PAURA DELL’ABBANDONO, DELLA SEPARAZIONE

La mia sola consolazione, quando salivo per coricarmi, era che la mamma venisse a darmi un bacio non appena fossi stato a letto. Ma quella buona notte era così di breve durata, ella ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire… era un momento per me doloroso… Qualche volta, quando dopo avermi baciato, ella apriva la porta per andarsene, volevo chiamarla indietro, dirle “dammi ancora un bacio”, ma sapevo che subito ella avrebbe fatto il viso scuro, giacché la concessione che faceva alla mia tristezza e alla mia agitazione, salendo ad abbracciarmi, portando quel bacio di pace, irritava mio padre (…)

Abbandonai ogni fierezza verso Albertine, le spedii un telegramma disperato che le chiedeva di tornare a qualsiasi condizione, che essa avrebbe potuto fare tutto quello che avesse voluto, che io chiedevo soltanto di poterla baciare per un minuto tre volte la settimana prima che prendesse sonno. E se lei avesse posto come condizione una volta sola, avrei accettato anche una volta.

Marcel Proust – Recherche

ANGOSCIA – A seconda di tale o talaltra circostanza, il soggetto amoroso si sente trascinato dalla paura di un pericolo, di una ferita, di un abbandono, di un improvviso cambiamento – sentimento che egli esprime con la parola angoscia…

Lo psicotico vive nel timore del crollo. Ma “la paura clinica del crollo è la paura d’un crollo che è già stato subito… e vi sono dei momenti in cui un paziente ha bisogno che gli si dica che il crollo la cui paura mina la sua vita è già avvenuto”. Lo stesso avviene, a quanto sembra, per l’angoscia d’amore: essa è la paura di una perdita che è già avvenuta, sin dall’inizio dell’amore, sin dal momento in cui sono stato stregato. Bisognerebbe che qualcuno potesse dirmi: “Non essere più angosciato, tu l’hai già perduto(a)”.

Roland Barthes – Frammenti di un discorso amoroso – Einaudi

Sofferenza […] ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quesi segnali di allarme che sono il dolore e l’angoscia, dal mondo esterno che contro di noi può infierire con forze distruttive inesorabili e di potenza immane, e infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che trae origine dall’ultima fonte viene da noi avvertita come più dolorosa di ogni altra. (Freud, 1929)

Per colmare un vuoto devi inserire ciò che l’ha causato. Se lo riempi con altro ancor di più spalancherà le fauci. Non si chiude un abisso con l’aria. (Dickinson)

“Basta ricordare che siamo fatti d’acqua calda, che siamo soffici, liquidi ed elastici. L’abbandono è uno stato difficile a cui non siamo più abituati, perchè sempre ossessionati dal controllo a tutti i costi dei particolari.

L’abbandono invece è partecipazione alle pienezza, una forma di consapevolezza. Come dire: è così chiassosa la storia, nell’infinito silenzio universale, che è inutile aggiungere altro rumore.

Dunque è un prendere atto di esistere, di possedere braccia, dita e talento non nostri, di essere in possesso di un’identità che ci è data, così come tutto in noi e attorno a noi ci è donato, ci avanza, trabocca le nostre aspettative: nulla ci appartiene.

Allora ecco risvegliarsi in noi l’infantile stupore per ogni cosa, sempre nuova, sempre provvisoria. L’abbandono è una costante primavera, dove tutto continuamente nasce.”

(“la musica in testa” di Giovanni Allevi)

Ognuno si lascia dietro qualcosa che non va più d’accordo con la sua vita, senza che tuttavia abbia la sensazione di essere diventato più povero. D’altra parte esistono persone che non riescono a separarsi da nulla. Per paura di perdere le storie della loro infanzia le raccontano fino alla nausea ai loro interlocutori. Guai a lasciare in giro una parola dimenticata! Quelle persone muoiono tenendo in braccio lo stesso orsacchiotto con il quale sono cresciute. Si vede che l’orecchio mancante è stato aggiustato con affetto, però si vede anche che è stato aggiustato. M. Krüger, La violoncellista.

 

La paura della separazione, dell’abbandono accompagna la vita di tutti: da bambini abbiamo paura della separazione dai genitori, ma anche da adulti continuiamo a temere che le persone che amiamo ci abbandonano.

Per la psicanalisi la prima esperienza di separazione avviene al momento della nascita, quando ci si separa dalla “fusionalità” corporea con la madre. Ogni tentativo successivo di fusionalità coll’altro è un tentativo di riparare all’originaria separazione. Sarà proprio la figura materna, che durante il processo evolutivo, dovrà porre riparo a quella separazione originaria e far evolvere il proprio figlio verso un maturo svincolo dalle figure genitoriali. Se questo processo non avviene o avviene in modo ambivalente tutte le successive separazioni saranno estremamente dolorose.

Dietro la paura dell’abbandono c’è la paura della solitudine, ma anche qualcosa di più profondo: la paura di non esistere. Quando siamo amati da qualcuno abbiamo anche la conferma della nostra esistenza: la persona che ci ama ci fa sentire importanti ed amati, ma prima di tutto ci fa sentire che ci siamo. Nel momento in cui questo amore viene a mancare ci sentiamo smarriti e proviamo un senso di vuoto. Non è così per tutti, ma per alcuni la perdita dell’amato ha a che fare con la perdita di se stessi.

Per riuscire a vincere questa paura il primo passo è quello di ammetterla e riconoscerla.
Quando ci innamoriamo sopravvalutiamo l’altro, che ci sembra perfetto. In realtà trasferiamo sull’altro tutte le qualità che vorremmo avere noi. Ci costruiamo nell’altro un “noi stessi” perfetto. Nel momento in cui un rapporto finisce ci ritroviamo piccoli e di poco valore, ci sembra di non esistere o di non valere.
Per riuscire a vincere questa paura è necessario “strutturare” non stessi, di non riversare sugli altri le cose che non abbiamo e che vorremmo avere, ma di cercare piuttosto di costruircele dentro.
Il distacco, se ci ripensiamo a distanza, porta con sé anche aspetti positivi. E’ in realtà anche una fonte importante di riflessione. Quando lasciamo passare il tempo necessario perché la ferita si rimargini ci accorgiamo che il distacco è stata una ricchezza, che ci ha fatto crescere, ci ha fatto capire più cose, ci ha fatto vedere il mondo con altri occhi, ci ha offerto più opportunità.
Può quindi rappresentare uno stimolo verso situazioni nuove, di cui non dobbiamo avere paura.

C’è anche un altro lato della medaglia In alcuni casi la paura della separazione e dell’abbandono è così forte che si comincia a non volere più nessuno accanto, per evitare di essere abbandonati. Si tratta di persone talmente terrorizzate all’idea di essere abbandonate e di trovarsi incapaci di governare le emozioni, che preferiscono anticiparle. Se sono loro stesse a provocare il distacco, cioè, hanno la sensazione di poterlo governare meglio. Quindi, ad esempio, ci sono soggetti che, per non subire la frustrazione e il dolore di essere lasciati, preferiscono lasciare per primi, anche se la relazione non presenta particolari problematiche.

In ogni caso concordo con l’affermazione di Barthes che la paura della perdita e come fosse una perdita già avvenuta, perchè non permette di vivere il qui ed ora della relazione, ma proietta quest’ultima nel passato abbandonico ed in un futuro simile.

Infine la paura dell’abbandono, della perdita dell’altro ha anche un altra faccia: la paura che l’amore emerso dal nostro inconscio, possa andare via così come è arrivato.Quindi perdita non intesa come perdita dell’altro, ma perdita dell’amore che si prova.

DISTURBO D’ANSIA DI SEPARAZIONE

I criteri diagnostici per il Disturbo d’Ansia di Separazione sono i seguenti:

Ansia inappropriata rispetto al livello di sviluppo ed eccessiva che riguarda la separazione da casa o da coloro a cui il soggetto è attaccato, come evidenziato da tre (o più) dei seguenti elementi:

  1. malessere eccessivo ricorrente quando avviene la separazione da casa o dai principali personaggi di attaccamento o quando essa è anticipata col pensiero
  2. persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo alla perdita dei principali personaggi di attaccamento, o alla possibilità che accada loro qualche cosa di dannoso
  3. persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento spiacevole e imprevisto comporti separazione dai principali personaggi di attaccamento (per es., essere smarrito o essere rapito)
  4. persistente riluttanza o rifiuto di andare a scuola o altrove per la paura della separazione
  5. persistente ed eccessiva paura o riluttanza a stare solo o senza i principali personaggi di attaccamento a casa, oppure senza adulti significativi in altri ambienti
  6. persistente riluttanza o rifiuto di andare a dormire senza avere vicino uno dei personaggi principali di attaccamento o di dormire fuori casa
  7. ripetuti incubi sul tema della separazione
  8. ripetute lamentele di sintomi fisici (per es., mal di testa, dolori di stomaco, nausea o vomito) quando avviene od è anticipata col pensiero la separazione dai principali personaggi di attaccamento.
  1. La durata dell’anomalia è di almeno 4 settimane.
  2. L’esordio è prima dei 18 anni.
  3. L’anomalia causa disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, scolastica (lavorativa), o di altre importanti aree del funzionamento.
  4. L’anomalia non si manifesta esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, di Schizofrenia, o di un altro Disturbo Psicotico e, negli adolescenti e negli adulti, non è meglio attribuibile ad un Disturbo di Panico con Agorafobia

Dott. Roberto Cavaliere

TESTIMONIANZE

mariate Età: 52 Sono una donna di 52 anni vivo sola dopo la rottura di una penosa convivenza durata ben sei anni anni in cui mi sono occupata principalmente di mia madre malata di Alzheimer, ho incontrato ahimè un altra persona, ma da quando lo conosco la mia già non buona situazione condizionata da un gran senso di solitudine che io ho comunque gestito bene creandomi molte occasioni per uscire di casa e qualche nuova amicizia, è molto peggiorata. Premetto che svolgo un lavoro di responsabilità sono un avvocato e dirigo un settore di un certo rielivo all’interno della struttura dove lavoro. Sono sempre stata instabile nei miei rapporti affettivi e penso anche questa volta di essere arrivata alla conclusione della mia storia dalla quale ne uscirò sicuramente umiliata e soprattutto molto sola. Ho tanta paura ed ho bisogno di aiuto. Il mio attuale “fidanzato” così lui si definisce secondo me mi aggredisce psicologicamente con continue critiche alla mia persona ed al mio carattere. Non saprei da dove inziare ma alcune amiche che a causa di questa storia hanno poi deciso di tagliare i ponti con me mi hanno messo sull’avviso che secondo loro aveva un carattere psicologicamente disturbato.Mi sento circondata dalle continue critiche di tutti o sono io che esagero? Non mi sento amata ed ho una grande paura di essere sola e abbandonata e rifiutatada tutti. Sono stata in analisi anni fa e certe problematiche si erano risolte ma ora sono nella merda a cinquanta anni una donna sola non può e non sa più come vivere.Non so se è giusto e se devo trovare la forza di troncare questo rapporto soprattutto perchè da un momento all’altro potrebbe farlo lui con ulteriore senso di fallimento per me, e soprattutto perchè si apre un baratro di solitudine immensa in cui ho paura di sprofondare. Se provo a cercare qualche amica ricevo rifiuti incomprensioni o aggressività, un’aggressività che non so esprimere con nessuno tranne che al lavoro dove ho imparato a gestire ben 30 persone senza problemi così nella vita ma quando si tratta di amici parenti e fidanzati la paura di non essere amata o di perdere l’amore e la stima delle persone che mi circondano combino dei disastri bestiali. Ho paura che lui mi voglia lasciare sono disperata.

Età: 30 Anche stamani mi sono svegliata con le lacrime agli occhi: nessun messaggio da lui che è lontano per lavoro.
Sto male,dottore,male davvero, perchè vorrei che fosse più presente, perchè ogni volta ho paura che tornando a casa pensi a me e non mi voglia più vedere. Mi rovino la mente nel fare castelli in aria sui suoi presunti tradimenti: pensi stanotte l’ho anche sognato, ed era la stessa scena che avevo vissuto,però realmente, col precedente fidanzato.
Mi aiuti,sto male,non voglio rovinare questa storia.Lui dice di volermi bene,tanto, e che anche quando non c’è deve bastarmi la consapevolezza del nostro amore. Dico di sì:ma poi da sola mi consumo di paure,tristezza,insicurezza,rabbia…
Perchè è così? Cosa rincorro,perchè a me l’amore non basta mai,perchè non mi fido…perchè? Perchè?
Dare la colpa ad un padre assente? Ad una mamma soffocante,ma infantile? Alle “attenzioni” di un parente,troppo “premuroso”?
Non lo so,so solo che vivo male ogni legame affettivo,vivo col terrore dell’abbandono e per questo passo da un letto all’altro,perchè sto bene solo nella fase iniziale della storia,quando si pensa che mai finirà…per quello strano gioco di ormoni ed endorfine! Ma poi,quando si consolida il rapporto,via che si ripiomba nel vortice; allora due alternative: lasciare o ossessionare per farsi lasciare.
Ma questa volta no,voglio che duri,voglio conoscere davvero questa persona,non voglio scappare. Come posso riuscirci?
Cavolo, anche adesso sto piangendo come una vite tagliata,sto male dottore,mi aiuti, non riesco più a vivere: sono due persone,davanti a lui la persona ragionevole che capisce i problemi di un’azienda in crescita,da sola una persona fragile che guarda compulsivamente il telefono e piange perché “lui non pensa a me perchè chissà con chi starà facendo l’amore adesso”.
Ho paura non voglio distruggere la mia vita,non voglio distruggere questa storia.
Mi aiuti,per favore, due parole per dare luce a questo buco nero di paure e pensieri.
E poi: se mi lasciasse? Morirei? No…lo so,ci sono già passata,ma è proprio l’idea dell’abbandono che mi fa morire dentro al solo pensiero di passarci ancora in mezzo. Mi aiuti,voglio iniziare a star bene. Grazie.

