è l’altro e non basta il suo pensiero a rassicurarlo, ha bisogno di manifestazioni continue e concrete. L’aumento di questa “dose”non di rado esclude la coppia dal resto del mondo. Se la dipendenza è reciproca la coppia si alimenta di se stessa. L’altro è visto come un’ evasione, come l’unica forma di gratificazione della vita. Le normali attività quotidiane sono trascurate quotidianamente. L’unica cosa importante è il tempo trascorso con l’altro perché è la prova della propria esistenza, senza di lui non si esiste, diventa inimmaginabile pensare la propria vita senza l’altro. Tutto ciò rivela un basso grado di autostima, seguito da sentimenti di vergogna e di rimorso. In alcuni momenti si è “lucidi” su questo tipo di relazione con l’altro, s’intuisce che la dipendenza è dannosa ed è necessario farne a meno. Ma subentra la considerazione di essere dipendenti e ciò rafforza il basso livello d’autostima personale e quindi spinge ancora di più verso l’altro che accoglie e perdona, ben felice, talvolta, di possedere. Quindi ogni tentativo di riscatto dalla propria dipendenza muore sul nascere.

A queste caratteristiche comune a tutte le dipendenze, elaborate da Giddens, nè aggiungerei, un’altra, non presente nelle altre dipendenze: la PAURA. Paura ossessiva e fobica di perdere la persona amata, che s’alimenta a dismisura ad ogni piccolo segnale negativo che si percepisce. A volte basta rimanere inaspettatamente soli o non ricevere una telefonata per avere paura di un’abbandono definitivo.

Inoltre nel soggetto affetto da tale tipo di dipendenza è possibile rintracciare una sorta di ambivalenza affettiva che è riassumibile nella massima del poeta latino Ovidio: “Non posso stare nè con tè, nè senza di tè”. “Non posso stare con tè” per il dolore che si prova in seguito alle umiliazioni, maltrattamenti, tradimenti e quant’altro si subisce. “Non posso stare senza di tè” perchè è indicibile la paura e l’angoscia che si prova al solo pensiero di perdere la persona amata.

Riepilogando i sintomi della dipendenza affettiva sono (l’elenco è lungi dall’essere esaustivo):

  • Ossessione dell’altro
  • Paura di perdere l’amore
  • Paura dell’abbandono, della separazione
  • Paura della solitudine e della distanza
  • Paura di mostrarsi per quello che si è
  • Senso di colpa
  • Senso d’inferiorità nei confronti del partner
  • Rancore e Rabbia
  • Coinvolgimento totale e vita sociale limitata
  • Gelosia e possessività

Concluderei con una considerazione:

Un’amore autentico nasce dall’incontro fra due unità e non due metà

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

Invito a visionare il film “Adele H” la storia della prima dipendente affettiva

TESTIMONIANZE PROBLEMATICHE AFFETTIVE VERSO I GENITORI

“I vostri figli non sono figli vostri. Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benchè vivano con voi non vi appartengono. Potete donare loro amore, ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri. Potete rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita procede e non s’attarda sul passato. Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza affinchè le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’arciere; poichè come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco.” KHALIL GIBRAN

 

HO SEMPRE CERCATO L’AFFETTO DI MIA MADRE

Salve mi chiamo Sabrina ed ho 29 anni. Per la prima volta oggi ho letto alcune storie in questo sito e mi è venuto da piangere perché mi ritrovo un pò in ognuna di esse. Cioè per capire meglio bisogna partire da mia nonna… La mia è una famiglia unita per certi versi io voglio bene a loro ma allo stesso tempo provo una rabbia infinita. Tutto inizia da mia nonna o almeno così è per i miei ricordi. Mia nonna è una despota, lei non da affetto o almeno lo da a modo suo cioè tramite i beni materiali, pensa che cucinare, lavare o stirare sia segno di affetto.. Non che dispiaccia ma non è sicuramente affetto.Sta di fatto che questo modo di fare si è trasferito su mia madre e mia madre lo ha fatto a me. Ho una sorella più grande di 3 anni ma lei non è trattata allo stesso modo ed è lo stesso tipo di relazione che vedo tra mia madre, mia nonna e mia zia. Non che mia nonna sia molto affettuosa con mia zia ma sicuramente lo è di più che con mia madre e la stessa cosa accade tra mia madre, mia sorella e me. Oggi ripensavo al perché mi sento rifiutata e sono risalita ad una cosa che mi disse mia madre quando ero piccola, io sono nata 29 anni e 2 giorni dopo il suo compleanno. Il giorno del suo compleanno lei doveva andare a cena fuori con papà ma il dottore la ricoverò perché dovevo nascere a breve e mia madre mi raccontò che pianse perché non voleva andare in clinica il giorno del suo compleanno. Io mi ricordo che le chiesi “mamma ma non eri felice che stavo per nascere io?” lei mi rispose “sì sì” ma non lo disse conconvinzione. Sono cresciuta con la convinzione di essere sbagliata io, di aver fatto qualcosa di male. Tra l’altro mia nonna ha sviluppato un metodo perverso di far sentire in colpa le persone esempio se uno va fuori a cena per lei è una cosa abominevole, perché lei cucina per tutti (mia nonnna abita al piano di sotto), è stata e sarà sempre invadente nella nostra vita, non ha rispetto della privacy della nostra famiglia e questo tipo di metodo perverso l’ho visto anche fare a mia madre proprio su di me…io ero e sono la pecora nera. Mi sarebbe piaciuto andare all’estero a studiare l’inglese ma mia madre mi ha fatto sentire in colpa. Diceva che il la facevo sentire una cattiva madre perché volevo imparare a gestirmi da sola. Con l’andare del tempo il nostro rapporto è peggiorato.. io mi sento sempre sotto accusa da parte sua, mi sento sempre mortificata. Mi rendo conto che anche io ho fatto degli errori, ma chi non li fa? Mi rendo conto che quando si è più piccoli non si pensa al futuro alle cose; in passato ho fatto l’errore di non mettermi nulla da parte però piano piano son riuscita a capire che era ora di fare qualcosa per me, mi sono messa da parte dei soldini ed ho dato l’anticipo per la mia macchina nuova. La cosa che mi dispiace é che lei non mi ha incoraggiato dicendomi “ok hai capito il nostro insegnamento per il futuro” ha puntato il dito urlandomi contro “no non hai capito un tubo se avessi inziato anni fa a quest’ora potevi comprartene 3 di macchine”. Sicuramente ha ragione sul fatto che io ho sbagliato ma mi sembra di aver fatto un miglioramento…ma a lei non basta mai.. Io per lei non sono abbastanza brava, non sono abbastanza intelligente, non sono abbastanza carina, sono una fallita perché ha 29 anni non sono sposata mentre lei alla mia età aveva già due figlie ed inoltre il fatto di avere un lavoro a tempo determinato per lei è un conferma di ulteriore fallimento, io sono una perdigiorno, una cattiva ragazza perché mi piace uscire la sera mentre le brave ragazze escono solo il sabato e con i propri fidanzati.Ho fatto due anni di psicoterapia dopo un periodo di forte depressione, un periodo in cui avevo tentato il suicidio, ed un pò della mia autostima è migliorata, il mio distacco da lei è parzialmente avvenuto anche se quando litighiamo riaffiora tutta la rabbia che ho. So di valere, non è vero che sono una pecora nera, solo perché mi piacciono delle cose diverse dalle sue non significa che siano sbagliate ma mi rendo conto che non sono riuscita a staccarmi completamente. Il mio corpo è spaccato a metà. Ho problemi con l’alimentazione e non solo, mangio soprattutto quando sono nervosa, mangio per sopperire a quella mancanza di cui soffro, quelle rare volte che stiamo in pace lei mi compra le cose ed io dentro di me penso che invece vorrei un semplice abbraccio.Mangio per spegnere quell’ansia che mi avvolge perennemente, mi sveglio la mattina col cuore a 3000, faccio fatica a respirare, mi sento spesso stanca ed ho delle vampate di calore improvvise. Nel giro di un anno ho messo su 20 kg e mi sono rinchiusa in me.Da un mese a questa parte ho deciso di rimettermi a dieta sono andata da un dottore che mi sta seguendo anche se penso che per guarire il fisico prima bisogna guarire l’anima. Cioé in parte mi rendo conto di aver fatto dei progressi, che so di valere, che so di non essere come mi dipinge lei, so di meritare, so che ho dei difetti e che si possono migliorare ed in fondo penso dio disse “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, ma non penso di essere un mostro allora perché ogni volta che litighiamo si attiva quel meccanisco perverso capace di annullare le mie difese e di farmi sentire una nullità? Solo dopo che sfogo la mia rabbia riesco a vedere le cose con lucidità e a dire a me stessa no non è così oppure ok ho sbagliato ma posso rimediare… perché lei punta sempre e solo il dito senza vedere un minimo di buono di bello? In vita mia mi sono sempre sentita inferiore, mia sorella era più brava, era più bella, più intelligente, lei frequentava il liceo mentre io solo un istituto tecnico. Ed ora? Ora lei è sposata da 10 anni, hanno adottato un bambino che adoro ma di cui allo stesso tempo sono gelosa perché lei da a lui tutte le attenzioni e tutte le gratificazioni di questo mondo. Si sono gelosa di mio nipote. Io non mi reputo una fallita perché non ho un figlio, sinceramente non mi sento pronta ad avere una famiglia o forse ho semplicemente paura che il rapporto perverso si possa ripetere, sta di fatto che sono incappata come tutti in storie amorose in cui io davo pur di essere accettata perché dentro di me pensavo dare = ricevere, invece non è così. Ho sempre cercato l’affetto di mia madre in altre persone e quindi i rapporti con l’altro sesso erano un disperato bisogno di affetto, da quando sono andata in psicoterapia sono riuscita ad amarmi un pò di più e a non traslare sui rapporti amorosi la mancanza di affetto di mia madre, ma ancora oggi ho difficoltà col cibo, sto seguendo la dieta ma a volte ho dei raptus di fame notturna ed inoltre quest’ansia terribile che non mi lascia mai. Insomma come posso fare ad avere un rapporto più sereno con me stessa? Come faccio a tagliare definitivamente questo cordone ombelicale? Grazie mille e scusate per le troppe parole

MARITO E PADRE

Gianluca Età: 25 Sono un ragazzo di 25 anni e mi sento molto legato all amia famiglia. Mio padre (65 anni) però sta diventanto sempre più nervoso, litiga sul lavoro e con amici ma soprattutto in casa. Mio fratello lavora con lui (ed è un ottimo ragazzo) ma quello che fa non va mai bene, dice anche alla gente che non è capace di lavorare e non impara niente. Inoltre da quando si è sposato mio fratello non ha mai accettato sua moglie (lei ha sì più carattere di mio fratello ma posso garantire è una bravissima ragazza) dicendo che lui fa tutto quello che vuole lei. Con me si arrabbia per cretinate, l’ultima volta davanti ad amici di famiglia, rinfacciandomi che ho più dei miei amici ecc… Io non ho nessun vizio, non sono mai stato richiamato, non ho mai avuto problemidi nessun genere, non vesto firmato e non sono spendaccione e spesso quando sono in discoteca, a 25 anni, devo chiedere ai miei amici di tornare a casa per paura di tornare troppo tardi ed essere richiamato. Ad essere sincero sono arrivato al punto che devo fare le cose prevedendo di che cosa si potrà lamentare di lì a poco perché non gli va mai bene nulla, e non è un bel vivere. Ma la cosa tragica è che ad ogni litigio accusa mia madre, dice che noi non gli portiamo rispetto per colpa sua, se facciamo una cosa che non gli va bene è colpa sua…e noi non facciamo mai nulla di male, e mia madre è una santa perché manda giù in silenzio tutto quello che dice. Ultimamente sta andando inpensione e, credo, gli roda anche il fatto che io e mio fratello siamo diventati autonomi, non abbiamo bisogno di lui, se si litiga, neanche per isoldi. Lui è sempre stato felice del fatto di essere indispensabile per tutto (mia madre non lavora) e ad ogni occasione ci rinfaccia il fatto di essere benestante. E quando litighiamo è arrivato al punto di dire che vogliamo che muoia (ha avuto problemi di cuore e quando si litiga si infuria letteralmente). Ad ogni modo ultimamente è diventato sempre più difficile portare pazienza, si arrabbia per tutto e minaccia di andare a stare via (ha investito in unappartamento da restaurare per farne una compra-vendita e minaccia di andare a stare là. Ho pensato che potesse avere un’amante… in passato può darsi che abbia avuto qualche scappatella, ma negli ultimi anni è uscito sempre meno la sera e adesso non esce quasi più…non so quindi dire…Io non so che fare, se fregarmene o cosa, vorrei solo che fosse sereno e non avrebbe nulla da lamentarsi: non ci sono problemi economici, ha una moglie perfetta e 2 figli che sono bravi ragazzi e che non hanno mai dato problemi…

