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FINE DI UNA RELAZIONE – IL DOLORE DELL’ABBANDONO

“Ma lei mi manca. So bene che è lei a mancarmi, non lo stupido fantasma di un desiderio irreale. Mi accompagna ovunque con la sua assenza, non riesco a scrollare da me la certezza che si trovi nella sua stanza e che tra poco scenderà la scala di legno rosso per venire da me, si infilerà nel letto e parleremo a bassa voce della giornata che sta per cominciare. Devo ragionarci sopra per rendermi conto che, quando tra poco mi sveglierò, aprirò gli occhi su un’altra stanza, situata in una città diversa e lei non ci sarà. Ma il giorno non viene. Finché l’oscurità mi accoglie (e così sarà per sempre), lei è, nei miei pensieri, nel cuore di questo pensiero che porto in me, nel cuore tenero e dolente di questo pensiero che in verità non è il mio, ma il suo, un pensiero nel quale lei mi prende con sé, mi protegge, mi ama come io la amo, nel nulla assopito della notte”.

Philippe Forest, Per tutta la notte, Alet 2006

 

Intervista al Dott. Roberto Cavaliere pubblicata sulla rivista “ViverSani & Belli” n.21 del 23 maggio 2008

 

Essere lasciati per “un’altra”: il dolore aumenta?

Dipende dai vissuti personali della separazione, ma generalmente il dolore aumenta. Aumenta perché la colpa della fine è attribuita all’altra . Si afferma: Se non ci fosse stata l’altra la relazione sarebbe continuata. Può darsi che l’altra abbia accelerato la fine, ma il più delle volte non è la causa determinante. Ma è tipico della personalità umana trasferire all’esterno i propri insuccessi.

Inoltre il dolore aumenta perché la vita affettiva e sociale che si è trascorsa insieme adesso l’ex partner la vive con l’altra. Taluni arrivano ad affermare che era preferibile che il partner fosse morto piuttosto che continui a vivere con un’altra.

Abbandono: un dolore “senza età”? Ci sono differenze sostanziali su come la persona vive e elabora l’abbandono a secondo dell’età (20/30:40 anni e oltre?)

Sicuramente l’età anagrafica in cui avviene l’abbandono è importante. Riguarda due dimensioni fra esse correlate: il dolore e la progettualità futura. Il dolore abbandonico dei 20 anni è un dolore più acuto ma dura meno nel tempo. Anzi, riveste quasi un carattere di crescita evolutiva dal punto di vista affettivo. Aiuta a maturare. Serve per esperienza per relazioni future. L’idea di una progettualità futura di coppia non è compromessa ed è quasi assente la paura di rimanere da soli. Man mano che l’età avanza il dolore tende a durare nel tempo, la speranza di una futura progettualità di coppia inizia ad essere compromessa, la paura della solitudine aumenta fino a poter diventare vera e propria angoscia.

Un accenno ai suoi incontri esperienziali: cosa fa più male, perché fa bene parlarne con gli altri, cosa s’impara. Perché le storie finiscono?

Nei miei seminari esperienziali la problematica che fuoriesce ed è più dolorosa è il vissuto abbandonico, con tutte le sue conseguenze: dolore, rabbia, senso di solitudine e via dicendo. Parlarne in gruppo serve, oltre che a condividere questa ambivalenza di sentimenti, a collocarli in una giusta posizione, ad osservarli attraverso anche le esperienze degli altri, sotto un’altra ottica. Ottica evolutiva, di crescita personale. Il gruppo diventa un specchio, ma uno specchio che restituisce un immagine riflessa di sé stessi meno deformata e più sincera rispetto al proprio specchio interno.

Le storie finiscono per i motivi più svariati. Sarebbe necessario farne un lungo elenco. In questa sede posso dire che oggi all’interno di una coppia la dimensione affettiva rimane importante anche nel tempo. Quando questa viene a mancare, a differenza del passato dove la dimensione coniugale o genitoriale rimaneva un forte collante, si decide di porre più facilmente fine alla relazione. Semplicemente finisce l’amore o quando nella fase iniziale si è troppo idealizzato l’altro e/o la relazione coll’altro, il frantumarsi di questa idealizzazione se non trova una progettualità di coppia, porta alla disintegrazione della relazione.

Dopo un amore…: si esce sempre cambiati? Cresciuti?