COMMENTI

Cara amica ti capisco perchè ci sono passata anch’io.. Ho la tua stessa età e per dieci anni sono passata da un fidanzato all’altro senza stare sola neanche un giorno per il terrore di stare sola. Poi negli ultimi due anni sono stata sola passando anch’io da un letot ad un altro ed ero molto più serena e tranquilla. Adesso mi sto nuovamente affezionando ad un altro ed ho le stesse paure.. Il segreto di “l’importante è non pensarci” e capovolgere la frase in “Posso stare con te e senza di te” è altrettanto una buona idea.. nel frattempo tu hai avuto qualche novità?

Sono stata fidanzata con un ragazzo per 4 anni,tra romanticismo,bugie,dolcezze,tradimenti(suoi),passioni travolgenti. 
Quando è finita questa storia mi sono sentita morire dentro.Da allora sono passati 9 anni lui ha avuto diverse storie “serie”,io invece storielle senza impegno o il sesso di una notte.Non abbiamo mai smesso di sentirci anche se non con una frequenza giornaliera ma,come si usa dire,ogni morte di papa.Negli anni siamo stati insieme tra la fine di una sua storia e l’inizio di una nuova.Io non sono mai riuscita a creare qualcosa di vero con un altro uomo.Mi sono sempre data la colpa per lui e per chi è venuto dopo d’essere io quella sbagliata,quella che non merita d’essere amata e che deve ringraziare Dio se di tanto in tanto qualcuno si interessa anche solo per una notte.Mi sono resa conto che legarsi significa rischiare di perdere,d’essere lasciati soli eppure il meccanismo che ho innescato gioca proprio su questo.Ci sarebbero tante cose da dire per definire la mia storia ma la cojnclusione è una sola…mi sento sola,vuota,mi sento come se non valessi un soldo bucato ma non lo dico ad amici o parenti per non sentirmi definire”vittima”.Gli anni dalla chiusura di quella storia sono passati sopportando un dolore immenso e profondo che non mi lascia respirare.

riferito al commento sopra: forse hai solo scelto di idealizzare qualcosa per paura di scegliere.

anche io sono stata innamorata ed ho idealizzato tanto una persona ma, consapevole di non poterla mai avere, ho preferito avere le mie storie.. continuando solo a sognare questo Luca..

Ti auguri con tutta me stessa che tu trovi un pò di serenità.Perchè anch’io ho i tuoi stessi problemi.Ho 24 anni e passo da un ragazzo all’altro ormai da 10 anni senza rimanere mai sola e con tutti i ragazzi che ho avuto ho sempre avuto l’ossessione di essere lasciata.Adesso sono sola da 2 mesi e vado da uno psicologo.la mia vita è un inferno perchè ho capito che non stando mai sola non ho mai avuto il tempo di pensare seriamente a me stessa e ad amarmi per ciò che sono e adesso ho paura perchè mi sento sola.

Anche io sono nella stessa situazione. Ho 24 anni e in tutte le mie storie passate ho sempre avuto una paura folle di essere lasciata…l’ironia è che è sempre stato questo atteggiamento a portare il mio lui a lasciarmi. Ho riflettuto molto su questa situazione e mi sono chiesta più volte come uscirne. Una volta messo a fuoco il problema (io non ero consapevole di questa mia sindrome da abbandono fino a poco tempo fa) bisogna lavorarci sopra, è un lavoro duro ma fatto con uno slancio positivo darà i suoi frutti. Dobbiamo convincerci che abbiamo dentro di noi il valore necessario per vivere bene e felici anche da soli, che volendo attaccarci agli altri per sentirci protetti distruggiamo noi stessi e la relazione a cui teniamo. Per poter costruire un legame sano dobbiamo riuscire ad riappacificarci con noi stessi, coltivando la nostra autostima e le cose che amiamo, concedendo ai nosri bisogni il ruolo importante che gli spetta e accettando i nostri limiti. Cara amica, la felicità non ti potrà mai essere data dall’amore di un’altra persona, sei tu che per prima devi iniziare ad amare e rispettare te stessa. Spero che tu riesca a superare l’angoscia e la paura, hai la forza per farlo!
Ilaria

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

PASSIONE D’AMORE

Di seguito tre famosi citazioni che sintetizzano cosa s’intende per passione. A seguire una possibile terapia 

“La passione ti fa smettere di mangiare, di dormire, di lavorare, di vivere in pace. Molti si spaventano perchè quando compare, distrugge tutto ciò che di vecchio incontra. Nessuno vuole mettere a soqquadro il proprio mondo. Perciò alcune persone-tante-riescono a controllare questa minaccia, mantenendo in piedi una casa o una struttura già marcia. Sono gli ingegnieri delle cose superate. Altri individui pensano esattamente il contrario:si abbandonano senza riflettere, spettandosi di trovare nella passione la soluzione di tutti i lori problemi. Attribuiscono all’altro il merito della propria felicità,e la colpa della propria possibile infelicità. Sono sempre euforici perchè è accaduto qualcosa di meraviglioso,oppure depressi perchè un evento inatteso ha finito per distruggere tutto.

Sottrarsi alla passione,o abbandonarvi ciecamente:

quale di questi atteggiamenti è il meno distruttivo???

Io non lo so…”

da”11 minuti”di Paulo Coehlo.

“La passione non si piega alle leggi della ragione, non si cura minimamente di quello che riceverà in cambio, vuole esprimersi fino in fondo, imporre la sua volontà. Ogni vera passione è senza speranza, altrimenti non sarebbe una passione ma un semplice patto, un accordo ragionevole, uno scambio di banali interessi.”
(Sándor Márai)

“Le passioni sono gli unici oratori che persuadano sempre. Esse sono come un’arte della natura dalle regole infallibili: il più semplice degli uomini animato dalla passione riesce più persuasivo del più eloquente che ne sia sprovvisto.”
(François de La Rochefoucauld)

Nella seguente citazione una ‘possibile terapia’ di una violenta passione d’amore.

“La forza delle passioni umane che si trovano in noi viene ad essere assai violenta, se la si respinge del tutto. Se invece la si guida ad un’attività moderata e non oltre ciò che è opportuno, provoca una gioia misurata, viene soddisfatta, e a questo punto, diventa pura, cessa con la persuasione e non a forza.”
(Aristotele)

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

LIBRO “LA PRINCIPESSA CHE CREDEVA NELLE FAVOLE”

TRAMA
Questo libro ha una protagonista speciale. Perché Victoria è una principessa, ma anche qualcosa di più. Lei è tutte quelle donne che, dopo aver trovato il proprio principe azzurro, scoprono come non è tutto azzurro quel che somiglia al cielo, e che non cè dolore più grande dell’essere ferite dalla persona amata. Sgomenta, incredula, Vittoria decide di accettare l’invito di uno strano personaggio, lascia tutto e intraprende il viaggio alla scoperta di sé, sul Sentiero della Verità. Lungo il cammino rischia di annegare nel Mare delle Emozioni, è costretta ad attraversare la sconcertante Terra delle Illusioni. A poco a poco impara a distinguere la realtà dai sogni e comprende che una persona può amarne un’altra solo nello stesso modo in cui ama se stessa: con tenerezza e accettazione o con intransigenza e rifiuto. E per quanto sia faticoso abbandonare la strada già segnata e apparentemente più sicura, scopre che è possibile trovare nuove vie, e che ci vogliono sia il sole sia la pioggia per fare un arcobaleno. Saper sognare è un dono, ma il sogno può diventare una gabbia dorata se per realizzarlo si accettano così tanti compromessi da perdere di vista la felicità. Perché è giusto credere nelle favole. L’importante è saper accettare che la nostra potrebbe essere diversa da quella che abbiamo sempre immaginato.
CITAZIONI
Perdona te stessa per non essere stata capace di fare più di quanto era per te il meglio che sei riuscita a fare nelle varie situazioni.

L’amore fa star bene in caso contrario
si tratta di un sentimento ben diverso.
Se soffri più spesso di quando sei felice,
vuol dire che non è amore, ma qualcosa di differente
che ti tiene intrappolata in una sorta di prigione,
e ti impedisce di vedere la porta verso la libertà, spalancata davanti a te.

Il mare e la vita hanno molto in comune.
Rilassati. Lasciati andare.
Abbi fiducia nel fatto che resterai a galla, e ci starai.
Se invece opponi resistenza, pensando che finirai sul fondo, ci andrai davvero.
La scelta spetta solo a te.

Il viaggio è diverso per ognuno:
un sentiero può essere giusto per una persona
e sbagliato per un’altra.
Solo il cuore di ogni singolo essere umano conosce la via.

I MIEI FIGLI VOGLIONO UNA MAMMA NORMALE (discussione tratta dal forum)

Ho 50anni ,sono mamma e ora anche nonna; sono sarda e vivo il legame affettivo con i figli con un po di conflitto: non per il giudizio che gli altri possomo esprimere verso le mie azioni,quanto per le risposte che quelle azioni producono sui figli.E’ come se non sapessi mai che cosa è meglio fare,non solo per loro ,ma per me stessa: il messaggio è chiaro? che messaggio sto dando? quanto sono egoista?io vi dico che quando ho iniziato a dire ai miei figli: “d’ora in poi vi occuperete del vostro letto”, poi ” d’ora in poi vi occuperete della vostra stanza”, “d’ora in poi vi occuperete della vostra biancheria”, e per finire “d’ora in poi vi occuperete della vostra cena”,ho vissuto momenti di timore come se provassi un non amore verso i miei figli quasi fossi cattiva nei loro confronti,ma contemporaneamente mi dicevo :”devono imparare a gestire poco per volta la loro vita,anche perche’ prima di tutto devono imparare ad essere autonomi e poi anche indipendenti, e : se io non ci fossi ?.e pero allo stesso momento mi chiedevo se non stessi esagerando.Comunque la cosa è andata avanti, i miei figli vorrebereo UNA MAMMA NORMALE . sembra una non dipendenza affettiva ma secondo me lo è ma senza sfiorare la malattia, altrimenti non mi porrei la domanda sul mio egoismo.Far fare loro le cose loro mi ha donato quello spazio che prima non avevo perche’ impegnata quasi 24 ore su 24.Preciso che quando ho messo in campo cio che ho descritto ,una figlia aveva 16 anni e gli altri 12. grazie a chi ha creato questo forum
difficile risponderti, specialmente per chi, come me, è figlio ma non genitore……… secondo me nei rapporti tra genitori e figli c’è un aspetto materiale e uno affettivo…. tu hai deciso che dal punto di vista materiale i tuoi figli devono essere più indipendenti possibile.. e questo mi sembra anche una cosa positiva…. ma dal punto di vista affettivo ? … con la scusa che devono essere indipendenti sei anche assente dal punto di vista emotivo ? li allontani materialmente per non averli vicini sentimentalemente ?
secondo me è questo che dovresti chiederti, come sono emotivamente verso i miei figli ? loro vogliono una mamma normale nel senso che vogliono qualcuno che cucina e lava il bucato o vogliono una mamma che li ami ? nel primo caso forse hai più ragione tu, nel secondo loro…….. spero di esserti stato utile almeno un pochino ciao Enrico

