Articoli

CRESCITA DOLOROSA E MALINCONIA

Da “Crescita dolorosa e malinconica” (forum “dipendenze affettive”)

Autore: Sommer

Argomento: elaborazione del dolore, cambiamento, prendere contatto con se stessi.

Tra me e quello che mi circonda è come se si fosse insinuato uno spazio vuoto, a volte ostile. Molte delle cose che mi circondano hanno perso colore.

Avverto una sgradevole sensazione di estraneità. A volte mi perdo nei miei pensieri e rimango così per ore….oggi è stato il cambio di luce dall’esterno della finestra prima della pioggia a riportarmi alla “realtà”…..detto così sembra un po’ da idioti. Forse lo è.

Giornate silenziose, tranquille, tristi, malinconiche, frenetiche o inconcludenti…..comunque siano hanno tutte un unico denominatore: provo una tristezza così profonda che dopo è inevitabile piangere.

Sono accaduti tanti di quei fatti che alla fine la situazione sembra come “paralizzata”. Nelle tragedie di Euripide salta fuori il “deus ex machina” che rimette tutto al suo posto e questo divide la critica nella mia vita sembra non accadere nulla che sblocchi la situazione e questo tormenta me.

Il mio ex non ha più alcun ruolo in questo, o almeno è quello che sento perchè lui non mi manca più.
Avevo smesso di desiderare un suo ritorno dopo quasi un anno dalla chiusura e 5 mesi fà ho avuto la conferma di quello che provavo.
Desidero un amore nuovo, una persona che in alcune cose sia diversa.
Oggi mio ex non sarebbe più la mia scelta. O meglio, in parte…..ma non sarebbe sufficiente.

Ho pensato all’altra ragazza. Prima provavo come un senso di odio ma poi ho concluso che al di là della cattiveria per alcuni particolari io non provo più nulla contro di lei.
Ho pensato “se fossi stata io al suo posto? Se mi fossi innamorata di un ragazzo impegnato che ricambiava il mio interesse e che fosse disposto a lasciare la sua fidanzata per me perchè non la amava più (perchè è questo che al di là di tutti i particolari lo ha portato via da me) sarei riuscita a rinunciarci?”
La risposta è che non lo so, avrei molto rispetto del dolore dell’altra, mi dispiacerebbe trovarmi in quella situazione ma forse accetterei quell’amore se fosse un reale impegno. Questa la mia considerazione generale.
Lui ha mostrato più rispetto per l’altra che per me…..questo mi ha ferita…..questo mi ha distrutta. Rispettare l’altra è equivalso a calpestare me, come se lui non avesse altra alternativa…..questo mi ha delusa. Non è riuscito a fare diversamente.
Prima, nella confusione di emozioni ereditate da un cuore ferito e arrabbiato speravo che all’altra accadesse quello che era accaduto a me con il mio ex: il dolore della conoscenza dei suoi vuoti interiori. Adesso sento non solo a parole, che la loro vita e se sono ancora insieme, non mi riguarda.

Ho convissuto con un dolore emotivo che ho percepito come un intruso, in parte con motivazioni diverse è ancora così.
Per sopravvivere a quel dolore ho trascurato un aspetto della mia vita professionale. Adesso convivo con le conseguenze che l’immobilità di quel dolore ha provocato sia da un punto di vista pratico ( il trovarmi a portare a termine degli impegni in tempi stringati) che emotivo (provo come un senso di fallimento).
Se stare male significa non riuscire a portare a termine i miei impegni allora stare male è diventato un lusso che non posso permettermi. Spero che la forza a mia disposizione sia sufficiente. Spero di non fallire…..non potrei perdonarmelo.

Se devo trovare delle conseguenze positive credo di aver capito fino a che punto posso essere fragile ma non credo che questo mi salverà da future delusioni. Sento di aver percepito di più…in modo più profondo, intenso. Ho pianto e piango di più.
Ho lentamente appreso il valore che ha l’amore per me, quello della lealtà, quello dell’affetto e adesso sperimento quello dell’andare fino in fondo alle cose.

Questo periodo è davvero difficile…..sola con me stessa non è facile. Non ho ancora capito quando posso fidarmi di quello che provo: sono ancora in uno stato emotivo “alterato” oppure “consapevole”? Non riesco ad orientarmi.
In questi mesi ho viaggiato, riempito la libreria di libri nuovi, attaccato alle pareti quadri che mai avrei pensato potessi acquistare e nuove locandine di mostre, iniziato ad ascoltare musica diversa, ho riaperto da poco il mio amato pianoforte, ho capito che il mio lavoro mi piace davvero ed è da quello che sto ricominciando. Ma questo non è sufficiente a non farmi provare dei vuoti terribili, mi siedo sul pavimento e circondata da tutte le mie cose piango come se non avessi nulla. Sommer

Cara Sommer, qualcosa del genere mi è capitata qualche anno fa, dopo un periodo di presa di coscienza di alcune cose che mi riguardavano.
Avevo passato precedentemente un lungo periodo di introspezione, in cui erano entrate in gioco diverse risorse, tra cui la psicoterapia. Mi sentivo di avere fatto molta strada eppure cominciavo ad entrare in un periodo che ricordo come un momento molto buio ed intenso. Ma che oggi ringrazio di aver passato.

Non so se sia la stessa cosa per te, ma quel periodo è stato per me una fase in cui stavo prendendo contatto diretto con la mia solitudine interiore, con i miei vuoti, ed era qualcosa che riguardava solo me. Come dici tu, non c’era più realmente qualcuno da dimenticare, avevo digerito anche l’abbandono di allora sperimentato (anzi, più abbandoni, perchè avevo perso non solo il mio ex convivente, ma anche alcuni amici).

La verità è che stavo toccando con mano quello che era emerso di me dopo aver accettato di confrontarmi con la realtà, accettandola, e deciso di lasciare andare ciò che di esterno mi faceva stare male (la relazione e soprattutto il mio modo di viverla), permettendomi di ritrovarmi faccia faccia con me stessa e con la mia solitudine, concedendomi di vederla realmente per quella che era, senza distrarmi attraverso problemi esterni alla mia interiorità.
E credo, oggi, che non avrei potuto evitare questo, non se pretendevo di andarne oltre.
Eppure, come dici tu Sommer, si tratta proprio di una fase di crescita molto dolorosa. Lo è, ma non è eterna, a me è servito molto attraversare quegli stati d’animo atroci. Perchè sì, sono davvero stati atroci.

Quando non stiamo bene, nel momento in cui ci spogliamo delle “distrazioni” esterne (scusa il termine..) ed accettiamo di non ancorarci ad altre situazioni (relazioni, od altro) per fuggire ancora la nostra solitudine interiore, ma scegliamo invece di fermarci un attimo per “sentire” ed affrontare davvero quello che abbiamo dentro e che riguarda solo noi, il dolore diventa molto acuto.
Perchè è nudo, in tutta la sua essenza, e noi non lo stiamo coprendo con altri problemi, altre situazioni, altre illusioni, ma lo stiamo ascoltando e ci stiamo facendo attraversare.
Questo è quello che è successo a me, perlomeno, e che sto affrontando oggi in maniera differente e meno feroce per quanto riguarda l’intimità di cui ho parlato altrove.

