LE TIPOLOGIE D’AMORE SECONDO BERGMANN

«La fine dell’amore porta con sé un aumento della rabbia e dell’aggressività dirette ora contro l’amante che li ha abbandonati, ora contro il Sé. Si ha l’impressione che in precedenza l’odio fosse trattenuto dall’amore, ma che ora le chiuse dell’odio e della depressione minaccino di schiacciare la persona colpita dal lutto». Martin S. Bergmann “Anatomia dell’ amore” (Einaudi, Torino, 1992)

 

Lo psicoanalista americano Martin S. Bergmann ha classificato le modalita’ di amare nel suo libro “Anatomia dell’ amore” (Einaudi, Torino, 1992), distinguendone ben quindici tipologie.

Le principali tipologie d’ amore individuate da Bergmann sono:

INFATUAZIONE. E una passione spropositata e irragionevole, che e’ caratterizzata dall’ immediato abbandono di tutti i legami precedenti e dal fatto che diventa presto una passione assolutamente esclusiva. Ma e’ un vero fuoco di paglia, e la sua fine e’ tanto repentina quanto improvviso e violento e’ stato il suo inizio.

TRIANGOLO D’ AMORE. Per sua natura l’ amore sarebbe portato a restare confinato nella coppia, ma chi e’ uomo di mondo sa che questa sembra destinata a diventare piu’ l’ eccezione che la regola. Effettivamente molte persone riescono ad amare soltanto all’ interno del classico triangolo, altrimenti si sentono soffocate. Secondo la psicoanalisi la capacita’ di amare unicamente in un rapporto triangolare indica il persistere di problemi legati alla fase edipica dello sviluppo.

AMORE CONFLITTUALE. E un’ altra varieta’ che caratterizza le persone alle quali la coppia va decisamente stretta. Questo tipo di amore si distingue per la presenza del bisogno di oggetti d’ amore supplementari, oltre a quello, per cosi’ dire, istituzionale. Gli psicoanalisti ritengono che nell’ infanzia delle persone che provano questo tipo di bisogno ci siano stati molti oggetti d’ amore diversi (per esempio varie bambinaie).

SESSUALITA SENZA AMORE. Ci sono rapporti basati su un’ intensa relazione sessuale senza che si sviluppino concomitanti sentimenti d’ amore. Sembra che una delle principali differenze rispetto ai veri rapporti d’ amore sia nel fatto che in questi ultimi le persone regrediscono un po’ verso l’ infanzia, in sostanza son piu’ capaci di giocare, mentre nel rapporto puramente sessuale i due partner restano sempre a livello adulto.

AMORE MASOCHISTICO. “L’ amore e’ una nebbia formata col vapore dei sospiri” scriveva Shakespeare, a voler sottolineare come la sofferenza sia una parte integrante del godimento che proviene dall’ amore. In questo senso l’ amore masochistico deve essere considerato, quindi, soltanto un’ esagerazione di quel sentimento di dedizione totale che si prova sempre durante l’ innamoramento.

AMORE DI PIGMALIONE. Descritto per la prima volta dal poeta latino Ovidio, questo tipo di amore ha come sua principale caratteristica una forte valenza pedagogica. Chi ama sente il bisogno di istruire l’ altro, e ogni circostanza e’ buona, per modellarlo a proprio piacimento. “L’ amore di Pigmalione spesso porta a rapporti felici e duraturi . afferma Bergmann . ma corre gravi rischi quando l’ allievo vuole l’ uguaglianza e intende asserire la propria individualita’ “.

AMORE INIBITO NELLA META. E una forma di amore che frequentemente fa da musa ispiratrice per gli artisti, come nel caso di Dante che certo provo’ tale sentimento nei confronti di Beatrice. La meta inibita, ovviamente, e’ la sessualita’ , che in tale forma di amore e’ totalmente assente. E quando viene a mancare in tal modo anche ogni forma di gelosia, praticamente si sfocia nell’ amicizia.

GLI AMOREDIPENDENTI. Cosi’ Bergmann descrive questo tipo di persone che furono individuate dallo psicoanalista Otto Fenichel: “Hanno bisogno d’ amore come altri del cibo o della droga. Sebbene abbiano una limitata capacita’ di amare hanno un terribile bisogno di essere amati. In genere gli amoredipendenti si attaccano a una persona che considerano insoddisfacente. Sono furiosi e infelici, ma non riescono a liberarsi del partner frustrante. Per Fenichel gli amoredipendenti sono nevrotici con un carattere determinato da una fissazione del tutto particolare. Tormentano in continuazione il partner per avere piu’ amore e di solito non fanno altro che ottenere il risultato opposto”.

I TRE VOLTI DELL’AMORE: ANTEROS, HIMEROS E PHOTOS

“Mi sembra sia simile agli dei quell’uomo che di fronte a te siede e da vicino ti ascolta parlare dolcemente e ridere così da eccitare il desiderio, e ciò a me turba il cuore nel petto: infatti, quando appena ti vedo, allora non mi è più possibile parlare, ma la lingua si spezza, e sottile un fuoco scorre subito sotto la pelle, e nulla cogli occhi vedo, e rombano le orecchie, e freddo sudore si effonde, e un tremito mi prende tutta, e sono più verde dell’erba, e mi sembro poco lontana dall’esser morta…” (fr. 31 V. Saffo)

 

Per gli antichi greci l’amore (Eros) aveva 3 volti.

Anteros è l’amore corrisposto. Fratello di Eros erano inseparabili; racconta la leggenda che un giorno Afrodite si lamentò con la Dea Temi del fatto che il piccolo Eros non crescesse,così la saggia Temi le rispose che Eros non sarebbe mai cresciuto finché non avesse avuto l’amore di un fratello. Afrodite si unì ad Ares e generò Anteros e da quel momento i due fratelli crebbero insieme,ma ogni qualvolta Anteros si allontanava da Eros, quest’ultimo ritornava fanciullo. Questo grazioso mito insegna che l’amore (Eros) per crescere ha bisogno di essere corrisposto (Anteros).

Himeros è la passione del momento, il desiderio fisico presente ed immediato che chiede di essere soddisfatto.

Photos è il desiderio verso cui tendiamo, ciò che sogniamo. Photos, come volto di una dimensione amorosa, nostalgica, irrangiungibile è quell’amore idealizzato che si esplica nel soffire e nel cercare l’anima gemella.

Riunificando i tre volti dell’amore, si può dire che Anteros e Himeros , vivono nel presente, mentre Photos, vive nel passato o nel futuro.

Se volessimo trasporre il tutto nel campo delle problematiche e dipendenze affettive potremmo dire che quest’ultime si nutrono della presenza di Photos

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

L’IDEALIZZAZIONE E LA PROIEZIONE IN AMORE

Chiamiamo “idealizzazione” quella tendenza che falsa il giudizio,…come avviene ad esempio invariabilmente nel caso delle infatuazioni amorose, dove l’Io diventa sempre meno esigente, più umile, mentre l’oggetto sempre più magnifico, più prezioso, fino ad impossessarsi da ultimo dell’intero amore che l’Io ha per sé, di modo che, quale conseguenza naturale, si ha l’autosacrificio dell’Io. L’oggetto ha per così divorato l’Io. – S.Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921)

Il vero amore non si sviluppa mai in noi prima che lo scopo del nostro amore diventi per noi l’ideale più elevato… Un uomo può vedere il suo ideale nella più vile delle creature, l’altro nella più nobile, ma comunque e in tutti i casi, possiamo amare sinceramente e intensamente soltanto l’ideale… L’ideale che uomini e donne adorano è, in genere, quello che hanno dentro. Ciascuno di noi proietta il suo ideale sul mondo esterno, e s’inginocchia di fronte ad esso” G. Vivekananda, Conferences sur Bhakti Yoga, 1939

 

La mente realizza al suo interno un’immagine della persona amata, e nel creare questa immagine interiore viene catturata dall’amore. Già Dante, infatti, sembra sapere che l’uomo non si innamora di una persona del mondo reale se, quando la incontra, non ha già creato intrapsichicamente un’immagine interiore.

Per quanto riguarda il fenomeno della proiezione, si possono proiettare nell’essere amato sia aspetti positivi che aspetti negativi di sè. Ad esempio in certe forme di gelosia, i cui si ha timore del tradimento dell’altro, ci potrebbe essere la proiezione del proprio desiderio di tradire.

 

Dott. Roberto Cavaliere

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AMORE E FENOMENO DELLA CRISTALLIZZAZIONE IN STENDHAL

Stendhal individua quattro tipi di amore:

  • l’amore-passione, cioè l’amore esemplificato in letteratura da una vasta gamma di personaggi che va da Eloisa e Abelardo al Werther di Goethe;
  • l’amore-capriccio:”Mentre l’amore-passione ci travolge contro tutti i nostri interessi, l’amore-capriccio sa sempre conformarvisi”. Nell’amore-capriccio, ci informa Stendhal, la donne sceglie un amante tenendo conto, più che dell’opinione che ha di lui, di quella delle altre donne.
  • l’amore fisico, quello che oggi verrebbe semplicemente classificato come sesso.
  • l’ amore-vanità. In quest’ultimo caso la persona amata è solo uno strumento per aumentare la stima di sè.

Il contributo di Stendhal alla teoria dell’amore è il termine “cristallizazione”. Egli distingue due stadi del fenomeno della cristallizazione.

