RIFLESSIONI SULLA GELOSIA

“La natura animale si procura per istinto tre cose che sono necessarie per perpetuarsi. Si tratta di tre autentici bisogni. Il primo è nutrirsi, ma perché questo non risulti un lavoro esiste una sensazione che si chiama appetito, e si prova piacere nel soddisfarlo. Il secondo è conservare la propria specie generando, e certamente non si adempirebbe questo dovere, se non si provasse piacere nel compierlo. Terzo: la tendenza irresistibile a distruggere il nemico. E niente è più sensato, perché avendo il dovere di conservarsi, si deve odiare tutto ciò che opera per distruggerci: questa è la gelosia: il senso di pericolo che si avverte quando il nemico invade il nostro territorio.” Storia della mia vita di Giacomo Casanova

“Chi ama è paziente e premuroso. Chi ama non è geloso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio. Chi ama è rispettoso, non va in cerca del proprio interesse, non conosce la collera, dimentica i torti .” ( 1 Corinzi , 13, 4)

“Mi parlava anche delle gite che aveva fatte con certe amiche nella campagna olandese, dei suoi ritorni a tarda sera ad Amsterdam, quando una folla compatta e festosa di persone che lei conosceva quasi tutte riempiva le vie, le rive dei canali, di cui mi pareva veder riflettersi negli occhi brillanti di lei, come negli specchi incerti di una carrozza lanciata al galoppo, i fuochi innumerevoli e fuggenti, Come la sedicente curiosità estetica meriterebbe di esser chiamata indifferenza, a paragone della curiosità dolorosa, instancabile, che provavo per i luoghi dove Albertine era vissuta, per quel che potesse aver fatto una certa sera, per i sorrisi, gli sguardi che aveva avuti, per le parole da lei dette, per i baci ricevuti! No, mai la gelosia che avevo sofferta un giorno a cagione di Saint-Loup, se fosse perdurata in me, mai non mi avrebbe dato quell’immensa inquietudine. Quell’amore tra donne era per me qualcosa di troppo sconosciuto, di cui nulla mi permetteva d’immaginare, con certezza, con precisione, i piaceri, la natura. Quanti esseri, quanti luoghi (che magari non la riguardavano direttamente: indefiniti luoghi di piacere, dove lei poteva averlo gustato, ambienti affollati dove ci si sfiora l’un con l’altro, Albertine – come una persona che, facendo passare davanti a sé, al controllo, il proprio seguito, un’intera compagnia, la faccia entrare in teatro – aveva introdotto nel mio cuore dalla soglia della mia immaginazione o delle mie memorie, dove mi erano indifferenti! Adesso, ne avevo una conoscenza interna, , immediata, dolorosa, spasmodica, L’amore è lo spazio e il tempo resi sensibili al cuore.

“Eppure, forse, se le fossi stato assolutamente fedele, non avrei sofferto di infedeltà che sarei stato incapace di immaginare., Mi torturavo perché trasferivo in Albertine il mio perpetuo desiderio di piacere a nuove donne, , di abbozzare nuovi romanzi, perché le attribuivo quello sguardo che, pochi giorni prima, pur trovandomi vicino a lei, non avevo potuto far a meno di gettare sulle giovani cicliste sedute ai tavolini del Bois de Boulogne. Si può quasi dire che, come nn c’è conoscenza , così non c’è gelosia che di noi stessi. L’osservazione conta ben poco: sapere e dolore possiamo trarli soltanto dal piacere da noi stessi sentito. (M. Proust, La prigioniera, traduzione di paolo Serini, Torino, Einaudi, 1978, pp. 396-397).

“Avevo molto sofferto, a Balbec, quando Albertine mi aveva parlato della sua amicizia per la signorina Vinteuil. Ma Albertine era lì per consolarmi. Poi, per aver troppo cercato di conoscere le sue azioni, ero riuscito a farla andar via da me, quando Françoise [la cameriera del protagonista] mi aveva annunciato che non c’era più e mi ero trovato solo, avevo sofferto di più. Ma almeno l’Albertine che avevo amata mi restava nel cuore. Ora, al posto di questa – per punirmi di aver spinto oltre una curiosità cui, contrariamente a quanto avevo creduto, la morte non aveva posto fine – trovavo una ragazza diversa, che moltiplicava bugie e inganni laddove l’altra mi aveva rassicurato con tanta dolcezza giurandomi di non aver mai conosciuto quei piaceri; quei piaceri che, invece, nell’ebbrezza della libertà riconquistata era corsa a godere fino a perderne i sensi, fino a mordere quella piccola lavandaia con cui si era incontrata all’alba, sulla riva della Loira, e a cui diceva: «Mi fai morire».