Lasciarsi passare attraverso la solitudine sorda che portiamo dentro è molto doloroso, Sommer, ma rivela un grande coraggio e tu, tra le tue lacrime, puoi essere fiera di te per questo.

Non ricordo se oggi stai frequentando qualche psicoterapeuta o meno, ma se così fosse parlane con lui/lei, tira fuori tutto, lasciati sfogare in qualsiasi modo tu possa fare.

Attraversare una fase di dolore forte è molto spesso l’anticamera di una fase più vigorosa e serena, specialmente quando precedentemente c’è stato un percorso di consapevolezza.
Con questo però non vorrei sminuire questo tuo momento.
Io, se durasse ancora molto, consulterei qualcuno, così, anche solo per rasserenarmi e per sentirmi un pò sorretta e cullata nella fase più acuta.

Ti comprendo molto bene e ti sono vicina.
Un abbraccio forte Yana

Yana, sto seguendo una psicoterapia, a volte me ne allontano per una settimana perchè è fonte di un dolore che non tollero, altre perchè mi sembra di non aver spostato il mio pensiero di un millimetro rispetto alla seduta precedente, altre perchè ho bisogno di riprendere fiato ma cerco di essere il più possibile costante.
A volte non voglio uscire da quello studio, vorrei restare lì dentro fino a quando non ho trovato una soluzione perchè quello che mi aspetta fuori mi spaventa. Altre non vedo l’ora di andare via perchè non mi sembra di ricevere l’ascolto e l’aiuto che vorrei.
Il punto è se l’aiuto di cui ho bisogno e che vorrei disperatamente in questo momento posso ottenerlo dall’esterno.
La risposta che sono riuscita a darmi è che dall’esterno arriva un aiuto ma “l’aiuto” deve venire da me.

In me è come se convivessero due Sommer: una è paurosa, fragile con un gran bisogno di trovare sicurezza in un “mondo” in cui potersi sentirsi al sicuro e rifugiarsi dagli scossoni della vita e soprattutto di essere accettata nelle sue fragilità. L’altra è un personaggio ambizioso, spesso impavido attratta dalle sfide, che vuole cambiare, che vuole capire, che vuole agire diversamente. Non è facile trovare un giusto compromesso tra la spinta ad agire e quella a resistere quindi precipito in uno stato di blocco e di stallo che mi fa provare un gran senso di rabbia, impotenza: questi i momenti in cui il dolore esplode dentro me.
Come se la componente logica e quella emotiva, in parte sconosciuta, non riuscissero a comunicare tra loro. Non riesco a trovare parole diverse per esprimere quello che provo.
Un dolore subdolo, tagliente, intenso e io spesso davanti a lui divento piccola e indifesa.

Devo imparare a conoscere le mie emozioni per non lasciarle esplodere incontrollate, se imparo a sentirle riuscirò a gestirle e a quel punto saranno aiuto e sostegno contrariamente rischiano di farmi molto male.
Per questo ho deciso di non agire su alcuni aspetti della mia vita, ma ascoltarmi e osservarmi attribuendo delle priorità.
In questo momento la priorità sono IO e la felicità di cui posso essere solo io la fonte il resto verrà di conseguenza…..o meglio spero che sia così.
Per quanto desideri vivere altro in questo momento ho ancora necessità di restare sola. Fino a quando alcune cose non troveranno la giusta collocazione nella mia vita non posso prendere decisioni che vanno in direzione diverse da me stessa. Non so di quanto tempo ho ancora (spero non sia lungo) potrebbe trattarsi di giorni, settimane o mesi……cerco di avere pazienza con non pochi insuccessi.

Questo dolore è un intruso in me, sono consapevole che devo accettarlo ed amarlo perchè non posso non riconoscere che ha fatto luce sui nodi che in parte bloccano la mia crescita e che risolti mi faranno andare verso la vita che davvero desidero per me. Di questo ne sono convinta e spero di cuore di non sbagliarmi.
Il punto è: come utilizzare questo dolore “feroce” in maniera costruttiva che non sia solo fonte di pianto e disperazione che prosciuga le mie forze ma che le alimenti? Vorrei che da “nemico” diventi “amico” e non solo perchè mi ha permesso di vedere il problema.
E’ possibile fare questo? Probabile che la risposta sia SI e che quella risposta io debba trovarla da sola….sono sfinita.

In parte credo di essere già cambiata…….sto ricostruendo la mia identità.

Ci sono stati altri momenti di crescita dolorosi ma nessuno lo ricordo così forte, così lacerante. Possibile che abbia dimenticato? O forse sono solo diversi? Forse non è importante neanche che me lo chieda non serve.

Ho chiare le dinamiche di alcune cose ma aspetto di essere più serena voglio guardarle con occhi nuovi e viverle solo se avranno un significato per la sommer che sarò dopo alla luce di questa crescita.

Spero davvero che non sia eterno. Il momento in cui questo dolore mi lascerà e tornerò alla vita sarà bellissimo.
Immagino il momento in cui le nostre strade si divideranno e inizieremo a camminare in direzioni opposte. Lui è avvolto da un mantello nero, sono sicura che piangerò anche in quell’occasione perchè mi sarà così abituata al dolore che forse avrò paura anche della felicità. Lui non sarà troppo arrabbiato se in questo momento lo sto odiando…..se la nostra convivenza è difficile, sono sicura che capirà perchè sto avendo tanta difficoltà ad accettarlo. Lo guarderò per un po’ mentre si allontana poi inizierò a camminare per la mia strada e sento che in quel momento non mi sentirò più sola.
Se devo trovare un aspetto romantico lo immagino così…..