DIPENDENZA AFFETTIVA VERSO MIA MADRE

Caro Dottore, sono un paio di giorni che sono venuta a conoscenza del vostro sito e del vostro lavoro. Ho 36 anni, sono un’insegnante di scuola media e mi sto specializzando nel sostegno ai ragazzi diversamente abili. Credo, anzi ne sono sicura, di soffrire di dipendenza affettiva, prima di tutto nei confronti di mia madre. Sono l’ultima di 4 figli, nata quando mia madre aveva quasi 40 anni, e nata nel periodo in cui mia madre veniva a conoscenza di una situazione lavorativa ed economica a dir poco disastrosa di mio padre.
Ho risentito fortemente, fin da piccolissima, del fatto che, “se se ne fosse accorta prima, non avrebbe concepito il terzo figlio”.
Sono cresciuta in maniera triste, ricordo il mutismo e lo stato di tensione dei miei, mio padre a volte urlava, mia madre piangeva in silenzio, la vedevo tutta rossa in viso e, se chiedevo spiegazioni, mi si rispondeva in maniera evasiva.
Avevo paura di questi stati di tensione violentissima, violentissima dentro di me, almeno, perché la maggior parte delle volte, evitavano di discutere per non turbare noi bambini, senza sapere che i bambini capiscono la tragedia anche da un semplice dettaglio.siamo sempre stati ritenuti una famiglia modello, di livello medio-alto, la nostra situazione economica è sempre dovuta rimanere all’interno delle mura domestiche, niente doveva trapelare, nessuno doveva sapere,e per ottenere ciò, si doveva vedere meno gente possibile. Ogni volta che volevo andare a giocare o studiare a casa di qualche compagna di scuola, si cercava una scusa per non mandarmi oppure mi veniva dato il permesso ma in un alone di mistero e dubbio. insopportabile!
Ricordo la mia infanzia con un papà sempre preoccupato e frettoloso ed una mamma rigida e sempre assorta nei pensieri, preoccupata, lo è anche adesso, di dover far fronte a tutte le necessità domestiche, limitate dal suo lavoro di impiegata statale. Non ha mai frequentato amiche, l’unica persona che veniva a
trovarci era la sorella di mio padre che, conoscendo la situazione, cercava di portarmi via per due tre giorni e farmi “respirare” un po’ nella sua casa di campagna, con il suo cane. E’ morta prima che potessi dirle grazie dei momenti di serenità che mi regalava; avevo 13 anni.
La mia adolescenza si è manifestata come quella di tante altre ragazzine, ma non ho mai avuto occasione di confrontarmi con mia madre o con mio padre. Ogni segnale tipico dell’età veniva represso bruscamente, non c’è stato mai un dialogo o una spiegazione esaustiva di quello che stessi vivendo e mi veniva anche limitata la frequenza di coetanei, per non “prendere una cattiva strada”.
Non parliamo poi della scelta del corso di studi e lavorativa!
Sono stata obbligata a studiare il pianoforte e a frequentare l’istituto magistrale, come le donne di un tempo. Detestavo il pianoforte e, ancora di più l’insegnante, che mi dava le pennate sulle dita per correggerne la posizione e poi volevo frequentare il liceo linguistico.
L’esame di maturità andò piuttosto male, uscii con il voto minimo e mia madre mi disse che “non valevo niente”, mentre i miei fratelli maggiori si erano licenziati con il massimo e frequentavano già brillantemente l’università. Ora sono due ottimi professionisti. A venti anni cercai di prendere la situazione in mano, opponendomi alla prosecuzione dello studio del pianoforte e intrapresi quella dell’organo liturgico. Entrai in conservatorio, comprai lo strumento con i primi tre stipendi di supplente di scuola materna, e iniziai a studiare sodo.
Purtroppo ho avuto la sfortuna di incontrare un maestro introverso e ansioso e, oltretutto, mentre mi accingevo a preparare l’esame finale di diploma, ho dovuto combattere, per un anno circa, contro il cancro. Ho vinto io, sono stata più maligna di lui!era il 2000, mi sono diplomata all’inizio del 2002.
Nel frattempo mi sono fidanzata con un ragazzo più giovane di me di 5 anni. Una
storia durata 8 lunghi anni di assoluta dedizione e tirannia e conclusasi qualche mese fa, terminata sulle macerie di un carattere dipendente, il mio, e uno prepotente e capriccioso, il suo.
Ho passato momenti bui, sia con lui, sia dopo la fine della nostra storia.
Quando i miei hanno saputo i retroscena della nostra relazione, mi hanno aspramente rimproverata, forse anche amata, non so, ma tutto quello che sono riusciti a dirmi è stato: “quanto sei stupida, ma come hai fatto a sopportare tutto questo?”.
Accidenti, veramente, come ho fatto a sopportare tutto questo e tutto il resto per 34 anni?
Dopo la fine della relazione mi sono buttata a capofitto sullo studio, ho conseguito la laurea abilitante per l’insegnamento della musica nelle scuole medie e mi sono iscritta al corso di specializzazione, che tuttora frequento, per docenti di sostegno.nel frattempo, dal 1994 ho sempre lavorato come supplente nella scuola materna ed elementare, facendo salti mortali per arrivare a tutto, sempre correndo per due province per raggiungere le scuole in cui lavoravo e il conservatorio. Stavo fuori tutto il giorno, mangiavo in macchina a 130 Km /h in corsia di sorpasso, per arrivare puntuale…Dio solo sa come ho fatto e quanto ho rischiato. Ogni sera rientravo a casa e i miei mi accoglievano con un radioso sorriso lodandomi per aver sputato sangue, mi si perdoni l’espressione, anche per quel giorno. Quanto ero brava!!!
Quest’anno, con l’arrivo dell’estate, e sospesi gli impegni per circa un mese, ho ritenuto opportuno riposarmi e svagarmi. Sono single, è finito l’incubo della “vacanza” al mare con tutta la sacra famiglia del mio ex fidanzato che non mi risparmiava di cucinare e badare alla casa ecc, ecc, pensavo di poter concedermi un momento mio. Ritrovata la serenità pensavo di poter liberamente uscire la sera con gli amici, con le amiche, anche con un solo amico, perché no.
Pensavo…mia madre ha iniziato la sua battaglia contro tutto questo. Forse mi vede fragile, forse mi teme preda di malintenzionati, forse mi vede un po’ troppo di aspetto “gradevole” per non essere importunata. Un ragazza perbene non esce la sera,non sta bene uscire la sera, la strada è piena di pericoli, una ragazza perbene esce il pomeriggio, chiama casa per rassicurare gli anziani genitori, anche quando sta fuori con gli amici e non vuole pensare ad altro che ad un momento di relax. Ha insinuato anche che sono una sgualdrina…!
E’ arrivata a chiamarmi di sera per sapere dove fossi e rimproverarmi per l’ora tarda (mezzanotte e mezza). Ora è una settimana che non mi rivolge la parola o lo fa molto malvolentieri,ed io è quasi una settimana che mi sono chiusa in camera per non vederla. Una tortura!. Ho rifiutato di uscire con chiunque per non avere ulteriori discussioni, esco solo per accompagnarla a fare la spesa e mi sento a pezzi. Non riesco a reagire, non provo neanche a farle capire che ho bisogno di svago, accetto solo passivamente il suo broncio e il suo piangere silenzioso, che mi ricorda tanto quello che vedevo da bambina.
Ho provato a sfogarmi con i miei fratelli (entrambi sposati, quindi ritenuti “giusti e perbene”), mi dicono di ignorare, di stare tranquilla e di capire e, nel caso, di spegnere il telefono quando sono fuori.
Non ci riesco. Non posso ignorare, sto morendo di sensi di colpa, perché faccio stare male mia madre, ma mi rendo conto che il mio comportamento è assolutamente normale, non mi sembra di esagerare, ho amicizie fidatissime, sono tutti colleghi e compagni di corso. Però, ora non riesco a godermi niente.
Ogni movimento, ogni respiro, dipende dal suo stato d’animo e sto male, anche fisicamente, provo un profondo dolore…
Caro dottore, non so se questo mio sfogo avrà, da parte sua, una risposta.
Voglio comunque ringraziarLa, anche per la sola attenzione nel leggere la mia mail. La saluto cordialmente.

LA MAMMA NON SEMPRE E’ LA MAMMA

Vorrei raccontare la mia storia,spero di non annoiare nessuno,ma devo smentire il detto la mammma è sempre la mamma.Da quando sono nata,più di 40 anni fà,non sono stata mai accettata da mia madre.Non ho mai avuto un abbraccio o un bacio,meglio così sarebbero stati di Giuda.Non parliamo poi di un complimento…Mia madre ha qavuto sempre un debole per mia sorella,non facendo niente per nasconderlo.io ero un pò più rotondetta di mia sorella e mia madre faceva di tutto per metterlo in evidenza quando eravamo in un negozio per acquistare abiti, dicendo che era un piacere vestire mia sorella.Si vantava dei ragazzi che gironzolavano attorno a mia sorella,io non li avrei voluti neanche se ultimi sulla terra e così credendomi una stupidas tramava alle mie spalle elemosinando un fidanzato per me:Ma io srtupida non sono ,e quindi capivo ed evitavo,non stò qui a dire che elementi.Una volta ero fuori città,per degli esami,sono stata molto male e allora hanno chiamato mia madre ma lei non è venuta, sono stata assistita da alcune amiche. Finalmente sono dimagrita,mi sono sposata un bravo ragazzo,colto ,laureato e un buon lavoro.Non è servito a niente,non stò a dire quello che dice su mio marito, ovviamente il migliore è il marito di mia soprella e quando ci invita a pranzo,a lui fa la porzione più grande e migliore .Sono stata operata tempo fa, ho avuto una convalescenza bruttina,mia madre ha aiutato mia sorella perchè lavora,mentre io sono stata lasciata sola.Ci sarebbe mille e mille storie ancora da raccontare,concludo dicendo che tutto quello che faccio è sbagliato,quello che compro è brutto,non so fare niente.Ma io sinceramente ho stima di me stessa,di mio marito e amore ed entusiasmo per me e la mia famiglia,soprattutto non potri mai amare dipiù uno dei miei figlia discapito dell’altro.Accetto i miei figli per quello che sono e soprattutto cerco di dare loro l’affetto che non ho mai avuto,essendo anche molto severa quando occorre, forse delle volte anche troppo,però dopo dimostro loro sempre più affetto.Grazie per l’opportunità datami,delle volte anche questi sfoghi possono alleviare qualche sofferenza.

PERDONARE I PROPRI GENITORI

manuel Età: 45 Ho ascoltato in televisione,purtroppo solo la parte finale, un commento del dott. Cavaliere che invitava un’ospite del programma rai “ricomincio da qui”, a perdonare i propri genitori se non l’hanno mai amata xkè anke loro non lo sono mai stati etc. etc.io ho vissuto una storia analoga, non ricordo d’aver avuto MAI una carezza, un gesto d’affetto,un bacio, dai miei genitori. solo e solo violenza, umiliazioni e tutto quello ke mi ha portato ad essere una xsona incapace d’amare oltre se stesso, anke ki mi sta intorno. avevano fatto di me un uomo così sterile…arido, ke mi infastidiva addirittura se una xsona mi diceva qualcosa di bello, o se manifestava affetto nei miei confronti. sono stanco di sentir dire di xdonare i propri carnefici…o peggio ke in fin dei conti sono i tuoi genitori o fregnacce varie. ho l’impressione ke si tenda sempre a giustificare “loro” e mai una parola di comprensione x noi VITTIME!!sono undici anni ke faccio psicoanalisi, e solo grazie alla mia dottoressa e non ai miei genitori se oggi sono capace di amarmi…di rispettarmi…di essere più indulgente con me.è grazie alla mia dottoressa, e non ai miei genitori, se ho imparato ad amare mio figlio. ho spezzato quella catena di violenza ( e non è stato facile )ke x buona parte della mia vita mi hanno condizionato…avevo paura del buio e non avevo il coraggio di alzarmi la notte x andare in bagno, o bere se mi veniva sete e sto parlando di un’età adulta.avrei tantissime altre cose da raccontare….oggi sono una xsona serena…veramente serena…ma non grazie ai miei genitori. scusate il mio sfogo. manuel.

MIO PAPA’ NON MI LASCIA VIVERE ?

