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PERDONARE LA DIPENDENZA AFFETTIVA

“Perdonare è la capacità di scrivere una pagina nuova e di colmare il baratro che si è creato tra le persone” Madre Teresa di Calcutta

 

SINTESI DI UNA DISCUSSIONE TRATTA DAL FORUM

Eccomi qua a parlare di una faccenda che inizia a farmi pressione
L’ultimo passo, ancora non affrontato.
Di che si tratta? Provo un profondo RANCORE verso la DIPENDENZA AFFETTIVA.
E’ un sentimento che è nato nel momento in cui mi sono resa conto di averla acquisita e quanto essa mi aveva condizionata nella vita sotto l’aspetto relazionale.
Per molto tempo sono stata “presa” ad affrontare ogni aspetto, ogni paura… insomma, ogni sfaccettatura…
Poi mi sono dedicata ad altro… del resto avevo raggiunto il mio obiettivo.
Tuttavia, ultimamente, prestando attenzione a me stessa, mi sto rendendo conto che questo rancore verso la dipendenza affettiva mi sta condizionando negativamente. Trovo ingiusto che l’abbia acquisita… non è stata una scelta consapevole,
ero piccola quando è nata… ed anche se l’ho superata sono incavolatissima (il termine non rende ciò che provo, ma almeno a parole, qui nel forum,
mi auto-modero:grin:) perchè ho sofferto, perchè ho perso tempo prezioso… anni della mia vita! E mi fa incavolare ancora perché anche il provare rancore per lei mi fa perdere tempo!
Proprio questa mattina mi sono posta una domanda <<Come faccio a liberarmi dal rancore che provo verso la dipendenza affettiva?>> . Per il momento non so rispondermi.
A me è capitato di provare rancore per qualcuno in passato, ma poi sono riuscita a superarlo perché ho compreso che le ferite ricevute dalle persone in questione non erano state volontarie.
Ma in questo caso la faccenda è diversa, per lo meno, in questo momento mi sembra più complicata…
Allora, il mio obiettivo è : LIBERARMI DAL RANCORE VERSO LA DIPENDENZA AFFETTIVA !
Forse è meglio formularlo in modo positivo: PERDONARE LA DIPENDENZA AFFETTIVA !
Per ora non so altro… non so da dove iniziare… del resto mi è successo anche quando volevo raggiungere l’altro obiettivo : indipendenza affettiva… non sapevo che fare, ma poi, supportata dalle mie risorse interiori – motivazione, volontà e costanza – ci sono riuscita! Accolgo a braccia aperte ogni punto di vista! Barbara

gio62
Non ci ho riflettuto.. ti scrivo di getto e magari poi mi pento e ti riscrivo ….
Secondo me la dipendenza affettiva fa parte di te.. non riesci a perdonare quella parte di te che l’ha immagazzinata e fatta propria. La dipendenza non è un mostro.. ma sei tu, e quindi.. devi perdonare te stessa.
Poi.. da dove cominciare.. non me lo chiedere quando scrivevo della rabbia io provavo un grosso sentimento di rabbia orientato verso di me e adesso mi ha lasciato un po da quando ho cominciato a lavorare su me stessa in modo attivo ed intenso e ho capito che sto facendo tutto il possibile per superare questi limiti che mi sono posta.
Quando parli del tempo perduto è quello che provo in questi giorni riferito ai miei genitori e soprattuto a mio padre. E’ come se non lo avessi mai conosciuto e rischiassi di non conoscerlo mai.. eppure sono 44 anni che lo conosco e ci vediamo ogni giorno. Non l’ho mai voluto vedere perchè gli ho messo addosso la maschera del mostro che mi ha causato tutto questo.
Ma mio padre è una risorsa.. anche la dipendenza affettiva è una risorsa. Ci ha fatto “perdere tempo” ma a causa sua stiamo aprendo gli occhi vedendo cose che non tutti vedono. Conoscere se stessi non è un obiettivo che si pongono tutti.. ci si arriva quando si sta male e quindì si è obbligati a cercare “una cura”. Io non vorrei cambiarmi con un altro.
Ringrazio la mia dipendenza perchè attraverso lei sto imparando a conoscere me stessa.
Non so.. era una risposta di getto… Un abbraccio Gio

Questa mattina mi sono svegliata. Di solito mi alzo dal letto
immediatamente, invece sono rimasta lì ad ascoltarmi… cosa che non facevo da diverso tempo.
Come ho già detto mi sono resa conto fino a che punto fossi incavolata con la dipendenza affettiva…
Mi sono alzata, ho fatto le solite cose e intanto continuavo a pensarci. Poi ho acceso il PC con l’intenzione di lavorare un po’ prima di uscire… ma ero “distratta”. Quindi sono venuta qui e ho scritto.
Dopo un po’, poco prima di uscire, arriva la notifica e leggo il tuo punto di vista e queste tue parole mi sorprendono come un arcobaleno improvviso mentre c’è un temporale estivo! … anche la dipendenza affettiva è una risorsa. Ci ha fatto “perdere tempo”
ma a causa sua stiamo aprendo gli occhi vedendo cose che non tutti vedono.
Conoscere se stessi non è un obiettivo che si pongono tutti.. ci si arriva quando si sta male e quindi si è obbligati a cercare “una cura”. Io non vorrei cambiarmi con un altro. Ringrazio la mia dipendenza perchè attraverso lei sto imparando a conoscere me stessa.

E’ vero! E’ anche grazie alla dipendenza affettiva che sono quel che sono!
E’ grazie alla dipendenza affettiva che mi sono messa in cammino verso me stessa… ed ho “viaggiato” alla scoperta di aspetti di me sconosciuti!
E’ grazie alla dipendenza affettiva che il mio rapporto con me stessa e con gli altri è costruttivo! Potrei dire che la lista è lunga!
Grazie Gio! Grazie di cuore! Sento il cuor leggero e colmo di gioia! barbara

Buongiorno carissima gio!
Mi sono svegliata con un bel sorriso stampato in faccia… non so fino a quando avrò questa espressione tipo “stato di grazia”…
Dunque, come allora avrò modo di testare concretamente se ho superato la faccenda, quindi raggiunto l’obiettivo.
Per me ogni volta è stato così… oltre alla comprensione a livello razionale è stato necessario “testare” le reazioni emotive sul campo (detta così sembra una partita sportiva ).
C’è una situazione particolare che ha stimolato il mio rancore: quando vedevo M. per strada.
Come c’è l’attacco di ansia a me veniva un attacco di rabbia, perchè lui, indirettamente, rappresentava per me la dipendenza affettiva.
Quindi, anche se (grazie a te) mi rendo conto degli aspetti positivi… voglio “testare” concretamente.
Non so se mi sono spiegata! Non farò nulla di particolare per trovarmi nella situazione di cui parlavo… prima o poi accadrà! barbara