Grazie a tutti…..di cuore. Sommer

Cara Sommer, da giovane vivevo in gruppo. e il gruppo rinforzava la mia personalità e i miei propositi. quando mi sentivo debole mi appoggiavo al gruppo che fungeva da “coscienza collettiva” e spazzava via i miei dubbi e le mie incertezze. inutile dire che con gli anni e col cambiare delle condizioni sociali e individuali, il “mitico” gruppo si è trasformato e le proporzioni fra coscienza collettiva e coscienza individuale sono cambiate. diciamo che non ho più la scorciatoia della coscienza colletiva e mi misuro sul mio metro prima di tutto. mi limito a osservare questo fatto senza prendere in considerazione se questo sia un bene o un male. ci sono dei lati positivi sia in una situazione in cui il nostro io viene rinforzato dall’esterno, all’interno di una “comunità” più o meno larga ma liberamente scelta, sia in una situazione in cui a prevalere è la nostra coscienza che funge da elemento “ordinatore” del mondo esterno. ma la nostra coscienza non è un entità asettica, siamo noi, con il nostro inestricabile carico di emotività e razionalità, di affettività e necessità di individuazione etc…. in questi anni di crisi ho capito di avere dentro un dolore che era solo mio, finchè ho cercato di spiegarmelo a partire da quello che facevano o non facevano gli altri, in particolare il mio compagno del momento, ho ottenuto solo di incasinare la vita a me e agli altri. da quando sono riuscita a vederlo, a sentirlo e a sopportarlo ho fatto un decisivo passo in avanti per la mia vita e per le mie relazioni affettive. ma ti assicuro con non è stato affatto un processo in vitro, non c’è stato un “prima si fa così e poi si fa cosà”. Hai ragione, secondo me, a dire “Devo imparare a conoscere le mie emozioni per non lasciarle esplodere incontrollate, se imparo a sentirle riuscirò a gestirle e a quel punto saranno aiuto e sostegno contrariamente rischiano di farmi molto male.” però questo accade quando si vive e si sperimentano situazioni e esperienze, sbagliando. sbagliando. se si sbaglia non c’è niente di male, se ci scappa un emozione incontrollata non c’è niente di male, se si esprime un sentimento per come ci viene non c’è niente di male. si può correre il rischio di sbagliare e che qualcuno ce lo faccia notare, nel qual caso, se ha ragione, dovremo chiedere scusa o ringraziare, e anche in questo non c’è niente di male. non c’è strada in cui non metteremo un piede in fallo, gli amici più simpatici li troviamo quando cadiamo e loro cadono insieme a noi. fai bene a ascoltarti, se ora vuoi stare sola affettivamente fallo, ma non credere che questo ti dia un vantaggio o che ci sia un prima e un dopo nella costruzione di se.
“Per sopravvivere a quel dolore ho trascurato un aspetto della mia vita professionale. Adesso convivo con le conseguenze che l’immobilità di quel dolore ha provocato sia da un punto di vista pratico ( il trovarmi a portare a termine degli impegni in tempi stringati) che emotivo (provo come un senso di fallimento).
Se stare male significa non riuscire a portare a termine i miei impegni allora stare male è diventato un lusso che non posso permettermi. Spero che la forza a mia disposizione sia sufficiente. Spero di non fallire…..non potrei perdonarmelo.”
Carissima mi sa che la tua vita professionale ti aveva sottratto veramente molto della tua vita affettiva, non vedere questo rallentamento in termini di fallimento, sicuramente non lo è affatto, la tua umanità in questo momento si è approfondita e accresciuta e questo può essere solo un bene in tutti ma proprio tutti i campi della vita. vedila come un valore aggiunto perchè lo è e se tu dovessi andare più piano nel lavoro o abbassare i tuoi obiettivi vuol dire che, per ora, sono quelli gli obiettivi che ti puoi permettere senza “buttare via” tutto quello che hai conquistato con questa crisi preziosa. non ti costruire una corazza di doveri, non ti fare l’idea sbagliata che devi”prima” capire e poi “vivere”. ci si conosce a partire dalle esperienze di se stessi e del mondo, in un fluire continuo. penso che questo momento doloroso ha posto una pietra miliare nella costruzione di te, datti fiducia ora, non aver paura, un bacio Zoe29

Ciao Zoe,

sento il bisogno di allargare la mia visione per percepire quello che arriva dall’inconscio e per questo devo imparare a fidarmi delle mie intuizioni.
Una mente ordinata è importante ma serve a poco se limita il mio sguardo e mi imprigiona dentro piccole e ordinate realtà e non mi permette di cogliere il senso delle cose e delle esperienze della vita.
Concordo che l’esperienza è importante ed è solo di chi la vive e che si impara a conoscere se stessi anche attraverso gli sbagli….anzi sono quelli che più frequentemente ci spingono a riflettere. Penso che ci sia un merito anche negli sbagli se viviamo responsabilmente le conseguenze ma al momento non so se sono in grado di vivere alcune responsabilità nei miei confronti perchè forse sono troppo fragile e disorientata, percepisco l’esterno diversamente e avverto un senso di estraneità.
Prima devo riprendere contatto con me stessa dopo sarò in grado di andare verso l’esterno…questo voglio dire. Sbaglio? Questo mio pensiero pensate limiti la mia vita?

Ho avuto una vita emotiva complicata quando avevo 8 anni mia madre è entrata in crisi come moglie e madre ho pagato a caro prezzo quel suo momento di crisi e di crescita. E’ stato difficile per me. Ha cercato un aiuto professionale, di questo la ringrazio, nella speranza che non mi perdessi troppo in tutta quella confusione come mi aveva spiegato ma è stato difficile lo stesso. I rapporti importanti sono complessi….vivo delle conseguenze ancora oggi.

Hai ragione quando dici che una crescita coinvolge tutta me ma io ho il limite di percepirmi come “frammentata” a “compatimenti”…..questo mi fa male. Ho avuto dei riscontri dall’esterno ma io non ne ho ancora preso davvero consapevolezza.

Sto cercando di recuperarmi attraverso le cose che ho scoperto essere davvero importanti per me. Spero di ritrovarmi così…..potrebbe non essere il percorso giusto. A questo penserò nel momento in cui dovessi capire che sto sbagliando…..anche se a volte percepisco come di vivere “a metà”…..in parte questo sentire alimenta le mie lacrime. Non sono in grado di fare diversamente o forse è l’unico modo? Non lo so…..

Vorrei tanto essere recuperata dall’Amore…… Sommer

“Prima devo riprendere contatto con me stessa dopo sarò in grado di andare verso l’esterno…questo voglio dire. Sbaglio? Questo mio pensiero pensate limiti la mia vita?”