Caro dottore, sono Alice, (riferimento “dipendenza, codipendenza?”), le raccontavo come ora che ho trovato un nuovo ragazzo che mi sta al fianco, si ripresentino le stesse reazioni in me…le stesse che avevo con il primo ragazzo col quale sono stata 10 anni. Le raccontavo che ho vissuto dai 5 anni in poi con mio padre (ammalato –è in dialisi- e dipendente da me, che mi ha cresciuta e non si è più rifatto una vita, per il quale io ero l’aria, che è in forte depressione da anni e moltissimo da quando non vivo più con lui –due anni- e non manca di farmi sentire in colpa e di dirmi che la sua vita non ha più senso – con il quale negli anni non sono più riuscita a parlare perché avevo e ho dentro un blocco assurdo- nonostante gli voglia un bene dell’anima) mentre mia madre faceva la sua vita assurda (droga, soldi, uomini, inganni…cose “losche” ti tutti i tipi che ricadevano anche su di me mettendomi in pericolo) in giro per il mondo per riapparire ogni tanto (mamma che ora invece ogni tre quattro settimane mi viene a trovare). Le raccontavo del rapporto simbiotico con il mio ex ragazzo, che mi è sempre stato al fianco vivendo tutti i miei problemi anche lui, e con quale ho iniziato a non capire più i miei sentimenti dopo dieci anni, volendolo e non volendolo, non riuscendo più a capire i miei sentimenti visto che un giorno lo amavo il giorno dopo volevo scappare via. Ora sto con questo nuovo ragazzo che viene dalla spagna per me. Ora lo sento, non sono più la stessa persona……sono stata così tanto male che sono cambiata….prima piangevo sempre quando stavo male…..ora le lacrime se ne stanno tutte rinchiuse dentro di me e faccio fatica a piangere (e questo è molto negativo perché solo piangendo riesco a buttare fuori il male che sento…e farlo passare……). Prima parlavo sempre dei miei genitori…..ora faccio fatica ma così è peggio…… ho tante cose in sospeso con loro da risolvere, lo sento che è così…… mia mamma ….non riesco a volerle bene…..o meglio……le voglio così tanto bene che preferisco fare finta che lei non ci sia…. E quando la vedo mi chiudo come un riccio e non riesco a dimostrarle quanto bene le voglio……come faccio ? Come faccio..? per dirle che le voglio bene dovrei dirle anche “cosa stai facendo?” “perché fai tante cose cattive?” “cosa c’è che ancora non so?” “cosa sta succedendo?” “stai bene per davvero o come al solito stai facendo finta?” “quale bugia mi stai raccontando oggi?”…….. etc etc Perchè ormai, dopo un’infanzia ad ascoltare e vivere le sue bugie, ora mi basta guardarla per sentire che è successo qualcosa che io non so, che sta male, che è nei casini, ma non può dire niente. E poi…… “ma perché a volte mi hai fatto così male quando ero piccola?” “ma allora non mi volevi bene?” etc etc…… Tutto questo lo devo tenere ben nascosto dentro di me, ma tutte queste domande continuano a bussare alla mia testolina…..e io le rimando giù facendo finta di niente……. Mio papà…….devo fare finta di non sapere che non sta bene, che non è felice, che gli manco, che è depresso……..devo fare finta di non pensare alla sua espressione triste, di una tristezza lancinante, che ha quando vado via dopo essere passata da casa sua a salutarlo…..devo fare finta che starà bene in eterno e che la sua salute migliorerà e che sarà sempre al mio fianco. Con il mio ex parlavo sempre di tutto questo……mi vedeva sempre piangere e sempre mi consolava…siamo cresciuti così. Quando ci siamo lasciati perdevo la persona che avevo amato, la persona che mi aveva sempre sorretta, la persona che conosceva tutto questo di me. Mi sono chiusa come un riccio…….mi sono ritrovata sola in questa casa enorme piena di 1500 ricordi (la casa dove avevo vissuto un anno con il mio ex) a tu per tu con mia mamma e mio papà che ora accorrevano perché volevano starmi vicino in tutti i modi. E mentre prima c’era sempre un intermediario (il mio ex) che riusciva a fare in modo che io mi aprissi un po’ con mio padre, che mediava un po’, ora c’ero solo io…..già non parlavo più con mio padre da tanto tempo…..o meglio parlavo sì, ma poco, pochissimo, e da mesi e mesi non riuscivo più a guardarlo in viso….mi ha fatta sempre sentire sbagliata e in colpa……sbagliata se dipingevo (“cosa dipingi a fare, non sei di certo Van Gogh”), sbagliata se facevo fotografie (“cosa fotografi a fare che non concludi niente”), sbagliata se volevo stare da sola con il mio ragazzo(“e a me non pensi vero? brava brava lascia il vecchi sempre solo”) , sbagliata se andavo a ballare (“non hai niente di meglio da fare”) , sbagliata se mi vestivo un po’ più da donna, magari solo perché avevo lo smalto sulle unghie (“sembri una puttana come tua madre”)……in tutti i modi cercava di sopprimere la mia voglia di vivere……..ma perché? aveva paura che se vivevo “da sola” le mie passioni, allora mi sarei allontanata da lui? E poi mi faceva sentire sempre in colpa, in colpa perché non stavo con lui, ora in colpa perché l’ho lasciato solo, in colpa se mia madre mi riportava a casa tardi al week end (ma perché? era colpa mia? avevo 6 anni…avevo 10 anni….), in colpa se rispondevo male ( oltre ad arrabbiarsi come un normale genitore farebbe, lui stava seduto sul divano per tre giorni senza togliere lo sguardo dalla televisione spenta e senza più parlarmi….e dopo questi tre giorni il quarto giorno veniva a dirmi qualcosa di normale come niente fosse successo). Quando io e il mio ex andavamo in ferie partivamo sentendoci male perché diceva (“bravi bravi, si si, speriamo che un giorno non tornate che io non ci sono più”). E poi mi faceva sentire sbagliata…..sbagliata perché mi sono chiusa per anni in camera mia, sbagliata perché non parlavo tanto con lui, sbagliata se mi confidavo più con mia mamma che con lui, sbagliata se non convincevo mia mamma ad essere puntuale quando mi riportava a casa (fino a tagliarsi i polsi un giorno per farmi sentire in colpa, e aspettando che me ne accorgessi da sola, sempre sul divano fissando la televisione spenta). Era normale che mi chiudessi in camera mia no? Vivevo tra storie di avvocati, di presunti rapitori, di presunte persone che mi volevano fare male, di litigi fra lui e mia mamma, di casini con le banche a causa di mia mamma……di lui che si tagliava i polsi se mia mamma ritardava a portarmi a casa, di lui che stava come un vegetale tre giorni davanti alla tv per farmi sentire la causa del suo malessere perenne (avevo 10 anni! o 6! o 12! o 15!) e la bambina più malvagia della terra. Poi è merito suo se sono sana, se ho un’educazione, se ho dei principi morali, mi ha cresciuta e ha dato la sua vita per me! Io gli voglio un bene dell’anima! Ho passato la mia adolescenza a piangere per lui o per mia mamma! Ho passato metà del tempo con il mio ex a parlare di mio padre in camera mia. Mi ha fatto sentire sbagliata perfino con il mio ragazzo…ogni volta che parlava con lui diceva cose come “ah…pensaci tu con lei, perché non è tanto normale sai…”, oppure “auguri, speriamo che a te vada meglio”, come per dire che lui con me non riusciva a stare e augurava al mio ragazzo di riuscire a combinare qualcosa di buono con me. L’ha fatto anche con il mio attuale ragazzo la seconda volta che l’ha visto. Eppure mi vuole un bene dell’anima mio padre! Mi ha sempre offesa…..sempre fatta sentire una scema…..scema perché non ricordavo le scadenze per l’assicurazione della macchina o perché perdevo qualcosa. Perché non sono perfetta. Infondo vivo da sola da due anni e la macchina è l’unica cosa su cui mi perdo un po’. Per tutto il resto non ho mai chiesto aiuto, e non lo voglio…..eppure mi offende sempre. E’ il suo modo distorto di farti capire che senza di lui non devo stare, che lui è indispensabile e io non sono nessuno. Poi è buonissimo di cuore, ma ha dentro questo meccanismo assurdo. Quando avevo 15 – 16 –17 anni sono scappata di casa tante volte e non sapevo dove andare. Se andavo da mia mamma era peggio…. Così vagavo per ore nei posti più impensati e tornavo. Oppure avevo scatti di rabbia verso di lui, arrivavamo a litigare così forte che io urlavo così tanto che mi facevano male le corde vocali per giorni, oppure a volte lui per vendetta staccava tutti i miei quadri (dipingo) dai muri rovinandoli e li accatastava per terra, oppure una volta ha preso tutti i fiori secchi (che io avevo seccato per anni) che c’erano in casa e li ha distrutti tutti dentro ad un sacchetto…a volte interveniva il mio ragazzo a fermarlo…..una volta mi ha picchiata così forte sulla testa e sulle mani con non ricordo quale oggetto che avevo i lividi il giorno dopo (questo per fortuna è successo una sola volta, la seconda ho chiamato i carabinieri, avevo 15 anni)………a volte perdeva il controllo e aveva questi scatti assurdi di rabbia. E a volte per reazione io avevo la stessa rabbia verso di lui, sbattevo i piatti sui muri e mi chiudevo in camera sbattendo così forte la porta che cadevano tutti i quadri alle pareti. Non capivo cosa mi succedeva, non ricordo nemmeno, ma tutti questi litigi nascevano sempre perché lui mi faceva sempre sentire male…..faceva sempre l’arrabbiato, sempre l’offeso. Qualsiasi cosa facessi o dicessi non andava mai bene niente. Offendeva anche il mio ragazzo, che era succube di lui. E quando io lo vedevo succube andavo su tutte le furie. Abbiamo passato dieci anni assieme (dai 17 ai 27) sempre in tre, in tre davanti alla tv, in tre al week end (nel senso che anche se soli, dovevamo sempre preoccuparci per lui, in tre ogni sera quando il mio ragazzo veniva a trovarmi). Faceva sentire in colpa anche lui. Con telefonate, minacce, parole offensive, tanto che dopo anni il mio ragazzo è arrivato un giorno a dirgli “brutto vecchio di m – ” e quasi non stava per alzargli le mani. Perché per l’ennesima volta aveva finto di stare male per attirare l’attenzione, noi eravamo corsi come due stupidi con la macchina chiedendo aiuto anche a mia zia e mio zio (visto che eravamo a trenta chilometri da casa), e quando siamo arrivati a casa (con mia zia e mio zio già li), ci ha detto, anche al mio ragazzo, che eravamo degli s – , che di lui non ci importava niente, che la prossima volta che chiamavamo i miei zii in aiuto ce l’avrebbe fatta pagare, che prima o poi la vita gira e che prima o poi sarebbe successo qualcosa di brutto anche a noi, e che era meglio che andavamo fuori dai c – e da casa sua. Quando io e il mio ex siamo andati a vivere insieme non ci ha più fatto vivere. Sempre sensi di colpa, sempre offese. Però quando le vivevo non mi rendevo conto che non erano normali….. Ora, pochi giorni fa, il dottore dell’ospedale (mio papà fa la dialisi) ha detto a mio padre che è meglio che vada da uno psicologo perché ha degli scatti di rabbia (non ha atti violenti ma una rabbia che rasenta la violenza) con la gente non normali, e voleva anche parlare con me. Io so perfettamente quali sono questi scatti di rabbia…è come se lui fosse arrabbiato con tutto il mondo, come se tutto il mondo l’avesse ferito e lui dovesse vendicarsi prima o poi e offendere tutti. Io lo capisco…..ha dato la sua vita per me, mi ha difesa da mia mamma, dai pericoli, ha avuto un esaurimento nervoso per questo, e ora la sua unica figlia non gli parla quasi più e si isola da lui…e lui non ha nessun altro, è in dialisi, quasi non ci vede (ha un difetto di vista che quasi rasenta la cecità – per fortuna ci vede ancora), continua a dire che la sua vita è come quella di una pianta…. Ora il mio nuovo ragazzo vive con me (per poco, sta cercando un suo appartamento), e io non capisco i miei sentimenti verso di lui per l’ennesima volta….oscillo tra amore e vuoto (non lo voglio più?). A mio padre ho cercato sempre di non dire che viveva con me. Lo tengo alla larga e quando mi fa domande sul mio nuovo ragazzo mi chiudo, mi arrabbio, non rispondo. Capisce perché lo tengo così alla larga? Lo tengo lontano. Mi sono creata la mia barriera attorno. Ho paura che faccia la stessa cosa un\’altra volta e io non lo posso aiutare. E sto tanto male! Io gli voglio bene, tanto, ma non posso! L’altro giorno mi ha chiesto “allora avete già cenato?”, quindi alludeva al fatto che io avevo cenato in casa con il mio ragazzo, che vive con me. Io non ho risposto, mi sono innervosita. Appena tenta di allungare una mano verso la mia vita privata io alzo la barriera. La prossima domanda sarebbe: “beh possibile che non avete un po’ di tempo per me?”. Il giorno dopo in effetti mi ha detto, triste, depresso, con il corpo ricurvo “…VENITE a trovarmi qualche volta……”…..senza nemmeno salutarmi quando sono uscita da casa sua dopo essere andata a trovarlo da sola. Ancora sensi di colpa….. E non posso fare diversamente. Mi sento di nuovo minacciata. Lui va velocissimo……se lascio fare….in una settimana mi ritrovo come due anni fa con il mio ex. Sembra quasi che voglia allontanare da me un possibile fidanzato perché infondo infondo è un rivale, perché se non ho il fidanzato allora mi ha tutta per sé. Appena mi sono lasciata con il mio ex ce l’avevo sempre addosso…..sempre li che mi voleva aiutare….ovviamente mi ha anche detto che se volevo tornare a casa la porta era aperta. Non posso farci niente……e questa mia chiusura necessaria mi fa male, malissimo……..non riesco a lasciarmi andare a niente….non posso buttarmi fra le braccia del mio ragazzo, perché è come se avessi altre due braccia che mi tirano dall’altra parte……!! Tutto questo mi fa sentire come in una gabbia….non posso vivere liberamente, e se vivo mi sento in colpa…..quando ho presentato il mio nuovo ragazzo a lui mi sentivo malissimo, mi sentivo come una bambina di 3 anni che presenta a suo padre il suo fidanzato di peluches, insomma mi sentivo come se mio padre pensasse già che anche questa storia non durerà, perché io non me la merito, che finalmente può parlare con il mio nuovo ragazzo visto che io non lo capisco (era questo l’atteggiamento che teneva con il mio ex), che invece con lui potrà far capire il suo dolore e la sua solitudine….lui non mi fa sentire una donna che gli presenta il suo uomo, mi fa sentire una bambina appena nata. Mi sento in una gabbia dove gli uccellini invece di essere due (io e il mio ragazzo) sono tre. Un rapporto a tre, un caos. Quando gliel’ho presentato avevo tutto il corpo che gridava all’impazzata, mi sentivo come ricatturata dentro ad un vortice che non so gestire. Perché da un lato ho voglia che lui lo conosca perché sono orgogliosa di lui, dal’altro mi sento come se lui pensasse che comunque io sono una poveretta e quindi la nostra storia non durerà. Con il mio ragazzo non ho quasi mai parlato di tutto questo, ma ieri l’ho fatto……perché era come se mancava un pezzo….è inutile che a lui io faccia vedere solo io mio lato bello, felice, allegro, matto, nervoso, duro, spontaneo, sensibile, se non conosce anche quello triste e tutto quello che sta dietro. Mi sento sempre insoddisfatta della vita…….sempre che non so cosa mi manca per essere felice……sempre che sento che ho un buco dentro che deve essere colmato e non so da cosa. Ecco, probabilmente ho un conto in sospeso con il passato e finchè non riparo questo, allora ogni tanto avrò sempre la voglia di fuggire via in qualche viaggio e magari dirò che voglio andarci da sola per ritrovarmi…….. in realtà non devo ritrovare niente, devo solo accettare tutta una serie di cose che mi sono successe e che ho vissuto e di affetto che mi è mancato e trovare una spiegazione. E vorrei tanto un giorno sentire qualcuno che mi dica: ALICE, FINALMENTE, NON CI SONO PIU’ PROBLEMI. Tuo papà è felice, non ha problemi psicologici, non l’hai abbandonato tu, non sta male, tua mamma è serena e quindi tu stai tranquilla e sentiti felice. Ho regalato la scorsa settimana un cagnolino a mio papà, dopo anni mi sono decisa, penso gli faccia bene, lo aiuti in tutti i sensi. Probabilmente ho regalato il cane a mio papà più per placare i miei sensi di colpa che per farlo felice. Ma quanto tempo impiegherà per rinfacciarmelo? Poco, pochissimo, già mi ha detto che “così non penso più a lui”. Ho sempre pensato, finita la storia con il mio ex, che quando avrei incontrato un nuovo ragazzo, che non sarebbe stato necessario raccontargli queste cose del mio passato con i miei genitori. Che il passato era passato e finalmente potevo cominciare una nuova storia senza questo peso. Invece no! Una volta ho letto una frase bellissima che diceva: “la storia d’amore più bella è quella che nasce su un treno, nel quale tutto il passato è lasciato indietro e quello che conta è solo il viaggio”. Ma come si fa? E, in tutto questo, io non capisco più niente dei sentimenti che provo per il mio ragazzo, vedo che non sono capace di sentirmi bene se vivo con lui, mi sento ingabbiata….c’è qualcosa che non và….. E con mio papà non so cosa fare….scappare per il mondo non serve a niente…..è lui che non mi lascia vivere o sono io che non sono capace di capirlo? Ci provo in tutti i modi, gli dimostro il mio volergli bene a tentoni ma poi mi ritiro nel guscio perché lui mi investe di sensi di colpa e non mi lascia più……..non posso mai vivere libera….mi sento sempre la mente obbligata ad andare a lui….del resto ha solo me! (e ha dato tutto per me) Grazie, Alice.. scusi per il “papiro”….

 

PROBLEMATICHE CON LA MIA FAMIGLIA

Caterina Età: 49 Vorrei esporre la mia situazione sul blog perché vorrai delle opinione di persone italiane (io vivo in Francia e mi scuso in anticipo per gli errori d’italiano, ho perso l’abitudine di scrivere nella mia lingua). Sono una donna adulta di quasi 50 anni , mamma felice di un maschietto di 8 anni . La mia coppia si é distrutta quando ero incinta del piccolo. Abbiamo fatto la scelta di coabitare per non imporre la separazione al bimbo, non é stato facile ma per il momento ce la facciamo. Questa é la mia situazione attuale. Il problema piu’ grosso e che mi avvelena il quotidiano (già un po’ complicato) é la mia famiglia che vive aMilano. IO ho molto sofferto (adolescente ribelle ma maltrattata e picchiata) ,ho fatto delle fughe, ho anche preso 10 aspirine per potere andare all’ospedale e chiedere aiuto hai medici ; POI A 18 ANNI E TRE GIORNI ME NE SONO ANDATA DA CASA e da quel giorno ho vissuto da un lato normalmente ma dall’altro sempre cercando di dimenticare i miei genitori. Ho una sorella piu’ giovane di me (quasi 12 anni meno di me) che lei non ha vissuto le stesse cose, che ha una relazione intensa e invaissante con i genitori (é andata fuori di casa solo da 4 anni e perché si é sposata). E mia madre andava a trovarla tutti i giorni anche se lei gli diceva di no.Adesso mia madre é ammalata , ha bisogno di assistenza e mia sorella che non lavora da quando ha suo figlio (9 mesi) si occupa di lei ma non ce la fa piu’ e vorrebbe che io andassi in italia ad aiutarla e per farla partire un po’ in vacanza; Ora io non posso et non voglio andarci. Quindi oggi abbiamo litigato (era inevitabile). Certo vi sembrero’ egoista ma ho l’impressione che ho passato i 32 anni in francia ha dimenticare quello che ho subito e che mia sorella ignora perché é piu’ semplice. Rimpiango anche di non avere chiuso i ponti anche con lei. Per me ,andare in italia é una sofferenza, ogni volta che li andavo a trovare per fargli vedere il nipotino mi ci volevano dei mesi per rimettermi, Idem quando mia sorella veniva in francia e si portava dietro mia madre. Inutile di parlare a mia sorella. Ho un po’ di problemi di salute che sono provocati partialmente par queste situazioni. Anche se non vado in italia colpabilizzo per il fatto di non potere amare mia madre e di non precipitarmi in italia come tutta figlia normale dovrebbe fare. IO non posso e dunquesoffro. Scusatemi per lo sfogo ciao a tutti

 

Dott.ssa Rosalia Cipollina

MA SE IL CUORE NON CE LA FA…?

Da “Ma se il cuore non ce la fa…?” (forum “Dipendenze Affettive”)

Argomento: codipendenza Autore: Marrifede

Ho bisogno di condividere con voi ciò che provo e che mi ha portato a fare una cosa che non ha nessuna coerenza con la lotta che sto combattendo da mesi…
Ma se è accaduto, se sento queste cose, è meglio che io le ammetta e le affronti per tentare di capirmi ancora di più, e di riuscire una volta di più a fare qualcosa per il mio bene…

Dopo tanti giorni di silenzio, lunedì scorso il mio ex si era fatto sentire.
Io il telefono lo spengo sempre di più, ma non l’ho mai spento del tutto.
Ogni giorno almeno una volta lo accendo.
Così mi aveva detto di essere stato via 15 giorni da solo, in moto, la moglie e la figlia in vacanza da un’altra parte, lui a cercare di ritrovarsi un po’… Mi aveva chiesto di vederci e gli avevo detto di no.
Mercoledì e giovedì sono andata al mare io, con sorella e nipotini, sperando che mi passasse un po’ il pensiero di lui.
Perchè c’era e forse, nel silenzio, la mia tristezza di dire davvero addio per sempre al sogno di questo grande amore, si era fatta più presente.
Lui mi cerca di nuovo giovedì sera e mi chiede di vederci nel fine settimana…
Ci penso.
E sabato accetto.

Ho passato con lui sabato sera e anche ieri.
Siamo stati anche bene.
Ci siamo lasciati andare anche fisicamente.

Che è un errore lo so.
Che avrei dovuto evitare lo so.
Che così alimento le sue e le mie speranze e soprattutto rafforzo il legame di dipendenza da cui vorrei tanto liberarmi, lo so…

Vorrei capire perchè.
Perchè se non riesco a coglierne i motivi, non riuscirò neanche mai a spegnere per sempre quel telefono che rappresenta il mio legame con lui.

Io ora esco, ho ripreso a fare una vita normale, ho ripreso vecchi contatti e conosciuto nuove persone.
Sto recuperando una serenità e un benessere che avevo perso completamente.
E che sento necessari per me e per vivere bene…

Eppure lui è dentro di me.
Non c’è verso.
Il mio sentimento per lui esiste ed è presente, non è del passato.
Così lo sforzo di non cercarlo sono in grado di farlo.
Ma se mi cerca lui, quando lo fa con modi tranquilli e normali e non con quelli esagerati e squilibrati che tanto mi fanno paura, io ci sono.

Ho accettato di vederlo perchè evidentemente anch’io ne sentivo esigenza.
Se non si ha voglia di fare una cosa, non la si fa, semplicemente.

Devo capire come affrontare questo sentimento perchè, dal momento che esiste e non mi abbandona, devo saperlo vivere e accettare senza che mi sconvolga e mi riporti a lui.

E questo perchè so bene che lui è fatto così e le cose che mi hanno fatto tanto soffrire e portato a dire basta, sono tutte lì e sarebbero ancora più devastanti.

Di fatto promette cambiamenti radicali, ma è sempre allo stesso punto, in primo luogo in famiglia e poi per il resto.
Anzi, a me sembra che la sua capacità di assumersi responsabilità sia ancora più offuscata dal periodo di evidente crisi e confusione.

Eppure il mio sentimento esiste e ne sento la presenza dentro di me pur nelle varie consapevolezze che ho, e nella gioia della ritrovata vita un po’ più serena e normale che tanto ho desiderato e lottato per raggiungerla.
Convive con me anche il sentimento per quest’uomo.

Il mio dott mi diceva, l’ultima volta, che i sentimenti sono di gran lunga molto più forti della ragione.
Con la ragione si fanno valutazioni e considerazioni, che ti portano a determinarti.
Mentre il sentimento sgorga da dentro, ha vita sua, e resta molto legato al ricordo delle sensazioni belle che abbiamo vissuto..