Ciao Barbara, sono contenta che con la mia risposta a getto ti sono stata di aiuto.
E’ molto bello stare qui, confrontarsi.
Il mio ingresso qui coincide con un momento ben preciso in cui hanno cominciato a riaffiorare le emozioni in modo più pieno.
Molte volte sento dire da alcuni qui che sembra di vivere periodi in cui non si prova nulla. E’ quello che sembrava a me, ma in realtà non si smette mai di provare emozioni. In realtà ci riferiamo all’amore e alle emozioni positive. Almeno, per me è stato così. C’è stato un momento in cui nella mia storia sono affiorate emozioni negative “scollegandomi” dalla mia parte positiva.E in quel momento mi sentivo vuota, come se non fossi in grado di provare nulla. Non so se riesco a spiegarmi perchè poi tutto sembra chiaro quando lo si prova ma prima no.
Queste riflessioni me le fai venire in mente tu parlando di espressione “da stato di grazia” 🙂 che parlatro so cosa vuole dire..:-)
Per molto tempo io mi sono trascinata senza apparenti emozioni in preda di rabbia, delusione, dolore ( queste sono emozioni!!!!) e poi ho iniziato un viaggio dentro di me ed anche ora che non direi di essere felice ma, al contrario, di provare molto dolore, lo provo nella sua pienezza. Non so come spiegarmi. le emozioni che sto provando in questo momento per mio padre che sta male sono un misto di emozioni ma non sono più solo negative. I sensi di colpa, il dolore e la tristezza, si mescolano con la compassione e anche con quello che credo sia amore ( dico “credo” perchè sono ancora “giovane” per saperlo). E di questo mix io ne ho la consapevolezza. Non ne ho il controllo ma non ne sono succube. E da un momento in cui ero arrivata a non riuscire più a sopportare, adesso è tutto più sopportabile perchè per ogni cosa negativa che affiora vedo e colgo anche la parte positiva. E’ molto bello questo che sto provando perchè credo di non averlo mai provato in modo così consapevole. E’ come se avessi ritrovato la mia strada che sentivo persa che adesso so deve passare attraverso queste emozioni che sono collegate al mio passato, al mio essere anche nel presente.
Sono contenta di avervi trovati.. non so se mi sono spiegata…
Un abbraccio (Gio62

Carissime Gio e Barbara..
Avete toccato una questione, secondo me, importantissima. Una questione che puo’, a seconda di come viene affrontata, far fare enormi passi nel superamento della dipendenza affettiva o nel raggiungimento della serenita’ nella vita in generale, oppure bloccare un passo decisivo.

Premetto che avrei voluto scrivere cio’ che sto per dire tempo fa e, accidenti, Barbara, se avessi saputo che la questione ti creava questo tipo di difficolta’, l’avrei scritta prima!!!
Non l’ho mai fatto perche’ avevo bisogno di ripescare e riportare il pensiero di un autore a proposito di questa visione sulla dipendenza affettiva, e non sono mai riuscita a ritrovarlo..penso di ricordare comunque l’autore, ma visto che non ne sono sicura, non voglio fare citazioni errate..
Dunque, ahivoi (), sono costretta ad esprimere con le mie parole questo pensiero, percio’ scrivero’ sicuramente tre volte tanto di quanto avrei fatto
In realta’ forse e’ meglio, perche’ questa visione io l’ho fatta mia, ci credo molto, e l’ho ampliata con considerazioni personali..

C’e’ un autore (forse molti altri) che ritiene che la dipendenza affettiva abbia in se una forza particolare che le conferisce lo stato di risorsa importantissima per attuare un cambiamento, proprio grazie alle sue caratteristiche.
Insomma Barbara…questa teoria penso fosse condivisa inconsciamente anche da te, perche’ e’ la stessa cosiderazione che hai fatto piu’ volte tu sulle “crisi”..il fatto che una crisi possa essere vista come una risorsa di miglioramento, di consapevolezza. Le crisi, i problemi, quindi anche la dipendenza affettiva, ci portano a riconsiderare alcuni dei nostri atteggiamenti, ad elaborare emotivamente qualcosa, o comunque prima o poi a porci delle domande. Se si guarda la crisi sotto un aspetto positivo, si puo’ scorgere il dono che in essa e’ nascosto. La si puo’ utilizzare per conoscersi, per migliorare, per non cadere negli stessi errori…

Lo stesso vale per la dipendenza affettiva.
In questo pensiero era contenuta l’idea che, proprio grazie alla forte passione, l’esasperazione dei sentimenti, il coinvolgimento, il “sentire” quasi a livello viscerale il dolore e i sentimenti e la forte ricerca dell’amore caratteristici di una persona dipendente affettiva, tale condizione (la dipendenza affettiva, appunto) puo’ incarnare una risorsa molto importante per capire se stessi, la vita, ed attuare un cambiamento.
Perche’ la dipendenza affettiva contiene in se’ un trasporto vitale enorme, una passione che, se viene trasformata in positivo, se vengono fatte di tutte le caratteristiche malate delle sane virtu’, puo’ essere considerata un grande dono, a dispetto di tante altre condizioni nevrotiche o psicopatologiche.

Questo pensiero e’ stato farcito di tutte le mie considerazioni personali sulla dipendenza, ma piu’o meno la linea su cui viaggiava era questa.

Quello che ha scritto Gio incarna perfettamente cio’ che penso io e quello che “provo” nei confronti della dipendenza. Io non sono arrabbiata da molto tempo con “lei”, l’ho accettata e l’ho anche ringraziata. Ultimamente poi, ne ho anche meno paura. Sono consapevole che potrei ricadere in qualche atteggiamento che la caratterizza, sono consapevole che il cambiamento effettivo forse va sempre alimentato e chi lo sa se sara’ mai sara’ totale..ma non m’interessa piu’.
La dipendenza affettiva mi ha fatto diventare la persona che sono, mi ha donato una sensibilita’ che molte persone non hanno (anzi, sono convinta che ce l’hanno, ma non riescono ad attivarla), mi sta facendo vedere la vita per quello che e’ e cioe’ meravigliosa e piena di amore e di sorprese che bisogna solamente scorgere. Mi ha fatto capire cose che non avrei mai compreso, tra cui, prima di tutto, i miei genitori.
Mi ha fatto sentire che anche io, come tutti, merito e posso essere amata e che, se voglio, posso amare con un’intensita’ ed un’autenticita’ enormi.
La dipendenza affettiva e’ stata per me un dono che mi porta ogni giorno sulla strada della felicita’ e della serenita’.
Come dice Gio, non tutti si pongono cosi’ nel profondo delle domande a proposito di loro stessi, non tutti sono portati a mettersi in discussione, a guardarsi dentro, a conoscersi per quello che realmente sono e a cambiare quello che non va delle loro vite…invece, secondo me, in linea generale, un dipendente affettivo che scopre di esserlo, e’ prima o poi portato a farlo!

Voglio fare un esempio assolutamente personale a cui pensavo tempo fa..

Da un po’ di tempo sto studiando la personalita’ “narcisista”, che mi sembra piu’ difficile da comprendere e da delineare della dipendenza affettiva.
Quello che sta sotto allo sviluppo di tale personalita’, senza entrare nei dettagli, e’ il fatto che queste persone, sempre a causa di ferite subite nell’infanzia, tendono a reprimere, a “non sentire” i loro stessi sentimenti.
Io vedo un po’ la personalita’ narcisista, con tutte le dovute differenze, come una dipendenza affettiva inconsapevole e schermata dall’apatia e dalla non accettazione assoluta del dipendere da un qualsiasi essere umano, anche in forma sana.
C’e’ una differenza, tra le tante, che secondo me genera una risorsa in piu’ nella personalita’ del dipendente rispetto al narcisista, ed e’ proprio questo suo sentire ed accogliere a cuore aperto questo sentire dei sentimenti e del dolore (a volte sembra che il dipendente “difenda” quasi questo suo sentire in modo cosi’ accentuato).
Per contro, il narcisista non vuole “sentire”, lo rifiuta, lo nega, ad ogni percezione di sentimento o dolore profondo si spaventa e mette un muro davanti a se stesso e intorno al suo cuore.
Ecco, questo muro, che secondo me il dipendente non ha, fatto di apatia, indifferenza, noncuranza, egocentrismo (fittizi), tipici del narcisista, penso che costituiscano un ostacolo enorme alla comprensione di se stessi. E quindi alla soluzione dei propri problemi e alla messa in discussione dei propri schemi.
Entrambi tendono a situare il problema fuori di se’ e dentro gli altri, ma, a causa della forte pressione dei sentimenti e delle sensazioni, che dal dipendente sono intercettati ed accolti, quest’ultimo secondo me e’ spinto molto piu’ che il narcisista a chiedersi prima o poi: “che cosa succede realmente?”