Cara Sommer, ho letto e riletto il tuo ultimo post, pensato e ripensato ma forse è meglio che ti dico sinceramente quello che sento. sono due le sensazioni che prevalgono: la prima è che tu abbia paura di perdere l’equilibrio mentale, la seconda è che tu abbia paura di fare esperienza per paura di sbagliare più ancora che essere nuovamente ferita. mi sembra che tu giudichi te stessa molto male. siccome dopo questa esperienza devastante di abbandono hai vacillato ora pensi che vacillerai sempre quale che sia l’esperienza che ti giunge “dall’esterno”. ma è così? è vero il tuo equilibrio è cambiato profondamente, ti eri messa in gioco, forse per la prima volta dopo “il tradimento” (passami la semplificazione) subito da tua madre, e hai subito un altro abbandono. i sentimenti sono pericolosi, con i sentimenti ci si sbaglia, non sono provette, non sono formule matematiche, non c’è un prima, non c’è un dopo, non sono ordinati. bisogna imparare a governare il caos, a capirlo, ad accettarlo dentro di noi e fuori di noi. e tutto questo significa essere umani, cadere e rialzarsi. il tuo equilibrio è cambiato. sicuramente hai più paura di cadere ma sicuramente ti sei affacciata sul mondo misterioso delle tue emozioni e dei tuoi sentimenti, hai cominciato a “guidare” questa macchina (paragone molto poco calzante), per ora devi pensare a quando cambiare, a qual’è il pedale dell’acceleratore… domani ti verrà automatico. l’unica cosa che puoi fare è vivere. perchè non puoi fare altro:
“Vorrei tanto essere recuperata dall’Amore……” finalmente un vorrei in mezzo a tanti devo! Per l’equilibrio mentale, proteggiti. vola basso, stai in situazioni riposanti, affidati alla tua rete di amici, prenditi il tuo tempo per recuperare le forze, datti il tempo di divertirti, questo dice la vecchia zia zoe, e se questo dovesse dire fare un passo indietro nel lavoro per non stressarti, fallo, prendi lo slancio per passi più importanti domani. Cara Sommer pensa che ce l’hai fatta da bambina e con molte meno risorse di quelle che hai ora! almeno questo “merito” te lo vuoi attribuire?
secondo me, quindi, tornando alla tua domanda io penso che il problema che poni non esiste semplicemente, cerca di prendere contatto con te stessa in ogni cosa che fai, io penso che tu lo stia già facendo e l’esperienza del forum ne è una testimonianza. una bella ginnastica che io ho fatto negli ultimi tempi è cercare di capire ogni volta l’emozione e il sentimento con cui facevo ogni più piccola cosa e esprimerlo nel momento in cui lo provavo alla persona per cui lo provavo, marito, figli, amici, perfetti sconosciuti quando possibile, capi di lavoro, colleghi etc… non sai quanto questo abbia arricchito la mia vita e le mie relazioni… ti cullo in un grande abbraccio, coraggio Zoe29

Cara Sommer,
sono d’accordo con quello che ti dice Zoe, sono le stesse sensazioni che mi vengono leggendoti, anche perchè le ho sperimentate e mi ci ritrovo.

Forse la tua paura è proprio quella di perdere il controllo, tipica di chi ha già sperimentato smarrimento profondo in un età fragile.

Eppure lasciare andare il controllo è paradossalmente la soluzione a molti dei nostri blocchi, perchè tenere il controllo delle emozioni e della nostra vita, dei fallimenti e delle vittorie, in modo assoluto, non paga cara Sommer. Svilisce, toglie vita, spontaneità.
E preclude molte cose fantastiche.

E’ molto difficile affidarsi all’amore ed alla vita, lasciarsi trasportare un pò di più dal desiderio e meno dal dovere interiorizzato e aprirsi a nuovi orizzonti (anche interiori), specialmente per chi molto presto ha dovuto imparare a fare l’esatto opposto per non perdersi, ma credo che sia il passo che tu stia inconsapevolmente compiendo e che ti provoca tormento e terrore.

Se è così, comprendo il tuo percepirti in mille pezzi e talvolta in due metà. Non riesci a trovare un centro saldo, in cui riconoscerti, perchè stai cambiando, ti stai evolvendo.
Cambiare comporta anche delle rinuncie, oltre che dei grossi guadagni; il cambiamento porta con sè la perdita di vecchi schemi e quindi punti di riferimento solidificati (ma non per questo utili per il raggiungimento del nostro benessere) ed anche di aspetti di sè.

La nostra umana tendenza all’attaccamento ci fa sentire sbriciolati di fronte alla perdita di punti a cui aggrapparci, che possono essere anche interiori, ma secondo me se si supera la prima fase di smarrimento si procede oltre e si cresce davvero.
Si accetta di crescere.
Questo dolore e questa confusione che percepisci dall’interno (e che ti da la falsa sensazione di distanza dall’esterno) è secondo me una sospensione tra l’accettazione e la non accettazione emotiva di compiere questo passo in più, di evolvere la tua vita e il tuo mondo emozionale in qualcosa di diverso.
Credo sia una fase comprensibile, forse devi solo accettare di viverla pur provando paura, per poi varcare la soglia.

Tanto tempo fa qualcuno mi fece un esempio che porto sempre con me nei momenti di paura e di cambiamento.
Immagina una bambina che impara ad andare in bicicletta senza rotelle.
Cade, sbaglia, si fa male magari, si sente timorosa perchè non ha più gli stessi appigli sicuri di prima, ma nonostante tutto va.
L’unica soluzione che ha per imparare a pedalare libera senza rotelle è quella di procedere nonostante la paura e nonostante il ricordo delle cadute ed il timore di ripeterle.
E così, un giorno, la bambina riesce a pedalare, abbandonando nel tempo la paura.

I bambini, compresi quelli che eravamo noi, ci danno tanti esempi di quel coraggio che spesso da adulti non sappiamo dove recuperare.
Eppure è nascosto dentro di noi.

Un caro abbraccio, Sommer

Yana

Cara zia Zoe,
sicuramente l’abbandono della Sommer adulta ha riportato alla mente l’abbandono della Sommer piccola. Io parlo sempre di mia madre perchè sento essere la figura che mi è mancata di più ma non dimentico che la figura paterna per me è assente sotto l’aspetto affettivo, nel ruolo di padre è un uomo freddo.

Ero piccola ed ho vissuto quel caos con l’ingenuità e le risorse dei bambini anche se da solare sono diventata seriosa, silenziosa e spenta perchè i problemi degli adulti mi avevano coinvolta. La fantasia, l’ingenuità dei bambini, i libri e quello psichiatra infantile chiamato in aiuto perchè non mi perdessi troppo dentro quel caos mi hanno aiutato. Ma i miracoli non sono possibili……

La paura di essere ferita……non la provavo così forte da molto molto tempo, come se avessi rimosso.
E’ stato un déjà vu terribile per me. Ecco perchè ho sofferto così profondamente per la fine di questo amore.
Il mio ex sotto molti aspetti rimane perfetto, nonostante tutto se non fosse stato portato via da un’altra ragazza tra noi due sarebbe finita se qualcosa non fosse stato risolto. Se non si doveva andare nella direzione della risoluzione allora lasciarmi è stato il regalo più bello che potesse farmi perchè quella relazione avrebbe ucciso la mia anima a piccole dosi…..sotto alcuni aspetti lo stava già facendo.

“E’ molto difficile affidarsi all’amore ed alla vita, lasciarsi trasportare un pò di più dal desiderio e meno dal dovere interiorizzato e aprirsi a nuovi orizzonti (anche interiori), specialmente per chi molto presto ha dovuto imparare a fare l’esatto opposto per non perdersi, ma credo che sia il passo che tu stia inconsapevolmente compiendo e che ti provoca tormento e terrore.”