Non sempre si esce cambiati, cresciuti. Dipende dal percorso personale di elaborazione del lutto della fine di un amore. Se questo processo lo si è vissuto passivamente si entra in quella che gli psicoanalisti definiscono “coazione a ripetere” tendendo a cercare un riscatto nelle future relazioni ripetendo, però, sempre lo stesso copione, che ha portato alla fine del primo.

Inoltre è importante considerare il tempo che si è passato col proprio ex come “ vita acquistata e non vita persa”

In quanto tempo si supera in genere il dolore?

Per quantificare il tempo dobbiamo fare riferimento agli antichi greci che distinguevano due diversi concetti di tempo. Cronos che è il tempo cronologico, quello delle ore, dei giorni e dei mesi. Lo scorrere di Cronos e importante per superare un amore. Studiosi nordamericani sono del parere che sono necessari almeno sei mesi per superare la fine di una relazione o un abbandono. L’altro concetto di tempo è Kairòs che è un tempo individuale , un tempo necessario per dire “basta”, vale a dire il tempo del cambiamento interno. E’ quel momento i cui ci si rende conto che è il momento di voltare pagina. Questo tempo è variabile ed è il tempo necessario affinchè ci si possa mettere alle spalle la relazione finita.

Ci sono differenze nel dolore e elaborazione di un abbandono fra uomini e donne? Nel modo di reagire e, anche, a livello psichico profondo…

L’uomo, pur di fronte ad un ‘lutto sentimentale’ profondo e dilaniante, tende, generalmente, rispetto alla donna, ad elaborarlo in più breve tempo e prevalentemente a livello d’elaborazione esterna. Conseguentemente, mette maggiormente in atto, la tecnica del ‘chiodo schiaccia chiodo’ con le prevedibili conseguenze future per la ‘vittima’ che si presta a questo copione. Inoltre, capita anche che s’instaura subito un odio per il genere ‘femminile’ che porta ad instaurare una relazione per il solo scopo, più o meno inconscio, di vendicarsi, della persona che l’ha lasciato. Manca, quindi, nell’uomo, spesso, quella concezione dell’elaborazione del lutto sentimentale che è legato ad una concezione sia di tempo Kairos che di autentica elaborazione interiore. A livello psichico profondo l’elaborazione del lutto è anche legata alle precedenti esperienze vissute d’elaborazione del lutto ed a copioni familiari presenti e passati. Inconsciamente l’uomo assimila l’abbandono dell’amata ad un abbandono della figura materna.

A livello di comportamenti esterni l’uomo consuma il proprio dolore in maniera più attiva, vale a dire con maggiore rabbia, aggressività, fino ad arrivare a veri e propri comportamenti persecutori come lo stalking.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

DISILLUSIONE AMOROSA E FINE DI UN AMORE

Il principe ritornando a palazzo sosta presso la casa di un saggio sufi e gli espone il suo tormento e la sua tristezza. Il saggio gli dice: “ Quando vuoi vendicarti di qualcuno lasci solo che quel qualcuno continui a farti del male. Prima di tornare al tuo palazzo devi liberarti dai ricordi che ti tormentano.” e gli narra di un giardino agli antipodi del mondo, dove crescono delle rose magiche il cui profumo ha il potere di dare l’oblio. Il principe parte con i suoi fidi e durante i mesi e poi gli anni capitano avventure insolite, incontri strabilianti, battaglie vinte e perse, paesi e costumi meravigliosi, finché dopo sette anni di viaggio, in cui ha perso la maggior parte della sua scorta, rimanendo solo con pochi amici, giunge al giardino e scorge il cespuglio dove fioriscono le magiche rose. Si avvicina al cespuglio ma, improvvisamente si chiede. “Perché devo sentire il profumo di queste rose?”  LE MAGICHE ROSE dalle MILLE E UNA NOTTE

 

La condizione di disillusione pone innanzitutto la persona non più amata, o quanto meno non amata in modo idealizzato come prima, di fronte a vissuti abbandonici e di fine della relazione. La disillusione pone infatti colui che vive l’esperienza in una condizione di risentimento nei confronti dell’Altro già amato. Il rimprovero è quello di non essere stato all’altezza della sua idealizzazione ed è pervaso anche da una sensazione di tradimento, quasi che l’Altro, non solo non abbia potuto, ma anche non abbia voluto, comportarsi come si sarebbe desiderato. Da qui la possibilità di comportamenti di rimprovero («… perché non sei così e così») ed aggressivi («… ti comporti in modo scorretto ed io te la faccio pagare …). Il deluso si può, dunque, non rassegnare alla perdita del proprio sogno d’amore e far subentrare consapevolezza di ciò è difficile.