Io so anche che ho sempre fatto molta fatica a liberarmi dai sentimenti.
Fanno parte di me anche quelli di storie passate (ne parlavo anche in un altro thread)e il mio mondo interiore è sempre stato molto in balia dei sentimenti.
Nelle storie importanti che ho avuto, è sempre accaduto che, anche dopo la fine, ci si vedesse magari ogni tanto e si continuassero a vivere momenti intensi che poi non portavano a niente, così, sospesi. Come tornare a casa a ristorarsi dopo un lungo viaggio, sapendo già però di dover comunque ripartire e proseguire il viaggio, sapendo di non potersi fermare…

Mi rendo anche conto che è necessario che questa volta io affronti la cosa in modo diverso.
Sarebbe deleterio sia per me che per lui incunearsi in questo limbo in cui ci si vede magari ogni tanto, lui lasciandomi in pace negli intervalli, mentre ognuno si fa la sua vita.
Lo so..
Eppure saperlo non è bastato …

Devo accettare di provare questo amore dentro, ma devo altrettanto accettarne l’impossibilità perchè se no non esco più e mi rovino la vita…

Oggi sono un po’ sotto sopra, penso sia il minimo visto il guaio che ho combinato!
Ma sento anche che è ora di affrontare questo aspetto del problema, ossia il fatto che anche per me dentro al cuore non è finita ed è difficile finirla…

Spero di poterne trarre qualche insegnamento positivo e che le conseguenze non siano devastanti..

Marrifede

 

Cara Marrifede,

il tuo messaggio mi ha colpita molto, perché riguarda molto anche me.

E’ vero: si fa tanta strada verso se stessi, ci si riappropia di parti importanti del proprio essere, si comincia ad essere “curiosi” del mondo esterno, ci si emancipa dall’impeto della gelosia e dall’ansia di possesso, si sente il fresco di una serenità nuova, si sorride e si ride. E poi…però c’è ancora quel legame così profondo dentro di noi, che proprio nel momento in cui sembra staccarsi definitivamente, e finalmente, torna a stringere, a stringerci, a confonderci, a fare paura.

Quello che è nuovo fa paura, crea ansia, disagio, non solo serenità, e così è spesso più semplice tornare giusto un passo “indietro” per sentirsi di nuovo un po’ “a casa”, anche se è sempre stata una casa in cui non ci siamo sentiti totalmente felici e appagati, quella casa/situazione/persona la conosciamo.

Personalmente mi sto rendendo conto di quanto la mia “paura dell’intimità” mi faccia spesso tornare indietro. Mi scopro curiosa, come ho detto sopra, e mi sento serena, ma quando sento che la mia vita potrebbe effettivamente “cambiare”, o qualcuno o qualcosa vorrebbe entrare nel mio bozzolo, mi richiudo in me stessa e continuo a cercare lui, perché stare con lui mi è ormai “familiare” e mi rende una felicià momentanea che ho paura di cercare altrove, non ho il coraggio di farlo, mi sembra di perdermi, di perdere me stessa, invece in quel legame così precario e instabile, così carico di dolori e piaceri allo stesso tempo, ci sono io e c’è quel mio “amore” che mi caratterizza, che in questo momento mi dà un’identità fittizia, e mi lascia in “sospensione”.

Faccio molta fatica a non “giudicarmi” e non colpevolizzarmi, perché sento che “dovrebbe” essere arrivato per me il momento di crescere, e invece sto prolungando e prolungando ancora la costruzione della mia serenità, perché ho ancora tanta paura, e spesso le mie parole “sagge” si scontrano inesorabilmente con la realtà, ed eccomi di nuovo, ancora, tra le sue braccia ad elemosinare qualche carezza oppure ad avvertire una gelosia devastante quando riceve una chiamata che non so di chi sia, senza occuparmi invece di chi sono io e di quelli che sono i miei obiettivi.

D’altro canto però credo che tutte queste paure, la paura di ri-cadere, la paura di soffrire nuovamente e tanto come in passato, faccia perdere di nuovo e ancora di più il punto di osservazione su noi stesse. Perché se mi osservo con attenzione, nonostante io sia ancora totalmente decentrata e impelagata in un’ossessione, ho cominciato a costruire altre parti di me, a costruirmi a poco a poco quel percorso parallelo di auto-conoscenza, che oggi mi fa essere “diversa” e mi fa reagire diversamente a ciò che mi accade intorno, dandomi la possibilità di ferirmi meno o comunque di reagire diversamente a una stessa situazione, che magari un anno fa mi era totalmente insopportabile. Insopportabile perché non sapevo da dove venisse tutto quel dolore, mentre adesso di quel dolore e di quel sentimento ne ho riconosciute le tracce e ho imparato a riconoscerle e distinguerle.

Non credo che tu abbia combinato un guaio, se è accaduto questo riavvicinameto l’unica cosa da fare è osservarlo, ed è quello che tu stai già facendo, considerando la consapevolezza che hai nel dire: “ma sento anche che è ora di affrontare questo aspetto del problema, ossia il fatto che anche per me dentro al cuore non è finita ed è difficile finirla…”

Non è finita ed è difficile finirla. E’ così, questo mi “rallenta”, ma non posso fare altro che accettarlo e nel frattempo continuare a prendermi cura di me, fino a che il distacco “definitivo” diventi un dolore sopportabile e non devastante.

Intanto ti mando un sorriso e un abbraccio,
Elegys

 

 

Ciao Federica,
chi di noi può dire esattamente cosa è successo?
Ho provato ad immedesimarmi in questa tua dinamica per comprenderti al meglio, ed ho spinto la mente a tempi lontani, quando anche io tentavo disperatamente di staccarmi da storie distruttive, ma mi ritrovavo a cedere spesso e volentieri alle manifestazioni prepotenti delle mie emozioni.

E’ difficile scindere la costruttività per noi stessi e per la coppia dalle emozioni che scaturiscono dalla relazione stessa e che ci portiamo inevitabilmente dentro. O meglio, anche quando si riesce a fare questa operazione, come dici tu, è molto dura resistere davvero al tremore dei nostri sentimenti.
Il problema, per come la vedo io, è che anche in presenza di “oggettiva” (se così si può definire) dipendenza, questo non esclude la presenza di sentimenti ed emozioni.
Sta proprio qui la difficoltà secondo me, nel senso che le dinamiche distruttive alle quali sottostiamo sono le “colpevoli” di innescare un circolo vizioso cui non possiamo resistere, sono quelle che attivano emozioni verso determinate persone o una in particolare, ma appunto: le emozioni esistono, sono state attivate, per quanto non siano ascrivibili entro ciò che l’amore aspira ad essere (rispetto, libertà, comprensione, condivisione ecc.).
Un’emozione forte ed irresistibile per noi, è un’emozione forte ed irresistibile. Non la si può certamente scacciare con un ragionamento razionale, anche se lo si vorrebbe.

Il problema è “disattivare” il meccanismo che ci rende così vulnerabili e “conquistabili” da determinate situazioni e persone, disattivare quel meccanismo così forte che ci fa percepire quell’emozione forte come irresistibile e necessaria per noi. Ma questo è un processo lungo e tortuoso, che include spesso delle ricadute, a volte imprevedibili.

Arrivo al punto.
Io credo che una via percorribile potrebbe essere quella di accettare che la realtà dei fatti attualmente è questa: tu oggi sei ancora quella persona che è catturata da quest’emozione, da quest’uomo, a livello affettivo, e che sente ancora la necessità di abbandonarsi a tutto ciò.
Perchè? Lo devi senz’altro scoprire tu, perchè la risposta è strettamente personale.
Se così è, è chiaro che la questione non è semplice a livello pratico, perché di fatto per te questa persona riesce ad essere davvero pericolosa.
La strada potrebbe essere quella di staccarti “forzatamente” (vista la potenziale gravità dei suoi atteggiamenti) e contemporaneamente lavorare sulle cause più profonde che ancora ti portano istintivamente lì.
So che è quello che già stai facendo, ma forse manca l’accettazione nei confronti di te stessa di non essere ancora giunta al traguardo, ma di essere ancora nella fase dei “lavori in corso” e che questo prevede delle crisi “di astinenza” che ti possono fare inciampare.

Alcuni spunti per riflettere: una via di fuga?
Le vie di fuga possono servire per scaricare stress accumulato in eccesso dovuto ad un comportamento autopunitivo in cui alcune nostre dimensioni sono state represse da noi stessi (in riferimento ad un insegnamento ricevuto in proposito).
Nel momento in cui si attua consapevolmente “repressione” nei confronti di una situazione affettiva che sappiamo ci fa del male (come nel tuo caso), ma non si è superata ancora la causa emotivamente, si viene a creare un conflitto.
Anche perché di fatto si sta tentando di aiutarsi attraverso la stessa dinamica che può aver originato la problematica: la forzatura, l’autocostrizione.
Così si sente ancora la necessità di lasciarsi andare al proprio bisogno che, simultaneamente, ci permette di scaricarci e di soddisfare l’emozione e la spinta ancora esistenti, rispondendo però ad un dettame preciso interiorizzato (un pò come dire: “posso lasciarmi andare, perchè ne ho bisogno emotivamente, purchè questo non pregiudichi l’imperativo sotteso ed originario, per esempio: “non devo essere felice, perchè non lo merito”)

In questo cedimento può centrare anche molto semplicemente una “resistenza”: la paura inconscia ed incontrollabile di prendere davvero una strada nuova e di abbandonare quella vecchia, fatta di schemi che abbiamo scoperto non sono funzionali al nostro benessere, ma a cui ancora rispondiamo in modo reattivo.

Intraprendere sul serio un percorso di distacco dal modo di essere vecchio è qualcosa di duro da accettare e realizzare e porta con sè anche un pò di nostalgia.
La nostalgia di lasciare davvero il mondo della fanciullezza (a livello affettivo) per entrare in un mondo più adulto fatto anche di più responsabilità e di maggiori rinunce.

Non so quanto tutto questo possa avere a che fare con la tua situazione e so che di certo non ti risolverà il problema, ma è quello che mi è venuto in mente anche in riferimento alle mie esperienze passate.
E magari sviscerare alcuni punti un po’ di più, può favorire il raggiungimento di una soluzione, magari non prevista. Spero che riuscirai a trovarla, e nel frattempo spero che questa tua nuova condivisione ti aiuti a continuare a percorrere la strada per te più giusta.

Un abbraccio
Yana

 

Grazie a tutte,
perchè tutte mi fate sentire compresa e non giudicata ed è importante, perchè oggi mi sento già molto in colpa.
E tutte dite cose che esistono dentro di me e mi ci ritrovo, mi danno spunti per riflettere ancora…

Penso che il fatto del bisogno di lasciarmi andare un momento, dopo mesi che lotto non solo con lui ma anche con me stessa per “fare la cosa giusta”, ci sia stato e ci sia.
Mesi di lotta, la cura dal dott, l’ascolto della musico terapia ogni giorno, gli sforzi di reinserirmi in un contesto di socialità dopo tanto tempo.
Tutte cose molto faticose, anche se hanno portato evidenti risultati.

Forse però anche tutto questo forzarmi ed imporre cose a me stessa e a lui è stato duro.
Il bisogno del momento in cui ti lasci andare e non pensi a niente arriva…

Il mio è un legame che dentro di me esiste ancora e continuerà ad esistere.
Ma so anche che è distruttivo.

IL fatto è che ci sono mille implicazioni emozionali: nel momento che sento veramente che sto “lasciando andare”, ossia davvero giungendo alla fine sia per me che per lui, è tuttora molto duro e se proprio in quel momento lui mi cerca, probabilmente mi blocco per questo motivo. Perchè fare il passo successivo significherebbe lasciare davvero definitivamente andare ed emotivamente forse non sono ancora pronta a farlo.

Penso che il legame sia molto profondo e questo rappresenta un ostacolo grande ad andare oltre, sia per me che per lui.
Lui sarà anche bugiardo, disequilibrato, ossessivo ecc., ma penso che anche per lui si tratti, a questo punto, di dipendenza e non di un capriccio.
E’ quasi un anno da quando ho iniziato a dire “basta” e penso che se siamo ancora qui a cadere, evidentemente c’è un legame di dipendenza molto radicato per tutti e due, che tutti e due facciamo fatica a superare, andando finalmente avanti con le nostre vite e lasciando che anche l’altro lo faccia.

Purtroppo però devo trovare il modo di far fronte perchè le conseguenze per me possono essere davvero pesanti e pericolose, come dice Yana.

In effetti oggi mi ha già chiamata, per dirmi di pensare alla possibilità di andare una settimana in vacanza…
E visto che io ho reagito male, dicendo che allora ricomincia tutto come prima e ci eravamo detti di no, mi ha subito accusata di avere un altro…
Insomma la solita vecchia storia, proprio quel delirio che tanto mi distrugge…

E l’ennesima prova che lui non cambia: solo ieri diceva che non si sente più di essere geloso, che ha capito e che non mi accuserebbe più tanto per partito preso, ed oggi eccolo qua…

Ma non gliene faccio una colpa: è ovvio che dopo due giorni così lui mi cerchi, cosa speravo?
I patti chiari del “vediamoci poi ti prometto che ti lascio stare di nuovo” sono frutto del desiderio di vedermi, poi dopo è altrettanto chiaro che quello stesso desiderio spinge molto di più dell’impegno preso.
Non è neppure che mi manchi di rispetoo: sono io che manco di rispetto a me stessa, cosa pretendo da lui?
Lui mi cerca per lo stesso motivo per cui io faccio fatica ad eliminarlo del tutto: perchè ci sono emozioni che non si dominano, peggio ancora se vengono ancor più sollecitate…

LE dinamiche del “vedersi ogni tanto”, come dicevo prima, sono già sbagliate con una persona normale.
Ma con uno così sono boomerang che ti tornano addosso con una forza e violenza ipoteticamente dirompenti…

Ed è inutile che pretenda sforzi da lui, che era riuscito a stare silente per più di venti giorni e 25 senza vedermi..
Se poi però mi cerca e ci sono e per di più condivido con lui momenti nuovamenti belli e intensi, sono IO a dovermi chiedere qual è il mio problema e come risolverlo.
Lui mi cercherà finchè percepirà questo. Che io sono ancora legata a lui dentro di me.
E sparirà quando io non gli darò più questa percezione…

Ma IO come e quando arriverò a questo?
A che prezzo ancora?

Il sentimento c’è, è innegabile.
Ma porca miseria se al mondo c’è un amore sbagliato è sicuramente questo mio!

Lui promette, racconta che ha capito la mia libertà e la mia onestà e oggi è già lì che accusa, solo perchè gli ricordo la situazione che ci siamo ripetuti ieri…

Quindi LUI NON CAMBIA.

E io non reggo una situazione così.
Anche se è una persona che sento dentro di me.

Non so se sia la paura di qualcosa a tenermi ferma.
Non saprei di cosa.

Ma forse invece sì: il VUOTO.
Le uscite, le amicizie, i fine settimana al mare, il lavoro, le piccole cose: tutto bello che da serenità lì per lì.
Ma che non cancella il vuoto.

E allora se tu hai una persona dentro, e quella persona per di più ti cerca con un’insistenza che va avanti nonostante tutto, forse arriva anche il momento che la tentazione di riempire quel vuoto dall’esterno, con quella forma di amore che quella persona è in grado di darti, prevale…

E poi dopo come sempre, la vita presenta il conto.
Per ogni mia debolezza, tutta la vita, ho sempre pagato prezzi molto alti per me.

Ma è inutile il vittimismo.

C’è che ci sono anche attimi in cui, dopo, mi chiedo se davvero non sarebbe possibile un miracolo, un cambiamento, un lieto fine.
Poi un attimo dopo sorrido amara con me stessa, per la mia testarda ingenuità, per il mio modo così triste di credere nell’amore a tutti i costi…

Spero di riuscire a trarre anche da questo passaggio un insegnamento, qualcosa che mi aiuti ad andare avanti.
Perchè è avanti che voglio andare, non di certo tornare indietro..

Grazie del vostro aiuto!