  • Ogni amore comincia con l’ammirazione. Segue una sensazione di grande gioia. La gioia fa insorgere la speranza. A questo punto Stendhal consiglia alla donna di capitolare per ottenere il massimo piacere fisico possibile; infatti, quando la speranza fa capolino, anche gli occhi delle donne più contegnose si accendono; il piacere è vivo e si manifesta per segni evidenti. Nasce così l’amore, e avviene la prima cristallizazione. Secondo Stendhal, dopo la prima cristallizazione l’insorgere del dubbio è inevitabile. A questo punto l’innamorato sente intensamente il bisogno di un amico, ma, come fa acutamente notare Stendhall, gli amanti al culmine dell’amore non hanno amici. Il dubbio assume forme diverse negli uomini e nelle donne. L’uomo si domanda, “potrò piacerle? vorrà amarmi?” la donna dice, ” forse per gioco dice di amarmi? è un carattere solido? può rispondere a se stesso della durata dei suoi sentimenti?”
  • Il superamento del dubbio e la sicurezza di amare e di essere riamati provoca la seconda cristallizzazione. In questa fase gli amanti hanno la sensazione che se non saranno amati periranno. La seconda cristallizzazione non può avvenire se la donna cede troppo in fretta. Tuttavia, quando tale cristallizzazione si compie, gli innamorati non vedono più in una luce reale. L’uomo sminuisce le proprie qualità ed esalta ogni minima attrattiva della persona che ama, Per Stendhal l’amore è innanzitutto una questione di fantasia. Quando s’incontra con il suo amante, la donna prova piacere non nella sua persona reale ma nell’immagine che di lui si è costruita nella mente. Secondo Stendhal l’unico esito possibile per l’amore è un’amata delusione.

Secondo Stendhal, il vero ardore amoroso esiste solo associato alla paura. Quando non si ha più paura di perdere la persona amata, la fiducia e la dolce consuetudine spengono l’ardore dell’amore.

 

Dott. Roberto Cavaliere

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LA CONCEZIONE PSICOANALITICA DELL’AMORE

Ho esteso le scoperte di Freud anche in un’altra direzione. L’amore serve non solo a riscoprire l’oggetto originario ma anche a compensarci per ciò che non abbiamo avuto nell’infanzia, a rimediare alle molte manchevolezze e crudeltà che genitori sadici o sbadati ci hanno inflitte da bambini. Al nostro partner in amore, tutti, consciamente o inconsciamente, chiediamo anche di guarire le nostre ferite. Questa è un’altra ragione per cui il terapeuta è così spesso considerato un amante. Talvolta il desiderio che le ferite infantili siano curate dall’amore si manifesta alla rovescia: chi ama vuole guarire il proprio partner. Molti amanti restano delusi dal fatto che ciò possa avvenire solo in maniera limitata. Quanto sto dicendo sull’amore vale anche per l’amore di transfert. Persino lo psicoanalista, che pur rappresenta il passato molto più degli amanti della vita reale, è amato perchè viene visto come un guaritore delle antiche ferite.

La dialettica dell’amore si può interpretare come tensione tra questi due gruppi di desideri: il primo spinge nella direzione della riscoperta, in modo che il nuovo oggetto d’amore sia il più possibile uguale alle immagini parentali originarie, il secondo si oppone a questo processo e cerca una persona in grado di guarire le ferite inferte dai principali oggetti d’amore dell’infanzia. Quando l’individuo trova un buon equilibrio tra questi desideri contradditori, l’amore felice diventa possibile. Spesso, però, il conflitto resta irrisolto, e l’individuo deve ricorrere a diverse formazioni di compromesso.

M.S.Bergmann – Anatomia dell’amore – Einaudi Editore

 

Freud ritiene che gli oggetti d’amore originari siano due:

  • se stesso
  • la figura materna

Per Freud il primo oggetto d’amore di ogni persona è se stesso, la propria persona, in quanto nella fase iniziale della vita si vivono le sensazioni e le percezioni come provenienti da se stesso e conseguentemente ci si investe narcisisticamente sulla propria persona. In un secondo momento la madre (o chi la sostituisce) diventa oggetto d’amore perché è la persona che nutre e quindi viene riconosciuta come fonte del piacere e della vita.

Analizziamoli, adesso, singolarmente

  • Quel che egli stesso è (cioè se stesso). In questo caso l’oggetto d’amore è il proprio corpo, come nel mito di Narciso. Proprio il narcisismo parte dall’amore per il proprio corpo individuato come unica fonte di piacere non solo per le emozioni e le sensazioni provenienti dal proprio corpo ma anche per quelle proveniente da altre persone. Questo atteggiamento portato all’estremo sconfina, appunto, nel narcisismo.
  • Quel che egli stesso era. Questa scelta d’amore fa riferimento alla rappresentazione che i genitori hanno del proprio figlio. Una idealizzazione in tutti i campi del bambino attesta il riscatto, attraverso quest’ultimo, di tutte le rinunce che hanno dovuto subire i genitori.
  • Quel che egli stesso vorrebbe essere. Questa potrebbe rappresentare la modalità d’amore più “sana”, in quanto oggetto d’amore diventa il partner. Freud afferma: “viene amato l’oggetto che possiede le prerogative che mancano all’Io per raggiungere il suo ideale”.
  • La persona che fu una parte del proprio sé. In questa scelta d’amore viene nuovamente “scelto” il figlio, nell’accezione però di “colui che è stato parte del corpo della donna”. E’ una scelta al “femminile” in quanto, per Freud, soltanto la donna è incapace della scelta oggettuale, cioè di un “altro diverso da se” come oggetto d’amore. Solo la nascita di un figlio, permette alla donna di non scegliere se stessa come oggetto d’amore ma un altro che comunque è parte del proprio se, in quanto proviene dal proprio corpo
  • Le figure d’appoggio: la donna nutrice, l’uomo protettivo, la serie delle persone che fanno le veci di queste,

rappresentano gli oggetti d’amore sui quali l’infante, dopo il periodo di narcisismo primario, appoggia la libido che “Chiamiamo così – considerandola una grandezza quantitativa, anche se per ora non misurabile – l’energia delle pulsioni attinenti a tutto ciò che può essere compendiato nella parola “amore” (Freud, 1921a, p.280)

 

Dott. Roberto Cavaliere

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TEORIA DELL’ATTACCAMENTO E STILI D’ATTACCAMENTO

DEFINIZIONE DI ATTACCAMENTO: Propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore,impotenza o malattia . (Bowlby,1969)

 

La teoria dell’attaccamento ci fornisce una cornice evolutiva all’interno della quale è possibile comprendere meglio alcune dinamiche di coppia, scopo principale del sito. Infatti le modalità con cui ci leghiamo affettivamente ad un‘altra persona riflettono le nostre primarie esperienze di attaccamento.

Il termine“attaccamento” può essere interpretato in 3 diversi modi : a) comportamento di attaccamento ; b) sistema comportamentale di attaccamento ; c) legame d’ affetto. ha un significato generale e rimanda alla condizione di attaccamento di un soggetto: il sostenere che un bambino ha un attaccamento vuol dire che egli avverte il bisogno di percepire la vicinanza ed il contatto fisico con una persona di riferimento, soprattutto in particolari situazioni.

La tendenza all’attaccamento opera con massima intensità nella prima infanzia quando maggiore è la vulnerabilità ai pericoli e minore la capacità di fronteggiare da soli situazioni di disagio

La costituzione nella prima infanzia, di un attaccamento sano e di una fiducia di base, dipende dalla presenza e dalla capacità di risposta dei genitori o di altri significativi, ai segnali ed ai bisogni del bambino.

Secondo Bowlby l’attaccamento è un qualcosa che, non essendo influenzabile da situazioni momentanee, perdura nel tempo, si struttura nei primi mesi di vita intorno ad un’unica figura; molto probabile è che tale legame si instauri con la madre, dato che è la prima ad occuparsi del bambino, ma, come Bowlby ritiene, non sussiste nessun dato che avalli l’idea che un padre non possa diventare figura di attaccamento nel caso in cui sia lui a dispensare le cure al bambino. La qualità dell’esperienza definisce la sicurezza d’attaccamento in base alla sensibilità e disponibilità del caregiver (madre) e quindi la formazione di modelli operativi interni, che andranno a definire i comportamenti futuri (relazioni). Con la crescita, l’attaccamento che si viene a formare tramite la relazione materna primaria o con un “caregiver di riferimento”, si modifica e si estende ad altre figure, sia interne che esterne alla famiglia, fino a scomparire: nell’adolescenza e nella fase adulta il soggetto avrà maturato la capacità di separarsi dal caregiver primario e legarsi a nuove figure di attaccamento.

“Una caratteristica fondamentale è il concetto di chi siano le figure di attaccamento, di dove le si possa trovare, e di come ci si può aspettare che reagiscano. Analogamente, nel modello operativo del Sè che ciascuno si costruisce, una caratteristica fondamentale è il concetto di quanto si sia accettabili o inaccettabili agli occhi delle figure di attaccamento. Sulla struttura di questi modelli complementari l’individuo basa le sue previsioni di quanto le sue figure di attaccamento potranno essere accessibili e responsive se egli si rivolgerà a loro per aiuto… Dalla struttura di quei modelli dipendono inoltre la sua fiducia che le sue figure di attaccamento siano in genere facilmente disponibili e la sua paura più o meno grande, che non lo siano” (J. Bowlby, Attaccamento e perdita, vol. 2: La separazione dalla madre. Torino, Boringhieri, 1975).

Leggi anche la pagina sulle Riflessioni di Bowlby

STILI DI ATTACCAMENTO

La qualità della relazione tra il bambino e chi lo accudisce plasma l’espressione innata dell’attaccamento del bambino e la rappresentazione mentale di sé, dell’altro e della relazione.

Bowlby riteneva che l’attaccamento si sviluppa attraverso alcune fasi e che possa essere di tipo “sicuro” o “insicuro”. Un attaccamento di tipo sicuro si ha se il bambino sente di avere dalla figura di riferimento, protezione, senso di sicurezza, affetto; in un attaccamento di tipo insicuro invece il bambino riversa sulla figura di riferimento comportamenti e sentimenti come instabilità, prudenza, eccessiva dipendenza, paura dell’abbandono.