Ciao, io sono ancora solo figlia ma se avessi dei figli vorrei abituarli fin da piccoli come hai fatto tu!
Renderli autonomi non significa togliere loro qualcosa, ma renderli migliori!
Nella mia famiglia io e mio fratello siamo stati cresciuti ed educati in maniera differente perchè lui maschio ed io no che scemenza!
Io però nonostante tutto non ho mai provato gelosia ho un rapporto molto tranquillo con entrambi ma ho giurato a me stessa che un giorno quando avrò dei figli saranno uguali e dovranno fare le stesse cose dovranno diventare responsabili, l’unica cosa che cercherò di dare loro sempre sarà il mio appoggio, e il mio amore! Per il resto vorrei essere esattamente come te! saluti lella

ciao lella e grazie per cio che mi dici,nonostante tutto fa sempre piacere(è come ricevere un coccola)sapere che c’è chi condivide e comprende cio che faccio.pergiunta da una figlia ,mi fa ancor piu tenerezza e mi sono commossa.a volte è difficile capire i figli anche perche si sta vivendo oggi una realta molto ma molto diversa da queela che posso aver vissuto io.non cambiano solo le cose che i figli possiedono, cambia sopratutto il modo di relazionarsi con le persone in genere.anch’io ho vissuto il gruppo, la forza del gruppo,l’appartenenza ad una ideologia,ma ci si chiedeva fra noi cosa volevamo fare come ,partire ,scoprire il mondo. oggi ,spero di sbagliarmi,io non riesco a sentire l’entusiasmo per la scoperta,la voglia di andare,vedo piuttosto un attaccamento esagerato per pc e tv, e una mancanza di sogni;sognare è ed era per me lo stimolo ad andare avanti,spingersi oltre le regole,con l’incoscienza e l’irresponsabilita che trovo sano si debbano vivere.oggi si confonde tutto, la voglia di non fare niente perche tanto c’è mamma che ti mantiene,passa come depressione da mancanza di lavoro(io non ci credo,ma questa discussione è molto piu ampia per farmi capire in poche righe) e poi i ricatti morali(mi sento diverso dagli altri)e quantaltro ti viene in mente,e io a spiegare a cercare di far capire che non è importante avere 5 paia di scarpe o la giacchina firmata o gli occhiali con la doppia stanghetta, che è importante la persona per quello chè ,per la sua disponibilita,per il suo sostegno,per l’essere presente quando un amico ha bisogno di te ma,girala come vuoi i miei figli vogliono una mamma normale,di quelle forse che sono sempre presenti tutte le volte che loro ne hanno voglia anziche dire : ” voglio leggere questo libro,per favore un po di silenzio”oppure far chiedere loro se una reazione da parte di un amico si è determinata per una loro azione nei suoi confronti, e loro a dirmi che io metto sempre in discussine loro e mai gli altri e……ti giuro,i figli sono una meraviglia, ho giacato con loro,ho sofferto con loro,ho gioto con loro, e non mi pento neppure un attimo della scelta che ho fatto,ma ,ti giuro, a volte sono sfinita,ancora adesso ,quando vado a dormire non posso fare a meno di dare uno sguardo dentro la loro stanza e mi sento gli occhi riempirsi di lacrime, e pensare ,nonostante tutto per ,oro è comunque difficile ,e io devo aiutarli a essere forti in questa società/giungla. ti abbraccio forte e spero e ti auguro tu possa realizzare i tuoi sogni

LA RELAZIONE MADRE-BAMBINO COME MODELLO DELLA RELAZIONE DI COPPIA

“La relazione del bambino con la madre è unica, senza paralleli, tale che una volta stabilita si mantiene inalterabile per tutta la vita come la prima e più forte relazione d’amore, e come il prototipo di tutte le successive relazioni d’amore, e questo è vero per entrambi i sessi (Freud)

 

Freud ha interpretato la relazione del bambino colla madre in termini di motivazione secondaria, vale a dire che essa è deputata a soddisfare i bisogni che gli psicanalisti definiscono primari: bisogni alimentari, di pulizia, sessuali (libido), aggressivi. La madre rappresenta l’oggetto sui cui il bambino può scaricare le tensioni provenienti dall’accumulo d’energia dei bisogni primari non soddisfatti.

Secondo tale teoria, quindi, la ricerca della vicinanza e dell’oggetto materno sarebbero finalizzate al soddisfacimento dei bisogni suddetti e non sarebbe un amore ‘gratuito’.

Le ricerche successive della teoria dell’attaccamento hanno ribaltato tale impostazione teorica.

Ha dato il via a tali ricerche H.Harlow, primatologo, che ha condotto una serie di esperimenti sui macachi che hanno un patrimonio genetico molto simile al nostro.

Un esperimento prevedeva che i piccoli macachi appena nati, venivano portati via dalle rispettive madri e rinchiusi individualmente in gabbie di ferro con allattamento al biberon. I piccoli sopravvivevano fra enormi disagi: diarrea, alterazioni del battito cardiaco, disturbi del sonno. Taluni arrivavano a morire mentre sopravvivevano meglio chi aveva trovato nella gabbia dei pezzi di stoffa che avvolgeva intorno al collo ed alla testa traendone conforto.

Successivamente vengono introdotti, in ogni gabbia, due sagome di scimmia, simili alla madre in due tipologie diverse: una composta di filo di ferro con annesso biberon ricolmo di latte, l’altra rivestita di panno morbido, ma mancante di biberon. I piccoli all’inizio interagivano con il simulacro materno di fil di ferro al fine di succhiare dal biberon, per poi trascorrere la maggior parte del tempo stretti al simulacro materno di panno morbido.

In variabili dell’esperimento in cui venivano introdotti oggetti che incutevano paura i piccoli si rifugiavano dalla madre morbida, abbracciandola al fine di trovare conforto.

Tali esperimenti ed altri hanno dimostrato che la soddisfazione dei bisogni primari come il cibo non è sufficiente alla sopravvivenza ma necessita di contatto e vicinanza con qualcosa di morbido, caldo, rassicurante, caratteristiche tipiche di una figura materna.

Anche indagini successive di Spitz sui bambini istituzionalizzati (in orfanatrofi o ospedali), quindi, privi di contatti materni hanno dimostrato come tali privazioni comportavano difficoltà ed ostacoli nella crescita e nello sviluppo.

Conclusioni: il bisogno d’affetto è forse ancora più importante di quello del cibo, permette di esistere ancor più dell’alimentazione.

 

Dott.ssa Rosalia Cipollina

TESTIMONIANZE PROBLEMATICHE AFFETTIVE VERSO I GENITORI

“I vostri figli non sono figli vostri. Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benchè vivano con voi non vi appartengono. Potete donare loro amore, ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri. Potete rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita procede e non s’attarda sul passato. Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza affinchè le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’arciere; poichè come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco.” KHALIL GIBRAN

 

HO SEMPRE CERCATO L’AFFETTO DI MIA MADRE

Salve mi chiamo Sabrina ed ho 29 anni. Per la prima volta oggi ho letto alcune storie in questo sito e mi è venuto da piangere perché mi ritrovo un pò in ognuna di esse. Cioè per capire meglio bisogna partire da mia nonna… La mia è una famiglia unita per certi versi io voglio bene a loro ma allo stesso tempo provo una rabbia infinita. Tutto inizia da mia nonna o almeno così è per i miei ricordi. Mia nonna è una despota, lei non da affetto o almeno lo da a modo suo cioè tramite i beni materiali, pensa che cucinare, lavare o stirare sia segno di affetto.. Non che dispiaccia ma non è sicuramente affetto.Sta di fatto che questo modo di fare si è trasferito su mia madre e mia madre lo ha fatto a me. Ho una sorella più grande di 3 anni ma lei non è trattata allo stesso modo ed è lo stesso tipo di relazione che vedo tra mia madre, mia nonna e mia zia. Non che mia nonna sia molto affettuosa con mia zia ma sicuramente lo è di più che con mia madre e la stessa cosa accade tra mia madre, mia sorella e me. Oggi ripensavo al perché mi sento rifiutata e sono risalita ad una cosa che mi disse mia madre quando ero piccola, io sono nata 29 anni e 2 giorni dopo il suo compleanno. Il giorno del suo compleanno lei doveva andare a cena fuori con papà ma il dottore la ricoverò perché dovevo nascere a breve e mia madre mi raccontò che pianse perché non voleva andare in clinica il giorno del suo compleanno. Io mi ricordo che le chiesi “mamma ma non eri felice che stavo per nascere io?” lei mi rispose “sì sì” ma non lo disse conconvinzione. Sono cresciuta con la convinzione di essere sbagliata io, di aver fatto qualcosa di male. Tra l’altro mia nonna ha sviluppato un metodo perverso di far sentire in colpa le persone esempio se uno va fuori a cena per lei è una cosa abominevole, perché lei cucina per tutti (mia nonnna abita al piano di sotto), è stata e sarà sempre invadente nella nostra vita, non ha rispetto della privacy della nostra famiglia e questo tipo di metodo perverso l’ho visto anche fare a mia madre proprio su di me…io ero e sono la pecora nera. Mi sarebbe piaciuto andare all’estero a studiare l’inglese ma mia madre mi ha fatto sentire in colpa. Diceva che il la facevo sentire una cattiva madre perché volevo imparare a gestirmi da sola. Con l’andare del tempo il nostro rapporto è peggiorato.. io mi sento sempre sotto accusa da parte sua, mi sento sempre mortificata. Mi rendo conto che anche io ho fatto degli errori, ma chi non li fa? Mi rendo conto che quando si è più piccoli non si pensa al futuro alle cose; in passato ho fatto l’errore di non mettermi nulla da parte però piano piano son riuscita a capire che era ora di fare qualcosa per me, mi sono messa da parte dei soldini ed ho dato l’anticipo per la mia macchina nuova. La cosa che mi dispiace é che lei non mi ha incoraggiato dicendomi “ok hai capito il nostro insegnamento per il futuro” ha puntato il dito urlandomi contro “no non hai capito un tubo se avessi inziato anni fa a quest’ora potevi comprartene 3 di macchine”. Sicuramente ha ragione sul fatto che io ho sbagliato ma mi sembra di aver fatto un miglioramento…ma a lei non basta mai.. Io per lei non sono abbastanza brava, non sono abbastanza intelligente, non sono abbastanza carina, sono una fallita perché ha 29 anni non sono sposata mentre lei alla mia età aveva già due figlie ed inoltre il fatto di avere un lavoro a tempo determinato per lei è un conferma di ulteriore fallimento, io sono una perdigiorno, una cattiva ragazza perché mi piace uscire la sera mentre le brave ragazze escono solo il sabato e con i propri fidanzati.Ho fatto due anni di psicoterapia dopo un periodo di forte depressione, un periodo in cui avevo tentato il suicidio, ed un pò della mia autostima è migliorata, il mio distacco da lei è parzialmente avvenuto anche se quando litighiamo riaffiora tutta la rabbia che ho. So di valere, non è vero che sono una pecora nera, solo perché mi piacciono delle cose diverse dalle sue non significa che siano sbagliate ma mi rendo conto che non sono riuscita a staccarmi completamente. Il mio corpo è spaccato a metà. Ho problemi con l’alimentazione e non solo, mangio soprattutto quando sono nervosa, mangio per sopperire a quella mancanza di cui soffro, quelle rare volte che stiamo in pace lei mi compra le cose ed io dentro di me penso che invece vorrei un semplice abbraccio.Mangio per spegnere quell’ansia che mi avvolge perennemente, mi sveglio la mattina col cuore a 3000, faccio fatica a respirare, mi sento spesso stanca ed ho delle vampate di calore improvvise. Nel giro di un anno ho messo su 20 kg e mi sono rinchiusa in me.Da un mese a questa parte ho deciso di rimettermi a dieta sono andata da un dottore che mi sta seguendo anche se penso che per guarire il fisico prima bisogna guarire l’anima. Cioé in parte mi rendo conto di aver fatto dei progressi, che so di valere, che so di non essere come mi dipinge lei, so di meritare, so che ho dei difetti e che si possono migliorare ed in fondo penso dio disse “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, ma non penso di essere un mostro allora perché ogni volta che litighiamo si attiva quel meccanisco perverso capace di annullare le mie difese e di farmi sentire una nullità? Solo dopo che sfogo la mia rabbia riesco a vedere le cose con lucidità e a dire a me stessa no non è così oppure ok ho sbagliato ma posso rimediare… perché lei punta sempre e solo il dito senza vedere un minimo di buono di bello? In vita mia mi sono sempre sentita inferiore, mia sorella era più brava, era più bella, più intelligente, lei frequentava il liceo mentre io solo un istituto tecnico. Ed ora? Ora lei è sposata da 10 anni, hanno adottato un bambino che adoro ma di cui allo stesso tempo sono gelosa perché lei da a lui tutte le attenzioni e tutte le gratificazioni di questo mondo. Si sono gelosa di mio nipote. Io non mi reputo una fallita perché non ho un figlio, sinceramente non mi sento pronta ad avere una famiglia o forse ho semplicemente paura che il rapporto perverso si possa ripetere, sta di fatto che sono incappata come tutti in storie amorose in cui io davo pur di essere accettata perché dentro di me pensavo dare = ricevere, invece non è così. Ho sempre cercato l’affetto di mia madre in altre persone e quindi i rapporti con l’altro sesso erano un disperato bisogno di affetto, da quando sono andata in psicoterapia sono riuscita ad amarmi un pò di più e a non traslare sui rapporti amorosi la mancanza di affetto di mia madre, ma ancora oggi ho difficoltà col cibo, sto seguendo la dieta ma a volte ho dei raptus di fame notturna ed inoltre quest’ansia terribile che non mi lascia mai. Insomma come posso fare ad avere un rapporto più sereno con me stessa? Come faccio a tagliare definitivamente questo cordone ombelicale? Grazie mille e scusate per le troppe parole