Marrifede

 

“Eppure lui è dentro di me.
Non c’è verso.
Il mio sentimento per lui esiste ed è presente, non è del passato.
Così lo sforzo di non cercarlo sono in grado di farlo.
Ma se mi cerca lui, quando lo fa con modi tranquilli e normali e non con quelli esagerati e squilibrati che tanto mi fanno paura, io ci sono.”
Cara Federica, penso che il nocciolo di quello che stai vivendo sia qui. al momento attuale tu, per tutto quello che hai maturato e compreso della tua storia e di te stessa in rapporto alla tua storia, riesci a non cercarlo. questo non era scontato qualche mese fa e tutto il forum è testimone del grande cammino di crescita che c’è dietro. al momento attuale, però, non riesci a sottrarti se lui ti cerca nei modi che, probabilmente, gli sono stati propri quando la storia è cominciata. penso che molti di noi maldamorati siano allo stesso punto in cui ti trovi tu. ed è per questo, dopo tutto, che siamo ancora qui. lui è ancora dentro di te, probabilmente lo sarà sempre, il problema è, come dici bene, che lo è nel presente, non nel passato.
ieri una cara amica mi ha fatto riflettere sulla forza e l’inganno dei ricordi. i ricordi ti legano alle persone come erano non come sono attualmente. allo stesso modo cristallizzano noi stessi in sentimenti e sensazioni che vorremmo superare ma che ci riproponiamo alimentate dal ricordo.
Penso che la via d’uscita sia, ancora una volta, la consapevolezza di cosa sia il tuo bene, come hai detto benissimo nel tuo intervento, che non significa negare un sentimento che c’è ed è reale. si tratta di “tagliarli” i viveri, non rifornirlo più di emozioni nuove e non alimentarlo coi ricordi del bello che c’è stato. Leggendoti e leggendo gli altri interventi mi sono anche interrogata sulla mia definizione di amore, acnhe a me piacerebbe che l’amore fosse, senza ombre, solo connotato da aspetti positivi, condivisione, comprensione libertà etc (per citare yana) ma per me non è così. non ho conosciuto amore che non avesse lati oscuri, che accanto alla comprensione non mettesse magari un pò di opportunismo, che a fianco della libertà non avesse anche cinismo etc.. l’amore è un sentimento molto “denso” che si ciba di tutto quello che siamo stati e siamo, non mi sento di dire che c’è un modo giusto di amare, nè che nell’amore non ci possa essere negatività odio addirittura… è giusto tendere a un amore che rispetti noi stessi e l’altro, che sia il nostro bene e il bene dell’altro… ma in modo sufficiente. questo l’ho imparato essendo madre e sperimentando l’amore più assoluto che si possa provare per un altro essere umano, cito non so più che psicologo o psicoterapeuta che di questo concetto ha fatto la sua teoria principale, si può solo sperare di diventare madri sufficienti non già buone madri. e se ne deve essere orgogliose! un abbraccio a tutte e a tutti

Zoe29

 

” Leggendoti e leggendo gli altri interventi mi sono anche interrogata sulla mia definizione di amore, acnhe a me piacerebbe che l’amore fosse, senza ombre, solo connotato da aspetti positivi, condivisione, comprensione libertà etc (per citare yana) ma per me non è così. non ho conosciuto amore che non avesse lati oscuri….”

Ciao Zoe,
il tuo intervento mi è piaciuto molto anche perchè secondo me hai toccato in modo molto acuto una questione subdola e difficile da controllare: quella dei ricordi, i ricordi che possono confonderci nel presente.
Ed aggiungo, come hai anche accennato tu, che oltre ai ricordi ci sono i lati “buoni” della persona (tutti ne hanno) che possono riemergere nel presente, ricollegarsi ai tempi “belli”, ed alimentare il sentimento e/o la dipendenza.

Ho riportato questo stralcio del tuo intervento perchè vorrei specificare una cosa. Anche io sono d’accordo che l’amore non sia solo un elenco di belle intenzioni e buoni atteggiamenti.
Le ombre ci sono e secondo me è normale che sia così: chi crea una relazione amorosa sono due esseri umani e gli esseri umani, con tutti i percorsi di autocostruzione che possono intraprendere, rimangono delle creature che contengono sempre e comunque delle ombre, dei limiti e dei difetti.

Ma un conto è non essere perfetti, avere anche dei punti su cui non si è in piena sintonia, attraversare delle crisi (che, per come la vedo io, fanno parte, prima o poi, di una relazione duratura); un altro è il totale non rispetto e la totale insanità di un rapporto.
Credo che il caso di Federica sia una situazione delicata e pericolosa, e probabilmente parlo così anche perchè ho vissuto la sua stessa esperienza.

Quello che lei ha subito e potrebbe subire ancora non sono delle piccole ombre, ma degli abissi che secondo me bisogna imparare a decidere di non sopportare.
Un conto è non cercare ed aspirare all’uomo ed alla relazione perfetti, un altro è accettare di annullarsi per non sentirsi soli, accogliere violeza psicologica e quant’altro pur di non lasciare andare….

Ecco, volevo solo specificare questo perchè non vorrei si fosse frainteso ciò che intendevo.
Una relazione soddisfacente di certo non può contenere solo esperienze e sentimenti “positivi”, ma per me di certo si deve “basare” sul rispetto. Il rispetto implica (in percentuale ed intensità differenti, a seconda delle persone, della storia, dlle esigenze ecc..) libertà, comprensione ecc…
Insomma credo che una relazione, qualsiasi, ci debba fare stare bene.
Questo vale anche e soprattutto proprio se si hanno dei figli.
Poi il modo per arrivare a questo ognuno lo fa a modo proprio, percorrendo il percorso che sente più suo e che riesce ad intravvedere.

Un abbraccio

Yana

 

Ciao Yana,
è proprio come dici tu.
sono consapevole che non esiste l’uomo perfetto e la relazione perfetta, io per prima non lo sono e nessuno può dire di esserlo.

Che l’amore ha anche ombre.

Ma il mio caso purtroppo è un caso limite, perchè ho toccato con mano che le sue “ombre” sono per me devastanti: si tratta non solo di difetti, ma di squilibri che lo portano a non rispettarmi, a invadere la mia testa con la sua gelosia ossessiva che mi aveva portato ad isolarmi dal mondo, lo portano a mentire anche su cose delicatissime, pur di trovare una via d’uscita, sempre in modi manipolatori per me e il mio cervello e le mie emozioni.
Senza contare che lo vedo come una persona che tuttora non è in grado di assumersi una responsabilità.
Continua in fondo a fare come ha sempre fatto, anzi anche peggio.
Non se ne va da quella casa, perchè in fondo non ce la fa, però con l’alibi del dolore e della disperazione, e del fatto che deve trovare se stesso, impone a moglie e figlia un modo di vivere totalmente ai margini, ai confini.
Lui è sempre più assente e distaccato anche dalla vita della bimba, però non se ne va.

E questo non mi da l’idea di alcuna affidabilità e stabilità, se lo guardo come compagno di vita.

E poi questa gelosia che lo porta ad accusare sempre.
A cercare sempre il marcio negli altri…

Se lui cambiasse…
Sì, se cambiasse ci sono lati di lui che indubbiamente mi piacciono e si incastrano con i miei, creando quell’alchimia che ci fece avvicinare tanto all’inizio…
Ma non cambia.
Le persone non cambiano, specie se non ci lavorano con reale esigenza di superare aspetti di se che percepiscono come disequilibri.
E non è il suo caso.

Sì, nella mia situazione io so che se mi lascio andare mi rovino la vita.
Ne ho il terrore e so che ho il dovere per me stessa e verso me stessa di non correre questo rischio.
Penso che è un rischio che, se poi va male, potrebbe annientarmi perchè se già sta volta faccio così fatica, dopo come potrei fare a rialzarmi?

Ma altrettanto sento che, seppure rafforzata, non sono ancora oltre.

A livello emotivo c’è ancora amore e lasciare amando ancora è molto difficile.
Mi è già successo in passato e infatti è stata una storia che ha segnato indelebilmente la vita.
Quella volta però fu più “facile” (se così si può dire), perchè dall’altra parte non c’era un matto.
QUindi dovetti affrontare “solo” il dolore immenso della perdita.

Qui c’è una persona che è squilibrata e dipendente come e più di me.
Tutto è più difficile.

Eppure ho 38 anni ed è necessario che io capisca che questo amore è un lusso che non posso permettermi….

Marrifede

 

Ciao Federica,
quando io ho vissuto la storia che somiglia molto alla tua, ho provato queste tue stesse sensazioni ed emozioni per un bel pò di tempo dopo la rottura finale (che è sopraggiunta dopo mille tira e molla come quelli che descrivi tu).

Anche per me accettare di perdere lui equivaleva a perdere per sempre il “vero amore”, come se stessi rinunciando alle emozioni ed ai sentimenti più forti e vivi che potessi provare.
Non sai quanto ti comprendo e leggendoti mi viene in mente tutto.
Questa è anche una caratteristica abbastanza normale e comune di quando si deve accettare il distacco da una persona per la quale ancora proviamo delle emozioni.

Quando si ama qualcuno, o comunque si sono condivisi esperienze e sentimenti che ci hanno toccato e coinvolto profondamente, si identifica questa persona con l’amore e questo dura fintanto che queste emozioni persistono.
Ci sono persone che vengono picchiate violentemente dai loro compagni per anni, che non riescono a lasciarli e che, a dispetto delle vere motivazioni che stanno sotto a questi rapporti insani, continuano a sostenere che non lo fanno perchè, nonostante tutto, “li amano”.

Un mese dopo la rottura definitiva con il mio ex, io ero ancora distrutta e pensavo ancora a lui.
Ricordo che pensavo, e scrivevo anche, che per il mio bene avevo rinunciato a lui, ma che sicuramente non avrei mai vissuto un amore più forte e che l’amore per me era finito.
Non è stato assolutamente così, anzi.
Anni dopo l’ho rincontrato e ti assicuro che ho provato rifiuto, assolutamente nessun tipo di attrazione o forte emozione nei suoi confronti, forse un pochino di pietà (brutta parola) per aver notato che era rimasto dove lo avevo lasciato e non aveva fatto nessun passo avanti per recuperarsi.

Ma dopo quell’incontro sono andata avanti con la mia vita come prima.
Poi tutte le storie sono diverse, non è dtto che la tua debba finire esattamente come la mia, e ci sono altre persone, magari meno disturbate di lui, che mi sono invece rimaste dentro molto di più.
Però mi riconosco in tutti i moti che descirvi riguardo a lui, compresa la connessione che fai dell’amore con la sua presenza nella tua vita e tutti i pensieri e le destabilizzazioni che ne conseguono.

Dopo aver sofferto molto per le sue violenze e poi per la sua mancanza (sembra assurdo, ma è proprio così), quando sono riuscita a riprendermi davvero, nè lui nè il suo pensiero riuscivano più a sconvolgermi nè mi sucitavano desiderio, pensieri d’amore o forti emozioni.
Anzi, ho provato per un pò di tempo paura, rifiuto, rabbia.
Alla fine tutto è diventato indifferenza e a pensarmi come ero nel periodo che lo frequentavo, quando ERO CONVINTA che nonostante tutto lui fosse l’uomo della mia vita, mi sembra di essere un’altra persona.

Mi colpisce molto quando scrivi che sicuramente non smetterai mai di contenere dentro di te queste emozioni per lui, perchè è la stessa cosa che pensavo io.
Ripeto che magari non ci sarà lo stesso epilogo, ma di certo non puoi ragionare col “per sempre” riguardo al futuro.
Non pensare al “mai più”, perchè non lo sai quale evoluzione potrai avere tu e nemmeno le tue emozioni attuali.
Ora le tue emozioni sono collegate fortemente non solo a lui, ma anche a quello che sei tu oggi e che non è lo stesso di ciò che potresti essere domani.

Questo per dirti che anche se non posso prevedere il tuo futuro, posso di certo dirti che quella mia esperienza del passato, molto simile alla tua nelle esperienze e nelle emozioni, nel tempo è stata superata in toto e che oggi io sto bene e non mi condiziona più.
Ma per arrivare a questo ho passato un anno molto travagliato, ho sofferto tanto e mi sono sentita per lungo tempo proprio come te.
Spero questo possa infonderti un minimo di speranza.

Un abbraccio forte

Yana

 

Grazie Yana,
lo so che col tempo si supera il peggio.

Forse a me spaventa vedere che il tempo per ora è contato un po’, ma non abbastanza…

Ossia: ad agosto sarà un anno che io ho iniziato a dire il basta, lo ricordo ancora.
Dopo avere sofferto come un cane tutti i mesi precedenti, andai dal dottore e feci il punto della situazione.
E poi dissi il mio basta.

E da lì scaturì tutto il delirio che sai.

E allora vedere che a distanza di quasi un anno sono ancora messa così, mi sgomenta, mi fa paura non più tanto di lui, ma proprio di me stessa.
Perchè a livello emotivo evidentemente c’è un legame fortissimo che ancora son ben lungi dall’avere supereato.

E questa precoccupazione aumenta se penso che, nel frattempo, ho concretamente compiuto passi avanti e, grazie anche alla terapia, ho iniziato un percorso di recupero della mia serenità che mi ha portato anche ad un reale miglioramento sia dei miei stati d’animo che della qualità della mia vita…
E allora a maggior ragione mi chiedo perchè tutto questo non sia stato e non sia ancora sufficientemente rafforzativo per me, per le mie determinazioni, quando è di tutta evidenza quanto è diversa la mia vita con lui dentro o fuori di essa…

Questo mi preoccupa e mi amareggia per me stessa, ripeto, ormai più che per lui…
E’ come se tutti gli sforzi che ho fatto li vedessi non dico vanificati, ma certo sviliti se il risultato è ritrovarmi fra le sue braccia…

Eppure lo so che le cose che dici sono vere.

Lo so razionalmente ma evidentemente emotivamente c’è stata e c’è una battuta d’arresto o non so bene come chiamarla, c’è un disagio dentro che devo in un qualche modo affrontare…

Grazie per il tuo sostegno!

Marrifede

 

Cara Federica solo in questa altalena fra piani diversi, razionalità, sentimenti, nuove consapevolezze, cadute, affermazioni, si cresce. e tu lo hai già fatto tanto! è una “danza relazionale” che non finisce mai, io sento da quello che dici e da come lo dici che tu sei già molto distante da questa esperienza, questo “tornare indietro” può servirti per prendere lo slancio per allontanarti ancora di più da quella esperienza e da quella persona. credi in te e nel tuo personale progetto di vita, in definitiva è quello il punto cardinale a cui restare ancorati, un abbraccio pieno di stima e di affetto

Zoe29

 

E’ come se tutti gli sforzi che ho fatto li vedessi non dico vanificati, ma certo sviliti se il risultato è ritrovarmi fra le sue braccia

Comprendo la sensazione, è legittima.
Ma la realtà dei fatti, come la tua stessa situzione (interiore e relazionale) ti dimostra, non è così lineare e scontata.

I tuoi sforzi non sono di certo vani, e nemmeno la tua continua introspezione e il tuo modo di riappropriarti piano piano di una vita più serena ed in un certo senso più adatta a te.
I passi che fai ti stanno dando delle piccole grandi soddisfazioni, comprese non solo le esperienze che hai accettato di accogliere nella tua vita quotidiana, ma anche le relative sensazioni di bellezza e libertà di cui ci hai resi partrecipi non molto tempo fa.

Tutto questo è il segno che qualcosa sta cambiando, ma nella vita non è come nei film americani, dove nel giro di due ore di riprese il protagonista passa da un passato infuocato ad un lieto fine definitivo ed assoluto grazie a qualche seduta dallo psicoterapeuta e magari qualche visitina ad un gruppo di autoaiuto
Nella realtà tutto è molto più complesso, articolato ed intrecciato.
Mentre si fanno passi avanti, la vita continua ed è comunque difficile tenerle testa, perchè ci sono mille cose cui far fronte, compreso lo stress quotidiano dovuto non solo al nostro particolare problema, ma a tante altre cose (sentimenti, implicazioni, ricordi, imprevisti, momenti di debolezza, doveri, responsabilità, paure, incostanza dell’umore, ecc..)

Il nostro modo di interagire con la vita non cambia certo da un giorno all’altro: sono tutte cose che sai, ma io te le voglio ricordare
Mentre procediamo, abbiamo bisogno di continuare a vivere, e non è che solo perchè stiamo procedendo e sforzandoci di pensare a noi stessi in modo più costruttivo, questo ci riesce automaticamente in modo perfetto ed immediato.
La ricostruzione di noi stessi abbiamo detto tante volte che si esplica attraverso un percorso. La durezza di questo percorso non è solo rappresentata dal tempo e dal dolore, ma anche dalle cadute, dai tentativi che falliscono, dalla debolezza che sopraggiunge (in alcuni momenti più di altri, è normale) e dalle resistenze che ci inducono sempre in tentazioni e che molte volte, purtroppo, quando non siamo ancora abbastanza forti, vincono.
Ma non essere ancora abbastanza forti, non vuol dire che non abbiamo fatto passi avanti, tutt’altro.

Senza contare che poi durante la vita, e durante la crescita, si imparano molte cose, se ne acquisiscono tante altre, ma ognuna a suo tempo. Non necessariamente tutto si evolve contemporaneamente, ed inoltre ciò che abbiamo appreso su di noi necessita anche di un certo periodo per essere digerito ed interiorizzato.
Stai riprendendo contatto con le belle sensazioni che puoi sperimentare anche senza di lui. Questo non ti ha fatto allontanare completamente dal bisogno e dalla tentazione di lui? Ebbene, ciò non deve indurti a pensare che allora sei allo stesso punto in cui eri prima.
Datti tempo, ancora, non pensare di aver fallito perchè non è così.
Tra il completo distacco e la completa ed inconsapevole dipendenza ci stanno delle vie intermedie e tu le stai attraversando.
Ci vuole costanza e pazienza e tutte le cose “piccole” che ti stai costruendo sono la base per poter essere più forte domani. Nel frattempo qualche caduta è praticamente normale, forse prevedibile.
E continuerà ad insegnarti qualcosa, non solamente in termini razionali, ma anche per quanto riguarda il tuo bagaglio emozionale ed esperenziale.