Bowlby identifica quattro fasi attraverso le quali si sviluppa il legame di attaccamento. La prima va dalla nascita fino alle otto-dodici settimane: in questo periodo il bambino non è in grado di discriminare le persone che lo circondano anche se può riuscire a riconoscere, attraverso l’odore e la voce, la propria madre. Superate le dodici settimane il piccolo comincia a dare maggiori risposte agli stimoli sociali. In un secondo momento il bambino, pur mantenendo comportamenti generalmente cordiali con chi lo circonda, metterà in atto modi di fare sempre più selettivi, soprattutto con al figura materna. Fra il sesto ed il settimo mese, il bambino diviene maggiormente discriminante nei confronti della persone con le quali entra in contatto e dal nono mese l’attaccamento con il caregiver si fa stabile e decisamente visibile: il bambino richiama l’attenzione della figura di riferimento, la saluta, la usa come base per esplorare l’ambiente, ricerca in lei protezione in particolare se si trova a cospetto di un estraneo. Il comportamento di attaccamento è stabile e profondo fino a circa tre anni, età in cui il bambino acquisisce la capacità di mantenere tranquillità e sicurezza in un ambiente sconosciuto; deve però essere in compagnia di figure di riferimento secondarie ed avere la certezza che il caregiver faccia presto ritorno.

ABBIAMO 4 PATTERN DI ATTACCAMENTO E DIVERSI MODELLI OPERATIVI INTERNI DI SE’ E DI CIASCUNA FDA (figura di accudimento)

STRANGE SITUATION

Mary Ainsworth ha analizzato l’organizzazione dell’attaccamento in età infantile attraverso una situazione sperimentale definita “strange situation” in cui venivano osservate le risposte di un bambino fra i 12 ed 18 mesi, posto in una stanza non familiare con un adulto estraneo e la propria madre. I tre momenti fondamentali:

  • Quando il genitore si allontana;
  • Quando il bambino rimane nella stanza con l’estraneo ed i giochi;
  • Quando si ricongiunge al genitore.

 

A: ATTACCAMENTO EVITANTE

Se la madre lo lascia solo non protesta, piange non la segue e quando torna dopo una breve separazione evita ogni contatto con lei, continua a giocare distogliendo lo sguardo da lei o volgendole attivamente le spalle.

MODELLO DI ACCUDIMENTO CORRISPONDENTE

Le fda di bambini con attaccamento evitante si dimostrano sensibilmente propense a ignorare o respingere le richieste di vicinanza dei figli

Mimica rigida nell’interazione col bambino o mimica che esprime il desiderio di tenerli a distanza

Modello operativo interno di sé e della fda

Immagine di sé come di un essere “poco amabile“, che deve tenersi a distanza anche se desidera la vicinanza; “sé“ privo della capacità di suscitare nell‘altro risposte positive e affettuose.

Fda indisponibile alle proprie richieste di aiuto e vicinanza

Sviluppi: Alterna momenti di indipendenza a momenti in cui si affanna a cercare la madre. L’indifferenza ed il mancato contenimento di lei non permettono al bambino l’elaborazione degli affetti negativi nei suoi confronti (dolore, rabbia..) che, scissi da quelli postivi, vengono ben presto incanalati in ambito sociale (atteggiamento ribelle e contestativo) o rimossi.

B: ATTACCAMENTO SICURO

Quando la madre lo lascia solo con un estraneo protesta intensamente ma appare prontamente rassicurato dal ritorno della madre.

L’attenzione del bambino è orientata coerentemente sia al genitore che si allontana, per richiamare la sua attenzione, sia è libera di rivolgersi all’esplorazione quando è in sua presenza, focalizzandola fluidamente sul gioco, o su di lui, ora esplorando, ora mostrandogli i risultati della sua esplorazione.

Stile di accudimento corrispondente

Le madri di bambini con attaccamento sicuro sono stabilmente disponibili a rispondere positivamente alle richieste di vicinanza e conforto

Modelli operativi interni di sé e della fda

Immagine di sé come di un essere degno di amore le cui esigenze di conforto hanno valore e significato

Fda come disponibile e degna di fiducia

Sviluppi: il bambino ha sviluppato fiducia nella presenza stabile della madre, da cui si sente contenuto, accolto e motivato all’esplorazione. E’ un bimbo sereno, che, rispecchiandosi in lei, ha maturato fiducia in sé e nelle proprie risorse.

C: ATTACCAMENTO ANSIOSO-RESISTENTE (ambivalente)

Quando la madre lo lascia solo con un estraneo protesta intensamente ma non appare prontamente rassicurato dal ritorno dela madre: preso in braccio continua a piangere, mostrando resistenza ai tentativi di rassicurazione della madre.

Stile di accudimento corrispondente

Le madri dei bambini C danno delle risposte imprevedibili. Possono essere ipercontrollanti ed intrusive, bloccando il bambino nei suoi tentativi di gioco ed esplorazione autonoma

Modelli operativi interni di sé e della fda

2 modeli operativi di sé e della fda opposti:

  • Immagine di sé come amabile e della fda come disponibile e degna di fiducia
  • Immagine di sé come non amabile e della fda come non disponibile.

Succesivamente si può formare una struttura sovraordinata

  • Sé e l‘altro come oggetti suscettibili di controllo.

Sviluppi: il bambino è passivo, esplora poco, ha bisogno costantemente di essere accudito. E’ introverso, timido e compiacente per essere accolto. Si mostra costantemente angosciato a causa dell’incostanza della madre (disponibile in modo discontinuo o incoerente, offrendo ad esempio un accadimento anaffettivo), e si aggrappa a lei temendo l’abbandono.

D: ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO E DISORIENTATO

Essi presentano dei comportamenti disorientati, disorganizzati e non direzionati: strillano cercando il genitore attraverso la porta e se ne allontanano durante la riunione, si avvicinano ad esempio alla fda con la testa voltata dall’altra parte, come se non potessero organizzare il proprio comportamento nè nel senso dell’avvicinamento né nel senso dell’evitamento.

Stile di accudimento corrispondente

Le ricerche hanno individuato una sofferenza delle fda a causa della mancanza di elaborazione di un lutto oppure di gravi eventi traumatici nelle relazioni con le proprie fda. Sono fda immerse in un doloroso mondo interiore e/o che incutono paura.

Modelli operativi interni di sé e dell’altro

Abbozzi multipli:

  • Sé accettabile e fda disponibile
  • Sé come vittima impotente di un altro minaccioso
  • Sé come pericoloso per le persone amate
  • Se e fda come deboli di fronte a pericoli esterni

Sviluppi: l’ultimo tipo di attaccamento descritto da Bowly origina da gravi mancanze della madre (violenza, maltrattamenti, abusi) che generano personalità borderline o psicotiche.

STILI D’ATTACCAMENTO IN ETA’ ADULTA

(tratto da Attaccamento e amore, Attili, 04, Edizioni Il Mulino)

Attaccamento sicuro – L’amore sicuro

Da adulto, sarà semplice, per il soggetto sicuro, riconoscere con precisione le persone a cui legarsi sentimentalmente. Egli, infatti, inconsapevolmente, si lascerà coinvolgere in relazioni che confermino i suoi modelli interni “sicuri”. Di conseguenza, si orienterà verso persone per lo più sicure, che dimostrino palesemente i propri sentimenti, e con cui poter condividere in maniera comunicativa i momenti tristi e quelli felici della propria esistenza, in modo da confermare la propria percezione di persona degna di essere amata e curata. Inoltre, avendo avuto esperienza di un rapporto di totale fiducia con la propria madre, tenderà a dar vita a legami sentimentali poco ossessivi, basati, cioè, sulla fiducia reciproca, utilizzando il proprio partner come base sicura da cui dipendere, ma allo stesso modo, da cui partire autonomamente, per le continue esplorazioni dell’ambiente circostante. Infine, il soggetto “sicuro”, impegnato, nella maggior parte dei casi, con partners altrettanto “sicuri”, presenterà un alto livello di consapevolezza circa la sua relazione e i possibili momenti di alti e bassi a cui andrà incontro, cercando di volta in volta, le strategie adatte al superamento di quelli difficili. Sono, dunque, per lo più correlate a soggetti sicuri, storie stabili e durature

Attaccamento ansioso ambivalente – L’amore ossessivo

In campo amoroso,tale soggetto sarà più volte trascinato dal vortice della passione, pensando di aver trovato la persona giusta. In realtà, andrà incontro ad idealizzazioni eccessive di persone che presentano, al contrario, proprio quei tratti caratteriali che egli stesso odia. Solo successivamente, si renderà conto di aver commesso uno sbaglio nella scelta, e a quel punto, soffrirà irrimediabilmente. Abbiamo, inoltre, sostenuto che il bambino che sperimenta una relazione con una madre imprevedibile, sviluppa dei modelli del sé, come di una persona da amare in maniera discontinua, ad intermittenza. Da quanto scritto, ne consegue che, all’interno di una relazione amorosa adulta, quando a prevalere saranno i modelli positivi del sé, come persona degna di amore, allora penserà di essere amato profondamente e rispettato dal partner, ma quando prenderanno il sopravvento i modelli negativi del sé, come persona vulnerabile e non degna di amore, allora sarà facilmente trascinato nel tunnel della gelosia più estrema, dando vita ad una relazione ossessiva, possessiva e autoritaria: non mancano, talvolta, reazioni di aggressività fisica piuttosto violente, o addirittura episodi che sfociano in delitti passionali. Il problema principale del soggetto insicuro-ambivalente è che “…rimane sempre nella fase dell’innamoramento. La sua ansia da separazione è sempre all’estremo. Il suo amore è sempre ossessivo. Il suo odio è sempre travolgente. La possibilità di esplorare il mondo, di essere contento e di amare sulla base della sicurezza che può offrire una relazione consolidata sono per lui dimensioni sconosciute. Per lui quello non è amore!