Ma ancora più difficile sarà affrontare la perdita di un amore che si è vissuto con il senso di appagamento che dà la realizzazione di un proprio sogno, con la conseguente perdita di quelle parti del proprio Sé (spesso le parti migliori, quelle più idealizzate) che sull’Altro erano state proiettate.

La perdita non voluta dell’Altro, il suo abbandono, dà luogo ad un dolore di fondo, una pena con sentimenti di abbandono e conseguente relativa perdita di senso della vita. E’ presente anche un rinchiudersi in sé stessi, un’incapacità a svolgere le normali occupazioni, spesso una difficoltà di concentrazione con conseguenti disturbi della memoria (sopra tutto della capacità di ordinare i ricordi).

Un lutto amoroso non superato porta continuamente il paziente alla ricerca di una risolvere della rottura, di un ripristino della unione senza la quale non può vivere. In particolare, l’innamorato abbandonato può cercare di raggiungere l’obiettivo di essere presente nella vita dell’Altro, di non cadere nell’oblio, di essere riconosciuto. Obiettivo questo che si può raggiungere anche con quei comportamenti molesti che fanno comunque avvicinare all’Altro, magari suscitando in lui sentimenti forti: ira, rancore, paura. Su questa base s’innestano episodi acuti di esplosioni di dolore, caratterizzati da crisi di pianto e disperazione. Sono inoltre frequenti i «passaggi all’atto» sostenuti dalla indifferibile necessità di ricontattare la persona amata che si può tradurre in una ricerca spasmodica dell’Altro con pedinamenti, telefonate, lettere, biglietti … Da qui i tipici comportamenti di amore molesto comuni nella vita di tutti i giorni, fino ad arrivare a veri e propri episodi di Stalking, che spesso arrivano agli onori della cronaca. Infatti E c’è l’estrema possibilità dell’attacco aggressivo, potenzialmente anche omicida. Questo tipo di agiti è spesso presente in persone che hanno già la predisposizione ad agiti esplosivi. Leggendo i resoconti di cronaca, ascoltando persone coinvolte nei relativi fatti di sangue, si ha la sensazione che spesso, a far precipitare la situazione, possano essere state circostanze secondarie come l’atteggiamento di sfida dell’Altro, il suo porre degli ultimatum o più semplicemente la presenza di strumenti atti a provare lesioni gravi.

Altre volte la volontà aggressiva è preintenzionale, studiata in tutti i particolari, al fine di esercitare un controllo sull’Altro che sfugge. I mezzi possono essere duplici:

1) attraverso un agito di reciproca eliminazione, omicidio seguito da suicidio, al fine di ritrovare nella morte quella fusionalità che si è persa nella vita;

2) attraverso lo svilimento, l’umiliazione dell’Altro, in maniera esecrabile e drammatica quale la violenza sessuale, talvolta anche di gruppo. Ciò, probabilmente al fine di far allontanare dall’Altro l’immagine idealizzata che sostiene lo stato passionale del soggetto.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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PAURA DELL’ABBANDONO, DELLA SEPARAZIONE

La mia sola consolazione, quando salivo per coricarmi, era che la mamma venisse a darmi un bacio non appena fossi stato a letto. Ma quella buona notte era così di breve durata, ella ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire… era un momento per me doloroso… Qualche volta, quando dopo avermi baciato, ella apriva la porta per andarsene, volevo chiamarla indietro, dirle “dammi ancora un bacio”, ma sapevo che subito ella avrebbe fatto il viso scuro, giacché la concessione che faceva alla mia tristezza e alla mia agitazione, salendo ad abbracciarmi, portando quel bacio di pace, irritava mio padre (…)

Abbandonai ogni fierezza verso Albertine, le spedii un telegramma disperato che le chiedeva di tornare a qualsiasi condizione, che essa avrebbe potuto fare tutto quello che avesse voluto, che io chiedevo soltanto di poterla baciare per un minuto tre volte la settimana prima che prendesse sonno. E se lei avesse posto come condizione una volta sola, avrei accettato anche una volta.