Questa e’ una mia personalissima conclusione, ma era per far risaltare la potenza risanatrice della dipendenza affettiva.

Anche io, come Gio, penso che la dipendenza affettiva sia una parte di noi.
La dipendenza affettiva non e’ altro che un nome che noi abbiamo dato ad un insieme di caratteristiche e di comportamenti di alcune persone.
Finche’ non scopriamo di cosa potremmo essere capaci potenzialmente (amare veramente), noi SIAMO dipendenti affettivi. E’ uno stato, una condizione, non ne abbiamo colpa, ma lo siamo.
Quindi anche per me, essere arrabbiati con la dipendenza significa essere ancora un pochino arrabbiati con se stessi e non essersi perdonati del tutto. Non abbiamo ancora perdonato la parte bambina di noi che non e’ riuscita a svilupparsi senza farsi male, quella parte bambina che, a causa della sua immaturita’ psicologica ed emotiva, ha scelto l’unica alternativa che le sembrava possibile. Non abbiamo colpe, ma siamo noi che dobbiamo comprenderlo fino in fondo e liberarci da esse.
Penso che considerare la dipendenza affettiva come qualcosa di esterno a noi, sia in minima parte come non accettarci completamente ed attribuire la responsabilita’ del problema ancora a qualcun altro.
Riuscire a vedere la dipendenza come qualcosa d’inglobato in noi, come parte della nostra personalita’ da poter migliorare penso sia un passo decisivo per liberarsene.
Forse, Barbara, non avevi ancora accettato del tutto quello che eri diventata e cio’ che questo tuo modo di essere ti aveva creato. Lo capisco, non e’ facile, ma solo prendendo atto di una cosa la si puo’ comprendere totalmente, accettare e poi dirottarla verso un cambiamento.
Alcune parti di noi si possono cambiare solo se si accetta veramente di averle incorporate, altrimenti e’ come se un po’ si pensasse che non avessero mai fatto parte di noi.
E’ vero che sottostanti ad esse si nascondono un amore ed un’autostima che noi possiamo alimentare, ma quando eravamo dipendenti lo eravamo, in tutta la nostra pienezza. Insomma, non eravamo sotto ipnosi!

Credo che anche la rabbia che ti continuava ad accompagnare quando incontravi lui (non so se succede ancora, ma comunque mi sembra di aver capito che hai paura di questo, o che comunque e’ una cosa che metti in conto possa succedere) fosse un segnale che ancora non “avevi lasciato andare” completamente la dipendenza, oppure lui (che per te la incarna), oppure la Barbara di prima, che non riuscivi a perdonare in modo completo.
E’ il discorso gia’ affrontato della rabbia, del rancore, del non totale perdono: ci tengono legati al nostro passato, ai nostri schemi precedenti (o che stiamo superando piano piano), alle persone che sono state oggetti della nostra dipendenza. In una parola alla dipendenza!

Sono contenta che tu abbia tirato fuori questo tema, perche’ penso sia un punto molto sottile su cui poter riflettere e che puo’ portare ad un vero superamento.
Inoltre, sono contenta che stamattina tu ti sia svegliata con il sorriso e con una sensazione di “stato di grazia”. Spero che tutte queste considerazioni ti possano essere utili, come le tue lo sono state per me quando sono arrivata qui. Un abbraccio infinito.. Yana

Perdonarsi la propria dipendenza affettiva? Più che perdonarsi, io direi accettarla, accettare che c’è un parte di noi (che per i motivi più disparati, ma soprattutto per il nostro modo di interagire con quelle cause) ci ha portati ad essere dipendenti affettivi o anaffettivi. Perché da come la vedo io, da come cerco di guardare tutte le facce della medaglia l’unica differenza tra un “narciso” e un “dipendente” è il modo in cui si è digerito
emotivamente dei fatti inerenti la propria storia personale. C’è chi porta dentro la ferita e se ne assume la colpa cercando di esorcizzarla ripetendo un comportamento di dipendenza dalle persone a cui vuol bene per punirsene, c’è chi rifiuta la responsabilità e decide di non cedere più alle proprie valenze affettive e ogni volta che qualcuno scalfisce la corazza costruita, se ne allontana con violenza e rabbia reiterando il comportamento antico; questi due modi generano altrettanto dolore e infelicità. In fondo la soluzione sarebbe accorgerci che l’infanzia è passata, che ciò che di buono o di negativo ci ha portato ci ha reso più forti e unici e quindi assumersi la responsabilità di ciò che si desidera per sè stessi. Non è facile, un ex dipendente affettivo rischia di diventare un anaffettivo e viceversa.
Io lotto ogni giorno perché le vecchie abitudini o le nuove paure non diventino un ostacolo alla mia voglia di essere felice. A volte ci si riesce, a volte si fa più fatica del necessario. E’ difficile osare sovvertire il passato, è difficile credere e avere fiducia nella possibilità di innamorarsi ancora con nuove modalità mettendo a rischio l’equilibrio così faticosamente ritrovato. E’ difficile, ma non impossibile.
Quello che mi aiuta e mi incoraggia a proseguire è l’aver constatato (due mie amiche finalmente si sono innamorate della persona giusta quando ormai non ci speravano più) come davvero proprio nel momento in cui è giusto che accada (quando siamo pronti, quando tutte le ferite si sono rimarginate, anche se le cicatrici ci sono ancora) un velo si solleva e ciò che cerchiamo diventa realtà e spesso ciò che desideriamo è proprio sotto i nostri occhi.
E quando il passato è stato analizzato e rivisto nella giusta dimensione, ecco che siamo pronti a cogliere ciò che ci viene porto nel modo giusto, la paura è sempre tanta ma è proprio quella paura che aiuta a non ricadere nei vecchi giochi. Io auguro a tutte, così come auguro a me stessa di riuscire a saper cogliere quel velo che si solleva….e saper tener presente, sempre, ciò che ho vissuto, senza che questo mi impedisca di “amare”
il volto sotto quel velo. Un abbraccio. Pat