MARITO E PADRE

Gianluca Età: 25 Sono un ragazzo di 25 anni e mi sento molto legato all amia famiglia. Mio padre (65 anni) però sta diventanto sempre più nervoso, litiga sul lavoro e con amici ma soprattutto in casa. Mio fratello lavora con lui (ed è un ottimo ragazzo) ma quello che fa non va mai bene, dice anche alla gente che non è capace di lavorare e non impara niente. Inoltre da quando si è sposato mio fratello non ha mai accettato sua moglie (lei ha sì più carattere di mio fratello ma posso garantire è una bravissima ragazza) dicendo che lui fa tutto quello che vuole lei. Con me si arrabbia per cretinate, l’ultima volta davanti ad amici di famiglia, rinfacciandomi che ho più dei miei amici ecc… Io non ho nessun vizio, non sono mai stato richiamato, non ho mai avuto problemidi nessun genere, non vesto firmato e non sono spendaccione e spesso quando sono in discoteca, a 25 anni, devo chiedere ai miei amici di tornare a casa per paura di tornare troppo tardi ed essere richiamato. Ad essere sincero sono arrivato al punto che devo fare le cose prevedendo di che cosa si potrà lamentare di lì a poco perché non gli va mai bene nulla, e non è un bel vivere. Ma la cosa tragica è che ad ogni litigio accusa mia madre, dice che noi non gli portiamo rispetto per colpa sua, se facciamo una cosa che non gli va bene è colpa sua…e noi non facciamo mai nulla di male, e mia madre è una santa perché manda giù in silenzio tutto quello che dice. Ultimamente sta andando inpensione e, credo, gli roda anche il fatto che io e mio fratello siamo diventati autonomi, non abbiamo bisogno di lui, se si litiga, neanche per isoldi. Lui è sempre stato felice del fatto di essere indispensabile per tutto (mia madre non lavora) e ad ogni occasione ci rinfaccia il fatto di essere benestante. E quando litighiamo è arrivato al punto di dire che vogliamo che muoia (ha avuto problemi di cuore e quando si litiga si infuria letteralmente). Ad ogni modo ultimamente è diventato sempre più difficile portare pazienza, si arrabbia per tutto e minaccia di andare a stare via (ha investito in unappartamento da restaurare per farne una compra-vendita e minaccia di andare a stare là. Ho pensato che potesse avere un’amante… in passato può darsi che abbia avuto qualche scappatella, ma negli ultimi anni è uscito sempre meno la sera e adesso non esce quasi più…non so quindi dire…Io non so che fare, se fregarmene o cosa, vorrei solo che fosse sereno e non avrebbe nulla da lamentarsi: non ci sono problemi economici, ha una moglie perfetta e 2 figli che sono bravi ragazzi e che non hanno mai dato problemi…

DIPENDENZA AFFETTIVA VERSO MIA MADRE

Caro Dottore, sono un paio di giorni che sono venuta a conoscenza del vostro sito e del vostro lavoro. Ho 36 anni, sono un’insegnante di scuola media e mi sto specializzando nel sostegno ai ragazzi diversamente abili. Credo, anzi ne sono sicura, di soffrire di dipendenza affettiva, prima di tutto nei confronti di mia madre. Sono l’ultima di 4 figli, nata quando mia madre aveva quasi 40 anni, e nata nel periodo in cui mia madre veniva a conoscenza di una situazione lavorativa ed economica a dir poco disastrosa di mio padre.
Ho risentito fortemente, fin da piccolissima, del fatto che, “se se ne fosse accorta prima, non avrebbe concepito il terzo figlio”.
Sono cresciuta in maniera triste, ricordo il mutismo e lo stato di tensione dei miei, mio padre a volte urlava, mia madre piangeva in silenzio, la vedevo tutta rossa in viso e, se chiedevo spiegazioni, mi si rispondeva in maniera evasiva.
Avevo paura di questi stati di tensione violentissima, violentissima dentro di me, almeno, perché la maggior parte delle volte, evitavano di discutere per non turbare noi bambini, senza sapere che i bambini capiscono la tragedia anche da un semplice dettaglio.siamo sempre stati ritenuti una famiglia modello, di livello medio-alto, la nostra situazione economica è sempre dovuta rimanere all’interno delle mura domestiche, niente doveva trapelare, nessuno doveva sapere,e per ottenere ciò, si doveva vedere meno gente possibile. Ogni volta che volevo andare a giocare o studiare a casa di qualche compagna di scuola, si cercava una scusa per non mandarmi oppure mi veniva dato il permesso ma in un alone di mistero e dubbio. insopportabile!
Ricordo la mia infanzia con un papà sempre preoccupato e frettoloso ed una mamma rigida e sempre assorta nei pensieri, preoccupata, lo è anche adesso, di dover far fronte a tutte le necessità domestiche, limitate dal suo lavoro di impiegata statale. Non ha mai frequentato amiche, l’unica persona che veniva a
trovarci era la sorella di mio padre che, conoscendo la situazione, cercava di portarmi via per due tre giorni e farmi “respirare” un po’ nella sua casa di campagna, con il suo cane. E’ morta prima che potessi dirle grazie dei momenti di serenità che mi regalava; avevo 13 anni.
La mia adolescenza si è manifestata come quella di tante altre ragazzine, ma non ho mai avuto occasione di confrontarmi con mia madre o con mio padre. Ogni segnale tipico dell’età veniva represso bruscamente, non c’è stato mai un dialogo o una spiegazione esaustiva di quello che stessi vivendo e mi veniva anche limitata la frequenza di coetanei, per non “prendere una cattiva strada”.
Non parliamo poi della scelta del corso di studi e lavorativa!
Sono stata obbligata a studiare il pianoforte e a frequentare l’istituto magistrale, come le donne di un tempo. Detestavo il pianoforte e, ancora di più l’insegnante, che mi dava le pennate sulle dita per correggerne la posizione e poi volevo frequentare il liceo linguistico.
L’esame di maturità andò piuttosto male, uscii con il voto minimo e mia madre mi disse che “non valevo niente”, mentre i miei fratelli maggiori si erano licenziati con il massimo e frequentavano già brillantemente l’università. Ora sono due ottimi professionisti. A venti anni cercai di prendere la situazione in mano, opponendomi alla prosecuzione dello studio del pianoforte e intrapresi quella dell’organo liturgico. Entrai in conservatorio, comprai lo strumento con i primi tre stipendi di supplente di scuola materna, e iniziai a studiare sodo.
Purtroppo ho avuto la sfortuna di incontrare un maestro introverso e ansioso e, oltretutto, mentre mi accingevo a preparare l’esame finale di diploma, ho dovuto combattere, per un anno circa, contro il cancro. Ho vinto io, sono stata più maligna di lui!era il 2000, mi sono diplomata all’inizio del 2002.
Nel frattempo mi sono fidanzata con un ragazzo più giovane di me di 5 anni. Una
storia durata 8 lunghi anni di assoluta dedizione e tirannia e conclusasi qualche mese fa, terminata sulle macerie di un carattere dipendente, il mio, e uno prepotente e capriccioso, il suo.
Ho passato momenti bui, sia con lui, sia dopo la fine della nostra storia.
Quando i miei hanno saputo i retroscena della nostra relazione, mi hanno aspramente rimproverata, forse anche amata, non so, ma tutto quello che sono riusciti a dirmi è stato: “quanto sei stupida, ma come hai fatto a sopportare tutto questo?”.
Accidenti, veramente, come ho fatto a sopportare tutto questo e tutto il resto per 34 anni?
Dopo la fine della relazione mi sono buttata a capofitto sullo studio, ho conseguito la laurea abilitante per l’insegnamento della musica nelle scuole medie e mi sono iscritta al corso di specializzazione, che tuttora frequento, per docenti di sostegno.nel frattempo, dal 1994 ho sempre lavorato come supplente nella scuola materna ed elementare, facendo salti mortali per arrivare a tutto, sempre correndo per due province per raggiungere le scuole in cui lavoravo e il conservatorio. Stavo fuori tutto il giorno, mangiavo in macchina a 130 Km /h in corsia di sorpasso, per arrivare puntuale…Dio solo sa come ho fatto e quanto ho rischiato. Ogni sera rientravo a casa e i miei mi accoglievano con un radioso sorriso lodandomi per aver sputato sangue, mi si perdoni l’espressione, anche per quel giorno. Quanto ero brava!!!
Quest’anno, con l’arrivo dell’estate, e sospesi gli impegni per circa un mese, ho ritenuto opportuno riposarmi e svagarmi. Sono single, è finito l’incubo della “vacanza” al mare con tutta la sacra famiglia del mio ex fidanzato che non mi risparmiava di cucinare e badare alla casa ecc, ecc, pensavo di poter concedermi un momento mio. Ritrovata la serenità pensavo di poter liberamente uscire la sera con gli amici, con le amiche, anche con un solo amico, perché no.
Pensavo…mia madre ha iniziato la sua battaglia contro tutto questo. Forse mi vede fragile, forse mi teme preda di malintenzionati, forse mi vede un po’ troppo di aspetto “gradevole” per non essere importunata. Un ragazza perbene non esce la sera,non sta bene uscire la sera, la strada è piena di pericoli, una ragazza perbene esce il pomeriggio, chiama casa per rassicurare gli anziani genitori, anche quando sta fuori con gli amici e non vuole pensare ad altro che ad un momento di relax. Ha insinuato anche che sono una sgualdrina…!
E’ arrivata a chiamarmi di sera per sapere dove fossi e rimproverarmi per l’ora tarda (mezzanotte e mezza). Ora è una settimana che non mi rivolge la parola o lo fa molto malvolentieri,ed io è quasi una settimana che mi sono chiusa in camera per non vederla. Una tortura!. Ho rifiutato di uscire con chiunque per non avere ulteriori discussioni, esco solo per accompagnarla a fare la spesa e mi sento a pezzi. Non riesco a reagire, non provo neanche a farle capire che ho bisogno di svago, accetto solo passivamente il suo broncio e il suo piangere silenzioso, che mi ricorda tanto quello che vedevo da bambina.
Ho provato a sfogarmi con i miei fratelli (entrambi sposati, quindi ritenuti “giusti e perbene”), mi dicono di ignorare, di stare tranquilla e di capire e, nel caso, di spegnere il telefono quando sono fuori.
Non ci riesco. Non posso ignorare, sto morendo di sensi di colpa, perché faccio stare male mia madre, ma mi rendo conto che il mio comportamento è assolutamente normale, non mi sembra di esagerare, ho amicizie fidatissime, sono tutti colleghi e compagni di corso. Però, ora non riesco a godermi niente.
Ogni movimento, ogni respiro, dipende dal suo stato d’animo e sto male, anche fisicamente, provo un profondo dolore…
Caro dottore, non so se questo mio sfogo avrà, da parte sua, una risposta.
Voglio comunque ringraziarLa, anche per la sola attenzione nel leggere la mia mail. La saluto cordialmente.

LA MAMMA NON SEMPRE E’ LA MAMMA

Vorrei raccontare la mia storia,spero di non annoiare nessuno,ma devo smentire il detto la mammma è sempre la mamma.Da quando sono nata,più di 40 anni fà,non sono stata mai accettata da mia madre.Non ho mai avuto un abbraccio o un bacio,meglio così sarebbero stati di Giuda.Non parliamo poi di un complimento…Mia madre ha qavuto sempre un debole per mia sorella,non facendo niente per nasconderlo.io ero un pò più rotondetta di mia sorella e mia madre faceva di tutto per metterlo in evidenza quando eravamo in un negozio per acquistare abiti, dicendo che era un piacere vestire mia sorella.Si vantava dei ragazzi che gironzolavano attorno a mia sorella,io non li avrei voluti neanche se ultimi sulla terra e così credendomi una stupidas tramava alle mie spalle elemosinando un fidanzato per me:Ma io srtupida non sono ,e quindi capivo ed evitavo,non stò qui a dire che elementi.Una volta ero fuori città,per degli esami,sono stata molto male e allora hanno chiamato mia madre ma lei non è venuta, sono stata assistita da alcune amiche. Finalmente sono dimagrita,mi sono sposata un bravo ragazzo,colto ,laureato e un buon lavoro.Non è servito a niente,non stò a dire quello che dice su mio marito, ovviamente il migliore è il marito di mia soprella e quando ci invita a pranzo,a lui fa la porzione più grande e migliore .Sono stata operata tempo fa, ho avuto una convalescenza bruttina,mia madre ha aiutato mia sorella perchè lavora,mentre io sono stata lasciata sola.Ci sarebbe mille e mille storie ancora da raccontare,concludo dicendo che tutto quello che faccio è sbagliato,quello che compro è brutto,non so fare niente.Ma io sinceramente ho stima di me stessa,di mio marito e amore ed entusiasmo per me e la mia famiglia,soprattutto non potri mai amare dipiù uno dei miei figlia discapito dell’altro.Accetto i miei figli per quello che sono e soprattutto cerco di dare loro l’affetto che non ho mai avuto,essendo anche molto severa quando occorre, forse delle volte anche troppo,però dopo dimostro loro sempre più affetto.Grazie per l’opportunità datami,delle volte anche questi sfoghi possono alleviare qualche sofferenza.