Marcel Proust – Recherche

ANGOSCIA – A seconda di tale o talaltra circostanza, il soggetto amoroso si sente trascinato dalla paura di un pericolo, di una ferita, di un abbandono, di un improvviso cambiamento – sentimento che egli esprime con la parola angoscia…

Lo psicotico vive nel timore del crollo. Ma “la paura clinica del crollo è la paura d’un crollo che è già stato subito… e vi sono dei momenti in cui un paziente ha bisogno che gli si dica che il crollo la cui paura mina la sua vita è già avvenuto”. Lo stesso avviene, a quanto sembra, per l’angoscia d’amore: essa è la paura di una perdita che è già avvenuta, sin dall’inizio dell’amore, sin dal momento in cui sono stato stregato. Bisognerebbe che qualcuno potesse dirmi: “Non essere più angosciato, tu l’hai già perduto(a)”.

Roland Barthes – Frammenti di un discorso amoroso – Einaudi

Sofferenza […] ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quesi segnali di allarme che sono il dolore e l’angoscia, dal mondo esterno che contro di noi può infierire con forze distruttive inesorabili e di potenza immane, e infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che trae origine dall’ultima fonte viene da noi avvertita come più dolorosa di ogni altra. (Freud, 1929)

Per colmare un vuoto devi inserire ciò che l’ha causato. Se lo riempi con altro ancor di più spalancherà le fauci. Non si chiude un abisso con l’aria. (Dickinson)

“Basta ricordare che siamo fatti d’acqua calda, che siamo soffici, liquidi ed elastici. L’abbandono è uno stato difficile a cui non siamo più abituati, perchè sempre ossessionati dal controllo a tutti i costi dei particolari.

L’abbandono invece è partecipazione alle pienezza, una forma di consapevolezza. Come dire: è così chiassosa la storia, nell’infinito silenzio universale, che è inutile aggiungere altro rumore.

Dunque è un prendere atto di esistere, di possedere braccia, dita e talento non nostri, di essere in possesso di un’identità che ci è data, così come tutto in noi e attorno a noi ci è donato, ci avanza, trabocca le nostre aspettative: nulla ci appartiene.

Allora ecco risvegliarsi in noi l’infantile stupore per ogni cosa, sempre nuova, sempre provvisoria. L’abbandono è una costante primavera, dove tutto continuamente nasce.”

(“la musica in testa” di Giovanni Allevi)

Ognuno si lascia dietro qualcosa che non va più d’accordo con la sua vita, senza che tuttavia abbia la sensazione di essere diventato più povero. D’altra parte esistono persone che non riescono a separarsi da nulla. Per paura di perdere le storie della loro infanzia le raccontano fino alla nausea ai loro interlocutori. Guai a lasciare in giro una parola dimenticata! Quelle persone muoiono tenendo in braccio lo stesso orsacchiotto con il quale sono cresciute. Si vede che l’orecchio mancante è stato aggiustato con affetto, però si vede anche che è stato aggiustato. M. Krüger, La violoncellista.

 

La paura della separazione, dell’abbandono accompagna la vita di tutti: da bambini abbiamo paura della separazione dai genitori, ma anche da adulti continuiamo a temere che le persone che amiamo ci abbandonano.

Per la psicanalisi la prima esperienza di separazione avviene al momento della nascita, quando ci si separa dalla “fusionalità” corporea con la madre. Ogni tentativo successivo di fusionalità coll’altro è un tentativo di riparare all’originaria separazione. Sarà proprio la figura materna, che durante il processo evolutivo, dovrà porre riparo a quella separazione originaria e far evolvere il proprio figlio verso un maturo svincolo dalle figure genitoriali. Se questo processo non avviene o avviene in modo ambivalente tutte le successive separazioni saranno estremamente dolorose.

Dietro la paura dell’abbandono c’è la paura della solitudine, ma anche qualcosa di più profondo: la paura di non esistere. Quando siamo amati da qualcuno abbiamo anche la conferma della nostra esistenza: la persona che ci ama ci fa sentire importanti ed amati, ma prima di tutto ci fa sentire che ci siamo. Nel momento in cui questo amore viene a mancare ci sentiamo smarriti e proviamo un senso di vuoto. Non è così per tutti, ma per alcuni la perdita dell’amato ha a che fare con la perdita di se stessi.