Carissima Yana, affermare che le tue considerazioni, insieme a quelle di gio62, siano state “utili” non rende affatto l’idea!
Con amorevolezza mi avete mostrato un aspetto della dipendenza affettiva e un aspetto di me che non avevo valutato e di cui non ero consapevole.
Da dove comincio?… Dall’inizio, è spero di non incartarmi!
Quando ho scoperto la faccenda della dipendenza affettiva, attraverso il libro “Donne che amano troppo” per me è stato uno shoch… non ci volevo credere. In seguito l’ho ammesso (è diverso di accettato) a me stessa, tuttavia ho affrontato per tutto il tempo la faccenda come se fosse sgradita… da eliminare.
C’era… ma volevo a tutti costi che sparisse.
Esattamente com’era accaduto con i miei occhi. Non sono nata con gli occhi sporgenti, sono diventati così perché ad una certa età ho avuto problemi con la tiroide (ipertiroidismo).
Per me la dipendenza affettiva rappresentava solo ed esclusivamente la causa dei miei problemi relazionali.
Chissà, ci devo riflettere ancora, forse un aspetto del narcisismo mi appartiene (Yana, ti cito in parte: la personalità narcisista come una dipendenza affettiva inconsapevole e schermata dalla non accettazione assoluta del dipendere da un qualsiasi essere umano). Questo mi rispecchia esattamente. Non ho accettato il fatto di dipendere affettivamente!
Sotto l’aspetto “autonomia” ho iniziato molto presto a volermela cavare da sola… non volevo aver bisogno di nessuno sotto l’aspetto pratico della vita… naturalmente ho messo in atto questo meccanismo per difesa, i miei genitori erano poco presenti ed io ho reagito così. E’ stato raro chiedere aiuto a qualcuno… nel tempo era diventata un’abitudine per me tant’è che non mi veniva neppure in mente di farmi aiutare.
Ciò ha il suo lato positivo perché per poter fare qualcosa è necessario imparare, inoltre mi ha reso una persona piena di iniziative… ma è vero anche che con le persone che avrebbero voluto essermi di aiuto, perché era un modo per creare un legame (in senso positivo) con me, creavo una certa “distanza”.
Mi accorgo ora che sto cambiando sotto questo aspetto, perché in passato ero molto rigida… ultimamente accetto più spesso il contributo degli altri.

Forse, ci sono stati due aspetti che hanno giocato a mio favore:
1) La sofferenza e i disagi che vivevo da anni mi hanno MOTIVATA
2) Il non accettare il fatto di dipendere da qualcuno ha rafforzato la FORZA
DI VOLONTA’ e la COSTANZA.
E’ vero Yana, fino a ieri non avevo accettato (inteso come abbracciato, accolto) la dipendenza affettiva, l’avevo solo ammessa guardandola con “distacco” ed è diverso. Era come se la “vita” mi avesse dato una patata bollente ed io me la dovevo pelare. Fino a ieri non vedevo l’altra faccia della medaglia, o meglio, non associavo il fatto che anche grazie alla dipendenza sono ciò che sono.

Grazie gio62 e Yana per il vostro aiuto… non so se nel leggermi ho dato l’idea di quanto abbiate fatto a favore della mia accettazione e gratitudine verso ciò, che fino a ieri, mi ha più o meno, condizionata.
Yana, la questione della rabbia mi ha creato difficoltà solo ultimamente, o meglio, me ne sono resa conto solo ieri.
Penso che le vostre parole siano arrivate nel momento giusto per me, perché ero pronta a percepirle! Barbara

Ciao Pat
Si, si tratta di accettazione…
Ieri ho parlato di “perdono” perchè, come ho spiegato, avevo una percezione diversa (distorta?! ) della dipendenza…poi, grazie a gio62 e Yana, ho compreso.
E dire che in questi anni ho avuto a che fare con l’ACCETTAZIONE molto spesso…
Condivido ogni tua parola, in particolare:
In fondo la soluzione sarebbe accorgerci che l’infanzia è passata, che ciò che di buono o di negativo ci ha portato ci ha reso più forti e unici e quindi assumersi la responsabilità di ciò che si desidera per sè stessi. Il tuo augurio è bellissimo!
Un abbraccio che vi avvolge tutte

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

CRESCITA DOLOROSA E MALINCONIA

Da “Crescita dolorosa e malinconica” (forum “dipendenze affettive”)

Autore: Sommer

Argomento: elaborazione del dolore, cambiamento, prendere contatto con se stessi.

Tra me e quello che mi circonda è come se si fosse insinuato uno spazio vuoto, a volte ostile. Molte delle cose che mi circondano hanno perso colore.

Avverto una sgradevole sensazione di estraneità. A volte mi perdo nei miei pensieri e rimango così per ore….oggi è stato il cambio di luce dall’esterno della finestra prima della pioggia a riportarmi alla “realtà”…..detto così sembra un po’ da idioti. Forse lo è.

Giornate silenziose, tranquille, tristi, malinconiche, frenetiche o inconcludenti…..comunque siano hanno tutte un unico denominatore: provo una tristezza così profonda che dopo è inevitabile piangere.

Sono accaduti tanti di quei fatti che alla fine la situazione sembra come “paralizzata”. Nelle tragedie di Euripide salta fuori il “deus ex machina” che rimette tutto al suo posto e questo divide la critica nella mia vita sembra non accadere nulla che sblocchi la situazione e questo tormenta me.

Il mio ex non ha più alcun ruolo in questo, o almeno è quello che sento perchè lui non mi manca più.
Avevo smesso di desiderare un suo ritorno dopo quasi un anno dalla chiusura e 5 mesi fà ho avuto la conferma di quello che provavo.
Desidero un amore nuovo, una persona che in alcune cose sia diversa.
Oggi mio ex non sarebbe più la mia scelta. O meglio, in parte…..ma non sarebbe sufficiente.

Ho pensato all’altra ragazza. Prima provavo come un senso di odio ma poi ho concluso che al di là della cattiveria per alcuni particolari io non provo più nulla contro di lei.
Ho pensato “se fossi stata io al suo posto? Se mi fossi innamorata di un ragazzo impegnato che ricambiava il mio interesse e che fosse disposto a lasciare la sua fidanzata per me perchè non la amava più (perchè è questo che al di là di tutti i particolari lo ha portato via da me) sarei riuscita a rinunciarci?”
La risposta è che non lo so, avrei molto rispetto del dolore dell’altra, mi dispiacerebbe trovarmi in quella situazione ma forse accetterei quell’amore se fosse un reale impegno. Questa la mia considerazione generale.
Lui ha mostrato più rispetto per l’altra che per me…..questo mi ha ferita…..questo mi ha distrutta. Rispettare l’altra è equivalso a calpestare me, come se lui non avesse altra alternativa…..questo mi ha delusa. Non è riuscito a fare diversamente.
Prima, nella confusione di emozioni ereditate da un cuore ferito e arrabbiato speravo che all’altra accadesse quello che era accaduto a me con il mio ex: il dolore della conoscenza dei suoi vuoti interiori. Adesso sento non solo a parole, che la loro vita e se sono ancora insieme, non mi riguarda.

Ho convissuto con un dolore emotivo che ho percepito come un intruso, in parte con motivazioni diverse è ancora così.
Per sopravvivere a quel dolore ho trascurato un aspetto della mia vita professionale. Adesso convivo con le conseguenze che l’immobilità di quel dolore ha provocato sia da un punto di vista pratico ( il trovarmi a portare a termine degli impegni in tempi stringati) che emotivo (provo come un senso di fallimento).
Se stare male significa non riuscire a portare a termine i miei impegni allora stare male è diventato un lusso che non posso permettermi. Spero che la forza a mia disposizione sia sufficiente. Spero di non fallire…..non potrei perdonarmelo.

Se devo trovare delle conseguenze positive credo di aver capito fino a che punto posso essere fragile ma non credo che questo mi salverà da future delusioni. Sento di aver percepito di più…in modo più profondo, intenso. Ho pianto e piango di più.
Ho lentamente appreso il valore che ha l’amore per me, quello della lealtà, quello dell’affetto e adesso sperimento quello dell’andare fino in fondo alle cose.