PERDONARE I PROPRI GENITORI

manuel Età: 45 Ho ascoltato in televisione,purtroppo solo la parte finale, un commento del dott. Cavaliere che invitava un’ospite del programma rai “ricomincio da qui”, a perdonare i propri genitori se non l’hanno mai amata xkè anke loro non lo sono mai stati etc. etc.io ho vissuto una storia analoga, non ricordo d’aver avuto MAI una carezza, un gesto d’affetto,un bacio, dai miei genitori. solo e solo violenza, umiliazioni e tutto quello ke mi ha portato ad essere una xsona incapace d’amare oltre se stesso, anke ki mi sta intorno. avevano fatto di me un uomo così sterile…arido, ke mi infastidiva addirittura se una xsona mi diceva qualcosa di bello, o se manifestava affetto nei miei confronti. sono stanco di sentir dire di xdonare i propri carnefici…o peggio ke in fin dei conti sono i tuoi genitori o fregnacce varie. ho l’impressione ke si tenda sempre a giustificare “loro” e mai una parola di comprensione x noi VITTIME!!sono undici anni ke faccio psicoanalisi, e solo grazie alla mia dottoressa e non ai miei genitori se oggi sono capace di amarmi…di rispettarmi…di essere più indulgente con me.è grazie alla mia dottoressa, e non ai miei genitori, se ho imparato ad amare mio figlio. ho spezzato quella catena di violenza ( e non è stato facile )ke x buona parte della mia vita mi hanno condizionato…avevo paura del buio e non avevo il coraggio di alzarmi la notte x andare in bagno, o bere se mi veniva sete e sto parlando di un’età adulta.avrei tantissime altre cose da raccontare….oggi sono una xsona serena…veramente serena…ma non grazie ai miei genitori. scusate il mio sfogo. manuel.

MIO PAPA’ NON MI LASCIA VIVERE ?

Caro dottore, sono Alice, (riferimento “dipendenza, codipendenza?”), le raccontavo come ora che ho trovato un nuovo ragazzo che mi sta al fianco, si ripresentino le stesse reazioni in me…le stesse che avevo con il primo ragazzo col quale sono stata 10 anni. Le raccontavo che ho vissuto dai 5 anni in poi con mio padre (ammalato –è in dialisi- e dipendente da me, che mi ha cresciuta e non si è più rifatto una vita, per il quale io ero l’aria, che è in forte depressione da anni e moltissimo da quando non vivo più con lui –due anni- e non manca di farmi sentire in colpa e di dirmi che la sua vita non ha più senso – con il quale negli anni non sono più riuscita a parlare perché avevo e ho dentro un blocco assurdo- nonostante gli voglia un bene dell’anima) mentre mia madre faceva la sua vita assurda (droga, soldi, uomini, inganni…cose “losche” ti tutti i tipi che ricadevano anche su di me mettendomi in pericolo) in giro per il mondo per riapparire ogni tanto (mamma che ora invece ogni tre quattro settimane mi viene a trovare). Le raccontavo del rapporto simbiotico con il mio ex ragazzo, che mi è sempre stato al fianco vivendo tutti i miei problemi anche lui, e con quale ho iniziato a non capire più i miei sentimenti dopo dieci anni, volendolo e non volendolo, non riuscendo più a capire i miei sentimenti visto che un giorno lo amavo il giorno dopo volevo scappare via. Ora sto con questo nuovo ragazzo che viene dalla spagna per me. Ora lo sento, non sono più la stessa persona……sono stata così tanto male che sono cambiata….prima piangevo sempre quando stavo male…..ora le lacrime se ne stanno tutte rinchiuse dentro di me e faccio fatica a piangere (e questo è molto negativo perché solo piangendo riesco a buttare fuori il male che sento…e farlo passare……). Prima parlavo sempre dei miei genitori…..ora faccio fatica ma così è peggio…… ho tante cose in sospeso con loro da risolvere, lo sento che è così…… mia mamma ….non riesco a volerle bene…..o meglio……le voglio così tanto bene che preferisco fare finta che lei non ci sia…. E quando la vedo mi chiudo come un riccio e non riesco a dimostrarle quanto bene le voglio……come faccio ? Come faccio..? per dirle che le voglio bene dovrei dirle anche “cosa stai facendo?” “perché fai tante cose cattive?” “cosa c’è che ancora non so?” “cosa sta succedendo?” “stai bene per davvero o come al solito stai facendo finta?” “quale bugia mi stai raccontando oggi?”…….. etc etc Perchè ormai, dopo un’infanzia ad ascoltare e vivere le sue bugie, ora mi basta guardarla per sentire che è successo qualcosa che io non so, che sta male, che è nei casini, ma non può dire niente. E poi…… “ma perché a volte mi hai fatto così male quando ero piccola?” “ma allora non mi volevi bene?” etc etc…… Tutto questo lo devo tenere ben nascosto dentro di me, ma tutte queste domande continuano a bussare alla mia testolina…..e io le rimando giù facendo finta di niente……. Mio papà…….devo fare finta di non sapere che non sta bene, che non è felice, che gli manco, che è depresso……..devo fare finta di non pensare alla sua espressione triste, di una tristezza lancinante, che ha quando vado via dopo essere passata da casa sua a salutarlo…..devo fare finta che starà bene in eterno e che la sua salute migliorerà e che sarà sempre al mio fianco. Con il mio ex parlavo sempre di tutto questo……mi vedeva sempre piangere e sempre mi consolava…siamo cresciuti così. Quando ci siamo lasciati perdevo la persona che avevo amato, la persona che mi aveva sempre sorretta, la persona che conosceva tutto questo di me. Mi sono chiusa come un riccio…….mi sono ritrovata sola in questa casa enorme piena di 1500 ricordi (la casa dove avevo vissuto un anno con il mio ex) a tu per tu con mia mamma e mio papà che ora accorrevano perché volevano starmi vicino in tutti i modi. E mentre prima c’era sempre un intermediario (il mio ex) che riusciva a fare in modo che io mi aprissi un po’ con mio padre, che mediava un po’, ora c’ero solo io…..già non parlavo più con mio padre da tanto tempo…..o meglio parlavo sì, ma poco, pochissimo, e da mesi e mesi non riuscivo più a guardarlo in viso….mi ha fatta sempre sentire sbagliata e in colpa……sbagliata se dipingevo (“cosa dipingi a fare, non sei di certo Van Gogh”), sbagliata se facevo fotografie (“cosa fotografi a fare che non concludi niente”), sbagliata se volevo stare da sola con il mio ragazzo(“e a me non pensi vero? brava brava lascia il vecchi sempre solo”) , sbagliata se andavo a ballare (“non hai niente di meglio da fare”) , sbagliata se mi vestivo un po’ più da donna, magari solo perché avevo lo smalto sulle unghie (“sembri una puttana come tua madre”)……in tutti i modi cercava di sopprimere la mia voglia di vivere……..ma perché? aveva paura che se vivevo “da sola” le mie passioni, allora mi sarei allontanata da lui? E poi mi faceva sentire sempre in colpa, in colpa perché non stavo con lui, ora in colpa perché l’ho lasciato solo, in colpa se mia madre mi riportava a casa tardi al week end (ma perché? era colpa mia? avevo 6 anni…avevo 10 anni….), in colpa se rispondevo male ( oltre ad arrabbiarsi come un normale genitore farebbe, lui stava seduto sul divano per tre giorni senza togliere lo sguardo dalla televisione spenta e senza più parlarmi….e dopo questi tre giorni il quarto giorno veniva a dirmi qualcosa di normale come niente fosse successo). Quando io e il mio ex andavamo in ferie partivamo sentendoci male perché diceva (“bravi bravi, si si, speriamo che un giorno non tornate che io non ci sono più”). E poi mi faceva sentire sbagliata…..sbagliata perché mi sono chiusa per anni in camera mia, sbagliata perché non parlavo tanto con lui, sbagliata se mi confidavo più con mia mamma che con lui, sbagliata se non convincevo mia mamma ad essere puntuale quando mi riportava a casa (fino a tagliarsi i polsi un giorno per farmi sentire in colpa, e aspettando che me ne accorgessi da sola, sempre sul divano fissando la televisione spenta). Era normale che mi chiudessi in camera mia no? Vivevo tra storie di avvocati, di presunti rapitori, di presunte persone che mi volevano fare male, di litigi fra lui e mia mamma, di casini con le banche a causa di mia mamma……di lui che si tagliava i polsi se mia mamma ritardava a portarmi a casa, di lui che stava come un vegetale tre giorni davanti alla tv per farmi sentire la causa del suo malessere perenne (avevo 10 anni! o 6! o 12! o 15!) e la bambina più malvagia della terra. Poi è merito suo se sono sana, se ho un’educazione, se ho dei principi morali, mi ha cresciuta e ha dato la sua vita per me! Io gli voglio un bene dell’anima! Ho passato la mia adolescenza a piangere per lui o per mia mamma! Ho passato metà del tempo con il mio ex a parlare di mio padre in camera mia. Mi ha fatto sentire sbagliata perfino con il mio ragazzo…ogni volta che parlava con lui diceva cose come “ah…pensaci tu con lei, perché non è tanto normale sai…”, oppure “auguri, speriamo che a te vada meglio”, come per dire che lui con me non riusciva a stare e augurava al mio ragazzo di riuscire a combinare qualcosa di buono con me. L’ha fatto anche con il mio attuale ragazzo la seconda volta che l’ha visto. Eppure mi vuole un bene dell’anima mio padre! Mi ha sempre offesa…..sempre fatta sentire una scema…..scema perché non ricordavo le scadenze per l’assicurazione della macchina o perché perdevo qualcosa. Perché non sono perfetta. Infondo vivo da sola da due anni e la macchina è l’unica cosa su cui mi perdo un po’. Per tutto il resto non ho mai chiesto aiuto, e non lo voglio…..eppure mi offende sempre. E’ il suo modo distorto di farti capire che senza di lui non devo stare, che lui è indispensabile e io non sono nessuno. Poi è buonissimo di cuore, ma ha dentro questo meccanismo assurdo. Quando avevo 15 – 16 –17 anni sono scappata di casa tante volte e non sapevo dove andare. Se andavo da mia mamma era peggio…. Così vagavo per ore nei posti più impensati e tornavo. Oppure avevo scatti di rabbia verso di lui, arrivavamo a litigare così forte che io urlavo così tanto che mi facevano male le corde vocali per giorni, oppure a volte lui per vendetta staccava tutti i miei quadri (dipingo) dai muri rovinandoli e li accatastava per terra, oppure una volta ha preso tutti i fiori secchi (che io avevo seccato per anni) che c’erano in casa e li ha distrutti tutti dentro ad un sacchetto…a volte interveniva il mio ragazzo a fermarlo…..una volta mi ha picchiata così forte sulla testa e sulle mani con non ricordo quale oggetto che avevo i lividi il giorno dopo (questo per fortuna è successo una sola volta, la seconda ho chiamato i carabinieri, avevo 15 anni)………a volte perdeva il controllo e aveva questi scatti assurdi di rabbia. E a volte per reazione io avevo la stessa rabbia verso di lui, sbattevo i piatti sui muri e mi chiudevo in camera sbattendo così forte la porta che cadevano tutti i quadri alle pareti. Non capivo cosa mi succedeva, non ricordo nemmeno, ma tutti questi litigi nascevano sempre perché lui mi faceva sempre sentire male…..faceva sempre l’arrabbiato, sempre l’offeso. Qualsiasi cosa facessi o dicessi non andava mai bene niente. Offendeva anche il mio ragazzo, che era succube di lui. E quando io lo vedevo succube andavo su tutte le furie. Abbiamo passato dieci anni assieme (dai 17 ai 27) sempre in tre, in tre davanti alla tv, in tre al week end (nel senso che anche se soli, dovevamo sempre preoccuparci per lui, in tre ogni sera quando il mio ragazzo veniva a trovarmi). Faceva sentire in colpa anche lui. Con telefonate, minacce, parole offensive, tanto che dopo anni il mio ragazzo è arrivato un giorno a dirgli “brutto vecchio di m – ” e quasi non stava per alzargli le mani. Perché per l’ennesima volta aveva finto di stare male per attirare l’attenzione, noi eravamo corsi come due stupidi con la macchina chiedendo aiuto anche a mia zia e mio zio (visto che eravamo a trenta chilometri da casa), e quando siamo arrivati a casa (con mia zia e mio zio già li), ci ha detto, anche al mio ragazzo, che eravamo degli s – , che di lui non ci importava niente, che la prossima volta che chiamavamo i miei zii in aiuto ce l’avrebbe fatta pagare, che prima o poi la vita gira e che prima o poi sarebbe successo qualcosa di brutto anche a noi, e che era meglio che andavamo fuori dai c – e da casa sua. Quando io e il mio ex siamo andati a vivere insieme non ci ha più fatto vivere. Sempre sensi di colpa, sempre offese. Però quando le vivevo non mi rendevo conto che non erano normali….. Ora, pochi giorni fa, il dottore dell’ospedale (mio papà fa la dialisi) ha detto a mio padre che è meglio che vada da uno psicologo perché ha degli scatti di rabbia (non ha atti violenti ma una rabbia che rasenta la violenza) con la gente non normali, e voleva anche parlare con me. Io so perfettamente quali sono questi scatti di rabbia…è come se lui fosse arrabbiato con tutto il mondo, come se tutto il mondo l’avesse ferito e lui dovesse vendicarsi prima o poi e offendere tutti. Io lo capisco…..ha dato la sua vita per me, mi ha difesa da mia mamma, dai pericoli, ha avuto un esaurimento nervoso per questo, e ora la sua unica figlia non gli parla quasi più e si isola da lui…e lui non ha nessun altro, è in dialisi, quasi non ci vede (ha un difetto di vista che quasi rasenta la cecità – per fortuna ci vede ancora), continua a dire che la sua vita è come quella di una pianta…. Ora il mio nuovo ragazzo vive con me (per poco, sta cercando un suo appartamento), e io non capisco i miei sentimenti verso di lui per l’ennesima volta….oscillo tra amore e vuoto (non lo voglio più?). A mio padre ho cercato sempre di non dire che viveva con me. Lo tengo alla larga e quando mi fa domande sul mio nuovo ragazzo mi chiudo, mi arrabbio, non rispondo. Capisce perché lo tengo così alla larga? Lo tengo lontano. Mi sono creata la mia barriera attorno. Ho paura che faccia la stessa cosa un\’altra volta e io non lo posso aiutare. E sto tanto male! Io gli voglio bene, tanto, ma non posso! L’altro giorno mi ha chiesto “allora avete già cenato?”, quindi alludeva al fatto che io avevo cenato in casa con il mio ragazzo, che vive con me. Io non ho risposto, mi sono innervosita. Appena tenta di allungare una mano verso la mia vita privata io alzo la barriera. La prossima domanda sarebbe: “beh possibile che non avete un po’ di tempo per me?”. Il giorno dopo in effetti mi ha detto, triste, depresso, con il corpo ricurvo “…VENITE a trovarmi qualche volta……”…..senza nemmeno salutarmi quando sono uscita da casa sua dopo essere andata a trovarlo da sola. Ancora sensi di colpa….. E non posso fare diversamente. Mi sento di nuovo minacciata. Lui va velocissimo……se lascio fare….in una settimana mi ritrovo come due anni fa con il mio ex. Sembra quasi che voglia allontanare da me un possibile fidanzato perché infondo infondo è un rivale, perché se non ho il fidanzato allora mi ha tutta per sé. Appena mi sono lasciata con il mio ex ce l’avevo sempre addosso…..sempre li che mi voleva aiutare….ovviamente mi ha anche detto che se volevo tornare a casa la porta era aperta. Non posso farci niente……e questa mia chiusura necessaria mi fa male, malissimo……..non riesco a lasciarmi andare a niente….non posso buttarmi fra le braccia del mio ragazzo, perché è come se avessi altre due braccia che mi tirano dall’altra parte……!! Tutto questo mi fa sentire come in una gabbia….non posso vivere liberamente, e se vivo mi sento in colpa…..quando ho presentato il mio nuovo ragazzo a lui mi sentivo malissimo, mi sentivo come una bambina di 3 anni che presenta a suo padre il suo fidanzato di peluches, insomma mi sentivo come se mio padre pensasse già che anche questa storia non durerà, perché io non me la merito, che finalmente può parlare con il mio nuovo ragazzo visto che io non lo capisco (era questo l’atteggiamento che teneva con il mio ex), che invece con lui potrà far capire il suo dolore e la sua solitudine….lui non mi fa sentire una donna che gli presenta il suo uomo, mi fa sentire una bambina appena nata. Mi sento in una gabbia dove gli uccellini invece di essere due (io e il mio ragazzo) sono tre. Un rapporto a tre, un caos. Quando gliel’ho presentato avevo tutto il corpo che gridava all’impazzata, mi sentivo come ricatturata dentro ad un vortice che non so gestire. Perché da un lato ho voglia che lui lo conosca perché sono orgogliosa di lui, dal’altro mi sento come se lui pensasse che comunque io sono una poveretta e quindi la nostra storia non durerà. Con il mio ragazzo non ho quasi mai parlato di tutto questo, ma ieri l’ho fatto……perché era come se mancava un pezzo….è inutile che a lui io faccia vedere solo io mio lato bello, felice, allegro, matto, nervoso, duro, spontaneo, sensibile, se non conosce anche quello triste e tutto quello che sta dietro. Mi sento sempre insoddisfatta della vita…….sempre che non so cosa mi manca per essere felice……sempre che sento che ho un buco dentro che deve essere colmato e non so da cosa. Ecco, probabilmente ho un conto in sospeso con il passato e finchè non riparo questo, allora ogni tanto avrò sempre la voglia di fuggire via in qualche viaggio e magari dirò che voglio andarci da sola per ritrovarmi…….. in realtà non devo ritrovare niente, devo solo accettare tutta una serie di cose che mi sono successe e che ho vissuto e di affetto che mi è mancato e trovare una spiegazione. E vorrei tanto un giorno sentire qualcuno che mi dica: ALICE, FINALMENTE, NON CI SONO PIU’ PROBLEMI. Tuo papà è felice, non ha problemi psicologici, non l’hai abbandonato tu, non sta male, tua mamma è serena e quindi tu stai tranquilla e sentiti felice. Ho regalato la scorsa settimana un cagnolino a mio papà, dopo anni mi sono decisa, penso gli faccia bene, lo aiuti in tutti i sensi. Probabilmente ho regalato il cane a mio papà più per placare i miei sensi di colpa che per farlo felice. Ma quanto tempo impiegherà per rinfacciarmelo? Poco, pochissimo, già mi ha detto che “così non penso più a lui”. Ho sempre pensato, finita la storia con il mio ex, che quando avrei incontrato un nuovo ragazzo, che non sarebbe stato necessario raccontargli queste cose del mio passato con i miei genitori. Che il passato era passato e finalmente potevo cominciare una nuova storia senza questo peso. Invece no! Una volta ho letto una frase bellissima che diceva: “la storia d’amore più bella è quella che nasce su un treno, nel quale tutto il passato è lasciato indietro e quello che conta è solo il viaggio”. Ma come si fa? E, in tutto questo, io non capisco più niente dei sentimenti che provo per il mio ragazzo, vedo che non sono capace di sentirmi bene se vivo con lui, mi sento ingabbiata….c’è qualcosa che non và….. E con mio papà non so cosa fare….scappare per il mondo non serve a niente…..è lui che non mi lascia vivere o sono io che non sono capace di capirlo? Ci provo in tutti i modi, gli dimostro il mio volergli bene a tentoni ma poi mi ritiro nel guscio perché lui mi investe di sensi di colpa e non mi lascia più……..non posso mai vivere libera….mi sento sempre la mente obbligata ad andare a lui….del resto ha solo me! (e ha dato tutto per me) Grazie, Alice.. scusi per il “papiro”….