Attaccamento evitante/distanziante – L’amore freddo/distaccato

Coloro che da bambini, fanno esperienza di una madre “rifiutante”, che, cioè, non risponde con prontezza, efficienza e calore alle richieste di aiuto e conforto, elaborano un modello di attaccamento definito “ansioso-evitante”. Questi sfortunati individui, al contrario dei soggetti sicuri, non sviluppano la loro personalità a partire dalla sicurezza di una base sicura cui far riferimento: non godono, cioè, in alcun modo di sicurezza affettiva. Ne consegue la formazione di “…Un modello mentale del sé come di persona non degna di essere amata, che deve contare solo su di sé, e un modello mentale della madre come di persona cattiva dalla quale non aspettarsi alcunché” (Attili, 2004, p. 111). Naturalmente, ai soggetti in questione, sfugge la consapevolezza delle proprie rappresentazioni mentali, che operano a livello inconscio, influenzando lo sviluppo della personalità e, in particolare, le esperienze relazionali presenti e future. L’imperativo categorico degli individui con attaccamento ansioso-evitante consisterà, durante la propria esistenza, nel non farsi coinvolgere emotivamente nelle relazioni interpersonali instaurate, e la loro vita sarà improntata tutta sul desiderio di conquista di un’autonomia e autosufficienza personale che escludano, in caso di necessità, il ricorso agli altri, considerati individui inaffidabili e su cui contar poco. Questa vera e propria strategia di vita, in realtà, non è altro che una misura di prevenzione contro il rischio di ulteriori delusioni, dovute ad esperienze di eventuali rifiuti. (“…Per non correre il rischio di essere rifiutati, sopprimono la loro emozionalità” (Attili, 2004)

Attaccamento disorganizzato – L’ amore patologico

Si tratta di modelli di attaccamento che rimandano a storie di abuso e maltrattamento da parte della figura allevante, nei confronti del proprio bambino. I bambini che sperimentano questo tipo di legame, presentano, durante la Strange Situation , dei comportamenti alquanto anomali: restano immobili, si dondolano, si coprono gli occhi alla vista della madre, danno vita ad una serie di comportamenti piuttosto stereotipati. Essi, elaborano, durante l’infanzia, delle rappresentazioni interne della relazione, confuse e incoerenti. La conseguenza di tali esperienze pregresse è, nell’età adulta, l’intervento dei modelli interni nell’interpretazioni degli eventi della realtà, che restano sempre oscurati da un velo di confusione e incontrollabilità, e anneriti da una visione piuttosto catastrofica. In amore, questi soggetti, spesso, sono incapaci di scegliere partners affidabili, correndo il rischio di farsi coinvolgere in relazioni distruttive, con persone violente e aggressive (Attili, 2004). D’altro canto, gli stessi individui con modelli interni di tipo disorganizzato, tendono a dar vita, e a mantenere nel tempo, relazioni improntate su modalità comunicative violente e fredde, presentandosi come partners e genitori maltrattanti, o abusanti.

 

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CONTRIBUTI VARI

CONTRIBUTO DELLA DOTT.SSA ROBERTA CARECHINO

Di seguito pubblico un contributo pervenutomi dalla Dott.ssa Roberta Carechino.
“….. Di fronte ad ognuno di noi, ci sono due possibilità: quella che ci puòportare alla chiusura, al rimanere nel ruolo degli incapaci, degli stupidi, deipazzi; dall’altra, la possibilità di uscire da quel ruolo, rivelando le propriecapacità e le proprie doti.La scelta reale è quella di “scegliere” se stessi, la propria veritàindividuale, i propri desideri nascosti.Spesso, ognuno di noi si sente legato ad una modalità limitante e incapace, maspesso dentro c’è il desiderio di cercare e creare nuove armonie.Le idee sono tante. Bisogna trasformare i buchi incolmabili del bisogno, incornici pronte ad ospitare le tele bellissime dei desideri ancora inespressi;trasformare ogni “non posso” (che poi è un ” non voglio”), in un deciso”voglio”;trasformare tutta l’energia, usata per bloccare, per erigere muriinvalicabili, in energia aperta e circolare… Rendere possibile l’impossibile…..…. La molla che ci fa catapultare fuori dai vicoli ciechi si chiama : perdono:Perdono verso se stessi,e verso gli altri. Il perdono ci permette di rompere illegame di rancore, la catena di odio coltivata lungo gli anni e liberare quelleparti di noi imprigionate, soffocate, rafforzando le parti positive e creando lo spazio per una riparazione autentica e per l’amore…”

PROGRAMMA DI RECUPERO DALLA DIPENDENZA RELAZIONALE

(contributo pervenuto in maniera anonima)

> > PRIMO PROPONIMENTO
Ci accetteremo pienamente, anche durante il tentativo di cambiarci in parte. coltiveremo con cura l’amore e il rispetto verso se stessi.
> > SECONDO PROPONIMENTO
Accetteremo gli altri per quello che sono, rinunciando a cambiarli a seconda dei nostri bisogni
> > TERZO PROPONIMENTO
Non perderemo mai di vista gli atteggiamenti che assumiamo e i sentimenti che proviamo in ogni dimensione della nostra esistenza, compresa la sessualità.
> > QUARTO PROPONIMENTO
Avremo caro ogni nostro aspetto: la personalità., l’aspetto fisico, le opinioni e i valori, gli interessi e le nostre doti.
> > piuttosto che cercare una relazione in cui trovare conferma di quanto valiamo, saremo noi stesse ad apprezzarci da sole.
> > QUINTO PROPONIMENTO
La nostra autostima sarà sufficientemente grande da permetterci di godere della compagnia di altre persone, soprattutto uomini, che stanno bene cosi’ come sono. non avremo bisogno di sentirci necessarie per essere sicure del nostro valore.
> > SESTO PROPONIMENTO
Saremo aperte e fiduciose con le persone che se lo meritano. non avremo paura di approfondire i nostri rapporti personali ma, allo stesso tempo, non ci esporremmo allo sfruttamento di chi non si preoccupra del nostro benessere psicofisico.
> > SETTIMO PROPONIMENTO
Impareremo a domandarci: quale relazione fa al caso mio? mi permette di esprimere tutte le nostre potenzialità?
> > OTTAVO PROPONIMENTO
Quando una relazione è distruttiva, ce ne libereremo senza cadere in una depressione debilitante. avremo una cerchia di amici e sani interessi che ci aiuteranno a superare la crisi.
> > NONO PROPONIMENTO
La nostra serenità sarà la nostra priorità assoluta. tutte le sofferenze, i drammi e il caos del passato perderanno il loro fascino. proteggeremo noi stesse, la nostra salute e il nostro benessere.
> > DECIMO PROPONIMENTO
Terremo a mente che una relazione per funzionare deve avvenire tra partner che dividano valori, interessi e obiettivi simili, e che sappiano instaurare un rapporto di vera intimità. e non dimenticheremo mai che ci meritiamo quanto di meglio la vita abbia da offrirci.

e.v.

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

DELL’AMORE

Quando finisce un amore o quando un legame viene reciso, la prima vera domanda che ci balena nella mente, quando la delusione non è più fresca è: ma sarà stato amore? Ma l’amore esiste?
Io me lo sono chiesto e la terza domanda che mi sono posta è stata: che cos’è l’amore per me? Ho dovuto analizzare, non solo cosa ne sapevo io, ma che cosa ne pensano le figure importanti della mia famiglia, quello che volontariamente o involontariamente mi hanno insegnato cosa fosse. 
Sono nata in una generazione (tra il 1960 e il 1970) che è stata la prima a dover vivere la perdita di quelle certezze sui ruoli maschile e femminile. La rivoluzione femminile del 1968, che ci aveva preceduto, aveva seminato un po’ alla rinfusa, i principi per porre la donna all’interno della società civile, come destinataria di pari diritti; una dimensione della donna, che la ponesse, non più come compagna di qualcuno, madre di qualcuno, ma soggetto capace di autodeterminarsi Non più qualificate come “femmine” (quasi ad indicarne una possibile mancanza) della specie, ma persone, impedendo così alla connotazione sessuale di discriminarci, così come era da sempre accaduto. 
La vera lotta sulla parità sessuale e sull’integrazione sociale della donna è iniziata sul campo, nella vita vera, con le nostre vite. Abbiamo vissuto da figlie, i drammi dei primi divorzi; abbiamo sopportato il tentativo di marchiarci come “poco serie” (per dire poco) solo perché facevamo sesso con i nostri coetanei e non lo nascondevamo. Siamo cresciute sotto due spinte controverse: da una parte essere le brave ragazze che mamma e papà, l’oratorio e la società volevano fossimo (basterebbe dare un’occhiata alla pubblicità degli anni 80); dall’altra donne che riscattassero le proprie madri con lo studio e il lavoro, per dimostrare al mondo di poter pretendere secondo i nostri desideri, donne che non vogliono essere scelte, ma scegliere. 
E abbiamo provato ad essere tutto: donne secondo la nostra natura e maschi secondo la volontà del costume che cambiava. Ma non si possono cambiare le regole del gioco delle relazioni, soltanto per un solo fronte, tutti e due i fronti dovrebbero cambiare armoniosamente. 
I nostri coetanei maschi sono usciti sviliti da questa lotta e in fondo, rimpiangono i benefici dei loro padri. Sono cambiati nella superficie, ma non nella sostanza. Hanno saputo però, sfruttare al meglio il cambiamento, alimentando la competizione e la mancanza di solidarietà delle donne. Le nostre nuove sicurezze e la nostra forza, li hanno fatti sentire inadeguati, e in larga parte autorizzati a esonerarsi di ogni responsabilità affettiva. Nel bene e nel male la mia generazione di donne ha racchiuso in sé ogni ordine di eccessi.