Questo periodo è davvero difficile…..sola con me stessa non è facile. Non ho ancora capito quando posso fidarmi di quello che provo: sono ancora in uno stato emotivo “alterato” oppure “consapevole”? Non riesco ad orientarmi.
In questi mesi ho viaggiato, riempito la libreria di libri nuovi, attaccato alle pareti quadri che mai avrei pensato potessi acquistare e nuove locandine di mostre, iniziato ad ascoltare musica diversa, ho riaperto da poco il mio amato pianoforte, ho capito che il mio lavoro mi piace davvero ed è da quello che sto ricominciando. Ma questo non è sufficiente a non farmi provare dei vuoti terribili, mi siedo sul pavimento e circondata da tutte le mie cose piango come se non avessi nulla. Sommer

Cara Sommer, qualcosa del genere mi è capitata qualche anno fa, dopo un periodo di presa di coscienza di alcune cose che mi riguardavano.
Avevo passato precedentemente un lungo periodo di introspezione, in cui erano entrate in gioco diverse risorse, tra cui la psicoterapia. Mi sentivo di avere fatto molta strada eppure cominciavo ad entrare in un periodo che ricordo come un momento molto buio ed intenso. Ma che oggi ringrazio di aver passato.

Non so se sia la stessa cosa per te, ma quel periodo è stato per me una fase in cui stavo prendendo contatto diretto con la mia solitudine interiore, con i miei vuoti, ed era qualcosa che riguardava solo me. Come dici tu, non c’era più realmente qualcuno da dimenticare, avevo digerito anche l’abbandono di allora sperimentato (anzi, più abbandoni, perchè avevo perso non solo il mio ex convivente, ma anche alcuni amici).

La verità è che stavo toccando con mano quello che era emerso di me dopo aver accettato di confrontarmi con la realtà, accettandola, e deciso di lasciare andare ciò che di esterno mi faceva stare male (la relazione e soprattutto il mio modo di viverla), permettendomi di ritrovarmi faccia faccia con me stessa e con la mia solitudine, concedendomi di vederla realmente per quella che era, senza distrarmi attraverso problemi esterni alla mia interiorità.
E credo, oggi, che non avrei potuto evitare questo, non se pretendevo di andarne oltre.
Eppure, come dici tu Sommer, si tratta proprio di una fase di crescita molto dolorosa. Lo è, ma non è eterna, a me è servito molto attraversare quegli stati d’animo atroci. Perchè sì, sono davvero stati atroci.

Quando non stiamo bene, nel momento in cui ci spogliamo delle “distrazioni” esterne (scusa il termine..) ed accettiamo di non ancorarci ad altre situazioni (relazioni, od altro) per fuggire ancora la nostra solitudine interiore, ma scegliamo invece di fermarci un attimo per “sentire” ed affrontare davvero quello che abbiamo dentro e che riguarda solo noi, il dolore diventa molto acuto.
Perchè è nudo, in tutta la sua essenza, e noi non lo stiamo coprendo con altri problemi, altre situazioni, altre illusioni, ma lo stiamo ascoltando e ci stiamo facendo attraversare.
Questo è quello che è successo a me, perlomeno, e che sto affrontando oggi in maniera differente e meno feroce per quanto riguarda l’intimità di cui ho parlato altrove.

Lasciarsi passare attraverso la solitudine sorda che portiamo dentro è molto doloroso, Sommer, ma rivela un grande coraggio e tu, tra le tue lacrime, puoi essere fiera di te per questo.

Non ricordo se oggi stai frequentando qualche psicoterapeuta o meno, ma se così fosse parlane con lui/lei, tira fuori tutto, lasciati sfogare in qualsiasi modo tu possa fare.

Attraversare una fase di dolore forte è molto spesso l’anticamera di una fase più vigorosa e serena, specialmente quando precedentemente c’è stato un percorso di consapevolezza.
Con questo però non vorrei sminuire questo tuo momento.
Io, se durasse ancora molto, consulterei qualcuno, così, anche solo per rasserenarmi e per sentirmi un pò sorretta e cullata nella fase più acuta.

Ti comprendo molto bene e ti sono vicina.
Un abbraccio forte Yana

Yana, sto seguendo una psicoterapia, a volte me ne allontano per una settimana perchè è fonte di un dolore che non tollero, altre perchè mi sembra di non aver spostato il mio pensiero di un millimetro rispetto alla seduta precedente, altre perchè ho bisogno di riprendere fiato ma cerco di essere il più possibile costante.
A volte non voglio uscire da quello studio, vorrei restare lì dentro fino a quando non ho trovato una soluzione perchè quello che mi aspetta fuori mi spaventa. Altre non vedo l’ora di andare via perchè non mi sembra di ricevere l’ascolto e l’aiuto che vorrei.
Il punto è se l’aiuto di cui ho bisogno e che vorrei disperatamente in questo momento posso ottenerlo dall’esterno.
La risposta che sono riuscita a darmi è che dall’esterno arriva un aiuto ma “l’aiuto” deve venire da me.

In me è come se convivessero due Sommer: una è paurosa, fragile con un gran bisogno di trovare sicurezza in un “mondo” in cui potersi sentirsi al sicuro e rifugiarsi dagli scossoni della vita e soprattutto di essere accettata nelle sue fragilità. L’altra è un personaggio ambizioso, spesso impavido attratta dalle sfide, che vuole cambiare, che vuole capire, che vuole agire diversamente. Non è facile trovare un giusto compromesso tra la spinta ad agire e quella a resistere quindi precipito in uno stato di blocco e di stallo che mi fa provare un gran senso di rabbia, impotenza: questi i momenti in cui il dolore esplode dentro me.
Come se la componente logica e quella emotiva, in parte sconosciuta, non riuscissero a comunicare tra loro. Non riesco a trovare parole diverse per esprimere quello che provo.
Un dolore subdolo, tagliente, intenso e io spesso davanti a lui divento piccola e indifesa.

Devo imparare a conoscere le mie emozioni per non lasciarle esplodere incontrollate, se imparo a sentirle riuscirò a gestirle e a quel punto saranno aiuto e sostegno contrariamente rischiano di farmi molto male.
Per questo ho deciso di non agire su alcuni aspetti della mia vita, ma ascoltarmi e osservarmi attribuendo delle priorità.
In questo momento la priorità sono IO e la felicità di cui posso essere solo io la fonte il resto verrà di conseguenza…..o meglio spero che sia così.
Per quanto desideri vivere altro in questo momento ho ancora necessità di restare sola. Fino a quando alcune cose non troveranno la giusta collocazione nella mia vita non posso prendere decisioni che vanno in direzione diverse da me stessa. Non so di quanto tempo ho ancora (spero non sia lungo) potrebbe trattarsi di giorni, settimane o mesi……cerco di avere pazienza con non pochi insuccessi.

Questo dolore è un intruso in me, sono consapevole che devo accettarlo ed amarlo perchè non posso non riconoscere che ha fatto luce sui nodi che in parte bloccano la mia crescita e che risolti mi faranno andare verso la vita che davvero desidero per me. Di questo ne sono convinta e spero di cuore di non sbagliarmi.
Il punto è: come utilizzare questo dolore “feroce” in maniera costruttiva che non sia solo fonte di pianto e disperazione che prosciuga le mie forze ma che le alimenti? Vorrei che da “nemico” diventi “amico” e non solo perchè mi ha permesso di vedere il problema.
E’ possibile fare questo? Probabile che la risposta sia SI e che quella risposta io debba trovarla da sola….sono sfinita.