Yana hai ragione è come se qualcuno avesse forzato qualcosa anticipando i tempi ero ancora una bambina e mia madre mi chiamava piccola donna chiedendo una comprensione che non potevo darle o forse non era giusto chiedere…..io dicevo di si e a volte neanche capivo a cosa avevo detto di si.

Hai ragione anche quando dici che lasciarsi andare è paradossalmente la soluzione per superare dei blocchi, sotto alcuni aspetti della mia vita è accaduto questo quando stavo cercando di uscire dalla prigione di schemi che mi erano stati imposti e che sentivo non appartenermi. E’ stata una dura lotta tra emotività e ragione. Il mio malessere era diventato così insopportabile che “cedere” al mio sentire è stato inevitabile. E questo è accaduto in cose importanti ma anche in cose semplici come decidere di fare un viaggio non programmato. E’ accaduto di ritrovarmi a partire il venerdì sera e ritornare la domenica notte decidendo il tutto il giorno prima con un’organizzazione improvvisata e devo dire che è stato bello, che mi ha arricchito e mi ha fatto sentire come libera.

La questione affettiva è un po’ ostica perchè tocca corde profonde. La risposta naturale nonostante il desiderio forte di avere una fonte di affetto tutto mio di cui sentivo la mancanza è stato quello di restare sola e aspettare qualcosa di bello per me. Ho risposto come selezionando affetti e l’amore. Ovviamente mi sono persa un sacco di cose, le delusioni non sono mancate nè mancheranno.
Con le amicizie molte cose sono riuscita a cambiarle. Ho amici diversi tra loro e anche da me e da questa diversità mi sento arricchita e non necessariamente con tutti ho lo stesso grado di conoscenza emotiva ma è bello lo stesso……non con tutti condivido le stesse cose ed è bello lo stesso.
Ma con l’Amore?……con l’Amore come faccio a mettere alla prova le mie emozioni e paure se in poco più di 30 anni il mio cuore l’ho sentito battere poche volte?…….Qualche ingranaggio non funziona bene. Alle mie amiche succede di continuo…..
A me solo tre volte: due volte mi hanno portato nella direzione di due storie durate anni e finite per motivi diversi. La terza volta, non so neanche perchè ed è probabile che non lo saprò mai.
A volte mi sento così ridicola…..sembra che vivo in un altro mondo.
Questo il mio sentire…..comportarmi in modo diverso significherebbe forzare la mia natura.

Il punto è che non devo forzare la mia natura……basta solo cambiare prospettiva.

Quello che sto vivendo è un momento doloroso che a volte mi toglie il fiato. Vorrei solo capire quello che sta accadendo dentro di me e lasciarmi andare per essere semplicemente me stessa.

Grazie davvero i vostri interventi mi hanno dato spunti di riflessione che cercherò di approfondire.
Come dice un proverbio zen: Salta!!!!!…..e la rete apparirà. Sommer

A volte senza una ragione apparente sento il cuore farsi più pesante. Si tratta dei miei vuoti, dei miei dolori, delle mie ferite. Chiudo forte gli occhi, stringo i denti, piango e aspetto che passi. Quando passa mi sento un po’ indolenzita dentro. Come se fossi la radice sfibrata di una pianta cresciuta al buio.

A volte ho lasciato che il dolore si trasformasse in sofferenza. Una responsabilità che fa molto male.
Volevo essere felice ma incapace di reagire. Volevo fare qualcosa ma non sapevo cosa. Ho girato a lungo dentro e fuori da me spesso a vuoto per capire cosa fare, per capire cosa volessi davvero.
Ho impiegato tempo.

Devo trovare la forza di ricomporre le mie sensazioni, di perdonarmi di quella che in parte è stata immobilità. Devo tirare un respiro profondo e riprendere a vivere iniziando da dove avevo lasciato.
Dare spazio a tutti gli aspetti della vita senza concentrarmi solo su alcuni come se si escludessero……devo imparare a conciliarli.
E’ come se avessi dato attenzione solo ad una parte di me lasciando nell’ombra l’altra. Ho sbagliato perchè adesso una parte di me continua a soffrire.

Ad un certo punto della mia vita ho dovuto capire se stavo vivendo davvero la mia vita o stavo concretizzando le ambizioni di mia madre. Ho dovuto capire quali erano i pensieri e desideri di Sommer e quale il rumore di fondo delle aspettative altrui. Ho dovuto alzare la voce per affermare la mia personalità e comunicare le variazioni di colore al mio percorso.
Sapevo che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato nell’educazione che mi era stata imposta circa il cavarsela da soli e fare affidamento solo su se stessi senza imporre i propri problemi agli altri…….ma non ho compreso subito quali fossero le conseguenze dell’assurdità di quella sfida.

Non DOVEVO intralciare il percorso professionale di mia madre, DOVEVO eccellere, non DOVEVO deludere.
Soffocata da questi e molti altri dovevo alla fine ho perso di vista e deluso la persona più importante: me stessa. Altra difficile resposanbilità.
Sono stata terribilmente delusa dalle persone che cercavo di non deludere. A mia volta ho deluso quando ho iniziato a sceglire me. A volte sembra impossibile evitare che qualcuno rimanga ferito….

Una grande fatica arrivare fino a qui per me che sono cresciuta con il freddo nel cuore, sognando un amore tutto mio e nell’attesa cercare di gustare la solitudine. Sempre seconda dopo qualcosa di più importante…….comprendere…..contestualizzare…..relativizzare…..andare oltre.

A volte ho l’impressione che le mie aspettative/domande/desideri siano come sassolini gettati dentro un pozzo senza fondo….spero non duri ancora a lungo.

Scusate oggi è stata una giornata difficile. Sommer

Cara Sommer,
continua a commuovermi il tuo stato d’animo, che mi tocca profondamente.

Ti senti inerme di fronte al dolore.
Forse questa è una fase positiva, perdonami se questa affermazione può sembrare offendere la tua sofferenza.
Positiva col significato di “costruttiva”.

Se noi ci facciamo attraversare davvero dal dolore, senza evitarlo, non possiamo fare altro, per un attimo, di restare inermi.

Io ho la sensazione che tu abbia accettato di contrarre una specie di patto col tuo dolore: se ti accolgo davvero, poi mi lascerai di nuovo respirare?
Sì, secondo me ti lascerà assaporare la serenità che ti meriti, perchè tu adesso stai dialogando con lui, stai familiarizzando, lo stai guardando negli occhi. Arriverà un giorno in cui lo conoscerai talmente bene che saprai come gestirlo e lasciarlo andare, perchè non sarà più in grado di sovrastarti. Tu sarai diventata più forte di lui.

Credo che tutta questa sofferenza ti aiuterà a gestire meglio almeno una fetta della tua paura, che probabilmente giace ancora prepotente dentro di te.

Ma comunque lo sai, è più forte la paura che abbiamo della vita rispetto alla sua reale durezza.