Quando la mia storia devastante è terminata, non senza conseguenze, in seguito non ho più desiderato contatti con lui nè ho ripetuto un’esperienza simile sotto molti aspetti. Ma sotto altri aspetti ho continuato a relazionarmi (con altre persone) in maniera prima inconsapevole ed insana, poi insana ma consapevole. Poi si è spezzato qualcosa, è nata una consapevolezza ancora nuova su di me, sulla mia vita, sono andata ancora in profondità, ho accettato di dialogare con alcune parti profonde che mi facevano paura come il mio senso di solitudine, e molto altro ancora..
Insomma, sono ancora in cammino, ma guardandomi indietro non posso certo dire di essere la stessa persona di parecchio tempo fa: mi sento non solo più consapevole, ma molto arricchita, più forte, più coraggiosa e più serena, nonostante le continue umane crisi che ogni tanto attraverso.
Questo per dirti che ognuno cammina sulla propria strada in modo personale ed assecondando le sue parti più intime, che non sono mai identiche a quelle degli altri, ma se decide di farlo, progredisce sempre.
Io l’ho fatto attraverso diverse relazioni, dove ho dovuto affrontare differenti aspetti del mio problema, tu magari stai facendo gran parte del lavoro tramite una sola relazione, ma questo non implica assolutamente un fallimento.

Ti sono vicina in questo momento di crisi

Yana

Le vostre osservazioni esterne, sul percorso fino ad ora fatto, mi sono di conforto.

Si sa che nei momenti difficili si tende a vedere tutto nero e le cose positive scompaiono o almeno si fanno piccole piccole ai nostri occhi.

In realtà io lo sento di essere andata anche avanti .
In due mesi e mezzo ho realizzato un’apertura e riaccarezzato il senso di libertà e benessere che erano veramente insperati sino a poco prima.
Se penso a quanto mi sentivo annientata e senza più la voglia e la forza di niente, capisco che i miei sforzi a qualcosa sono serviti…!

Forse per questo sono un po’ delusa da me stessa: io ho la tendenza a pretendere un po’ molto da me, e questi scivoloni mi fanno arrabbiare.
Anche perchè mi viene da dire che proprio in una fase positiva, in cui non sono più sola e isolata come prima, in cui sento la possibilità di una vita serena e piacevole per me, in cui ho toccato con mano la differenza fra con lui e senza di lui e ho avuto conferma che senza è meglio…
Proprio qui vado a cadere?
Capisco quando sei più sola e indifesa, ma ora…

E allora affronto il fatto che il mio sentimento è vivo e vegeto, annidiato nella mia pancia come un piccolo parassita che vive di vita propria in parallelo alla mia vita e nutrendosene anche quando non me ne accorgo…

PEnso anch’io che sia tutto un fluire, questa benedetta vita.
In cui l’attimo determinante non è mai un miracoloso bagliore, ma frutto di tanti altri attimi, ore, giorni, a volte anni di cammino..

Questo momento mi insegna qualcosa ancora di me stessa.
Della mia fragilità.
Del mio essere donna (anzi, il mio dottore diceva che sono femmina, non donna!) che vive anche di emozioni e sentimenti, a causa o grazie alla mia natura molto molto sensibile che mi ha portato tanti dolori, ma certo mi ha donato anche di assaporare tante emozioni belle e di sentirmi viva. E non posso negare le mie emozioni tanto arrivano e dirompono quando poi meno me lo aspetto.

Del mio sentimento per quest’uomo che è per ora ancora presente, forse legato a ricordi e nostalgie, forse amplificato da attimi che vivi e neanche ti accorgi, ma ci sono.
Ma è presente.

Mi insegna anche che c’è ancora tanta strada da fare e un altro aspetto importante di me da approfondire: la mia difficoltà di sempre a chiudere i rapporti senza voltarmi indietro.
Questa non è la prima volta che, con la storia già finita e per mio volere, mi trovo a rivedere “ogni tanto” l’ex, trascorrendo momenti intensi, senza che ciò porti a niente senon a prolungare ed allungare il legame.
Siccome questa caratteristica tende a ripetersi in modo “seriale” nelle mie relazioni,anche questo forse è giunto il momento che io lo affronti e comprenda perchè, se voglio che questa volta sia diverso.

E con umiltà accetto che la mia fragilità può portare anche me a cadere, a vivere debolezze e insicurezze e non per questo non posso rialzarmi…

Forse ho tanta paura che la ricaduta di un attimo porti conseguenze ben peggiori, sia per come sono fatta io che per come è fatto lui. La paura è quella di non saper far fronte al momento e magari lasciarmi travolgere, mi terrorizza questa idea…
Però sono qua a parlarne proprio per scongiurare questo e darmi tempo di accettare il momento senza che le conseguenze si propaghino.
Spero che saprò davvero fare di questo momento un altro piccolo passo avanti e non una caduta libera in un precipizio!

Il forum come sempre è fonte non solo di comprensione e speranza, ma anche di aiuto concreto ad affrontare le situazioni..

Grazie a tutte di questo sostegno!

Marrifede

 

Due considerazioni: non sentivo lì per lì, quando lottavo per allontanarlo da me, di reprimere i miei sentimenti.
Mi pareva anzi di ricominciare a dare ascolto ad un amore più sano e veritiero: ossia quello per me stessa.
Sapevo di provare ancora amore per lui, ma era un amore privato di componenti essenziali: speranza, che è stata la prima che ho perso, poi fiducia, capacità di credere, stima, rispetto.
Quindi era un amore svuotato.
Ne restava la compoenente irrazionale, la emozione forse più per un sogno d’amore accarezzato nel primo anno bello e che vedevo infrangersi contro i muri di realtà che percepivo come ineluttabili…

Più che repressa, la componente dei sentimenti si era ridimensionata da se, senza uno sforzo mentale particolare in tal senso.
Anche perchè lui coi suoi comportamenti invasivi e manipolatori mi ha costretta ad una estenuante lotta per mesi e mesi semplicemente per sopravvivere, per sottrarmi finalmente a tutto ciò e ricominciare la mia vita.
Ho passato tanto tempo a lottare contro di lui, perchè quella era l’urgenza del momento, che non avevo semplicemente attenzioni per i miei sentimenti.
Era necessario pensare ad altro, a come andare avanti, a come liberarmi..

Finalmente ricomincio a vivere.
Due mesi e mezzo di libertà.
Lui che si fa vivo ogni tanto ma meno, sempre meno.
IL che mi permette di respirare.
Di conoscere di nuovo le sensazioni di serenità e libertà, di vita normale.

Ricordo che il 15 giugno me lo sono trovato sotto casa ad aspettarmi, dopo tanto tempo che non lo faceva.
E che lì per lì mi ero arrabbiata, ci ero stata male, mi ero anche avvilita.
Ma durò un giorno.
Poi ricominciai a spegnere il telefono e fare la mia…
Perchè si era trattato della ennesima sua manifestazione invasiva nei miei confronti, si era di nuovo manifestato per quello che era stato sino ad allora: gelosia ossessiva, mancanza di rispetto ecc.
Il tutto quindi mi aveva confermato nelle mie determinazioni…

Invece dopo sono seguiti 20 giorni di silenzio assoluto.
E io quando lui sparisce devo sempre affrontare il fatto che davvero non c’è più.
Che potrebbe essere la fine, sta volta.
E fa male.
Quindi i pensieri malinconici alla distanza arrivavano.
MA come qualcosa di necessario da superare per andare avanti ancora..

Poi lui si è fatto vivo e questa volta non invasivo, non con la sua solita mancanza di rispetto,col suo delirio.
Ma con toni dolci e rispettosi.
Mi ha chiesto di vederci,non me lo ha imposto.
Gli ho chiesto tempo per pensarci e lui me lo ha dato, senza tempestarmi di telefonate ansiose come sempre.
E così ho accettato.
E nel vederci è prevalsa la componente positiva del nostro rapporto, probabilmente perchè quella distruttiva l’abbiamo tutti e due voluta tenere a bada…

Insomma penso che è stata risvegliata la parte di me che lo ama, forse perchè lui si è proposto e dato a me non coi modi che me lo hanno fatto odiare (la rabbia di cui ti parlavo ieri), ma con quelle caratteristiche che me lo hanno fatto amare…

E ora forse lui ha più coraggio nel lasciarmi stare perchè ha percepito che se non devo combattere ogni giorno solo per un po’ di pace, può anche darsi che l’amore torni in superficie….

Marrifede

 

non sentivo lì per lì, quando lottavo per allontanarlo da me, di reprimere i miei sentimenti.

Più che repressa, la componente dei sentimenti si era ridimensionata da se, senza uno sforzo mentale particolare in tal senso.

Ho passato tanto tempo a lottare contro di lui, perchè quella era l’urgenza del momento, che non avevo semplicemente attenzioni per i miei sentimenti.
Era necessario pensare ad altro, a come andare avanti, a come liberarmi..

Ciao Fede,
ho voluto portare l’attenzione su queste tue riflessioni.
La mia personale sensazione è che ci sia stata, come dice Innuendo, una qualche repressione dei sentimenti.
Purtroppo a complicare tutto, nelle situazioni già difficili di per sè, è il fatto che non tutte le nostre azioni sono coscienti, quanto meno nel momento in cui le stiamo sperimentando.
Questo avviene quanto meno si sono superate realmente le dinamiche legate alla situazione, o che la situazione in qualche modo ci risveglia.
Peggio ancora se il vissuto è condito da quell’urgenza impellente di salvaguardare la propria vita, o comunque di affrontare problematiche concrete e pericolose.
Secondo me la verità sta, in parte, in ciò che hai detto tu nelle righe che ho riportato: hai dovuto affrontare un momento in cui c’era l’urgenza di un distacco perchè eri ormai lucidamente consapevole della pericolosità del rapporto. Questa ricerca del distacco è in qualche modo diventata, volente o nolente, la tua priorità, che corrisponde a quell’istinto di sopravvivenza a cui, con parole diverse, alludi sopra.
Almeno secondo la mia percezione.
Questo ti ha portata a “non avere attenzioni per i tuoi sentimenti”, come hai detto tu, quindi ad accantonarli per un pò, per consentirti di concentrarti davvero su ciò che razionalmente avevi concepito essere la cosa “giusta”.
Accantonare i sentimenti non vuol dire superarli.

La razionalità, molto utile in questo caso per affrontare la necessità prima rispetto alla tua incolumità, non va di pari passo con l’emotività.
Quando un tossicodipendente smette di assumere droghe perchè questo è ciò che gli viene prescritto in comunità e che lui ha compreso essere una cosa pericolosa, il bisogno ed il desiderio nei confronti della droga non lo abbandonano immediatamente e per ottenere questo egli deve affrontare un lungo percorso interiore.

Può darsi che dopo una sbornia quasi letale un alcolista si spaventi e decida di mettersi in salvo da se stesso e dall’alcol buttando nella spazzatura tutti gli alcolici presenti in casa.
Ma finchè non avrà elaborato le cause che lo portano al bisogno del bere, molto probabilmente prima o poi andrà a comprarsi altre bottiglie.

Anche volendo non considerare per un attimo la dimensione “insana” di questo rapporto e delle dinamiche implicate, la stessa cosa accade anche con i sentimenti.
Non considerarli, negarli, accantonarli, non conduce all’estinguerli.
Molto spesso anzi, questi tornano più violenti. Bisogna affrontarli di petto, e ci vuole tempo.

Poi..prova ad immaginare se una bottiglia d’alcol potesse parlare e dicesse a chi ha bisogno di lei “da oggi ti prometto che ti offrirò solamente gli effetti divertenti di me e non più quelli distruttivi!”
Sarebbe invitante no?

Un abbraccio Fede..

yana

 

..ti ringrazio anzi tutto perchè mi hai fatto sorridere, all’idea della bottiglia parlante!

Sì, in fondo io ho sempre detto e ripetuto e pensato dentro di me che io lasciavo per necessità, a causa della distruttività delle dinamiche del rapporto, poichè così tanto lesive del mio equilibrio.
Per necessità perchè avevo capito che non c’era speranza comunque di vita nè comune nè serena, per noi due…
Non certo perchè fosse finito l’amore.

Ho messo tutte le mie forze per riuscire a staccarci e a riprendermi un po’ della mia vita e della mia serenità.

Ma l’amore non se n’era andato, altrimenti quel telefono che rappresenta il mio legame con lui (visto che ne ho un altro con un altro numero da mesi…!), non mi sarei limitata a tenerlo sempre più spento, specie quando ero fuori casa: lo avrei buttato.
Ma buttarlo significava perdere ogni legame.

Ed evidentemente non ero e non sono ancora pronta…

Ed eccolo qua, il sentimento, che mi fa confondere e tremare di paura.

Meglio così: forse questo momento doveva arrivare.
Lo devo affrontare.
Accettare che provo ancora amore e capire che cosa farne, di questo amore…

I rischi che sono in gioco li sanno anche i muri, ormai, ma al cuore e all’istintualità e al desiderio dei rischi non importa un accidente!
Il cuore sente e basta…

IO non so e non saprò mai cos’ha nella testa lui: forse ha ragione Innuendo, forse anche lui ha capito che ottiene di più così, lasciandomi anche in pace, e che in questo modo in ogni caso anche lui sarà sempre sollevato dal fare la scelta che tanto non saprebbe fare. A maggior ragione visto che gli dico che i problemi sono tanti, anche se lui si separasse…

Ma quel che pensa e sente lui non mi aiuterà a capire che cosa sento e desidero io PER IL MIO BENE.

Però mi rendo conto che devo affrontare anche questo momento con tutta la confusione che porta, ascoltare la componente emozionale che è rimasta inascoltata e sopita per troppo tempo.

Sono convinta che mi servirà in ogni caso per andare ancora avanti, anche se spero che questo non abbia il prezzo di altri errori e sofferenze troppo devastanti…

Infatti mi chiedo: in un caso così, ascoltare il cuore vorrebbe dire dare spazio di nuovo al rapporto e vedere che succede?
Eppure sappiamo tutti che sarebbe pericolosissimo per me.
E allora se io ascolto il segnale di pericolo e razionalmente evito e sopprimo, metto di nuovo a tacere quella componente che oggi esplode proprio perchè troppo a lungo soffocata…

Non è facile…

marrifede

Ciao ragazze,
mi viene da dire che questi legami sono la risonanza dei vostri legami con le vostre ferite (quelle che riguardano voi stesse) e che quindi vanno di pari passo.
Niente di nuovo, lo so, ma per dire che ognuna di voi, a modo suo, sta percorrendo un percorso in questo senso e quindi prima o poi, passo per passo, ne potrà uscire.

Certo non si può prevedere il futuro, nè a mio parere è costruttivo “giustificare”, procrastinare o scrivere le regole del percorso valide per tutti.
Però fare un respiro, “concedersi” di non essere ancora uscite emotivamente dal tunnel e non essere eccessivamente dure con se stesse, quello sì.

Ci vuole tempo, l’importante è utilizzarlo al meglio questo tempo.
Se ci mettete 1 anno a lavorare parallelamente per voi, ma lo fate, questo anno sarà stato costruttivo e non “tempo perso”. E sarà “propedeutico” all’allentamento di questi legami.
Lo stesso anno fingendo di non vedere il problema sarà stato probabilmente meno costruttuivo.
Lo dico perchè penso a me stessa anni fa e a quante volte ho ignorato certe “cose” che stavano dentro di me: in questo modo ho solo permesso loro di perseguitarmi; ogni tanto, quando meno me lo aspettavo, ritornavano a galla e mi distruggevano.

I sentimenti, le paure, le ferite, gli squilibri interiori e gli eventi e le storie della nostra vita sono tutti interconnessi.
Non si può pensare di sfuggire ad alcuni di loro e di migliorare il corso della propria vita.

Allo stesso tempo non si può pensare di superare le proprie paure e i propri disequilibri in modo immediato o semplice.
Già decidere di farlo è una scelta coraggiosa e non così comune.

Io vi auguro di sciogliere al più presto tutti i vostri conflitti più radicati, primo fra tutti quello di pretendere “tutto subito” da voi stesse.
So bene che molte di voi sono alle prese da molto tempo con questi legami che non si riescono a dissolvere, ma non vedo, oggi, alcuna strada alternativa se non quella di procedere per passi.
Evidentemente è solo da relativamente poco tempo che avete preso coscienza di alcuni aspetti legati a queste storie e che avete cominciato a sentirli emotivamente, quindi tutto il resto avverrà, con il vostro impegno certo, ma non si possono saltare tutte le fasi intermedie sia di consapevolezza che di evoluzione emozionale.