Per riuscire a vincere questa paura il primo passo è quello di ammetterla e riconoscerla.
Quando ci innamoriamo sopravvalutiamo l’altro, che ci sembra perfetto. In realtà trasferiamo sull’altro tutte le qualità che vorremmo avere noi. Ci costruiamo nell’altro un “noi stessi” perfetto. Nel momento in cui un rapporto finisce ci ritroviamo piccoli e di poco valore, ci sembra di non esistere o di non valere.
Per riuscire a vincere questa paura è necessario “strutturare” non stessi, di non riversare sugli altri le cose che non abbiamo e che vorremmo avere, ma di cercare piuttosto di costruircele dentro.
Il distacco, se ci ripensiamo a distanza, porta con sé anche aspetti positivi. E’ in realtà anche una fonte importante di riflessione. Quando lasciamo passare il tempo necessario perché la ferita si rimargini ci accorgiamo che il distacco è stata una ricchezza, che ci ha fatto crescere, ci ha fatto capire più cose, ci ha fatto vedere il mondo con altri occhi, ci ha offerto più opportunità.
Può quindi rappresentare uno stimolo verso situazioni nuove, di cui non dobbiamo avere paura.

C’è anche un altro lato della medaglia In alcuni casi la paura della separazione e dell’abbandono è così forte che si comincia a non volere più nessuno accanto, per evitare di essere abbandonati. Si tratta di persone talmente terrorizzate all’idea di essere abbandonate e di trovarsi incapaci di governare le emozioni, che preferiscono anticiparle. Se sono loro stesse a provocare il distacco, cioè, hanno la sensazione di poterlo governare meglio. Quindi, ad esempio, ci sono soggetti che, per non subire la frustrazione e il dolore di essere lasciati, preferiscono lasciare per primi, anche se la relazione non presenta particolari problematiche.

In ogni caso concordo con l’affermazione di Barthes che la paura della perdita e come fosse una perdita già avvenuta, perchè non permette di vivere il qui ed ora della relazione, ma proietta quest’ultima nel passato abbandonico ed in un futuro simile.

Infine la paura dell’abbandono, della perdita dell’altro ha anche un altra faccia: la paura che l’amore emerso dal nostro inconscio, possa andare via così come è arrivato.Quindi perdita non intesa come perdita dell’altro, ma perdita dell’amore che si prova.

DISTURBO D’ANSIA DI SEPARAZIONE

I criteri diagnostici per il Disturbo d’Ansia di Separazione sono i seguenti:

Ansia inappropriata rispetto al livello di sviluppo ed eccessiva che riguarda la separazione da casa o da coloro a cui il soggetto è attaccato, come evidenziato da tre (o più) dei seguenti elementi:

  1. malessere eccessivo ricorrente quando avviene la separazione da casa o dai principali personaggi di attaccamento o quando essa è anticipata col pensiero
  2. persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita dei principali personaggi di attaccamento, o alla possibilità che accada loro qualche cosa di dannoso
  3. persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento spiacevole e imprevisto comporti separazione dai principali personaggi di attaccamento (per es., essere smarrito o essere rapito)
  4. persistente riluttanza o rifiuto di andare a scuola o altrove per la paura della separazione
  5. persistente ed eccessiva paura o riluttanza a stare solo o senza i principali personaggi di attaccamento a casa, oppure senza adulti significativi in altri ambienti
  6. persistente riluttanza o rifiuto di andare a dormire senza avere vicino uno dei personaggi principali di attaccamento o di dormire fuori casa
  7. ripetuti incubi sul tema della separazione
  8. ripetute lamentele di sintomi fisici (per es., mal di testa, dolori di stomaco, nausea o vomito) quando avviene od è anticipata col pensiero la separazione dai principali personaggi di attaccamento.
  1. La durata dell’anomalia è di almeno 4 settimane.
  2. L’esordio è prima dei 18 anni.
  3. L’anomalia causa disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, scolastica (lavorativa), o di altre importanti aree del funzionamento.
  4. L’anomalia non si manifesta esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, di Schizofrenia, o di un altro Disturbo Psicotico e, negli adolescenti e negli adulti, non è meglio attribuibile ad un Disturbo di Panico con Agorafobia