La mia psicoterapeuta un giorno mi ha detto:
“La paura della paura è tra le paure più invalidanti”

Ti abbraccio Yana

 

Sapevo dell’esistenza di questo dolore e l’ho rifiutato, avevo trovato come una sorta di compromesso…di convivenza possibile anche se solo sapere che lui esisteva dentro di me faceva male.

Adesso è come se si fosse incattivito per essere stato ignorato….è diventato di dimensioni enormi e così intenso che non è possibile non vederlo….non sentirlo.
L’assurdo è che quando molla la presa io ho come l’impressione di tornare ad ignorare per questo a volte, per assurdo, spero che non mi abbandoni perchè da quel dolore io ho la tendenza a scappare.

Non so nello specifico chi dei due sia cambiato. Se lui che indisturbato si è evoluto dentro di me oppure sono io che lo guardo con occhi diversi. Riconosco che la Sommer che aveva accettato quel compromesso non è più la Sommer di adesso.
Nessun compromesso è possibile: è guerra. Nella mia vita non c’è abbastanza spazio per entrambi o fuori lui o fuori io.

Quello che dici Yana in merito al patto con il dolore è più che altro una speranza. Spero che dopo ci sia una fase più serena…..una parte di me ci spera ma allo stesso tempo ha paura che quel dolore sia più forte un’altra ne è certa e pensa che davvero questo sia l’unico modo per uscirne e vede come hai detto tu in tutto questo dolore una fase di costruzione.

Rimane un momento difficile, ho qualche difficoltà sento molto dolore dentro di me e anche rabbia verso me stessa. Passerà…..come sono passate tante altre cose dolorose nella mia vita.

Grazie. Sommer

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

LA FIGURA DELL’AMANTE

… non c’è niente da fare. Omero rese gloria alla nostalgia con una corona d’alloro e stabilì in tal modo una gerarchia morale dei sentimenti. Penelope sta in cima, molto al di sopra di Calipso. Oh Calipso! Penso spesso a lei. Ha amato Ulisse. Hanno vissuto insieme sette anni. Non sappiamo per quanto tempo Ulisse avesse condiviso il letto di Penelope, ma non così a a lungo. Eppure tutti esaltano il dolore di Penelope e irridono le lacrime di Calipso. M. Kundera, L’ignoranza, Adelphi

Imparalo adesso ed imparalo bene, figlia mia. Come l’ago della bussola segna il nord, così il dito accusatore dell’uomo trova sempre una donna cui dare la colpa. Sempre. Ricordalo. K. Hosseini, Mille splendidi soli, Piemme

 

Per descrivere la figura dell’Amante e “riabilitare” tale figura parto dal mito di Calipso.

Calipso nella mitologia greca è una ninfa marina. Quando Ulisse, naufrago, raggiunse Ogigia, l’ isola del mar Ionio in cui la ninfa viveva in solitudine, Calipso si innamorò di lui e lo trattenne presso di sé per sette anni. Benché gli avesse promesso l’immortalità e l’eterna giovinezza se fosse rimasto con lei, Ulisse non poté vincere il suo desiderio di tornare a casa. Per ordine di Zeus, Calipso dovette aiutare Ulisse a costruirsi una zattera con cui lasciare l’isola, ma morì di dolore subito dopo la sua partenza.

Calipso in greco significa “nasconditrice” ed in infatti questa solitaria ninfa, riesce a nascondere Ulisse per ben sette anni.

Ulisse arriva naufrago all’isola di Ogigia, quasi morto, privo di tutti i compagni e Calipso lo salva dal mare e ne cura il corpo stanco e ferito, ma sulla sua isola il tempo scorre lentissimo. L’isola di Ogigia in quei sette anni diventa un luogo per Ulisse per conoscere sè stesso e Calipso lo aiuta, inconsapevolmente in ciò.

Dopo questa lunga analisi personale Ulisse, che tutti i giorni piange sullo scoglio più esposto guardando il mare, è di nuovo pronto per riprendere a navigare. Calipso, l’analista, finito il suo compito, non può che lasciarlo andare. Ferita, Calipso chiama Ulisse alitros , “furfante”.

Quante analogie fra Calipso e la figura dell’amante:

  • il raccogliere ed il proteggere
  • il nascondere ed il nascondersi
  • l’aiutare a conoscere ed il conoscersi
  • il trattenere ed il lasciare andare
  • il rubare ed il sentirsi derubata

Dott. Roberto Cavaliere

 

 

TESTIMONIANZE

 

IL DOLORE DELL’AMANTE

Io sono stata l’amante di un uomo sposato, senza figli, per più di un anno. Sono quella che quasi tutti voi avete definito ignobile e che molti altri definirebbero una poco di buono rovina famiglie.

All’inizio mi aveva tenuto nascosto il suo matrimonio e quando mi ha confessato la verità, per me era troppo tardi, perché me ne ero innamorata. Ho sofferto moltissimo, vivendo sempre nell’ansia, nell’attesa, nella frustrazione.

Era la prima volta che mi trovavo in una situazione così. Non avrei nemmeno mai immaginato che potesse capitarmi. Non voglio mai più vivere tanto dolore.

Ho voluto credere nel rapporto, anche se sapevo come vanno a finire di solito queste storie. Sentivo un legame fortissimo con lui. Il mio amore non è stato contraccambiato a sufficienza. E’ prevalsa la vigliaccheria e tutto è finito.

Ero arrabbiata e ferita e avevo pensato anche di chiamare sua moglie e raccontarle tutto. Poi non l’ho fatto. Forse è stato un ultimo dono d’amore, non sconvolgergli la vita.

 

Al mio amante che torna da sua moglie (Poesia di Anne Sexton)

Al mio amante che torna da sua moglie

Lei è tutta là.
Per te con maestria fu fusa e fu colata,
per te forgiata fin dalla tua infanzia,
con le tue cento biglie predilette fu costruita.

Lei è sempre stata là, mio caro.
Infatti è deliziosa.
Fuochi d’artificio in un febbraio uggioso
e concreta come pentola di ghisa.

Diciamocelo, sono stata di passaggio.
Un lusso. Una scialuppa rosso fuoco nella cala.
Mi svolazzano i capelli dal finestrino.
Son fumo, cozze fuori stagione.

Lei è molto di più. Lei ti è dovuta,
t’incrementa le crescite usuali e tropicali.
Questo non è un esperimento. Lei è tutta armonia.
S’occupa lei dei remi e degli scalmi del canotto,

ha messo fiorellini sul davanzale a colazione,
s’è seduta a tornire stoviglie a mezzogiorno,
ha esposto tre bambini al plenilunio,
tre puttini disegnati da Michelangelo,

l’ha fatto a gambe spalancate
nei mesi faticosi alla cappella.
Se dai un’occhiata, i bambini sono lassù
sospesi alla volta come delicati palloncini.