 

PROBLEMATICHE CON LA MIA FAMIGLIA

Caterina Età: 49 Vorrei esporre la mia situazione sul blog perché vorrai delle opinione di persone italiane (io vivo in Francia e mi scuso in anticipo per gli errori d’italiano, ho perso l’abitudine di scrivere nella mia lingua). Sono una donna adulta di quasi 50 anni , mamma felice di un maschietto di 8 anni . La mia coppia si é distrutta quando ero incinta del piccolo. Abbiamo fatto la scelta di coabitare per non imporre la separazione al bimbo, non é stato facile ma per il momento ce la facciamo. Questa é la mia situazione attuale. Il problema piu’ grosso e che mi avvelena il quotidiano (già un po’ complicato) é la mia famiglia che vive aMilano. IO ho molto sofferto (adolescente ribelle ma maltrattata e picchiata) ,ho fatto delle fughe, ho anche preso 10 aspirine per potere andare all’ospedale e chiedere aiuto hai medici ; POI A 18 ANNI E TRE GIORNI ME NE SONO ANDATA DA CASA e da quel giorno ho vissuto da un lato normalmente ma dall’altro sempre cercando di dimenticare i miei genitori. Ho una sorella piu’ giovane di me (quasi 12 anni meno di me) che lei non ha vissuto le stesse cose, che ha una relazione intensa e invaissante con i genitori (é andata fuori di casa solo da 4 anni e perché si é sposata). E mia madre andava a trovarla tutti i giorni anche se lei gli diceva di no.Adesso mia madre é ammalata , ha bisogno di assistenza e mia sorella che non lavora da quando ha suo figlio (9 mesi) si occupa di lei ma non ce la fa piu’ e vorrebbe che io andassi in italia ad aiutarla e per farla partire un po’ in vacanza; Ora io non posso et non voglio andarci. Quindi oggi abbiamo litigato (era inevitabile). Certo vi sembrero’ egoista ma ho l’impressione che ho passato i 32 anni in francia ha dimenticare quello che ho subito e che mia sorella ignora perché é piu’ semplice. Rimpiango anche di non avere chiuso i ponti anche con lei. Per me ,andare in italia é una sofferenza, ogni volta che li andavo a trovare per fargli vedere il nipotino mi ci volevano dei mesi per rimettermi, Idem quando mia sorella veniva in francia e si portava dietro mia madre. Inutile di parlare a mia sorella. Ho un po’ di problemi di salute che sono provocati partialmente par queste situazioni. Anche se non vado in italia colpabilizzo per il fatto di non potere amare mia madre e di non precipitarmi in italia come tutta figlia normale dovrebbe fare. IO non posso e dunquesoffro. Scusatemi per lo sfogo ciao a tutti

 

Dott.ssa Rosalia Cipollina

TESTIMONIANZE SULLE DIPENDENZE AFFETTIVE VERSO I FIGLI

“I vostri figli non sono figli vostri. Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benchè vivano con voi non vi appartengono. Potete donare loro amore, ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri. Potete rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita procede e non s’attarda sul passato. Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza affinchè le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’arciere; poichè come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco.” KHALIL GIBRAN

 

Gentile dott.ssa Cipollina,
negli ultimi mesi trascorsi ho imparato a conoscere ed apprezzare il sito sul mal d.amore. da lei curato. Sono infatti affetta da questa dipendenza. Lo sono stata per anni nei confronti di mio marito, dal quale sono separata da circa un anno, e lo sono tuttora nei confronti di mia figlia di 17 anni.
Fino a poco tempo fa credevo che il nostro rapporto andasse bene: io mi curavo di tutti i suoi bisogni e desideri e lei ricambiava confidandomi le sue cose. Io non dimostravo alcun interesse verso me stessa e lei ogni tanto mi diceva di trovarmi un interesse che non fosse stare a casa o lavorare. Qualche tempo fa, casualmente lei ha scoperto bruscamente che frequento un uomo del quale sono innamorata e che mi ama profondamente e senza nulla pretendere! E. successa la fine del mondo: lei mi ha accusata di non essere una buona madre, di voler andare a vivere con il padre, che non accetterà mai questa persona, ecc. Da quel momento tutto è cambiato. E. come se improvvisamente mi si siano aperti gli occhi sul nostro rapporto così come successo con il padre. Non ho negato, non ho dimostrato inutili sensi di colpa e non ho chiesto scusa. Ho mantenuto la calma e spiegato come stavano le cose. Non so se ho fatto bene o male, ma le ho scritto una lunga lettera dove le ho spiegato i motivi della separazione dal padre (ero stata sempre molto generica), le mie sofferenze, frustrazioni, insoddisfazioni, pianti, solitudini, ecc. Le ho spiegato che non ho cercato l.amore, ma è arrivato, poteva non arrivare mai, ma è successo e io sono felice per questo. Le ho detto che una madre è anche donna e che se lei dice di volere bene una persona deve desiderare la felicità di quella persona.
Le ho ribadito che se non ne avevo parlato con loro (ho un.altra figlia più piccola) era perché pensavo che fosse ancora presto vista la recente separazione.
Da quel momento ho cominciato ad osservare il nostro rapporto. Mi sono resa conto del suo profondo egoismo e del mio nauseante servilismo. Mi sono accorta di quanti atteggiamenti simili a quelli del padre abbia e di quanto simili siano anche i miei. Anche lei me lo ha detto e che le dispiaceva aver preso il posto di suo padre nel provocarmi sofferenza e di quanto era costernata nel non sapere dimostrare affetto. Ma nulla è cambiato. Lei continua a farsi i fatti suoi e io cerco di impormi con scarsissimi risultati. Siamo stati di recente in vacanza insieme e si è completamente disinteressata di me e, come era prevedibile, ha smesso pure di confidarsi e si limita ad un rapporto formale come per punirmi. Abbiamo forti scontri ultimamente perché io le dico ciò che mi infastidisce di lei e lei non mi parla per ore. Non so come recuperare il rapporto.sono disperata.amo mia figlia, ma non voglio più rinunciare a me stessa ora che a fatica ho scoperto di esistere.Cosa devo fare? Mi aiuti!
Grazie, saluti