Dott. Roberto Cavaliere

TESTIMONIANZE

mariate Età: 52 Sono una donna di 52 anni vivo sola dopo la rottura di una penosa convivenza durata ben sei anni anni in cui mi sono occupata principalmente di mia madre malata di Alzheimer, ho incontrato ahimè un altra persona, ma da quando lo conosco la mia già non buona situazione condizionata da un gran senso di solitudine che io ho comunque gestito bene creandomi molte occasioni per uscire di casa e qualche nuova amicizia, è molto peggiorata. Premetto che svolgo un lavoro di responsabilità sono un avvocato e dirigo un settore di un certo rielivo all’interno della struttura dove lavoro. Sono sempre stata instabile nei miei rapporti affettivi e penso anche questa volta di essere arrivata alla conclusione della mia storia dalla quale ne uscirò sicuramente umiliata e soprattutto molto sola. Ho tanta paura ed ho bisogno di aiuto. Il mio attuale “fidanzato” così lui si definisce secondo me mi aggredisce psicologicamente con continue critiche alla mia persona ed al mio carattere. Non saprei da dove inziare ma alcune amiche che a causa di questa storia hanno poi deciso di tagliare i ponti con me mi hanno messo sull’avviso che secondo loro aveva un carattere psicologicamente disturbato.Mi sento circondata dalle continue critiche di tutti o sono io che esagero? Non mi sento amata ed ho una grande paura di essere sola e abbandonata e rifiutatada tutti. Sono stata in analisi anni fa e certe problematiche si erano risolte ma ora sono nella merda a cinquanta anni una donna sola non può e non sa più come vivere.Non so se è giusto e se devo trovare la forza di troncare questo rapporto soprattutto perchè da un momento all’altro potrebbe farlo lui con ulteriore senso di fallimento per me, e soprattutto perchè si apre un baratro di solitudine immensa in cui ho paura di sprofondare. Se provo a cercare qualche amica ricevo rifiuti incomprensioni o aggressività, un’aggressività che non so esprimere con nessuno tranne che al lavoro dove ho imparato a gestire ben 30 persone senza problemi così nella vita ma quando si tratta di amici parenti e fidanzati la paura di non essere amata o di perdere l’amore e la stima delle persone che mi circondano combino dei disastri bestiali. Ho paura che lui mi voglia lasciare sono disperata.

Età: 30 Anche stamani mi sono svegliata con le lacrime agli occhi: nessun messaggio da lui che è lontano per lavoro.
Sto male,dottore,male davvero, perchè vorrei che fosse più presente, perchè ogni volta ho paura che tornando a casa pensi a me e non mi voglia più vedere. Mi rovino la mente nel fare castelli in aria sui suoi presunti tradimenti: pensi stanotte l’ho anche sognato, ed era la stessa scena che avevo vissuto,però realmente, col precedente fidanzato.
Mi aiuti,sto male,non voglio rovinare questa storia.Lui dice di volermi bene,tanto, e che anche quando non c’è deve bastarmi la consapevolezza del nostro amore. Dico di sì:ma poi da sola mi consumo di paure,tristezza,insicurezza,rabbia…
Perchè è così? Cosa rincorro,perchè a me l’amore non basta mai,perchè non mi fido…perchè? Perchè?
Dare la colpa ad un padre assente? Ad una mamma soffocante,ma infantile? Alle “attenzioni” di un parente,troppo “premuroso”?
Non lo so,so solo che vivo male ogni legame affettivo,vivo col terrore dell’abbandono e per questo passo da un letto all’altro,perchè sto bene solo nella fase iniziale della storia,quando si pensa che mai finirà…per quello strano gioco di ormoni ed endorfine! Ma poi,quando si consolida il rapporto,via che si ripiomba nel vortice; allora due alternative: lasciare o ossessionare per farsi lasciare.
Ma questa volta no,voglio che duri,voglio conoscere davvero questa persona,non voglio scappare. Come posso riuscirci?
Cavolo, anche adesso sto piangendo come una vite tagliata,sto male dottore,mi aiuti, non riesco più a vivere: sono due persone,davanti a lui la persona ragionevole che capisce i problemi di un’azienda in crescita,da sola una persona fragile che guarda compulsivamente il telefono e piange perché “lui non pensa a me perchè chissà con chi starà facendo l’amore adesso”.
Ho paura non voglio distruggere la mia vita,non voglio distruggere questa storia.
Mi aiuti,per favore, due parole per dare luce a questo buco nero di paure e pensieri.
E poi: se mi lasciasse? Morirei? No…lo so,ci sono già passata,ma è proprio l’idea dell’abbandono che mi fa morire dentro al solo pensiero di passarci ancora in mezzo. Mi aiuti,voglio iniziare a star bene. Grazie.