Attorno a me sento gente d’ogni sesso, affermare di cercare l’amore. Mi sono andata a cercare libri, riviste, definizioni psicologiche e poetiche su questo sentimento, a cui ognuno dà una connotazione: vaga, personale, evanescente, clinica. La prima risposta che mi sono data è che non esiste un solo tipo di amore, ve ne sono un infinità e che ad ogni particolare tipo corrisponde una motivazione. Quindi per deduzione se voglio trovare “amore”, la prima cosa che devo chiedermi è: perché? Mi spiego meglio, lo voglio: per combattere la solitudine? Per formare una famiglia? Per farmi sorreggere nei momenti di crisi? Per cambiare la mia vita? Per sentirmi protetta e rassicurata? Riuscire a darsi una risposta secondo me, già vuol dire aver preso coscienza di un bisogno urgente e inderogabile di noi stessi. Ma purtroppo non è così facile rispondere. Qualcuno di voi dirà che è per tutti i motivi suesposti, ma è davvero così? 
A venti anni quando mi sono innamorata per la prima volta, io non avevo nessuna voglia di pensare di farmi una famiglia, né di pensare che il ragazzo di cui ero innamorata fosse il mio compagno per la vita. Non ci volevo pensare, avevo altre urgenze. Quando durava da un po’ di anni sono stati gli altri a costringermi a pensarci anche se poi non mi aiutavano a chiarirmi. Il messaggio inconscio era: il tempo di percorrenza rispondeva dell’affidabilità del rapporto. Ma non mi bastava; tanto è che ad un certo punto cercai in ogni modo di ottenere cose che chiaramente l’altro non era pronto a darmi, non mi aveva scelto con quell’intento. L’intento a venti anni era di vivere l’emozione, accompagnarsi con qualcuno che ci renda più facile crescere, che ci metta al riparo dalla vita, dalle delusioni. Inconsapevolmente, ci eravamo scelti per questo entrambi. E qui ho scoperto un’altra cosa, la reciprocità. Non è possibile provare alcunché per chi non sente altrettanto per noi, l’altro o noi possiamo non esserne consapevoli o non accettarlo (e a meno che non si tratti di un sentimento malato, nato nei sogni e lontano dal nostro mondo) e quindi decidere di non vederlo o di non corrisponderlo; ma la corrente dell’energia e le sensazioni sono reciproche tra le persone. 
Rispondere anche ad una sola domanda sul perché si voglia l’amore, non è facile, vi è la necessità di avere un buon rapporto con se stessi, saper tirar fuori anche quello che teniamo nascosto a noi stessi. 
Nella vita pratica le domande avvengono nell’inconscio e noi facciamo le scelte che solo più tardi ci spiegheremo (sempre che lo vogliamo). 
Ecco perché, anche come ci è stato insegnato ad amare, è molto importante e la dice lunga su ciò che ci aspettiamo da questo sentimento. Spesso ciò che cerchiamo è un sentimento rassicurante che ci ricordi l’affetto esclusivo della madre o meritorio del padre. Ed è anche per questo che la nostra storia affettiva d’origine ha molta importanza e spiega il nostro modo di amare e di essere amati. Le instabilità affettive hanno origine dal modo in cui abbiamo digerito più o meno il modo in cui siamo stati amati nell’infanzia. Se ci siamo sentiti amati e se abbiamo accettato il modus amandi dei nostri genitori, sapremo trovare il nostro modo per amare e sentirci amati.

Un altro fattore di incidenza è la storia socio-culturale della società occidentale. Fino a tutto l’ottocento e inizi novecento, l’amore è sempre stato considerato un fattore impeditivo di una relazione stabile; considerato alla stregua di una momentanea debolezza, una passione che distrugge, più che costruire. L’amore (in qualunque accezione fosse inteso) non era essenziale, la cosa essenziale era la stabilità economica e la morale e le unioni erano decise in base alla convenienza e a un minimo di conoscenza. 
Ancora oggi, nonostante spesso ci illudiamo di costruire delle unioni sull’amore, spesso sono unioni di “convenienza” nel senso che entrambi i partner convengono che la persona che scelgono è il male minore oppure, si sceglie secondo l’istinto del momento, la passione. Tendiamo cioè a dare spazio: o alla razionalità o all’emotività; praticamente è come dividere la nostra anima o mente a metà, perché ragione e sentimento non dovrebbero essere in antitesi ma coniugarsi tra loro per avere un equilibrio psichico. 
Generalizzando, se chiediamo ad uomini e donne che cos’è l’amore risponderanno: la passione che stravolge la vita ed i sensi, facendo fare quelle scelte che razionalmente non si compierebbero; oppure il sentimento, la concretezza, l’affidabilità, la tenerezza, la stima. Praticamente non vi è una sostanziale differenza tra la componente maschile e femminile, la vera differenza sono i fattori psicologici, le conditio personali del pregresso affettivo che fanno prediligere la scelta razionale piuttosto che quella emozionale. 
L’unica vera differenza tra uomini e donne, a parte l’aspetto fisiologico, è la comunicazione: le donne utilizzano e sfruttano l’analisi; gli uomini utilizzano la sintesi. Tenere presente questa differenza significa poter comunicare con l’altro sesso in un linguaggio che gli sia comprensibile. Ad es. se devo comunicare con un uomo e sono una donna: devo imparare a parlare con lui in modo sintetico e chiaro, senza utilizzare sottintesi e senza aspettarmi che lui capisca quello che io non dico esplicitamente, anzi sforzarmi di essere esplicita; se sono un uomo devo prevenire i retro-pensieri che assillano una donna, chiarendo che se sto affermando qualcosa non gli sto dando connotazioni diverse da quelle che appaiono, cercando di spiegarsi in modo chiaro ed efficace. Dovremmo sempre metterci nei panni dell’altro. 
Ora che sento di sapere un po’ più di cose sull’amore in generale, la domanda è: ma quando l’incontrerò? In ogni momento si può incontrare qualcuno che potrebbe essere vicino a noi per esperienze, affinità e fisicamente compatibile, ma spesso siamo noi che non siamo pronti a donare noi stessi in una relazione. 
Nella mia esperienza personale, posso dire che capita più spesso di quanto non ci sembri, di incontrare chi potrebbe essere il partner giusto per noi, ma siamo così obnubilati dalle paure e dai condizionamenti che spesso non riusciamo a vederlo. 
Nella vita di una persona ci sono diversi tipi di condizionamenti: quelli legati all’infanzia, al clima affettivo familiare; quelli dovuti ad esperienze di fallimento affettivo dell’età adulta. Tanto più grande è stata la non accettazione di qualcosa che ci è stato negato o che abbiamo perso, tanto più facciamo fatica a lasciarci andare ad un nuovo amore. 
Non riusciamo a prenderci il tempo per digerire qualcosa che ci ha fatto male, l’io non riesce ad essere obiettivo (né con il passato né con il presente) quindi, invece di imparare dall’esperienza, tendiamo a sostituire, così come facciamo con le cose materiali e ad accumulare il dolore da qualche parte nell’inconscio. E spesso facciamo pagare a chi si mette sulla nostra strada il dolore che ci portiamo dietro. 
Interrompere questa catena di sofferenza è, secondo me, il primo passo verso un chiarimento in se stessi.

La conclusione a cui sono arrivata è che nessuno può rispondere su che cosa sia l’amore, senza dare una propria intima opinione acclarata dalla propria esperienza. 
Non esiste una definizione obiettiva dell’amore, così come di ogni altro sentimento, qualcuno in un aforisma diceva:

“L’amore chiede solo di essere sentito e amato”.

Ognuno sente e prova secondo la propria capacità e predisposizione, anche se questa capacità è chiaro che può e dovrebbe essere alimentata. Perciò nessuno è in grado di stabilire se ciò che per me è valido può esserlo anche per un altro, l’importante è, secondo me, che l’amore (per qualunque persona lo proviamo e per qualsiasi motivazione personale) sia accrescimento e non diminuzione: capacità di donare per la gioia che il dono ha in sé e non per ciò che vorremmo e capacità di saper accettare-ricevere il tipo d’amore che ci viene reciprocamente donato.

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

AMARSI COME DECISIONE

“Amare se stessi è l’inizio di un idillio che dura una vita. Oscar Wilde

 

Ci sono diversi modi di cominciare la giornata o la nostra Vita :

Ognuno di noi, ogni giorno attua una decisione ben precisa: dal vestito da indossare, da cosa mangiare, le persone da frequentare, ecc.

Tra le numerose decisioni , dimentichiamo la più importante, quella che dovrebbe avere la priorità assoluta sulle altre : Amarsi.

Decidere di amarci sembra difficile, spesso impossibile, siamo bravi ad amare gli altri a prodigarci per essi, ad essere accondiscendenti, a sorridere, essere bravi , buoni e disponibili . Tutto questo porta a inevitabili delusioni e sofferenze che si ripercuotono sul nostro benessere psicofisico.

Psicofisico perché psiche e soma( corpo), sono un tutt’uno quindi qualsiasi emozione sia positiva che negativa traspare sul viso che può apparire teso, pallido e invecchiato.

Questo riguarda anche il corpo: non a caso si può notare in persone depresse, che camminano assumendo una postura curva, le braccia penzoloni, come se portassero sulle spalle un carico enorme.