Lei li ha anche portati a nanna dopo cena,
e loro tutt’e tre a testa bassa,
piccati sulle gambette, lamentosi e riluttanti,
e la sua faccia avvampa neniando il loro
poco sonno.

Ti restituisco il cuore.
Ti do libero accesso:

al fusibile che in lei rabbiosamente pulsa,
alla cagna che in lei tramesta nella sozzura,
e alla sua ferita sepolta
– alla sepoltura viva della sua piccola ferita rossa –

al pallido bagliore tremolante sotto le costole,
al marinaio sbronzo in aspettativa nel polso
sinistro,
alle sue ginocchia materne, alle calze,
alla giarrettiera – per il richiamo –

lo strano richiamo
quando annaspi tra braccia e poppe
e dai uno strattone al suo nastro arancione
rispondendo al richiamo, lo strano richiamo.

Lei è così nuda, è unica.
È la somma di te e dei tuoi sogni.
Montala come un monumento, gradino per gradino.
lei è solida.

Quanto a me, io sono un acquerello.
Mi dissolvo.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

FINE DI UNA RELAZIONE – IL DOLORE DELL’ABBANDONO

“Ma lei mi manca. So bene che è lei a mancarmi, non lo stupido fantasma di un desiderio irreale. Mi accompagna ovunque con la sua assenza, non riesco a scrollare da me la certezza che si trovi nella sua stanza e che tra poco scenderà la scala di legno rosso per venire da me, si infilerà nel letto e parleremo a bassa voce della giornata che sta per cominciare. Devo ragionarci sopra per rendermi conto che, quando tra poco mi sveglierò, aprirò gli occhi su un’altra stanza, situata in una città diversa e lei non ci sarà. Ma il giorno non viene. Finché l’oscurità mi accoglie (e così sarà per sempre), lei è, nei miei pensieri, nel cuore di questo pensiero che porto in me, nel cuore tenero e dolente di questo pensiero che in verità non è il mio, ma il suo, un pensiero nel quale lei mi prende con sé, mi protegge, mi ama come io la amo, nel nulla assopito della notte”.

Philippe Forest, Per tutta la notte, Alet 2006

 

Intervista al Dott. Roberto Cavaliere pubblicata sulla rivista “ViverSani & Belli” n.21 del 23 maggio 2008

 

Essere lasciati per “un’altra”: il dolore aumenta?

Dipende dai vissuti personali della separazione, ma generalmente il dolore aumenta. Aumenta perché la colpa della fine è attribuita all’altra . Si afferma: Se non ci fosse stata l’altra la relazione sarebbe continuata. Può darsi che l’altra abbia accelerato la fine, ma il più delle volte non è la causa determinante. Ma è tipico della personalità umana trasferire all’esterno i propri insuccessi.

Inoltre il dolore aumenta perché la vita affettiva e sociale che si è trascorsa insieme adesso l’ex partner la vive con l’altra. Taluni arrivano ad affermare che era preferibile che il partner fosse morto piuttosto che continui a vivere con un’altra.

Abbandono: un dolore “senza età”? Ci sono differenze sostanziali su come la persona vive e elabora l’abbandono a secondo dell’età (20/30:40 anni e oltre?)

Sicuramente l’età anagrafica in cui avviene l’abbandono è importante. Riguarda due dimensioni fra esse correlate: il dolore e la progettualità futura. Il dolore abbandonico dei 20 anni è un dolore più acuto ma dura meno nel tempo. Anzi, riveste quasi un carattere di crescita evolutiva dal punto di vista affettivo. Aiuta a maturare. Serve per esperienza per relazioni future. L’idea di una progettualità futura di coppia non è compromessa ed è quasi assente la paura di rimanere da soli. Man mano che l’età avanza il dolore tende a durare nel tempo, la speranza di una futura progettualità di coppia inizia ad essere compromessa, la paura della solitudine aumenta fino a poter diventare vera e propria angoscia.

Un accenno ai suoi incontri esperienziali: cosa fa più male, perché fa bene parlarne con gli altri, cosa s’impara. Perché le storie finiscono?

Nei miei seminari esperienziali la problematica che fuoriesce ed è più dolorosa è il vissuto abbandonico, con tutte le sue conseguenze: dolore, rabbia, senso di solitudine e via dicendo. Parlarne in gruppo serve, oltre che a condividere questa ambivalenza di sentimenti, a collocarli in una giusta posizione, ad osservarli attraverso anche le esperienze degli altri, sotto un’altra ottica. Ottica evolutiva, di crescita personale. Il gruppo diventa un specchio, ma uno specchio che restituisce un immagine riflessa di sé stessi meno deformata e più sincera rispetto al proprio specchio interno.

Le storie finiscono per i motivi più svariati. Sarebbe necessario farne un lungo elenco. In questa sede posso dire che oggi all’interno di una coppia la dimensione affettiva rimane importante anche nel tempo. Quando questa viene a mancare, a differenza del passato dove la dimensione coniugale o genitoriale rimaneva un forte collante, si decide di porre più facilmente fine alla relazione. Semplicemente finisce l’amore o quando nella fase iniziale si è troppo idealizzato l’altro e/o la relazione coll’altro, il frantumarsi di questa idealizzazione se non trova una progettualità di coppia, porta alla disintegrazione della relazione.

Dopo un amore…: si esce sempre cambiati? Cresciuti?

Non sempre si esce cambiati, cresciuti. Dipende dal percorso personale di elaborazione del lutto della fine di un amore. Se questo processo lo si è vissuto passivamente si entra in quella che gli psicoanalisti definiscono “coazione a ripetere” tendendo a cercare un riscatto nelle future relazioni ripetendo, però, sempre lo stesso copione, che ha portato alla fine del primo.

Inoltre è importante considerare il tempo che si è passato col proprio ex come “ vita acquistata e non vita persa”

In quanto tempo si supera in genere il dolore?

Per quantificare il tempo dobbiamo fare riferimento agli antichi greci che distinguevano due diversi concetti di tempo. Cronos che è il tempo cronologico, quello delle ore, dei giorni e dei mesi. Lo scorrere di Cronos e importante per superare un amore. Studiosi nordamericani sono del parere che sono necessari almeno sei mesi per superare la fine di una relazione o un abbandono. L’altro concetto di tempo è Kairòs che è un tempo individuale , un tempo necessario per dire “basta”, vale a dire il tempo del cambiamento interno. E’ quel momento i cui ci si rende conto che è il momento di voltare pagina. Questo tempo è variabile ed è il tempo necessario affinchè ci si possa mettere alle spalle la relazione finita.