In parte credo di essere già cambiata…….sto ricostruendo la mia identità.

Ci sono stati altri momenti di crescita dolorosi ma nessuno lo ricordo così forte, così lacerante. Possibile che abbia dimenticato? O forse sono solo diversi? Forse non è importante neanche che me lo chieda non serve.

Ho chiare le dinamiche di alcune cose ma aspetto di essere più serena voglio guardarle con occhi nuovi e viverle solo se avranno un significato per la sommer che sarò dopo alla luce di questa crescita.

Spero davvero che non sia eterno. Il momento in cui questo dolore mi lascerà e tornerò alla vita sarà bellissimo.
Immagino il momento in cui le nostre strade si divideranno e inizieremo a camminare in direzioni opposte. Lui è avvolto da un mantello nero, sono sicura che piangerò anche in quell’occasione perchè mi sarà così abituata al dolore che forse avrò paura anche della felicità. Lui non sarà troppo arrabbiato se in questo momento lo sto odiando…..se la nostra convivenza è difficile, sono sicura che capirà perchè sto avendo tanta difficoltà ad accettarlo. Lo guarderò per un po’ mentre si allontana poi inizierò a camminare per la mia strada e sento che in quel momento non mi sentirò più sola.
Se devo trovare un aspetto romantico lo immagino così…..

Grazie a tutti…..di cuore. Sommer

Cara Sommer, da giovane vivevo in gruppo. e il gruppo rinforzava la mia personalità e i miei propositi. quando mi sentivo debole mi appoggiavo al gruppo che fungeva da “coscienza collettiva” e spazzava via i miei dubbi e le mie incertezze. inutile dire che con gli anni e col cambiare delle condizioni sociali e individuali, il “mitico” gruppo si è trasformato e le proporzioni fra coscienza collettiva e coscienza individuale sono cambiate. diciamo che non ho più la scorciatoia della coscienza colletiva e mi misuro sul mio metro prima di tutto. mi limito a osservare questo fatto senza prendere in considerazione se questo sia un bene o un male. ci sono dei lati positivi sia in una situazione in cui il nostro io viene rinforzato dall’esterno, all’interno di una “comunità” più o meno larga ma liberamente scelta, sia in una situazione in cui a prevalere è la nostra coscienza che funge da elemento “ordinatore” del mondo esterno. ma la nostra coscienza non è un entità asettica, siamo noi, con il nostro inestricabile carico di emotività e razionalità, di affettività e necessità di individuazione etc…. in questi anni di crisi ho capito di avere dentro un dolore che era solo mio, finchè ho cercato di spiegarmelo a partire da quello che facevano o non facevano gli altri, in particolare il mio compagno del momento, ho ottenuto solo di incasinare la vita a me e agli altri. da quando sono riuscita a vederlo, a sentirlo e a sopportarlo ho fatto un decisivo passo in avanti per la mia vita e per le mie relazioni affettive. ma ti assicuro con non è stato affatto un processo in vitro, non c’è stato un “prima si fa così e poi si fa cosà”. Hai ragione, secondo me, a dire “Devo imparare a conoscere le mie emozioni per non lasciarle esplodere incontrollate, se imparo a sentirle riuscirò a gestirle e a quel punto saranno aiuto e sostegno contrariamente rischiano di farmi molto male.” però questo accade quando si vive e si sperimentano situazioni e esperienze, sbagliando. sbagliando. se si sbaglia non c’è niente di male, se ci scappa un emozione incontrollata non c’è niente di male, se si esprime un sentimento per come ci viene non c’è niente di male. si può correre il rischio di sbagliare e che qualcuno ce lo faccia notare, nel qual caso, se ha ragione, dovremo chiedere scusa o ringraziare, e anche in questo non c’è niente di male. non c’è strada in cui non metteremo un piede in fallo, gli amici più simpatici li troviamo quando cadiamo e loro cadono insieme a noi. fai bene a ascoltarti, se ora vuoi stare sola affettivamente fallo, ma non credere che questo ti dia un vantaggio o che ci sia un prima e un dopo nella costruzione di se.
“Per sopravvivere a quel dolore ho trascurato un aspetto della mia vita professionale. Adesso convivo con le conseguenze che l’immobilità di quel dolore ha provocato sia da un punto di vista pratico ( il trovarmi a portare a termine degli impegni in tempi stringati) che emotivo (provo come un senso di fallimento).
Se stare male significa non riuscire a portare a termine i miei impegni allora stare male è diventato un lusso che non posso permettermi. Spero che la forza a mia disposizione sia sufficiente. Spero di non fallire…..non potrei perdonarmelo.”
Carissima mi sa che la tua vita professionale ti aveva sottratto veramente molto della tua vita affettiva, non vedere questo rallentamento in termini di fallimento, sicuramente non lo è affatto, la tua umanità in questo momento si è approfondita e accresciuta e questo può essere solo un bene in tutti ma proprio tutti i campi della vita. vedila come un valore aggiunto perchè lo è e se tu dovessi andare più piano nel lavoro o abbassare i tuoi obiettivi vuol dire che, per ora, sono quelli gli obiettivi che ti puoi permettere senza “buttare via” tutto quello che hai conquistato con questa crisi preziosa. non ti costruire una corazza di doveri, non ti fare l’idea sbagliata che devi”prima” capire e poi “vivere”. ci si conosce a partire dalle esperienze di se stessi e del mondo, in un fluire continuo. penso che questo momento doloroso ha posto una pietra miliare nella costruzione di te, datti fiducia ora, non aver paura, un bacio Zoe29

Ciao Zoe,

sento il bisogno di allargare la mia visione per percepire quello che arriva dall’inconscio e per questo devo imparare a fidarmi delle mie intuizioni.
Una mente ordinata è importante ma serve a poco se limita il mio sguardo e mi imprigiona dentro piccole e ordinate realtà e non mi permette di cogliere il senso delle cose e delle esperienze della vita.
Concordo che l’esperienza è importante ed è solo di chi la vive e che si impara a conoscere se stessi anche attraverso gli sbagli….anzi sono quelli che più frequentemente ci spingono a riflettere. Penso che ci sia un merito anche negli sbagli se viviamo responsabilmente le conseguenze ma al momento non so se sono in grado di vivere alcune responsabilità nei miei confronti perchè forse sono troppo fragile e disorientata, percepisco l’esterno diversamente e avverto un senso di estraneità.
Prima devo riprendere contatto con me stessa dopo sarò in grado di andare verso l’esterno…questo voglio dire. Sbaglio? Questo mio pensiero pensate limiti la mia vita?

Ho avuto una vita emotiva complicata quando avevo 8 anni mia madre è entrata in crisi come moglie e madre ho pagato a caro prezzo quel suo momento di crisi e di crescita. E’ stato difficile per me. Ha cercato un aiuto professionale, di questo la ringrazio, nella speranza che non mi perdessi troppo in tutta quella confusione come mi aveva spiegato ma è stato difficile lo stesso. I rapporti importanti sono complessi….vivo delle conseguenze ancora oggi.

Hai ragione quando dici che una crescita coinvolge tutta me ma io ho il limite di percepirmi come “frammentata” a “compatimenti”…..questo mi fa male. Ho avuto dei riscontri dall’esterno ma io non ne ho ancora preso davvero consapevolezza.