“Quelle inclinazioni negate da lei, e che invece aveva, quelle inclinazioni la cui scoperta mi era giunta non in un freddo ragionamento, ma nella sofferenza bruciante provata alla lettura di quelle parole: «Mi fai morire», sofferenza che conferiva ad esse una particolarità qualitativa, quelle sofferenze non si aggiungevano soltanto all’immagine di Albertine come si aggiunge al bernardo l’eremita la nuova conchiglia che si trascina dietro, ma piuttosto come un sale che entra in contatto con un altro sale, e ne muta il colore, anzi la natura. Quando la piccola lavandaia, com’era probabile, aveva detto alle sue amichette: «Immaginate un po’, non l’avrei mai creduto, la signorina è anche lei una di quelle», per me non si trattava soltanto di un vizio che dapprima non avevano sospettato e che aggiungevano poi alla persona di Albertine, ma della scoperta che lei fosse un’altra persona, una persona come loro, che parlava la loro stessa lingua; la qual cosa, facendola compatriota di altre, la faceva ancora più estranea a me, provava che quanto avevo avuto da lei, quanto portavo nel cuore era solo una piccolissima parte e che il resto – tanto vasto perché non era soltanto quella cosa così misteriosamente importante quale è un desiderio individuale, ma perché lo aveva in comune con altre – me lo aveva sempre nascosto, me ne aveva tenuto lontano, come una donna che mi avesse nascosto di essere di un paese nemico e spia, , e che avesse tradito anche più di una spia: perché una spia inganna soltanto sulla propria nazionalità, mentre Abertine ingannava sulla propria umanità profonda, in quanto lei non apparteneva all’umanità comune, ma a una razza strana che si mescola con questa, vi si confonde, e non vi si fonde mai. (…)

“A tratti fra il mio cuore e lamia memoria la comunicazione era interrotta. Quanto Albertine aveva fatto con la lavandaia mi era significato ormai solo attraverso abbreviazioni quasi algebriche che non rappresentavano più nulla per me; ma cento volte l’ora la corrente interrotta era ristabilita e il mio cuore era arso senza pietà da un fuoco infernale, mentre vedevo Albertine risuscitata dalla mia gelosia, viva davvero, tendersi sotto le carezze della piccola lavandaia, mentre le diceva: «Mi fai morire». Poiché era viva per me nel momento in cui commetteva il suo peccato, cioè nel momento in cui io stesso mi trovavo, non mi bastava conoscere quella colpa, avrei voluto sapesse che la conoscevo. Così, se in quei momenti mi rammarico al pensiero che non ‘avrei rivista mai più, quel rammarico portava il segno della mia gelosia e, completamente diverso dal rimpianto straziante dei momenti in cui l’amavo, era solo il rammarico di non poterle dire: «Credevi che non avrei mai saputo cosa hai fatto dopo avermi lasciato, ebbene so tutto, alla lavandaia sulla riva della Loira, dicevi: ‘Mi fai morire’, ho visto il segno del morso». Certo, mi dicevo: «Perché tormentarmi? Colei che ha goduto con la lavandaia non è più nulla, dunque non è una persona le cui azioni possano ancora avere un valore. Lei non dice a se stessa che io so. Ma a se stessa non dice neppure che non so, perché non si dice nulla». Ma quel ragionamento mi convinceva meno dell’immagine del suo piacere che mi riportava al momento in cui lo aveva provato. Solo quel che sentiamo esiste per noi, e o proiettiamo ne passato, nell’avvenire, senza lasciarci fermare dalle barriere fittizie della morte.” (M. Proust, Albertine scomparsa , trad. di Rita Stajano, ed. cit., pp. 82-84).

V’è una passione profondamente radicata nella sessualità, e che è esasperata dall’età: la gelosia.
Beauvoir, Simone

Spesso, la gelosia non è che un presentimento.
Gervaso, Roberto

La gelosia è un misto d’amore, d’odio, d’avarizia e d’orgoglio.
Karr, Alphonse

La gelosia è un abbaiare di cani che attira i ladri.
Kraus, Karl

Nella gelosia c’è più egoismo che amore.
La gelosia è il più grande di tutti i mali e quello che ispira meno pietà alle persone che la provocano.
La Rochefoucauld, François

Gelosia, infinita incertezza di sé.
Rossanda, Rossana

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

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