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Karen Età: 39 Argomento: Sono una 39enne dibattuta tra il grande amore per mio figlio e la distanza che tendo a creare tra me e lui per il timore di fargli del male con comportamenti sbagliati, così come è accaduto a me da figlia, con un rapporto eccessivamente conflittuale con i miei genitori (madre aggressiva e inaffettiva e padre con atteggiamente inesistente a meno che non doveva alzare le mani su ordine della moglie). Oggi – dopo anoressia, sindrome ansioso depressiva e anni di analisi – ho un po’ recuperato me stessa: sposata da 4 anni ho un bimbo meraviglioso di tre anni che non riesco ad amare come merito: non so dimostrarglielo e lo tengo lontano con la scusa del lavoro che mi impegna molto. Lui, bimbo inteliggentissimo, adesso capisce questa mia lontananza e cerca la zia o il papà più della mamma e qusto mi fa soffrire non solo e non tanto per me stessa, ma soprattutto perchè a questo bimbo manca la sua mamma. A volte sono come paralizzata davanti a lui: nessuno mi ha insegnato ad amare. Ovviamente il problema si ripropone con mio marito e in tutti gli altri tipi di relazione amichevole, sociale e lavorativo. Aiutatemi ad amare e vivere al 100%.

 

Dott.ssa Rosalia Cipollina

RICONCILIARSI COI PROPRI GENITORI

discussione tratta dal forum del sito maldamore.it

 

Ieri ho scritto la lettera d’amore più bella che sia mai riuscita a scrivere, o anche solo ad immaginare.
Ho scritto “ti voglio bene” e l’ ho scritto a mia madre.
Non so se io sia mai riuscita a comunicarle verbalmente questo sentimento quando ero piccola, se e’ così non lo ricordo, ma so di certo che sono dovuti passare tantissimi anni, e tantissimi scontri tra di noi, prima che io potessi pronunciare quella frase.
Beh, l’ ho fatto ieri.
E’ stata la frase più bella pronunciata in tutta la mia vita.

In una sola banalissima frase si sono concentrate tutte le sensazioni più vive racchiuse dentro di me, che non osavo tirare fuori.
Esternando quelle tre parole a colei che mi ha dato la vita e che ha concorso a creare tutto quello che posso essere oggi, e che potrò essere ancora in futuro, sono state scoperchiate delle antiche e fortissime emozioni, che sarebbe impossibile riprodurre qui in modo fedele.

L’amore per i genitori (e, viceversa, quello per i figli) e’ il padre di tutte le emozioni che possiamo permetterci di sperimentare durante tutto l’arco della nostra vita.
Se condanniamo quello, ci condanniamo per tutta la vita. Soffochiamo la nostra stessa capacità di sperimentare, ricevere, donare Amore.
Liberarlo, dotarlo di tutta la sua forza dirompente, togliere quei lucchetti di piombo che sigillano la sua percettibilità ormai da anni, sentire che, nonostante tutto, lui e’ ancora lì e ci inonda se glielo permettiamo, se gli perdoniamo di non essersi saputo esprimere come noi desideravamo o quanto avremmo avuto bisogno, se riusciamo a fare tutto questo, a piccoli grandi passi, ci liberiamo delle nostre catene più pesanti, seppur così ben nascoste.

Dopo aver liberato dentro questa emozione, da me tanto temuta, che rimaneva pungente dentro di me come una spina infuocata, hanno cominciato a sgorgare lacrime inarrestabili colme di tutte le emozioni che, mai, avrei potuto pensare di provare contemporaneamente e con tale spinta.

Ho continuato per anni a temere questo amore ritrovandolo rispecchiato nei rapporti che costruivo, ho mantenuto viva una ferita che chiedeva solamente di essere ricucita, non solo dal tempo, ma anche e soprattutto dal perdono e dall’amore, che io avevo rimosso dal mio cuore come se fosse un nemico.
So perfettamente che questa non e’ la soluzione di tutti i miei problemi e di tutte le mie paure, ma e’ un pezzettino di percorso in più, una strada che avevo perso e che ora ho ritrovato e che ho iniziato ad imboccare.

Molto spesso abbiamo bisogno di sentirci amati, ma altrettanto spesso in realtà avremmo necessità di sentire vivo dentro di noi un sentimento che abbiamo congelato.
Ieri, attraverso le mie lacrime, attraverso il dolore, la gioia, l’imbarazzo, il respiro affannoso, attraverso il mio stupore, si e’ liberato qualcosa dentro di me, e sono sicura anche dentro di lei.
Attraverso tutto ciò, sono riuscita a vedere il mio amore e, tramite questo, sono riuscita a percepire meglio la mia antica paura di non poterlo meritare e, si, ho toccato con mano anche tutto l’amore che in realtà c’era e che era rivolto a me, solo a me, ma che avevo dimenticato.
Un abbraccio a tutti quanti
Yana

Ciao Yana, quello che scrivi, come sempre, è bellissimo

Dopo aver liberato dentro questa emozione, da me tanto temuta, che rimaneva pungente dentro di me come una spina infuocata, hanno cominciato a sgorgare lacrime inarrestabili colme di tutte le emozioni che, mai, avrei potuto pensare di provare contemporaneamente e con tale spinta.

E’ successo anche a me con il perdono verso mio padre, le lacrime sgorgavano come da una sorgente per diventare un fiume in piena portando con se emozioni sotterrate da una vita.

Anche io credo come te che:

L’amore per i genitori (e, viceversa, quello per i figli) e’ il padre di tutte le emozioni che possiamo permetterci di sperimentare durante tutto l’arco della nostra vita.

E’ verissimo, quando io sono riuscita a liberare questo fiume in piena che avevo dentro ho scoperto un’altra Gio e il mio rapporto con i sentimenti ha iniziato impercettibilmente a cambiare. La mia autostima miracolosamente si è rafforzata e ho smesso di sentirmi quella che elemosina amore perchè ora so che quello che volevo davvero era l’amore di mio padre che nessun altro uomo potrà mai darmi. Quella che desiderava amore era una bambina ferita che voleva suo padre.. non potevo trovarlo in rapporto uomo- donna. Solo una donna che ha superato questo può rapportarsi con un uomo come una donna e non come una bimba. (non so se sono riuscita a spiegare) Hai ragione che è impossibile esplicitare le sensazioni che si provano.. ci si ritrova bambini e si provano determinate sensazioni di allora e ci si ritrova adulti e forti come non lo si è mai stati, molto cambia intorno a noi,come se la vita che abbiamo avuto intorno e non abbiamo vissuto appieno, fosse rivelata.

So perfettamente che questa non e’ la soluzione di tutti i miei problemi e di tutte le mie paure, ma e’ un pezzettino di percorso in più, una strada che avevo perso e che ora ho ritrovato e che ho iniziato ad imboccare.

Tu hai, in questo senso, molta più consapevolezza di me.. io credevo che il rapporto con mio padre fosse alla base di tutti i miei problemi e credevo che averlo risolto mi avrebbe sanata. In realtà averlo risolto mi ha sanata per molti aspetti, è vero, molto è cambiato e sta cambiando in funzine di questo.. Ma nel mio caso adesso sta uscendo fuori il conflitto con mia madre e so che questo sarà molto più difficile da sanare.
Se il padre è importante la madre è fondamentale. Lei ci da la vita e dipendiamo totalmente da lei nei primi anni. Quello che ci lega a lei credo sia quanto di più complicato esiste nei sentimenti umani.
Essere riuscita a fare quello che tu hai fatto penso sia una cosa importantissima.
Sono felice per te, Yana. Ci siamo incontrate qui forse un anno fa e abbiamo iniziato un percorso insieme. I passi che hai fatto sono passi da gigante e la Yana che avevo conosciuto le prime volte assomiglia solo più a quella che c’è ora. Ti ammiro molto.
Un abbraccio fortissimo
Gio62

Grazie a tutti per le risposte e per le vostre parole (in alcuni casi, devo dirlo, troppo generose )

Esprimere determinate cose , cosi visceralmente personali, e’ sicuramente utile ma assolutamente faticoso a livello emotivo. Almeno lo e’ per me.
Ancora oggi, per me, parlare di mia madre, del nostro rapporto, ma soprattutto dei sentimenti e delle emozioni, negative e positive, che mi legano a lei e’ estremamente difficile.
Anche solo pensare, dire o scrivere che le voglio bene mi smuove dentro una moltitudine di sensazioni contrastanti ed accende la spia dentro di me che ci sono parecchie cose che devo affrontare e superare.
Ma quantomeno oggi ho deciso di farlo in modo piu’ fermo.
La paura di essere investita da tutte quelle emozioni sigillate in fondo a me stessa che inevitabilmente esploderanno, e in alcuni casi mi faranno anche molto male, c’e’ ancora, ma almeno oggi ho preso la decisione di affrontarla.

Il primo passo e’ stato, nel mio caso, tempo fa, scoperchiare quella rabbia che ancora covavo dentro di me nei suoi confronti e che ha delle radici lontanissime, difficilissime da recuperare ed ancora di piu’ da comunicarle.
Oggi sto tentando di ricongiungermi ai sentimenti piu’ gioiosi che il legame con la propria madre dovrebbe portare con se’.
Sentimenti che sono sicuramente ben riposti dentro di me me che per qualche ragione ho il terrore di tirare fuori.

Hai ragione Gio, il rapporto con la madre e’ complicatissimo e determinante.

Parlando del rapporto con tuo padre e con tua madre, hai espresso magnificamente quelle che sono le mie stesse emozioni e quello che e’ stato, per molti aspetti, lo sviluppo anche del mio percorso in fatto di consapevolezza.

Anche io, come te, ho concentrato la mia attenzione, per tutto l’arco della mia vita fino a poco tempo fa, su quello che era il dolore ed il rancore interiorizzato ed alimentato nel tempo per mi padre.
Ci sono molti lati oscuri che riguardano anche questo aspetto, ma la rabbia per mia madre, e il fatto che i problemi avuti con mio padre fossero strettamente ed inevitabilmente legati anche a lei, sono una cosa relativamente recente.
Andare a fondo del rapporto con mia madre e’ un percorso pieno di ostacoli e di resistenze da parte mia che non sara’ semplice affrontare e completare, ma ho deciso di farlo e gia’ questo per me e’ un passo importante.

Ho imparato che i legami familiari sono una cosa complessa ed articolata e che spesso affrontarne un aspetto implica lo scoperchiamento di altri mille.
Il legame con uno dei genitori ha delle ripercussioni su quello con l’altro e viceversa.
I sentimenti che proviamo nei confronti di un genitore possono suscitare stati d’animo impensabili nell’altro genitore, che puo’ non essere in grado di gestirli nella maniera meno costosa in termini di traumi affettivi.

Io credo di star avvicinandomi al vero perdono nei confronti dei miei genitori per non aver avuto a disposizione le risorse che gli avrebbero permesso di affrontare in modo meno dannoso (per me, ma anche per loro) l’amore che li lega a me.
Nessuno ha delle vere colpe, e questo, razionalmente, lo so da un pezzo.
Il vero traguardo e’ cominciare a dischiudere il cuore nei confronti di questa consapevolezza.
Yana

 

Selezione a cura della Dott.ssa Rosalia Cipollina

RIFLESSIONI DI BOWLBY

Tutti noi, dalla nascita alla morte siamo al massimo della felicità quando la nostra vita è organizzata come una serie di escursioni, lunghe o brevi, dalla base sicura fornita dalle nostre figure di attaccamento” (John Bowlby)

“(…) negli anatroccoli e nelle papere: nelle ore successive all’uscita dall’uovo i giovani uccelli seguono il primo oggetto in movimento che hanno percepito; non solo, ben presto giunge il momento in cui seguono solo l’oggetto già seguito in precedenza ed evitano tutti gli altri. Questo rapido apprendimento di un oggetto familiare e la successiva tendenza a seguirlo è noto come “imprinting”

…) si considera il comportamento di attaccamento come ciò che si manifesta quando sono attivati certi sistemi comportamentali. Si ritiene che i sistemi comportamentali stessi si sviluppino nel bambino, come risultato dell’interazione con il suo ambiente di adattamento evolutivo, e specialmente dell’interazione con la figura principale di tale ambiente. cioè la madre. Si ritiene che il cibo e la nutrizione non svolgano che una parte secondaria nel loro sviluppo (…

“(…) noi diamo talmente per scontato che l’agnello e la pecora stiano vicini e che un branco di anatroccoli si tenga stretto attorno alla madre che raramente ci chiediamo che cosa induce tali animali a stare vicini fra loro, che funzione ha questo loro comportamento”

…) il comportamento dei genitori reciproco al comportamento di attaccamento dei piccoli è chiamato “comportamento di custodia”

“(…) nelle specie in cui il padre ha una funzione importante nell’allevamento dei piccoli, il comportamento di attaccamento può essere diretto anche verso di lui. Negli uomini può essere diretto anche verso altre persone”

“(…) oggi sembra indiscutibile che il legame del bambino con la madre sia la versione umana del comportamento riscontrato comunemente in molte altre specie animali”

“Questi dati evidenziano che il piacere del contatto è una variabile importantissima nello sviluppo delle risposte affettive ai surrogati materni e che invece l’allattamento vi svolge un ruolo trascurabile. Con I ‘aumentare dell’età e delle occasioni d’imparare, un piccolo nutrito da una madre metallica fornita di biberon non si attacca più a lei, come si potrebbe prevedere in base alla teoria della pulsione secondaria., ma invece si attacca sempre più alla madre di stoffa che non lo allatta. Questi dati sono del tutto discordanti da una teoria dello sviluppo affettivo fondata sulla soddisfazione della pulsione”.