Sto cercando di recuperarmi attraverso le cose che ho scoperto essere davvero importanti per me. Spero di ritrovarmi così…..potrebbe non essere il percorso giusto. A questo penserò nel momento in cui dovessi capire che sto sbagliando…..anche se a volte percepisco come di vivere “a metà”…..in parte questo sentire alimenta le mie lacrime. Non sono in grado di fare diversamente o forse è l’unico modo? Non lo so…..

Vorrei tanto essere recuperata dall’Amore…… Sommer

“Prima devo riprendere contatto con me stessa dopo sarò in grado di andare verso l’esterno…questo voglio dire. Sbaglio? Questo mio pensiero pensate limiti la mia vita?”

Cara Sommer, ho letto e riletto il tuo ultimo post, pensato e ripensato ma forse è meglio che ti dico sinceramente quello che sento. sono due le sensazioni che prevalgono: la prima è che tu abbia paura di perdere l’equilibrio mentale, la seconda è che tu abbia paura di fare esperienza per paura di sbagliare più ancora che essere nuovamente ferita. mi sembra che tu giudichi te stessa molto male. siccome dopo questa esperienza devastante di abbandono hai vacillato ora pensi che vacillerai sempre quale che sia l’esperienza che ti giunge “dall’esterno”. ma è così? è vero il tuo equilibrio è cambiato profondamente, ti eri messa in gioco, forse per la prima volta dopo “il tradimento” (passami la semplificazione) subito da tua madre, e hai subito un altro abbandono. i sentimenti sono pericolosi, con i sentimenti ci si sbaglia, non sono provette, non sono formule matematiche, non c’è un prima, non c’è un dopo, non sono ordinati. bisogna imparare a governare il caos, a capirlo, ad accettarlo dentro di noi e fuori di noi. e tutto questo significa essere umani, cadere e rialzarsi. il tuo equilibrio è cambiato. sicuramente hai più paura di cadere ma sicuramente ti sei affacciata sul mondo misterioso delle tue emozioni e dei tuoi sentimenti, hai cominciato a “guidare” questa macchina (paragone molto poco calzante), per ora devi pensare a quando cambiare, a qual’è il pedale dell’acceleratore… domani ti verrà automatico. l’unica cosa che puoi fare è vivere. perchè non puoi fare altro:
“Vorrei tanto essere recuperata dall’Amore……” finalmente un vorrei in mezzo a tanti devo! Per l’equilibrio mentale, proteggiti. vola basso, stai in situazioni riposanti, affidati alla tua rete di amici, prenditi il tuo tempo per recuperare le forze, datti il tempo di divertirti, questo dice la vecchia zia zoe, e se questo dovesse dire fare un passo indietro nel lavoro per non stressarti, fallo, prendi lo slancio per passi più importanti domani. Cara Sommer pensa che ce l’hai fatta da bambina e con molte meno risorse di quelle che hai ora! almeno questo “merito” te lo vuoi attribuire?
secondo me, quindi, tornando alla tua domanda io penso che il problema che poni non esiste semplicemente, cerca di prendere contatto con te stessa in ogni cosa che fai, io penso che tu lo stia già facendo e l’esperienza del forum ne è una testimonianza. una bella ginnastica che io ho fatto negli ultimi tempi è cercare di capire ogni volta l’emozione e il sentimento con cui facevo ogni più piccola cosa e esprimerlo nel momento in cui lo provavo alla persona per cui lo provavo, marito, figli, amici, perfetti sconosciuti quando possibile, capi di lavoro, colleghi etc… non sai quanto questo abbia arricchito la mia vita e le mie relazioni… ti cullo in un grande abbraccio, coraggio Zoe29

Cara Sommer,
sono d’accordo con quello che ti dice Zoe, sono le stesse sensazioni che mi vengono leggendoti, anche perchè le ho sperimentate e mi ci ritrovo.

Forse la tua paura è proprio quella di perdere il controllo, tipica di chi ha già sperimentato smarrimento profondo in un età fragile.

Eppure lasciare andare il controllo è paradossalmente la soluzione a molti dei nostri blocchi, perchè tenere il controllo delle emozioni e della nostra vita, dei fallimenti e delle vittorie, in modo assoluto, non paga cara Sommer. Svilisce, toglie vita, spontaneità.
E preclude molte cose fantastiche.

E’ molto difficile affidarsi all’amore ed alla vita, lasciarsi trasportare un pò di più dal desiderio e meno dal dovere interiorizzato e aprirsi a nuovi orizzonti (anche interiori), specialmente per chi molto presto ha dovuto imparare a fare l’esatto opposto per non perdersi, ma credo che sia il passo che tu stia inconsapevolmente compiendo e che ti provoca tormento e terrore.

Se è così, comprendo il tuo percepirti in mille pezzi e talvolta in due metà. Non riesci a trovare un centro saldo, in cui riconoscerti, perchè stai cambiando, ti stai evolvendo.
Cambiare comporta anche delle rinuncie, oltre che dei grossi guadagni; il cambiamento porta con sè la perdita di vecchi schemi e quindi punti di riferimento solidificati (ma non per questo utili per il raggiungimento del nostro benessere) ed anche di aspetti di sè.

La nostra umana tendenza all’attaccamento ci fa sentire sbriciolati di fronte alla perdita di punti a cui aggrapparci, che possono essere anche interiori, ma secondo me se si supera la prima fase di smarrimento si procede oltre e si cresce davvero.
Si accetta di crescere.
Questo dolore e questa confusione che percepisci dall’interno (e che ti da la falsa sensazione di distanza dall’esterno) è secondo me una sospensione tra l’accettazione e la non accettazione emotiva di compiere questo passo in più, di evolvere la tua vita e il tuo mondo emozionale in qualcosa di diverso.
Credo sia una fase comprensibile, forse devi solo accettare di viverla pur provando paura, per poi varcare la soglia.

Tanto tempo fa qualcuno mi fece un esempio che porto sempre con me nei momenti di paura e di cambiamento.
Immagina una bambina che impara ad andare in bicicletta senza rotelle.
Cade, sbaglia, si fa male magari, si sente timorosa perchè non ha più gli stessi appigli sicuri di prima, ma nonostante tutto va.
L’unica soluzione che ha per imparare a pedalare libera senza rotelle è quella di procedere nonostante la paura e nonostante il ricordo delle cadute ed il timore di ripeterle.
E così, un giorno, la bambina riesce a pedalare, abbandonando nel tempo la paura.

I bambini, compresi quelli che eravamo noi, ci danno tanti esempi di quel coraggio che spesso da adulti non sappiamo dove recuperare.
Eppure è nascosto dentro di noi.

Un caro abbraccio, Sommer

Yana

Cara zia Zoe,
sicuramente l’abbandono della Sommer adulta ha riportato alla mente l’abbandono della Sommer piccola. Io parlo sempre di mia madre perchè sento essere la figura che mi è mancata di più ma non dimentico che la figura paterna per me è assente sotto l’aspetto affettivo, nel ruolo di padre è un uomo freddo.