Nei periodi bui della vita alcune persone tendono a scegliere inconsciamente colori scuri, prediligendo il grigio , il nero, nel vestire e anche nell’arredare la propria casa. Mentre quando si è in pace con se stessi, quando la serenità fa da compagna ,ecco che si tende ai cambiamenti ,allora via ai colori accesi, alle forme smaglianti.

Perché è così difficile amarsi?

Sicuramente perché , sin da piccoli non ci è stato donato l’amore di cui avevamo bisogno dalle figure significative genitoriali, oppure c’è stato dato in modo sbagliato; Esempio : genitori assenti affettivamente , compensazioni materiali , carenza di abbracci, di carezze etc.

Quindi non avendolo conosciuto questo amore , non essendocene appropriati, da adulti non possiamo dare o darci qualcosa di cui non sappiamo cos’è il significato.

Noi possiamo trasmettere o donare solo ciò che conosciamo bene!

Questo non significa che non possiamo iniziare a “imparare” l’amore per noi stessi e decidere di amarci , prendendoci cura di noi come si farebbe con un bimbo appena nato.

L’importante è la decisione

.Ogni piccola azione quotidiana può essere piena o carente di attenzioni verso noi stessi, basta fermarsi un attimo e rivolgere lo sguardo verso di sé , osservarsi, stare attenti ai piccoli segnali che il corpo ci manda, ma soprattutto ascoltarsi.

Ascoltare i propri bisogni, le proprie paure, le angosce, i limiti. Questo non è essere egoisti, ma prendersi cura di sé.

Il nostro Sé ( la parte saggia , la parte più profonda della nostra anima ) ci invia continuamente segnali sia di ben-essere che di mal-essere e noi ce ne accorgiamo subito, non possiamo mentire alla parte più profonda di noi.

Quando è che noi non ci stiamo amando ? Quando ci dimentichiamo di noi stessi e ci proiettiamo totalmente all’esterno. Posso farvi numerosi esempi del non amore, ma mi limiterò a farvene alcuni: Una relazione sbagliata ,annullarsi per un uomo che ci usa , quando scambiamo l’interesse sessuale per amore, e ci ostiniamo anche di fronte all’evidenza che è come non lo desideriamo idealizzando il partner ad immagine e somiglianza che solo noi abbiamo costruito a nostro piacimento ma realtà purtroppo è un’altra. Accettare violenze psicologiche e fisiche dall’altro perché si spera che poi se dimostriamo di amarlo lui cambierà, o per quieto vivere, per abitudine, o peggio ancora per :”Cosa dirà la gente” (questo ancora domina nei piccoli paesi) Altro es : sul lavoro : subire imposizioni e maltrattamenti da parte del superiore o dei colleghi , non riuscire a dire di no di fronte ad una richiesta esagerata. Accettare passivamente maltrattamenti , soprusi, inganni, da parte dell’altro e come altro intendo partner, amici, colleghi,vicini di casa, ecc .

Non saper dire di NO!

Tutto questo porta inevitabilmente al NON AMORE per noi quindi alla sofferenza psichica ed esistenziale che come sensazione ci accompagna un senso di vuoto, di frustrazione, un malessere generale a cui non sappiamo dare il nome.

Amarsi vuol dire anche non rinnegare la propria personalità ; siamo abituati ad essere come gli altri ci vogliono, a vivere secondo le loro aspettative, i loro desideri , soffocando la nostra vera identità.

Fin da piccoli, per “meritare” l’amore dei nostri genitori imparavamo ad essere i più buoni, i più bravi a scuola , eccellenti nello sport, o imparavamo comportamenti che non sentivamo nostri, spegnendo desideri , sogni e progetti per essere accettati e amati da loro.

Quante volte ci siamo sentiti dire : se non fai il bravo/a la mamma o il papà non ti vuole più bene.

Allora ecco a impegnarci fino allo sfinimento per ottenere l’approvazione . l’attenzione, l’affetto.

Così questi comportamenti acquisiti diventano il bagaglio che ognuno di noi si porta per tutta la vita

ma soffocare la nostra personalità è spegnere la parte più vera di noi con conseguenze che conosciamo benissimo.

Cosa possiamo fare?

Allora: iniziamo la giornata con un sorriso per noi davanti allo specchio;

Guardare oltre l’immagine che lo specchio ci rimanda , cercando di non fermarci all’aspetto esteriore ma guardarsi dentro e decidere che quella giornata dev’essere piena di luce, a prescindere dagli improperi del capo sul lavoro o dei colleghi .

A prescindere da tutto, io decido di amarmi , di essere serena e di affrontare la vita con più ottimismo , venendo incontro ai miei bisogni ; accettando i miei limiti, avendo “ compassione ” per le mie paure ; perdonando i miei errori.

Questo non vuol dire escludere gli altri dalla propria vita ma andare incontro ad essi con la mia gioia di esistere ,con la pienezza del mio essere. Riconoscendo il mio valore posso riconoscere quello degli altri, con l’amore che mi sono data . ( Se dentro abbiamo il vuoto non possiamo dare che vuoto.)

Per ogni piccolo passo che riusciamo a fare per noi stessi premiamoci, per esserci impegnati ,affinché ciò accada e siamo fieri dei piccoli successi .

Se qualche volta si ricade negli stessi errori non accusiamoci, non demoralizzarsi, ma riprendiamo il fiato e andiamo avanti con coraggio.

In ognuno di noi c’è un esserino che reclama amore e attenzione , prendiamolo in braccio, culliamolo e diamogli il nutrimento necessario .

Diamogli tutto ciò di cui ha bisogno.

Sarà una persona completa, appagata e serena che sorriderà alla Vita e la pace della Vita invaderà il suo essere.

Qualunque cosa tu possa fare

Qualunque sogno tu possa sognare

Comincia.

L’audacia reca in sé

Genialità immagine e forza.

Comincia ora. J.W Gohete

 

Rossella Stanca

Antropologa Esistenziale

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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L’ESPERIENZA PSICOCORPOREA

Encuentro en una noche de verano (Incontro in una notte d’estate)

 

1 – Un po’ di teoria
Qualcuno, leggendo quest’articolo penserà “Pietro s’è bevuto il cervello!”
Non importa. Oggi si parla tanto di far moto, di andare in palestra, di tecniche di rilassamento psico-corporee.
Ebbene, il ballo racchiude in sé tutto quel che serve per socializzare, per recuperare un rapporto sano e sereno con la propria fisicità e quella altrui, per esprimere la propria creatività, per superare la timidezza, unendo l’utile al dilettevole, cullati dalla magia del ballo e della musica.
Parlo di ballo e non di “Dance-Therapy” o cose simili, perchè ritengo quantomeno assurdo il tentativo di ridurre qualcosa di grande e sconfinato, quali sono la musica e le altre espressioni artistiche, a “terapia”, ad un qualcosa di puramente “tecnico” (lo stesso vale per le religioni o filosofie religiose, dalle quali vengono estrapolate e commercializzate “meditazioni e tecniche antistress” dai nomi esotici ed ammiccanti…).
Sembra che, finiti i tempi dei balli “da soli”, si stia riscoperto il piacere del contatto fisico con l’altro. E tornano i balli più sensuali. Ballare in coppia è un modo divertente per imparare a stare insieme: aiuta a riscoprirsi, fa ritrovare il piacere di sfiorarsi in una seduzione esplicita, ma codificata… Salsa, merengue e tango: sono questi i balli che oggi coinvolgono sempre più persone, senza limiti di età. I loro meriti? Servono a mantenersi in forma, senza palestra, e hanno un’ottima funzione antistress.
Più adatti agli spiriti solari ed estroversi la salsa e il merengue, di origine caraibica, conservano nella musica la vitalità del mare, del sole e dei profumi tropicali.
Entrambi hanno ritmi facili, passi regolari, ed offrono spazio all’improvvisazione nonché un senso gioioso dell’esistenza e dell’amore.Avere già un compagno, o una compagna, non è fondamentale, lo/la si può trovare senza fatica nelle sale o nelle scuole di ballo.
Il tango argentino in particolare, si addice invece agli animi romantici e introversi: viene definito “una conversazione senza parole assai profonda” o “un ballo che, più che un ballo è un modo di intendere e vivere la vita”. Nel tango servono meno doti atletiche rispetto alle danze caraibiche, ma è necessaria una grande partecipazione emotiva alla musica ed un buon equilibrio, per eseguire senza fatica le diverse figure.
Sta poi alla sensibilità degli interpreti variare la successione dei passi e inserire ad arte incroci di gambe: ciò richiede applicazione, disciplina ed una buona conoscenza dei propri compagni o compagne di ballo. Solo così si può esprimerne la passionalità e bellezza estetica.
Il cuore pulsa più forte? Viene il fiatone? La testa gira? Potrà succedere le prime volte (ed è del tutto normale, in qualsiasi esercizio fisico), poi passa. Ma ne vale la pena!
E, parlando di ballo di coppia, è inutile ignorarne aspetti quali l’istintualità, la sensualità, la passionalità, il piacere del contatto fisico. Aspetti associati in genere, nella nostra cultura, ad una concezione egoistica, trasgressiva, talvolta addirittura peccaminosa, della vita, ignorandone o stravolgendone, del tutto o in parte, il significato e la semantica (lo studio teorico e storico del significato).
“Un altruismo che non passi per la felicità del corpo-proprio, per la pienezza del suo piacere, è immorale” e ancora “la gioia è il progetto biologico intrinseco all’intera storia dell’umanità: e il corpo, dotato della capacità di godere, ne è la prova più perfetta.” (N.Ghezzani, Volersi male, pag. 136-137).
In tanti anni di DAP e di impegno alla Lidap, ho maturato la convinzione che ogni percorso di apprendimento di modalità comunicative intrapersonali ed interpersonali più autentiche e, quindi, sane (mi riferisco anche ai gruppi di auto-mutuo aiuto), per essere veramente efficace non può scindere l’aspetto verbale da quello gestuale-affettivo e nemmeno privilegiare il primo a discapito del secondo, perché noi esseri umani ci esprimiamo ed interagiamo verbalmente, per circa un 30%, e gestualmente, per un 60%.
Riscoprire la nostra fisicità significa riscoprire il piacere di un abbraccio, di una carezza, di un bacio, di una coccola, del “sentire l’altro”, insomma. L’abbracciare e l’essere abbracciati equivale ad “accogliere” e ad “essere accolti”, a “riconoscere, accettare l’altro” e ad “essere riconosciuti, accettati dall’altro” per quello che siamo.
Il piacere corporeo è un che di genetico, del tutto naturale, quanto l’istintualità, la sensualità e la passionalità: caratteristiche umane che non è detto debbano prescindere dall’essere coscienti – e perciò responsabili – della nostra vita emotiva e morale.
Ciononostante tendiamo, più o meno velatamente, ad evitare il piacere (del corpo-proprio) e la sensazione gradevole e gioiosa che ne deriva. Forse, o senza forse, il solo pensiero di far emergere i nostri sentimenti, emozioni ed aspirazioni/desideri più profondi, di metterci a nudo, di mostrarci per quel che siamo, ci turba e ci spaventa. Imbottiti come siamo di condizionamenti sociali, culturali, di tabù, di valori imprescindibili (o pseudo-valori perbenistici?) che mascherano un nostro bisogno di esercitare controllo e possesso sull’altro, e di un bisogno estremo di sicurezza costi quel che costi, ci sentiamo “protetti” dagli schemi, dagli stereotipi, dall’abitudinarietà e, talora e paradossalmente, anche dal malessere e/o dal disagio e sintomi che inevitabilmente ne scaturiscono.
E’ vero che, in alcuni casi, le resistenze ad una comunicazione gestuale più sana e libera possono essere alimentate da vissuti oggettivamente traumatici o dolorosi (es.: una persona vittima di molestie o violenze sessuali), è vero che “il piacere non ha memoria, il dolore invece sì”, è altrettanto vero che non esistono motivi validi per vittimizzarci, soffocando parti/aspetti importanti della nostra natura e del nostro interagire umano che possono reindirizzarci verso una vita più gioiosa e piena.
Esiste poi il timore d’essere o di sentirci disapprovati o giudicati “trasgressivi” da chi ci circonda. Trasgressivi, solo perché riscopriamo in noi il piacere di comunicare/interagire con persone dell’altro sesso, ballando, sedendoci al tavolino di un bar a bere un caffè, o girando a braccetto con loro?
Beh, se questa è trasgressione, il codice morale sociale attuale andrebbe rivisto e modificato sotto molti aspetti perché qualunque espressione edonica (correlata al piacere di qualsiasi tipo: il dipingere, il fare footing, ecc.) riappropriata in funzione del nostro Sé, viene avvertita di per se stessa come trasgressiva.
Ricordo la proibizione del ballo, in auge 30/40 anni fa, da parte delle autorità religiose, ma non solo da quelle: erano molte le ragazze accompagnate a ballare, e sorvegliate a vista, da genitori, zii e fratelli, indipendentemente dal fatto che le famiglie fossero “credenti e praticanti”); ricordo, altrettanto bene, che la proibizione non valeva, ad esempio, per la danza classica (che non è mai stata priva di contatto fisico).
La proibizione poi era più rigida, e lo è ancora, quando il ballo era “al di fuori della coppia, del matrimonio”, in virtù di un’ipervalorizzazione del “legame” (leggi: dell’essere legati). Il leit-motiv erano, e sono, le solite frasi “la carne è debole”, “la paglia vicino al fuoco brucia” ecc., ecc..