(…) secondo gli esperimenti di Harlow, l’unico effetto apparente del cibo è di rendere un simulacro di stoffa un po’ più attraente di un altro”

“(…) recenti lavori sperimentali dimostrano come uno dei modi più efficaci per aumentare le prestazioni di un bambino in qualunque compito che richieda discriminazione o abilità motoria consiste nel ricompensarlo con una risposta di saluto da parte di un altro essere umano”

“un bambino in castigo si succhia il pollice”, “un bambino separato dalla madre mangia eccessivamente”. “(…) in tali situazioni è possibile pensare al pollice e al cibo come a simboli della madre nella sua totalità, o per Io meno del capezzolo e del latte”

“Il comportamento di attaccamento non scompare con l’infanzia, bensì permane per tutta la vita: vengono scelte figure vecchie o nuove con le quali si mantengono la vicinanza o la comunicazione. Mentre i risultati dell’attaccamento sono sempre gli stessi, i mezzi per raggiungerlo si diversificano sempre più”

..) fin dai primissimi mesi la cosa migliore è lasciarsi guidare dal bambino stesso: quando richiede più cibo, probabilmente ne avrà beneficio: quando lo rifiuta, probabilmente non ne avrà danno. Purchè non abbia disturbi del metabolismo, un bambino. Se lo si lascia decidere, è in grado -di regolare la propria ingestione di cibo riguardo sia alla quantità sia alla qualità. Quindi, salvo poche eccezioni, una madre può tranquillamente lasciare a lui l’iniziativa.
Lo stesso vale per il comportamento di attaccamento specialmente nei primi anni. In una famiglia normale in cui sia la madre ad occuparsi del bambino, questi non subirà danni se la madre gli dedica la sua presenza e la sua attenzione nella misura in cui egli sembra desiderare: perciò per quanto riguarda le attenzioni materne come per quanto riguarda il cibo sembra che, se gli si permette di farlo sin dall’inizio, un bambino sia in grado di regolare in modo soddisfacente le proprie “entrate”. Solo quando raggiunge l’età scolare può essere opportuno scoraggiarlo dolcemente”

“… nel mondo occidentale quelli di gran lunga più comuni a mio avviso derivano da insufficienti cure materne, o da un maternage ricevuto da persone diverse, una dopo l’altra. I disturbi che derivano da un maternage eccessivo sono assai meno frequenti, e insorgono non perché il bambino ha un bisogno insaziabile di amore e di attenzione, ma perché la madre glieli propina come in preda a una coazione: se si osserva da vicino la madre che eccede nell’atteggiamento materno, si noterà che, invece di raccogliere i segnali che provengono dal bambino, è sempre lei a prendere l’iniziativa, insiste per stare vicino al bambino, per occuparne l’attenzione o per salvaguardarlo dal pericolo, così come la madre di un bambino iperalimentato insiste nel rimpinzarlo di cibo. Altri svariati disturbi del comportamento di attaccamento possono considerarsi dovuti non a eccesso o insufficienza di cure materne, ma a deviazioni nel tipo di cure che un bambino ha ricevuto o riceve”

(….) la capacità di usare il linguaggio e altri simboli, la capacità di progettare piani e di costruirsi Modelli, la capacità di collaborare durevolmente con altri oppure d’ingaggiarsi in contese senza fine, tutti questi tratti contribuiscono a caratterizzare l’uomo. Tutti questi processi hanno origine nei primi tre anni di vita, e inoltre fin dai primissimi giorni rientrano tutti nell’organizzazione del comportamento di attaccamento. Non ci sarebbero quindi altre cose da dire sullo sviluppo dell’organizzazione dell’attaccamento nel secondo e nel terzo annodi vita? Certamente sì, ma forse non molte di più. In realtà la fase meno studiata dello sviluppo umano rimane quella in cui un bambino acquista tutto ciò che lo rende più spiccatamente umano, e questo è ancora un continente da conquistare”

I1 modello delle figure di attaccamento e il modello dell’io si sviluppano in modo da essere complementari e da confermarsi a vicenda Così è facile che un bambino che non è stato desiderato non solo si senta non voluto dai genitori, ma pensi anche di essere essenzialmente poco desiderabile cioè di essere non voluto da tutti. Inversamente, un bambino molto amato crescerà facilmente non solo avendo fiducia nell’affetto dei suoi genitori. ma anche fiducioso che pure tutti gli altri lo troveranno amabile. Anche se logicamente sono insostenibili, queste grossolane ipergeneralizzazioni sono tuttavia la regola. Inoltre una volta che esse sono state adottate e si sono intessute entro le strutture dei modelli operativi, è facile che in seguito non verranno mai messe seriamente in dubbio”

(..) un bambino tra i 15 e i 30 mesi che abbia goduto d’un rapporto relativamente sicuro con la madre e non abbia subito precedenti separazioni da lei, reagisce di solito con una sequenza comportamentale prevedibile, che si può suddividere in tre fasi, a seconda dell’atteggiamento predominante nei riguardi della madre”

Bowlby J., Uno base sicura. 11 Mulino, Bologna, 1989

Bowlby J., Attaccamento e perdita, Boringhieri., Torino

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

AMORE MATERNO

Di seguito riporto un brano significativo dell’“Amore Materno”, tratto dal libro “L’arte di amare” di Erich Fromm.

 

“L’amore materno …è un’affermazione incondizionata della vita del bambino e dei suoi bisogni. Ma è necessario fare un’importante aggiunta a questa definizione. L’affermazione della vita del bambino ha due aspetti; uno è rappresentato dalle cure necessarie alla preservazione della vita e alla crescita del bambino. L’altro aspetto va oltre la pura e semplice conservazione: è l’attitudine che instilla nel bambino un amore per la vita, che gli dà questa sensazione: è bello essere vivi, è bello stare su questa terra! Questi due aspetti dell’amore materno sono espressi in modo molto semplice nella storia biblica della creazione. Dio crea il mondo e l’uomo. Ciò corrisponde alla semplice affermazione della esistenza. Ma Dio va oltre. Ogni giorno dopo che la natura, o l’uomo, sono stati creati, Dio dice: “È bello.” L’amore materno, in questo secondo giardino fa sentire al bambino che è bello essere nato; instilla nel bambino l’amore per la vita e non solo il desiderio di restare vivo. La stessa idea può essere applicata ad un altro simbolismo biblico. La terra promessa (terra è sempre simbolo di madre) è descritta come “traboccante di latte e di miele”. Il latte è il simbolo del primo aspetto dell’amore, quello per le cure e l’affermazione; il miele simboleggia la dolcezza della vita, l’amore per essa, e la felicità di sentirsi vivi. La maggior parte delle madri è capace di dare “latte”, ma solo una minoranza di dare anche “miele”. Per poter dare latte una madre non deve soltanto essere una “brava mamma”, ma una donna felice, e non tutte ci riescono. L’amore della madre per la vita è contagioso, così come lo è la sua ansietà; ambedue gli stati d’animo hanno un effetto profondo sulla personalità del bambino; si distinguono subito tra i bambini – e gli adulti – coloro che ricevono soltanto “latte” e coloro che ricevono “latte e miele”.

In contrasto con l’amore fraterno e con l’amore erotico, che sono amori sullo stesso piano, i rapporti della madre col bambino sono, per la loro stessa natura, su un piano diverso, in cui uno ha bisogno di aiuto, e l’altro lo dà. È per questo carattere altruistico che l’amore materno è stato considerato la più alta forma d’amore e il più sacro dei vincoli affettivi. Tuttavia la vera conquista dell’amore materno non sta solo nell’amore della madre per il neonato, ma nel suo amore per la creatura che cresce. In realtà, la grande maggioranza delle madri sono madri amorose finché il bambino è piccolo e completamente legato a loro. Quasi tutte le donne desiderano avere figli, sono felici coi loro piccoli e sono premurose con loro. E questo ad onta del fatto che non ” ottengono ” niente in cambio, tranne un sorriso o l’espressione soddisfatta nel viso del bambino. Sembra che questa forma d’amore sia radicata sia negli animali che nella razza umana. Ma, qualunque sia il peso di questo fattore istintivo, nell’amore materno hanno molta importanza alcuni fattori psicologici. Uno di questi è l’elemento narcisistico. Finché il neonato continua a far parte della madre, il suo amore e il suo attaccamento possono essere una soddisfazione al suo narcisismo. Un altro elemento può essere costituito dal bisogno di possesso della madre. Il bambino, essendo debole e completamente soggetto alla sua volontà, è un oggetto naturale di soddisfazione per una donna autoritaria e tirannica.

…Ma il bambino deve crescere. Deve emergere dal grembo materno; diventare un essere completamente indipendente. La vera essenza dell’amore materno è di curare la crescita del bambino, e ciò significa volere che il bambino si separi da lei. Qui sta la differenza con l’amore erotico. Nell’amore erotico, due persone distinte diventano una sola. Nell’amore materno, due persone che erano una sola, si scindono. La madre deve non solo tollerare, ma desiderare e sopportare la separazione del figlio. 16 solo a questo stadio che l’amore materno diventa un compito così difficile da richiedere altruismo, capacità di dare tutto senza chiedere niente e di non desiderare niente altro che la felicità dell’essere amato. È anche a questo stadio che molte madri falliscono nel loro compito. La narcisista, l’autoritaria, la tirannica può riuscire ad essere una madre “amorosa ” finché il bambino è piccolo. Solo la donna veramente ” amante “, colei che é più felice di dare che di ricevere, può essere una madre amorosa durante il processo di separazione del bambino.

L’amore materno per il bambino che cresce, amore fine a se stesso, è forse la forma d’amore più difficile a raggiungersi, ed è anche la più ingannevole, a causa della facilità con cui una madre ama la propria creatura. Ma proprio a causa di questa difficoltà, una donna può essere una madre veramente amorosa solo se può amare; se è capace di amare H proprio marito, altri bambini, il prossimo, tutti gli essere umani. La donna che è incapace di amare in questo modo, può essere una madre affettuosa finché il bambino è piccolo, ma non può essere una madre amorosa. La condizione per esserlo è la volontà di affrontare la separazione, e, anche dopo la separazione, la capacità di continuare a amare.”

Sempre tratto dallo stesso libro questo brano sulla concezione dell’ “altruismo materno”

“La natura dell’altruismo si manifesta in modo particolare nell’effetto che la madre ” altruista ” ha sui propri figli. È convinta che il suo altruismo insegnerà ai figli a provare che cosa significhi essere amati, e ad apprendere, a loro volta, che cosa significhi amare. L’effetto del suo altruismo, tuttavia, non corrisponde mai alle sue aspettative. I bambini non mostrano la felicità delle persone convinte di essere amate; sono tesi, timorosi del giudizio materno, e ansiosi di appagare le sue speranze. Di solito, sono colpiti dall’ostilità repressa della madre verso la vita, ostilità che essi sentono oscuramente, restandone spesso influenzati. Nell’insieme, l’effetto della madre “altruista” non è troppo diverso da quello della madre egoista anzi, spesso è peggiore, perché l’altruismo della madre impedisce ai figli di criticarla. Si sentono nell’obbligo di non deluderla; imparano, sotto la maschera della virtù, il disprezzo per la vita. Chiunque abbia possibilità di studiare l’effetto di una madre dotata di genuino amore per se stessa, può vedere che non c’è niente di più utile che dare a un bambino l’esperienza di ciò che è amore, gioia, felicità, che solo può ricevere il bambino amato da una madre che ama se stessa.”

 

Dott.ssa Rosalia Cipollina