COMMENTI

Cara amica ti capisco perchè ci sono passata anch’io.. Ho la tua stessa età e per dieci anni sono passata da un fidanzato all’altro senza stare sola neanche un giorno per il terrore di stare sola. Poi negli ultimi due anni sono stata sola passando anch’io da un letot ad un altro ed ero molto più serena e tranquilla. Adesso mi sto nuovamente affezionando ad un altro ed ho le stesse paure.. Il segreto di “l’importante è non pensarci” e capovolgere la frase in “Posso stare con te e senza di te” è altrettanto una buona idea.. nel frattempo tu hai avuto qualche novità?

Sono stata fidanzata con un ragazzo per 4 anni,tra romanticismo,bugie,dolcezze,tradimenti(suoi),passioni travolgenti. 
Quando è finita questa storia mi sono sentita morire dentro.Da allora sono passati 9 anni lui ha avuto diverse storie “serie”,io invece storielle senza impegno o il sesso di una notte.Non abbiamo mai smesso di sentirci anche se non con una frequenza giornaliera ma,come si usa dire,ogni morte di papa.Negli anni siamo stati insieme tra la fine di una sua storia e l’inizio di una nuova.Io non sono mai riuscita a creare qualcosa di vero con un altro uomo.Mi sono sempre data la colpa per lui e per chi è venuto dopo d’essere io quella sbagliata,quella che non merita d’essere amata e che deve ringraziare Dio se di tanto in tanto qualcuno si interessa anche solo per una notte.Mi sono resa conto che legarsi significa rischiare di perdere,d’essere lasciati soli eppure il meccanismo che ho innescato gioca proprio su questo.Ci sarebbero tante cose da dire per definire la mia storia ma la cojnclusione è una sola…mi sento sola,vuota,mi sento come se non valessi un soldo bucato ma non lo dico ad amici o parenti per non sentirmi definire”vittima”.Gli anni dalla chiusura di quella storia sono passati sopportando un dolore immenso e profondo che non mi lascia respirare.

riferito al commento sopra: forse hai solo scelto di idealizzare qualcosa per paura di scegliere.

anche io sono stata innamorata ed ho idealizzato tanto una persona ma, consapevole di non poterla mai avere, ho preferito avere le mie storie.. continuando solo a sognare questo Luca..

Ti auguri con tutta me stessa che tu trovi un pò di serenità.Perchè anch’io ho i tuoi stessi problemi.Ho 24 anni e passo da un ragazzo all’altro ormai da 10 anni senza rimanere mai sola e con tutti i ragazzi che ho avuto ho sempre avuto l’ossessione di essere lasciata.Adesso sono sola da 2 mesi e vado da uno psicologo.la mia vita è un inferno perchè ho capito che non stando mai sola non ho mai avuto il tempo di pensare seriamente a me stessa e ad amarmi per ciò che sono e adesso ho paura perchè mi sento sola.

Anche io sono nella stessa situazione. Ho 24 anni e in tutte le mie storie passate ho sempre avuto una paura folle di essere lasciata…l’ironia è che è sempre stato questo atteggiamento a portare il mio lui a lasciarmi. Ho riflettuto molto su questa situazione e mi sono chiesta più volte come uscirne. Una volta messo a fuoco il problema (io non ero consapevole di questa mia sindrome da abbandono fino a poco tempo fa) bisogna lavorarci sopra, è un lavoro duro ma fatto con uno slancio positivo darà i suoi frutti. Dobbiamo convincerci che abbiamo dentro di noi il valore necessario per vivere bene e felici anche da soli, che volendo attaccarci agli altri per sentirci protetti distruggiamo noi stessi e la relazione a cui teniamo. Per poter costruire un legame sano dobbiamo riuscire ad riappacificarci con noi stessi, coltivando la nostra autostima e le cose che amiamo, concedendo ai nosri bisogni il ruolo importante che gli spetta e accettando i nostri limiti. Cara amica, la felicità non ti potrà mai essere data dall’amore di un’altra persona, sei tu che per prima devi iniziare ad amare e rispettare te stessa. Spero che tu riesca a superare l’angoscia e la paura, hai la forza per farlo!
Ilaria

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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