Se siete ancora qua ci sono delle motivazioni, probabilmente diverse per ognuna di voi, è su quelle che secondo me dovete lavorare di più.
Accettate di avere questa debolezza e anche che questo comunque non fa di voi dei mostri (neanche dei “rispettivi”, però, se mi posso permettere..).
Altrimenti è come ripetersi di volersi bene ma continuare a mettersi in punizione e prendersi le mani a bacchettate per ogni errore.

Un bacio

Ps. Fede..sono contenta di averti fatto sorridere..vedo che gli “oggetti parlanti” non funzionano solo con i bambini!!

Yana

Ciao Yana,
concordo sul fatto che non si deve aspettarsi così tanto da noi stesse e soprattutto che occorre continuare incessantemente ad analizzare i motivi profondi del nostro così complesso modo di vivere ancora questi legami…

Anzi,ti dirò che ieri sera, ad esempio, mi sono detta che ok, ora è un’altra fase che affronto e se smetto di torturarmi per trovare una soluzione immediata, il tempo e la mia ricerca mi porteranno là dove devo andare..Dopo stavo già meglio e la serenità devo dire, anche in questi giorni turbati, non mi ha abbandonata…

Tuttavia a volte l’urgenza si fa sentire più forte.
Nel mio caso, posso dire che penso di avere talmente paura delle conseguenze di gesti d’impulso, di come potrebbero di nuovo rosicchiarmi la vita, che mi sento di dover far qualcosa subito per evitarmi ilpeggio..
Nel senso che nel mio caso, sapendo le dinamiche malsane in cui tutti e due siamo stati per tanto inghiottiti, non posso dire “lasciamo andare le cose e vediamo”: lo sperimentare le emozioni e viverle fino in fondo, nel mio caso potrebbe essere devastante…
Di qui la sensazione di dover far qualcosa subito per evitare tutto questo…

E nello stesso tempo però, capisco che facendo così le cose non si chiariscono.
Nel senso che dovrei davvero sentire il mio bene e non impormi ancora cose in nome della sopravvivenza…
Non è facile..

Ma le sensazioni sono tutte sintomatiche di qualcosa che è in noi: nel mio caso il sentimento risvegliato, ma certo anche questa paura che sento di ritrovarmi di nuovo a terra è una sensazione altrettanto forte…

Penso solo che vorrei sentirmi libera di sentire le cose e magari sperimentare, come fa lui, che non filtra mai fra cuore e azioni (nei miei confronti, per lo meno), senza porsi il problema delle conseguenze.

Invece io me lo devo porre e a volte è questa l’ansia di risolvere che mi prende…

Marrifede

Ciao Fede,
lo so bene che “non è facile”.
La prima persona qui dentro che ha preteso e che per certi versi ancora tende a pretendere troppo da se stessa..sono io!
Proprio comprendendolo, lavorando ed affrontando questa cosa, cercando di scorgerne le cause ma anche di invertire questo atteggiamento così automatico per me, ho iniziato ad intravedere un’ “apertura”.

L’apertura è verso me stessa, perchè è proprio di questo che ho (abbiamo) bisogno in fondo.
Alla radice di tutto c’è una chiusura verso se stessi, per ognuno sviluppata attraverso vissuti intimi e diversi da quelli degli altri.
Questa secondo me è la chiave e l’inizio di tutto. Un vero percorso di ricostruzione non può esistere senza accoglienza ed apertura verso di sè.
Certo questa può non arrivare subito, può costituire uno dei traguardi, dopo aver lavorato su altro, ma quando ci si comincia ad arrivare diventa il vero inizio.
Perchè da lì in poi tutto cambia, anche il dolore stesso, che non si può smettere di incontrare nella vita.

Prima parlavo in generale, ma riferendomi a te, sono d’accordo: come ho detto altre volte, concordo sul fatto che la tua situazione è palesemente intrecciata con reazioni per te pericolose da parte dell’altro.
Per questo necessita, nella misura in cui ci riesci, di soluzioni a volte un pò drastiche.

Non consiglierei mai ad una donna che subisce violenza (di qualsiasi natura sia) di “lasciare che le cose vadano come devono andare e..poi si vedrà”.
Il mio discorso era un pò diverso e si riferiva ai sentimenti.
Credimi, ci si può allontanare fisicamente da una persona, magari aiutate, per proteggere la propria incolumità (se si vuole), e nello stesso tempo continuare ad accogliere il sentimento ed il legame dentro di sè.
Per il semplice fatto che “rifiutarlo” o “rinnegarlo” (peggio ancora “negarlo”) non porta ad un vero distacco emotivo e ad una vera elaborazione. E in questo modo si protrae la sofferenza e si procrastina la guarigione di sè.
Certamente questo “non è facile”, è proprio questo il punto: che per affrontare davvero i problemi di strade facili non ce ne sono.
L’elaborazione e il superamento prevedono sempre sofferenza, anche se poi pagano più delle scorciatoie.
Queste ultime danno la sensazione di ristoro momentaneo, ma continuano a trascinare nelle nostre vite gli stessi mostri con cui stiamo combattendo.

Accogliere la debolezza ed il dolore vuol dire non rifuggirli quando emergono, ma questo è un processo che si fa con se stessi e non si traduce necessariamente nella frequentazione concreta dell’altro.
E questo è sicuramente un atto che prevede coraggio e pazienza perchè è estremamente doloroso.
Per meglio spiegarmi ti faccio l’esempio di una cosa che mi tocca profondamente da vicino, anche se preferisco non esplicitarla perchè non mi va di renderla pubblica.
Io sto combattendo con un legame che dentro di me è molto vivo da anni e dal quale molte volte ho pensato di poter fuggire dando il classico colpo di spugna.
Così facendo, in realtà, ho permesso a questo legame di perseguitarmi. Di tanto in tanto si fa sentire ed in modo molto violento.
Molto probabilmente questo è un legame che non si estinguerà mai, ma io posso scegliere di conviverci in modo sereno e quindi ridimensionarne la “drammaticità”, accettando anche che c’è e che non c’è nulla di male in sè se persiste, oppure di accanirmi nel volerlo cancellare.
Compiendo questo lavoro di accettazione sto imparando a ridimensionarlo e a fare in modo che non mi condizioni nel raggiungimento del mio benessere.

Non so se mi sono spiegata..

Un bacio

Yana

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

DIPENDENZE… AMICALI

(….)”L’amico, così come l’innamorato, non si aspetta di veder ricompensati i suoi sentimenti. Non esige contropartite per i suoi servizi, non considera la persona eletta come una creatura fantastica, conosce i suoi difetti e l’accetta così com’è, con tutto ciò che ne consegue. Questo sarebbe l’ideale. E in effetti: vale forse la pena di vivere, di essere uomini, senza un ideale come questo? E se un amico ci delude perché non è un vero amico, possiamo forse metterlo sotto accusa, rinfacciargli il suo carattere, la sua debolezza? Quanto vale un’amicizia in cui apprezziamo l’altro per le sue virtù, per la sua fedeltà, per la sua perseveranza? Quanto vale un’amicizia che ambisca a essere premiata? Non abbiamo forse il dovere di accettare l’amico infedele esattamente come quello fedele e pieno di abnegazione? Non è forse questo il contenuto più autentico di ogni relazione umana, un altruismo che dall’altro non esige nulla e non si aspetta nulla, assolutamente nulla? E che quanto più dà tanto meno si aspetta di essere contraccambiato? Chi dedica all’altro tutta la confidenza della giovinezza e tutta l’abnegazione dell’età virile, oltre al dono più prezioso che un essere umano possa offrire a un suo simile – la fiducia più appassionata, cieca e assoluta -, e si vede ripagato con l’infedeltà e l’abbandono, ha forse il diritto di offendersi, di volersi vendicare? E se colui che è stato tradito e abbandonato si offende, se grida vendetta, era davvero un amico?”. (Sandor Màrai)

 

Testimonianze

Mary Età: 23 Da circa due anni e mezzo convivo, per motivi di studio, con una ragazza. Nonostante la grande differenza caratteriale siamo diventate ben presto amiche. Tutto sembrava procedere per il meglio fino a circa un anno fa, quando ad un tratto cominciai a sentire per lei un qualcosa di strano. A questo punto faccio un passo indietro. Fino ai miei 10 anni sono stata cresciuta solo da mia madre, con la quale ho un buon rapporto. Ad un certo punto, purtroppo per motivi di necessità, lei si è sposata con una persona che non so neanche come definire..comunque da allora la nostra vita è cambiata, la mia vita è cambiata…Non avevo il permesso di uscire o di frequentare liberamente altre persone..Questo mi ha fatto rinchiudere in me stessa e soprattutto con il sesso maschile sono diventata molto diffidente (per gli esempi passati, presenti e nessuna nuova esperienza che mi potesse far cambiare opinione). Quando conobbi la mia coinquilina, per me si è aperto un mondo del tutto nuovo, in fatto di ragazzi io non avevo nessuna esperienza, lei invece aveva anche più storie in contemporanea…lei era di una solarità unica..mente io mi sentivo un essere inutile. Trascorrendo del tempo con lei..assaporai la vita,cominciai a sentirmi al settimo cielo..stetti bene per un anno intero..ma il bello deve sempre finire. Nel periodo di Natale 2008, quando ce ne andammo ognuna a casa propria..mi sentii persa, sola, avevo voglia di sentirla, di riaverla vicina.. Di solito ci sentivano tramite internet..ma in quei giorni di festa si fece sentire (giustamente) molto poco.. Stetti molto male..me ne andai persino prima da casa per avere la scusante “qui non hai il pc..non la puoi contattare”. Per altri sei mesi, ci pensai e ripensai su cos’era questa strana sensazione..verso estate maturai l’idea che ne ero innamorata. Con il passare del tempo però..non riuscivo a convincermi che era solo questo..di amori non rivelati/corrisposti ne avevo vissuto..ma il sentimento provato per lei andava oltre.. avevo bisogno della sua presenza, avevo bisogno di sentirmi dire anche un “ti voglio bene”, di sfiorarla, di sapere tutto di lei..di far parte di lei.. Anche la sua capacità con i ragazzi ebbe il rovescio della medaglia per me.. li vedevo e li vedo tutt’ora come quelli che la portano via da me, che rubano il mio tempo con lei, che rubano la mia parte di lei.. Purtroppo, nonostante la consapevolezza di questa dipendenza, e tutta la sofferenza che ne diriva, non riesco a capire cosa fare. Non voglio troncare completamente i rapporti con lei, in fondo è una buona amica e coinquilina..ma forse è solo una giustificazione? Che fare allora? E soprattutto vorrei sapere PERCHE’LEI? Io non ho mai desiderato una storia seria di “fidanzamento” con lei..Può esserci dipendenza senza amore? Può essere utile parlarne con la diretta interessata? Grazie per gli eventuali consigli, aspettando con ansia l’articolo sulla dipendenza amicale.

marialuisa Età: 45 Dipendenza amicale e modelli di comportamento Gentilissimo dott. Cavaliere Sono una donna di 45 anni, non sposata e affermata professionalmente, che ha vissuto per buona parte della sua vita in situazione di dipendenza affettiva e che solo negli ultimi 10 anni ne ha preso consapevolezza. Questo non è bastato a far cessare lo stato di dipendenza, ma indubbiamente qualche progresso vi è stato. La dipendenza affettiva si è sempre rivolta a figure femminili, prima mia madre e poi le mie amiche. Al momento i due uomini che ho avuto come partner, per brevi periodi, non hanno svolto ruoli significativi. Il che ovviamente non è privo di significato, anche se non so bene quale esso sia. Quello che vorrei sottoporre alla sua attenzione è il modello di comportamento che accompagna ogni storia di dipendenza. Solitamente essa ha inizio con una nuova amicizia, che sembra colmare un vuoto emotivo che costantemente ha accompagnato la mia vita. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che hanno difficoltà o addirittura di emarginate. Dopo un primo entusiasmante periodo di conoscenza, che spesso (non sempre) conduce a un’identificazione con l’altra e la sua vita, iniziano le difficoltà. Come può immaginare la perdita di identità reca con se l’adattamento e la sopportazione di atteggiamenti e stili di vita che spesso non fanno parte del mio corredo di valori. Seguono delusione, frustrazione e disprezzo. La mancata espressione delle mie esigenze induce alla fine al conflitto e la pretesa di avere indietro quello che ho dato spinge la persona a ritrarsi sempre più. La fase finale è segnata da un crescente dissidio e da un enorme sofferenza e senso di vuoto, fino alla rottura. In 20 anni ciò è accaduto almeno 5 volte, segnando negativamente buona parte dei miei rapporti amicali. Quando le amicizie sono sane, e fortunatamente in alcuni casi è così, non vi è pretesa, sovrapposizione, perdita di identità.  Una di queste per esempio dura da 30 anni. Per molti anni ho vissuto queste storie come eventi sfortunati, ma a un certo punto la sofferenza vissuta a causa di un amicizia mi ha portato a una situazione di grande difficoltà emotiva e di depressione, che mi ha costretto a riconoscere che qualcosa non andava. Non dormivo, ero ossessionata dal suo pensiero, avevo sintomi depressivi e difficoltà a svolgere qualsiasi attività. Ho iniziato a leggere libri sulla dipendenza e a frequentare il suo sito. Conosco tutta o quasi la teoria, ma è la pratica la parte difficile. Certamente, come le dicevo, ho fatto molti progressi. Per esempio, noto che in molti contributi si pone l’attenzione sul soggetto da cui si dipende, sul suo narcisismo e su altre sue caratteristiche. Ma io so, e tutti noi dipendenti dovremo sapere, che prima di tutto dovremo guardare ai nostri problemi e concentrare gli sforzi sulla cura di noi stessi. In questo senso la lezione della Norwood è tra quelle più utili e da tenere presente. Dopo l’ultimo conflitto, avvenuto un paio di mesi or sono, con la mia amica storica (quella che mi ha costretto a tanta sofferenza da costringermi a analizzare a fondo me stessa) ho avuto per un certo tempo la tentazione di rivolgere tutto il mio rancore e la mia rabbia verso di lei. Ma so bene che devo pazientemente riprendere il cammino e la terapia del recupero. Oggi la sensazione di vuoto non è lontanamente paragonabile a quella di 8-9 anni fa ed è sempre più limitata. Se mai perdura più a lungo la rabbia. A questo riguardo devo dirle che mi è stata di grande utilità la lettura del libro “la ferita dei non amati”, che certo lei conosce, dove si cerca di far luce sui modelli di comportamento e sulle energie positive e negative che essi esplicano. Secondo l’autore le pressioni esterne (anche familiari) generano in noi flussi positivi e negativi di energia, che seguono un certo modello appunto. Nonostante mi sforzi non riesco a collegare il mio modello alle dinamiche familiari e alle pressioni da esse esercitate su di me. So che la mia famiglia è disturbata, nel senso che in essa ho sofferto la fame d’amore e di riconoscimento e non era certo una famiglia aperta ai discorsi sui sentimenti. Mia madre è secondo me una dipendente e mi ha comunicato un idea degli uomini non positiva, e nel suo ruolo di vittima non ha saputo darmi l’amore di cui avevo bisogno. Mio padre è un uomo autoritario e che fatica a esprimere affetto. So che mi vogliono bene e non riesco a provare rancore alcuno verso di loro, anche se in passato ho dato loro molte colpe. In questo quadro la mia dipendenza avrà un senso, che se comprendessi fino in fondo potrei affrontare meglio. Perché rivolgo la mia dipendenza alle donne? Le fasi che le ho descritto che significato hanno? Mi sono chiesta se sia un comportamento omosessuale, ma non provo attrazione verso il genere femminile e la provo verso quello maschile. Però esso non ha rappresentato l’esperienza affettiva più importante fino ad ora. Mi chiedo se per caso non vi sia una scissione tra eros (verso gli uomini) e agape (verso le donne). Se il mio intervento venisse pubblicato vorrei dire a tutte le donne che soffrono di dipendenza che è possibile attenuare il mal d’amore e limitarne la sofferenza. In questi 10 anni ho dovuto mio malgrado compiere sforzi enormi per conoscermi e analizzare me stessa, per cercare di capire e provare ad amare. Ma questo è avvenuto solo ed esclusivamente quando ho abbandonato il ruolo di vittima e ho spostato l’attenzione dall’altra (o altro per la maggior parte delle donne) a me stessa. La ringrazio per l’attenzione e per questo sito marialuisa

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

ORIGINI DI UNA DIPENDENZA AFFETTIVA

In generale il trattamento accordato al bambino determina il carattere della sua vita amorosa. Ad esempio gli innamorati usano i vezzeggiativi con i quali erano chiamati nell’infanzia: in amore si diventa puerili… L’amore è considerato qualche cosa di irrazionale; ma l’aspetto irrazionale può essere ricondotto a fonte infantile: la costruzione nell’amore è infantile. Una tale condizione amorosa trova una bellissima espressione nel Werther di Goethe quando il giovane Werther entra nella stanza e immediatamente si innamora della fanciulla. La vede mentre spalma il burro sul pane e questo gli ricorda la propria madre.