2 – La gelosia
Sempre in tema, a questo punto, riterrei onesto ed obiettivo, onde non scaricare ingiustamente ogni colpa sulla cultura religiosa, aprire una parentesi sulla “gelosia”.
“Amor vuol dir gelosia…” è il refrain di una vecchia canzone. In effetti è difficile non esser gelosi di qualcuno e/o di qualcosa, specie se quel qualcuno o qualcosa ci attraggono o costituiscono motivo di vita per noi. Ma la gelosia, in quanto passione, e non emozione, presenta molte sfumature e può trasformarsi in qualcosa di soffocante e distruttivo, dai risvolti imprevedibili, che nulla ha a che vedere con l’amore.

  1. la gelosia da possessoindividua nell’altro una nostra necessità personale a cui non vogliamo rinunciare, quindi l’altro non deve crescere, perché il crescere realizza la possibilità di diventare “libero”. Rende incapaci di accettare e sopportare la libertà dell’altro, di perderlo, di esserne abbandonati (le canzonette di qualche tempo fa eran farcite di “Io son tuo” e “tu sei mia”). Un’estremizzazione della gelosia da possesso può degenerare, anzi pare degeneri sempre più di frequente, in caso d’abbandono, in quelle forme delittuose che potrebbero esser riassunte in “ti amo, quindi ti distruggo o, peggio ancora, t’uccido t’uccido!”.
  2. la gelosia da pregiudizio(o gelosia ideologica). E’ una gelosia che nasce dal presupposto ideologico che la relazione è un valore, l’individualità un disvalore o addirittura una colpa. Quindi chi sin muove da solo (con altri) sbaglia.
  3. la gelosia fobica: il geloso proietta sull’altro l’avvento di una libertà di cui ha paura. Quindi la reprime non solo in se stesso ma anche nell’altro (reprime la libertà ipotetica di poter vivere emozioni nuove, del tutto sconosciute).4 – Trasgressione?
    Di anni ne son passati, son cambiate tante cose, ma la visione/lettura/percezione del piacere psico-corporeo e della “trasgressione” sono tuttora confusi, distorti, e generano sensi di colpa (nelle persone più sensibili, in genere).
    I limiti posti da questa nostra società schizofrenica (in parte “moralista/sessuofobica”, in parte “neoliberista”) alla comunicazione ed alla crescita/maturazione/espressione del nostro Sé sono tanti. In parte, legati allo “status” individuale: da bambini dovremmo adattarci ad un determinato cliché, da adolescenti, ad un altro, da adulti, ad altri ancora, a seconda dei casi: se siamo fidanzati, celibi, nubili, coniugati, con alcune variabili, tra le quali, l’età e lo status sociale (economico). Un esempio: due persone anziane che si baciano sulla panchina di un parco potrebbero essere visti come “trasgressivi”, da gran parte dei passanti (qualcuno potrebbe storcere il naso o addirittura apostrofarli malamente… i più sensibili proverebbero un senso di tenerezza); non farebbe certo scalpore ed il termine “trasgressione” acquisirebbe un significato più morbido, se a baciarsi su quella stessa panchina, ci fossero un’industriale o un divo dello spettacolo, pur 60/70enne, e la sua compagna o moglie “di turno”. Ma tant’è…
    Se desiderate approfondire queste problematiche e ricavarne spunti utili, vi invito a leggere attentamente le pagine di questo sito ed i libri di Nicola Ghezzani (ci terrei a sottolineare che la mia non è una sorta di “P&P”, Pubblicità e Progresso, fine a se stessa: apprezzo e condivido il pensiero di Ghezzani perché ne ho sperimentato personalmente l’efficacia pratica).5 – E veniamo alla pratica
    Ora vorrei riportare un’esperienza personale recente. Un’esperienza “trasgressiva” (10 giorni al mare, senza moglie, ospite di un amico). Un’esperienza trasgressiva “soft”, comunque sana, espressione di una mia ribellione personale a certi schemi prefissati di carattere sociale.
    Lo scorso luglio, nella consueta passeggiata del dopocena, a Marina di Massa, in compagnia di un amico, eravamo sulla strada che costeggia il Parco Olivetti. Attraverso la recinzione, s’intravedevano, qui e là nei vialetti e nei prati, tra il via vai di persone, molti coniglietti, quelli piccoli, alcuni seduti tranquillamente, altri, invece, si muovevano goffi a brucare erba e foglioline. Dal porticato, al centro del parco, s’udiva musica di fisarmonica. Giunti al cancello d’entrata, c’eravamo fermati a leggere le locandine e manifesti appiccicati ad una grossa bacheca, curiosi di sapere se c’era una festa da ballo o cos’altro. “Ogni lunedì e mercoledì, alle 21,30, lezioni di tango”.
    Era un mercoledì ed erano circa le 22. “Entriamo a vedere?”, dico. Il mio amico, di qualche anno più anziano di me, pare un po’ restio, e sì che è appassionato di liscio!… Mi riferirà, più tardi, della sua scarsa propensione “a giocare (ballare) fuori casa”: preferisce le nostre feste paesane, dove ci si conosce tutti. Lui è in pantaloni lunghi, camicia e scarpe; io, in pantaloncini corti, maglietta e sandali. Entriamo nel piccolo bar, posto in una sorta di corridoio che immette sotto una tettoia. Ordiniamo un caffè. Ci sono alcune persone lì in piedi, accanto a noi, perlopiù donne, tutte eleganti in abito scuro, alcune carine. Tutte quante hanno, comunque, un portamento gradevole. Non occorre molto intuito: sono allieve o ballerine della “scuola”. Non m’è difficile chieder loro: “Scusate… è qui la lezione di tango?”. “Sì, è qui”, mi rispondono gentilmente. Mi sento un po’ goffo, vuoi per i miei 55 anni, vuoi per il po’ di pancetta che ho messo su. Eppoi non sono proprio in tenuta da ballo… Accenno, tuttavia, un “ma è possibile partecipare alla lezione?”. “Sì, certo! Perché no?”, rispondono sempre gentilmente. Il ghiaccio è rotto. Mi presento a due di loro, Rosalia e Nenè: “Ma… mi fate ballare anche se ho i sandali e i pantaloni corti?”. “Questo proprio no! Puoi andarti a cambiare, ti aspettiamo”, esclamano con un fare sorridente, leggermente ironico. A loro s’aggiunge il mio amico, seduto comodo al tavolino: “Eddai Pietro, e che ti ci vuole? Son due passi. Tutte queste donne son qui per te!…” M’avesse detto una frase del genere, qualche anno prima, timido com’ero, sarei sprofondato nel pavimento della pista da ballo, per l’imbarazzo. “Due passi, un corno!”, gli avrei risposto “Tra andata e ritorno c’è minimo un chilometro… e dimmi: quali sono le donne-qui-per-me?”. E’ caldo, sono sudato, sento la pelle appiccicosa.
    Arrivo all’appartamento, ancor più sudato, faccio una bella doccia e mi cambio. Scendo le scale e mi riavvio verso il parco. Non è che ami granché camminare, e penso tra me “Va a finire che arrivo là sudato fradicio più di prima!”.
    Sono quasi le 23. Allungo il passo ed arrivo che stan già ballando. Mi siedo un po’ a riprender fiato ed osservo. “Caspita, come ballano bene!!!”. E’ un piacere, una delizia, guardarli. Non sembrano per niente “dilettanti”. Le donne, poi, sfoggiano una grazia, una naturalezza, flessuosità e sinuosità, uniche, nei loro movimenti, nell’incrociare le gambe, nell’inclinare il loro corpo, lasciandosi trascinare. Senza falsa modestia, penso “E’ molto meglio che me ne stia qui seduto, bello calmo, o ci rimedio una figuraccia! E poi, quelle lì, belle e brave come sono, non perdono certo il loro tempo a ballare con me!…”.