Ci sono differenze nel dolore e elaborazione di un abbandono fra uomini e donne? Nel modo di reagire e, anche, a livello psichico profondo…

L’uomo, pur di fronte ad un ‘lutto sentimentale’ profondo e dilaniante, tende, generalmente, rispetto alla donna, ad elaborarlo in più breve tempo e prevalentemente a livello d’elaborazione esterna. Conseguentemente, mette maggiormente in atto, la tecnica del ‘chiodo schiaccia chiodo’ con le prevedibili conseguenze future per la ‘vittima’ che si presta a questo copione. Inoltre, capita anche che s’instaura subito un odio per il genere ‘femminile’ che porta ad instaurare una relazione per il solo scopo, più o meno inconscio, di vendicarsi, della persona che l’ha lasciato. Manca, quindi, nell’uomo, spesso, quella concezione dell’elaborazione del lutto sentimentale che è legato ad una concezione sia di tempo Kairos che di autentica elaborazione interiore. A livello psichico profondo l’elaborazione del lutto è anche legata alle precedenti esperienze vissute d’elaborazione del lutto ed a copioni familiari presenti e passati. Inconsciamente l’uomo assimila l’abbandono dell’amata ad un abbandono della figura materna.

A livello di comportamenti esterni l’uomo consuma il proprio dolore in maniera più attiva, vale a dire con maggiore rabbia, aggressività, fino ad arrivare a veri e propri comportamenti persecutori come lo stalking.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

FINE AMORE

Ecco, vedi, io mi sono innamorato due volte nella vita, ma sul serio, e tutt’e due le volte ero sicuro che sarebbe stato per sempre e fino alla morte, e tutt’e due le volte è finita e non sono morto.Hesse

 

Dal punto di vista teorico e scientifico la fine di un amore è riconducibile agli stessi processi della separazione, del lutto.

Il primo studioso ad occuparsi delle esperienze di separazione o lutto è John Bowlby che raccoglie in maniera sistematica, le reazioni di angoscia messe in atto da una bambina di soli due anni, ricoverata in ospedale, senza la possibilità di avere accanto la propria madre. Estendendo ad altri casi i risultati della ricerca condotta, Bowlby si accorge dell’analogia del comportamento osservato nella bambina ospedalizzata, con quello messo in atto da altri bambini e da macachi separati dalle proprie madri, da persone rimaste vedove e, in generale, da adulti che hanno subito una separazione o un divorzio doloroso dal loro coniuge. Si potrebbe parlare di un vero e proprio pattern universale, articolato in tre fasi, che si succedono le une alle altre: protesta, disperazione e distacco.

La prima fase, ossia quella della protesta, è caratterizzata da reazioni piuttosto smoderate, quali pianto, grida, agitazione, ansia, panico. La persona lasciata, abbandonata, inconsapevolmente, agisce in tal modo, con l’intento di influenzare il ritorno della persona andata via.

Durante la seconda fase, quella della disperazione , ai comportamenti di iperattività e protesta attiva, subentrano altri di totale inattività, astenia, depressione. Fanno, inoltre, la loro comparsa alterazioni fisiologiche, quali disturbi del sonno, diarrea, alterazioni del comportamento alimentare, accelerazione del battito cardiaco. Alla delusione dovuta agli esiti negativi dei comportamenti messi in atto durante la prima fase, che non hanno garantito il ritorno della persona scomparsa o andata via, subentra un periodo di passiva disperazione, generata dalla consapevolezza dell’impossibilità di un ritorno.

La terza fase riguarda il distacco . La persona abbandonata, cioè, dopo un determinato lasso temporale, si distacca, a sua volta, affettivamente ed emotivamente dalla persona persa, riorganizzandosi a livello emotivo e ricominciando le normali attività che contraddistinguevano la sua vita prima di restare sola.

Al di là delle tre fasi individuate sopra, nella fine di un amore, un amore che ci ha profondamente coinvolti, si prova una sofferenza indicibile, si pensa che non si può più continuare a vivere, si provano sentimenti quali: tristezza, delusione, senso d’angoscia, sensi di colpa e fallimento. Forte è l’ossessione che l’accompagna, ben descritta dal brano d’apertura. Sopratutto se quell’amore ha preso tutte le nostre forze, ha preso la nostra vita, perchè come in ogni amore che viviamo, pensiamo sempre che sia quello “giusto”, quello che durerà in “eterno”. Ed è doloroso accettare che possa finire, che ci siamo sbagliati.

Il più delle volte non si riesce a comprendere perchè sia finito, non rendendosi conto che quella fine non è stata improvvisa ma era in qualche modo preannunciata in tanti piccoli gesti, occasioni, sfumature, o pur avendo notate quest’ultime si viveva comunque nell’illusione che nonostante tutto non sarebbe mai finito quell’amore.

Nella stragrande maggioranza dei casi ci si dimena, non ci si arrende, si tenta l’impossibile per recuperare quell’amore. Sopratutto si continua ad amare la persona perduta, a volte più di prima. A volte si prova qualche timida speranza di recuperare l’amore perduto, sopratutto se l’altra parte, incautamente, manifesta qualche piccolo segnale d’affetto o di comprensione, che si tende subito ad interpretare come segnale di una rinnovata disponibilità ad amarci e non lo si vede nel suo reale significato (tipica la frase “forse mi ama ancora un pò? forse non è tutto finito?”).

Quando finisce un amore, sopratutto se si è lasciati, si compie una vera e propria analisi di quelle che sono state le cause che hanno portato alla fine. Il più delle volte la persona lasciata tende ad attribuirsi le colpe, imputando a propri comportamenti errati la fine della relazione. Questo perchè permette di poter sperare che cambiando il proprio comportamento la relazione può iniziare di nuovo, se l’altro ci dà un altra possibilità. Non ci si vuole rendere conto che molto più semplicemente l’altro non ama più. Per quanto doloroso possa essere prendere coscienza di quest’amara verità, rappresenta l’unico modo per poterne uscire. Si soffrirà in maniera spaventosa ma il tempo ci aiuterà a porre definitivamente la parola fine. Altrimenti, sperando in un altra possibilità, prolunghiamo solo la sofferenza entrando in un tunnel che ci sembrerà senza uscita.

Ma, per quanto possa essere lontano nel tempo, dopo aver pianto tutte le lacrime di questo mondo, dopo aver espresso tutta la disperazione di questo mondo, arriverà il momento in cui si toccherà il fondo del baratro. Ed in quel momento, quasi senza rendersene conto, si inizierà una lenta ma inesorabile risalita. Si accetterà la realtà delle cose. Si scoprirà che il più grande amore è quello che deve ancora venire.

Infine non dobbiamo dimenticare che il nostro modo di vivere la fine di un amore è legato ai nostri primi “abbandoni” quelli infantili. Non ricordo chi affermava “il bambino è il padre dell’uomo”. Mai come in questo caso ha ragione. Infatti a seconda di come siamo stati “abbandonati” ed abbiamo vissuto tali “abbandoni” da piccoli, che rivivremo quelli attuali e futuri. Ma non dimentichiamo che gli “abbandoni” rappresentano anche un momento di crescita.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email: cavalierer@iltuopsicologo.it