Nunberg e Federn – Dibattiti della Società Psicoanalitica di Vienna 1906-1908 – Bollati Boringhieri

Desiderava fare qualcosa che non lasciasse possibilità di ritorno.
Desiderava distruggere brutalmente tutto il passato dei suoi ultimi sette anni.
Era la vertigine.
L’ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere.
La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza.
Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa.
Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancor più deboli, si vuole cadere in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso.

Milan Kundera- L’insostenibile Leggerezza dell’Essere-

La dipendenza affettiva si va costruendo sulla base di altri legami relazionali, anche se non sempre palesi e visibili, e delle loro vicissitudine nel tempo. Questi legami ed i loro vissuti fondono le aspettative che dovrebbero essere riscontrate all’interno della relazione attuale, in particolare quella fondata sulla dipendenza affettiva.

In particolare nel rapporto instaurato durante l’infanzia con i genitori, se quest’ultimi hanno lasciato insodisfatti i bisogni infantili costringendo i bambini i cui bisogni d’amore rimanevano inappagati ad adattarsi imparando a limitare i loro bisogni.Questo processo di limitazione può portare al formarsi di pensieri del tipo: “I miei bisogni non hanno importanza”o “non sono degno di essere voluto bene”.Da adulti, questi “bambini non amati” dipendono dagli altri per quanto concerne il proprio benessere psico-fisico e la soluzione dei loro problemi. Vivono nella paura di essere rifiutati, scappano dal dolore, non hanno fiducia nelle loro capacità e si giudicano persone non degne d’amore.

Inoltre quanto più i suddetti bisogni rimangono insoddisfatti all’interno del legame significativo infantile (quello madre-bambino), tanto più tale legame si rinnova immodificato nei confronti delle nuove figure di riferimento: il partner in questo caso. Allo stesso tempo più una relazione deve adempiere ad esigenze basilari di protezione e di sicurezza, tanto più forte è il legame che si sviluppa e tanto maggiori sono le minacce potenziali che possono provenire da qualsiasi situazione esterna che metta in discussione tale legame. A tali minacce si tende a reagire, all’inizio, con atteggiamenti d’aggressività nei confronti delle persone che mettono in pericolo la relazione o con altri atteggiamenti comportamentali che tendono comunque a proteggerla.

Di fronte ad un genitore freddo e non affettivamente disponibile, il bambino potrebbe mantenere il suo equilibrio affettivo cercando di minimizzare un comportamento dipendente verso un genitore che ha queste caratteristiche, con tutti gli effetti negativi che può comportare questo tipo di attaccamento verso la figura adulta (Bridges, Denham e Ganiban, 2004). Nel contesto dell’equilibrio, questa condizione potrebbe essere adattiva in quel momento, ma quel comportamento d’equilibrio (lo stile di attaccamento equilibrato verso il genitore), tolto dal repertorio infantile perché risultato non adattivo con quella figura parentale, potrebbe portare il bambino ad uno sviluppo emozionale deviante e condurlo a problemi emotivi e comportamentali, compresa la scelta di partners non disponibili affettivamente (Bridges et al., 2004).

Varie ricerche sono state condotte in tal senso.

Werner e Silbereisen (2003), hanno riscontrato in una loro ricerca, che le ragazze che hanno un rapporto conflittuale con il proprio padre e non compiono esperienza di sostegno da parte sua, hanno maggiori probabilità di coinvolgersi in relazioni affettive patologiche. Un’insana relazione uomo-donna vissuta all’interno della famiglia sembrerebbe influenzare lo sviluppo delle scelte affettive femminili inducendo le donne, che hanno vissuto quest’esperienza negativa con il proprio padre, alla scelta di partners devianti. Anche donne che hanno vissuto una relazione affettiva deviante con il proprio padre, fatta di abusi sessuali e psicologici, risultano più fragili rispetto a quelle che invece hanno avuto una relazione serena ed appagante con il proprio genitore (Miller, 1994; Werner et al., 2003). La fragilità di queste donne sembrerebbe condurle verso relazioni affettive in cui elemosinano attenzioni e continue conferme da parte del proprio partner perché quando l’altro non c’è, il suo pensiero, non basta a rassicurarle (Amaro e Hardy-Fanta, 1995).

Bieber e Bieber sostengono che le persone affette da dipendenza affettiva non hanno avuto colla figura paterna un rapporto di stima e di scambio amorevole generando così un’immaturità psicoaffettiva. Il loro parere è che un padre problematico per vari motivi non permette al figlio una facile identificazione. Lo stesso dicasi per una figura materna iperprotettiva che crea confusione affettiva nel figlio. Quest’ultimo svilluperà odio verso il padre contrapposto alla madre che verrè vissuta come accogliente.

 

Dott. Roberto Cavaliere

 

TESTIMONIANZA

Qui di seguito riporto la mia esperienza sulla dipendenza affettiva che, nel mio caso, è stata soprattutto dipendenza psicologica dalla mia famiglia.

Sono una donna di 39 anni e non mi sarei mai fatta delle domande se cinque anni fa, alla rottura di una relazione durata circa 14 anni, mi resi conto che non riuscivo a superare quel lutto, non riuscivo ad accettare il distacco da qualcuno che analizzando le cose profondamente, in fondo, non aveva altro legame con me che una sorta di mutuo soccorso, che improvvisamente nel momento in cui lui non aveva più bisogno di appoggiarsi a me, aveva messo in discussione.

Premetto che durante i 14 anni di fidanzamento-relazione io ero ingrassata di 16 kg e nonostante le diete, la ginnastica e tante terapie non riuscivo a dimagrire che di pochi chili. Il mio metabolismo si era fermato così come io avevo fermato il mio progresso interiore in quella relazione. Più mi legavo a lui attraverso cose materiali (acquisto di una casa, dell’auto etc.) più mi gonfiavo e alienavo dal resto del mondo.

La perdita di questo legame è stata per mesi da me rifiutata, mi ero chiusa in me stessa. I miei genitori, persone molto concrete e materiali, non riuscivano a darmi quel sostegno morale, anzi pretendevano da me una scelta definitiva (lui non ha mai deciso in maniera definitiva, mi lasciava per poi riavvicinarsi più e più volte) che io non riuscivo a fare. Il primo vero consiglio che ho accettato è stato da mio fratello: “va a vivere per conto tuo e cerca di farti aiutare se non ce la fai da sola”. Ancora lo ringrazio per questo, mi sono sentita amata da lui per la prima volta.

Dopo aver capito che cosa mi aveva legata a quest’uomo e aver preso coscienza che anche io volevo un tipo di relazione diversa, un’affinità con l’altro che non avevo mai preteso nella mia vita, ho incominciato a notare quelli che erano i miei problemi e a volerne capire l’origine. C’è voluto un percorso di psicoterapia di due anni e un altro anno di studi da parte mia per arrivare a comprendere.

La mia storia di disadattamento e insicurezza, sfiducia di me stessa era incominciata a 3 anni di età ca.

Ero una bambina molto sensibile e vivevo un particolare momento della mia vita, figlia unica fino a quel momento, avevo tanto desiderato un fratellino ed il mio desiderio si stava avverando. La mia mamma stava per partorire ed io non vedevo l’ora di vedere la faccia di quel nuovo venuto. Io che non riuscivo a staccarmi da mia madre neanche per un’ora, ero riuscita ad accettare la sua lontananza, il mio sradicamento da casa per stare con la nonna ed i miei zii in attesa di quella cosa nuova. Ero felice. Poi qualcosa turbò la mia serenità. Una sera vidi qualcosa che non capivo (avevo visto qualcuno toccare, palpeggiare mia zia che era in età puberale -13 anni) non potevo sapere se ciò che avevo visto era bene o era male, ma sapevo che io non lo avrei permesso a me, sentivo che c’era qualcosa di sbagliato e non capivo. Dopo questo fatto parlando con uno dei miei zii gli dissi che non volevo più dormire con mia zia e quando lui mi chiese perché, gli raccontai cosa avevo visto. Lui cercò di minimizzare e la sera dopo dormii con lui e quella cosa finì nel dimenticatoio. Qualche giorno dopo però ricordo di aver assistito ad un litigio di mio nonno con mia nonna, non so’ di cosa discutessero né riuscivo a ricordare se qualcuno mi avesse chiesto qualcosa. So’ solo che mia nonna difendeva qualcuno. Poi un’immagine mi aveva terrorizzato: qualcuno sopra di me, che mi teneva con le braccia alzate e che mi minacciava, mi diceva che ero bugiarda e cattiva, anzi che ero gelosa e che se avessi raccontato di nuovo quella cosa me l’avrebbe fatta pagare. Ero molto piccola e ciò che sto riportando è ciò che ho ricordato in psicoterapia, i ricordi prima del percorso terapeutico erano solo di questa grande litigata in cui io mi sentivo coinvolta, ma non ricordavo altro. Dopo 1 anno di terapia ricordai quello che ho riportato. Dopo due anni e mezzo sono arrivata a scoprire chi mi aveva fatto del male, una persona che era quasi una figura genitoriale per me, sia per età, che per la considerazione di cui godeva (era il primo figlio maschio) mio zio.

Ho dovuto prima ricordare, poi perdonare la rabbia che avevo nei confronti di mia madre, a cui imputavo di non avermi saputa proteggere, e di non avermi creduta nel momento in cui le avevo raccontato. È stata dura ed è stato ancora più pesante ammettere che due anni più tardi ho emulato ciò che avevo visto, coinvolgendo una mia cugina. Lo feci senza nascondermi e mia zia (la madre) vedendo il mio comportamento mi disse che quelle cose erano sbagliate tra due bambine, che un giorno avrei trovato un marito che mi avrebbe spiegato. Non mi turbò la sua spiegazione e trovai il coraggio di dire a lei ciò che non avevo più il coraggio di raccontare a nessuno. Lei mi abbracciò e mi disse che quella persona aveva sbagliato e che io non dovevo fare lo stesso errore. Per la prima volta mi sentii compresa, desiderai che quella fosse mia madre.

Mia zia ne parlò con mia madre (lo so perché ascoltai di nascosto); mia madre prima cercò di imputare la cosa alle fantasie dei bambini, poi vista l’insistenza le rispose che forse anche lei si era fatta suggestionare. Premetto che mia zia, una persona molto sensibile, all’epoca viveva un momento difficile della sua vita matrimoniale ed era arrivata a pensare di lasciare il marito; da nessuna delle sue sorelle aveva avuto appoggio morale, anzi tutte le dicevano che avrebbe dovuto sopportare la situazione (erano i primi anni 70 e il divorzio non era contemplato come via d’uscita).

A distanza di tre anni da questo avvenimento, il giorno della mia prima comunione. La mia felicità era offuscata solo dal fatto che non potevano parteciparvi mio fratello, confinato a casa di nonna con il morbillo, e proprio mia zia che era ricoverata in una clinica. Durante la festa mi appartai e scrissi una lunga poesia di morte: una madre chiede ad un angelo perché gli ha portato via il suo figlio migliore e l’angelo risponde che è proprio perché è il migliore che glielo ha tolto. Mi sentivo strana, era un giorno felice eppure i miei pensieri erano pieni di morte.

Il giorno dopo lo squillo del telefono ci svegliò, risposi io, gli altri dormivano. Dall’altro capo del filo il marito di mia zia che non aveva capito che non era mia madre ad avergli risposto. Ricordo solo che ho urlato, mia zia era morta. Stracciai quella poesia, per me significava come un aver decretato la sua morte o averla percepita e non essere stata in grado di aiutarla. Mi sentivo ormai sola, persa, inutile ma nonostante tutto reagii. Sono andata a ricercare i miei vecchi diari di allora e ho scoperto quanto ho scritto, quanto ho cercato inconsciamente l’aiuto degli altri. Ma nessuno poteva aiutarmi, non mia madre che doveva lottare con i propri sensi di colpa, non mio padre che era assente e tutto preso dal garantire alla famiglia il benessere economico.

E poi di nuovo a 10 anni sempre con mia cugina ci tocchiamo di nuovo e stavolta mentre eravamo sotto la custodia di mia nonna, inconsciamente volevo una reazione da lei, perché capivo che era lei il problema, non solo per me, ma anche per mia madre, mia zia, tutti i figli. Mia nonna reagì con violenza e messa a parte mia madre della cosa mi giudicarono e condannarono entrambe inchiodandomi alle mie responsabilità, facendomi sentire in colpa perché ero più grande, perché mia cugina era orfana.

Quindi, in età preadolescenziale ero arrivata alla considerazione che la colpa era in me, che ciò che mi aveva turbata non era responsabilità dell’adulto, ma del bambino. Ciò mi ha portata a considerare gli uomini mostri, soprattutto quanto più mi piacevano. Mi ha portato a scegliere ciò che non mi piaceva, per una sorta di autopunizione. Il fatto di non essere stata creduta mi aveva convinto che non ero degna di fiducia, che ero bugiarda e quindi a che serviva essere sinceri? E sono stata una grande bugiarda, una di quelle che inventa una vita parallela e sa farci credere agli altri.

Ma nonostante questo, ho saputo reagire. Dentro di me le cose che erano accadute avevano lasciato una ferita sanguinante, ma apparentemente ero una figlia modello: studiosa, socievole, piena di interessi artistici. I primi sintomi del malessere sono emersi nei rapporti con i ragazzi: mi mettevo in competizione con loro, volevo dimostrare di avere più carattere e forza di loro. E poi il confronto con mia madre: difficile che ciò che piaceva a me riscontrasse la sua approvazione. La relazione che poi ho portato avanti per tanti anni è nata proprio per fare un dispetto a lei. Ma nel corso del tempo, inconsciamente, mi rendevo conto che stavo facendo una scelta molto più vicina a lei che non a me, l’uomo che avevo scelto era molto simile a mio padre: un uomo che lasciava tutte le decisioni a me. In realtà avevo deciso di conformarmi a ciò che mia madre aveva voluto per sé. Non l’avrei mai ammesso allora, ma ora lo so, mandavo giù non solo cibo in quegli anni, ma tutta la mia delusione e disperazione.

Ci è voluto tempo e ce ne vorrà ancora molto per riuscire a sapermi proteggere. Perché è questo il mio problema, non so’ proteggermi da chi mi vuol bene. È come se, inconsciamente, delego la responsabilità di protezione a qualcun altro. La bambina che voleva essere protetta fa fatica a ribellarsi alle imposizioni degli adulti che pur amandola le fanno del male, con le parole o con i gesti. Ma saperlo mi rende più lucida per comprendere i miei comportamenti e, -a fatica, anche costringendomi a prendere posizioni forti- ho imparato a non far intromettere nessuno nelle mie scelte, nella mia vita personale. Un’altra conseguenza era il rendermi conto che non avevo un rapporto reale e positivo con il mio corpo, che ero come spezzata: da una parte c’era la mia anima, la mia mente che accettavo e di cui ero fiera, dall’altra il mio corpo che non accettavo, che non sentivo mio. Oggi peso circa 20 kg in meno e mangio ciò che mi fa piacere e bene mangiare. Il cibo non è più mattone per riempire la pancia che non vuole sentirsi vuota perché altrimenti sente l’eco di ciò che le manca o le è mancato, ma è piacere, è occuparmi di me.

Durante questi anni ho incontrato un uomo che viveva, come me, un disagio. Ci siamo sfiorati, ci siamo fatti del male, ci siamo lasciati e ci siamo ritrovati. Non so’ dove ci porterà tutto questo e forse non voglio neanche saperlo, voglio solo vivere in modo consapevole, saper godere della gioia senza aspettarmi con terrore il dolore. Donare il mio amore ma saper mantenere il mio centro, cioè me stessa, ciò che fa bene per me, ciò che io desidero.

Essere consapevole che l’altro può condividere con me, ma non può riempire il desiderio della bambina che non si è sentita amata. Quella bambina prima o poi riuscirà a guardare negli occhi suo zio e a non odiarlo più, riuscirà a capire che una persona apparentemente tanto sicura di sé e moralmente normale le ha fatto del male e chissà se ne è rimproverata molte volte.

Se qualcuno solo dieci anni fa mi avesse detto che custodivo un mistero dentro di me, gli avrei risposto che non c’era niente di misterioso in me, che tutto era chiaro e limpido e che mi sentivo perfettamente conscia di ciò che facevo. Oggi so’ che non era così, che ho negato ripetutamente a me stessa la possibilità di buttare fuori ciò che mi portavo dentro, che ho continuato imperterrita senza farmi domande finché tutte le mie certezze (un uomo) sono crollate davanti a me; ed è lì che ho preso coscienza che non era possibile che fondassi la mia vita su quella di un’altra persona e lì che ho deciso di trovare la vera persona su cui fondare la mia vita, me stessa.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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