    Prima che quel brano finisca, mi s’avvicina Hèctor, il loro insegnante. E’ un ragazzo argentino, scuro di capelli, la pelle olivastra, alto come me ma con un fisico asciutto da ballerino di danza classica. Mi dice “Ei Pietro, m’han detto che sei venuto qui per imparare a ballare. Seguimi!”
    La cosa mi stupisce non poco. “Chi gliel’avrà mai detto che mi chiamo Pietro e che sono venuto qui per ballare?”. Mi colpisce la sua cordialità inusuale. Scambiamo due parole, io mi sento titubante, anzi, per dirla tutta, avverto tensione, tremo…
    “Sei il benvenuto, il nostro è un gruppo di amici, aperto a tutti. Ti vedo un po’ teso, rilassati.”, “Hèctor, sai com’é… io ballo da molto tempo ma non il tango argentino… mi sentirei goffo, ridicolo… non mi va di farvi perdere tempo. Dai, ballate voi!”.
    Mi ripete: “Rilassati e non farti problemi, OK? Qui siamo tutti amici, un gruppo. Vedi, ci sono donne di tutte le età, e nessuna di loro se la tira. Adesso t’insegniamo i passi fondamentali, “la salida” (la camminata, l’ocho, e la chiusura)”. E fa un cenno a Laura, una bella ragazza mora di 24 anni, alta una spanna più di me. “Oddiooo! Qui sbiello!”. La tensione e l’imbarazzo aumentano. Hèctor segue i miei movimenti, attento e paziente, mi corregge una volta, due, tre… “Sei troppo teso, ansioso. Rilassati!”. E’ una parola, rilassarsi! Ci provo.
    Il brano finisce e ne inizia un altro. “Non scappare, Pietro! Adesso ti faccio provare con Maria”. Con Maria, mi trovo leggermente meglio, le esprimo il mio imbarazzo, mi risponde sorridente: “Eddai Pietro, non si nasce maestri, vedrai che, col tempo, impari!” . Continuo a sbagliare qualche passo, sono passi semplici, ma… Hèctor interviene ancora col “Rilassati, Pietro!” ed aggiunge: “Vieni qui, ti insegno io”. Non ho problemi a ballare con lui. Mi spiega che, nel tango, è l’uomo che deve comandare e guidare la donna. Sto il più attento possibile. Arriva Maddalena, una bella ragazza giovane, bionda. E’ simpatica e cordiale quanto Maria e Laura. Con Maddalena, e grazie a lei, riesco finalmente ad ingranare un po’ di più con quei primi passi. Arrivo a fine tango, soddisfatto. Sorrido io e sorride Maddalena. E’ solo l’inizio ed è la prima volta che son lì a cimentarmi col tango argentino.
    Hèctor non mi dà tregua: mi fa ballare con Rosalia, con Marta, con Nenè, con Angela. Sette balli con sette donne diverse. Incredibile! Tra un tango e l’altro, ho modo di scambiare due chiacchiere (si fa per dire) con Romeo, Alberto, Andrea. C’è anche Paolo, abbastanza indaffarato.
    La lezione finisce all’una di notte. Il mio amico se n’è andato da un bel pezzo. Non ha ballato. M’aveva detto “Ciao Pietro, io ho sonno, vado a casa. Tu stai pure lì.”.
    Saluto tutti e tutte e m’avvio a casa, fischiettando come un merlo. Giunto a casa, m’accorgo d’esser senza sigarette. Prendo la bici e raggiungo un distributore automatico in via Roma. Pedalo, tranquillo ed euforico. E’ bello assaporare l’aria fresca, sentirsi liberi. Non c’è un anima viva in giro, tutti bar sono chiusi e le insegne dei negozi, spente… Non avverto sintomi né sensi di colpa.
    Torno “a lezione” il lunedì successivo. Hèctor & Company stanno preparando uno spettacolo. Mi salutano. Mi siedo ed assisto alle loro prove. Non è per nulla noioso, anzi. Hèctor è piuttosto indaffarato ad osservare e sistemare scrupolosamente i dettagli (l’entrata in scena di ogni coppia, la loro collocazione, il saluto finale, gli inchini, ecc.). Si siede non lontano da me, a dare istruzioni alle coppie. D’un tratto, lo vedo alzarsi e venire da me: “Pietro scusami, prima t’ho salutato un po’ di fretta. Non vorrei che ti fossi offeso…”. “Ma figurati Hèctor!”. In pista, c’è una coppia che, mercoledì scorso non c’era: Enzo e Nadia. Bravi e molto affiatati (non ci vuol molto a capire che ballano insieme da tempo).
    Arriva mezzanotte e mezzo, le prove finiscono. Mi alzo per salutare per poi andarmene a casa. “Il nostro amico Pietro è stato seduto fino adesso, a guardarci… C’è qualcuna di voi disposta a fargli ripassare la “salida”?”. E’ ancora lui: diavolo d’un Hèctor!… La sorpresa è stata tale che non ricordo nemmeno quale delle ragazze m’era venuta incontro: erano comunque più di due.
    M’occorrerebbero pagine per descrivere lo spettacolo che hanno tenuto il mercoledì sera successivo nella piazza di Ronchi. Gli spettatori erano tanti (200 o più) ed attenti, e lo spettacolo, uno dei più coinvolgenti cui mi sia capitato di assistere (non inferiore, qualitativamente, a quelli trasmessi in TV). Tango argentino, flamenco, fandango.
    Il coreografo di tutti i balli, nonché interprete, è lui: Hèctor. Finito il tutto, alcuni della compagnia m’invitano a tavola con loro, a festeggiare il compleanno di Alberto. “No, grazie. Vi siete mostrati sin troppo gentili e non voglio abusarne.”. Qualcuno s’offre di accompagnarmi in auto. Rispondo ancora “No, grazie” e m’incammino verso l’auto, verso il posto in cui l’aveva parcheggiata il mio amico. Non la trovo e non trovo nemmeno lui. Giro per almeno mezzora nella piazza. Provo a chiamarlo tre, quattro, cinque volte, sul cellulare. Niente da fare, è sempre spento. Mi dispiace di averlo perso di vista a fine spettacolo, lasciandomi prendere dalla foga del momento: so che mi conosce bene, ma… Dai Ronchi a casa, c’è più d’un chilometro: un’occasione per un’altra passeggiata notturna.
    La morale della favola non è il “tutti a tavola” dello slogan pubblicitario. Non tutti amano il ballo né sono obbligati a ballare per star bene.
    Quest’esperienza estiva, unica nel suo genere, che spero abbia un seguito, è stata per me una riconferma in più di alcuni principi, che ho appreso in 10 anni di volontariato allaLidap Onlus (nella quale opero tuttora) e di frequenza ai gruppi di auto-mutuo aiuto Lidap, che ho cercato di far miei e di tradurre in pratica quotidiana: la disponibilità ad aprirmi, a comunicare, a chiedere, ad imparare, a non limitarmi ad osservare bensì ad entrare in gioco, nella mischia (quand’è possibile, ovvio). Senza falsa modestia e, men che meno, autoglorificazione (a chi e a cosa servirebbe?), posso affermare che “qualcosa, anzi molto, è cambiato” nella mia vita.
    Per concludere, tango, altri balli o meno, non possiamo non interrogarci sul perché, paradossalmente, in questa nostra società moderna “più libera” nei costumi (forse solo in apparenza?) permanga, anzi vada aumentando, proprio la paura/fobia del contatto fisico e della comunicazione affettivo-gestuale tra persone di sesso opposto. L’infoltirsi crescente di persone, di età giovane, alla ricerca di rapporti interpersonali virtuali, a distanza, parebbe sostenere tale ipotesi. Che dire, poi, della crescente carenza di parole e coccole anche in ambito familiare? Ci vergogniamo di manifestare i nostri bisogni originari più autentici, quasi fossero cose obsolete, “da bambini”?


Pietro Adorni

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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