Ero piccola ed ho vissuto quel caos con l’ingenuità e le risorse dei bambini anche se da solare sono diventata seriosa, silenziosa e spenta perchè i problemi degli adulti mi avevano coinvolta. La fantasia, l’ingenuità dei bambini, i libri e quello psichiatra infantile chiamato in aiuto perchè non mi perdessi troppo dentro quel caos mi hanno aiutato. Ma i miracoli non sono possibili……

La paura di essere ferita……non la provavo così forte da molto molto tempo, come se avessi rimosso.
E’ stato un déjà vu terribile per me. Ecco perchè ho sofferto così profondamente per la fine di questo amore.
Il mio ex sotto molti aspetti rimane perfetto, nonostante tutto se non fosse stato portato via da un’altra ragazza tra noi due sarebbe finita se qualcosa non fosse stato risolto. Se non si doveva andare nella direzione della risoluzione allora lasciarmi è stato il regalo più bello che potesse farmi perchè quella relazione avrebbe ucciso la mia anima a piccole dosi…..sotto alcuni aspetti lo stava già facendo.

“E’ molto difficile affidarsi all’amore ed alla vita, lasciarsi trasportare un pò di più dal desiderio e meno dal dovere interiorizzato e aprirsi a nuovi orizzonti (anche interiori), specialmente per chi molto presto ha dovuto imparare a fare l’esatto opposto per non perdersi, ma credo che sia il passo che tu stia inconsapevolmente compiendo e che ti provoca tormento e terrore.”

Yana hai ragione è come se qualcuno avesse forzato qualcosa anticipando i tempi ero ancora una bambina e mia madre mi chiamava piccola donna chiedendo una comprensione che non potevo darle o forse non era giusto chiedere…..io dicevo di si e a volte neanche capivo a cosa avevo detto di si.

Hai ragione anche quando dici che lasciarsi andare è paradossalmente la soluzione per superare dei blocchi, sotto alcuni aspetti della mia vita è accaduto questo quando stavo cercando di uscire dalla prigione di schemi che mi erano stati imposti e che sentivo non appartenermi. E’ stata una dura lotta tra emotività e ragione. Il mio malessere era diventato così insopportabile che “cedere” al mio sentire è stato inevitabile. E questo è accaduto in cose importanti ma anche in cose semplici come decidere di fare un viaggio non programmato. E’ accaduto di ritrovarmi a partire il venerdì sera e ritornare la domenica notte decidendo il tutto il giorno prima con un’organizzazione improvvisata e devo dire che è stato bello, che mi ha arricchito e mi ha fatto sentire come libera.

La questione affettiva è un po’ ostica perchè tocca corde profonde. La risposta naturale nonostante il desiderio forte di avere una fonte di affetto tutto mio di cui sentivo la mancanza è stato quello di restare sola e aspettare qualcosa di bello per me. Ho risposto come selezionando affetti e l’amore. Ovviamente mi sono persa un sacco di cose, le delusioni non sono mancate nè mancheranno.
Con le amicizie molte cose sono riuscita a cambiarle. Ho amici diversi tra loro e anche da me e da questa diversità mi sento arricchita e non necessariamente con tutti ho lo stesso grado di conoscenza emotiva ma è bello lo stesso……non con tutti condivido le stesse cose ed è bello lo stesso.
Ma con l’Amore?……con l’Amore come faccio a mettere alla prova le mie emozioni e paure se in poco più di 30 anni il mio cuore l’ho sentito battere poche volte?…….Qualche ingranaggio non funziona bene. Alle mie amiche succede di continuo…..
A me solo tre volte: due volte mi hanno portato nella direzione di due storie durate anni e finite per motivi diversi. La terza volta, non so neanche perchè ed è probabile che non lo saprò mai.
A volte mi sento così ridicola…..sembra che vivo in un altro mondo.
Questo il mio sentire…..comportarmi in modo diverso significherebbe forzare la mia natura.

Il punto è che non devo forzare la mia natura……basta solo cambiare prospettiva.

Quello che sto vivendo è un momento doloroso che a volte mi toglie il fiato. Vorrei solo capire quello che sta accadendo dentro di me e lasciarmi andare per essere semplicemente me stessa.

Grazie davvero i vostri interventi mi hanno dato spunti di riflessione che cercherò di approfondire.
Come dice un proverbio zen: Salta!!!!!…..e la rete apparirà. Sommer

A volte senza una ragione apparente sento il cuore farsi più pesante. Si tratta dei miei vuoti, dei miei dolori, delle mie ferite. Chiudo forte gli occhi, stringo i denti, piango e aspetto che passi. Quando passa mi sento un po’ indolenzita dentro. Come se fossi la radice sfibrata di una pianta cresciuta al buio.

A volte ho lasciato che il dolore si trasformasse in sofferenza. Una responsabilità che fa molto male.
Volevo essere felice ma incapace di reagire. Volevo fare qualcosa ma non sapevo cosa. Ho girato a lungo dentro e fuori da me spesso a vuoto per capire cosa fare, per capire cosa volessi davvero.
Ho impiegato tempo.

Devo trovare la forza di ricomporre le mie sensazioni, di perdonarmi di quella che in parte è stata immobilità. Devo tirare un respiro profondo e riprendere a vivere iniziando da dove avevo lasciato.
Dare spazio a tutti gli aspetti della vita senza concentrarmi solo su alcuni come se si escludessero……devo imparare a conciliarli.
E’ come se avessi dato attenzione solo ad una parte di me lasciando nell’ombra l’altra. Ho sbagliato perchè adesso una parte di me continua a soffrire.

Ad un certo punto della mia vita ho dovuto capire se stavo vivendo davvero la mia vita o stavo concretizzando le ambizioni di mia madre. Ho dovuto capire quali erano i pensieri e desideri di Sommer e quale il rumore di fondo delle aspettative altrui. Ho dovuto alzare la voce per affermare la mia personalità e comunicare le variazioni di colore al mio percorso.
Sapevo che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato nell’educazione che mi era stata imposta circa il cavarsela da soli e fare affidamento solo su se stessi senza imporre i propri problemi agli altri…….ma non ho compreso subito quali fossero le conseguenze dell’assurdità di quella sfida.

Non DOVEVO intralciare il percorso professionale di mia madre, DOVEVO eccellere, non DOVEVO deludere.
Soffocata da questi e molti altri dovevo alla fine ho perso di vista e deluso la persona più importante: me stessa. Altra difficile resposanbilità.
Sono stata terribilmente delusa dalle persone che cercavo di non deludere. A mia volta ho deluso quando ho iniziato a sceglire me. A volte sembra impossibile evitare che qualcuno rimanga ferito….

Una grande fatica arrivare fino a qui per me che sono cresciuta con il freddo nel cuore, sognando un amore tutto mio e nell’attesa cercare di gustare la solitudine. Sempre seconda dopo qualcosa di più importante…….comprendere…..contestualizzare…..relativizzare…..andare oltre.

A volte ho l’impressione che le mie aspettative/domande/desideri siano come sassolini gettati dentro un pozzo senza fondo….spero non duri ancora a lungo.

Scusate oggi è stata una giornata difficile. Sommer

Cara Sommer,
continua a commuovermi il tuo stato d’animo, che mi tocca profondamente.

Ti senti inerme di fronte al dolore.
Forse questa è una fase positiva, perdonami se questa affermazione può sembrare offendere la tua sofferenza.
Positiva col significato di “costruttiva”.

Se noi ci facciamo attraversare davvero dal dolore, senza evitarlo, non possiamo fare altro, per un attimo, di restare inermi.

Io ho la sensazione che tu abbia accettato di contrarre una specie di patto col tuo dolore: se ti accolgo davvero, poi mi lascerai di nuovo respirare?
Sì, secondo me ti lascerà assaporare la serenità che ti meriti, perchè tu adesso stai dialogando con lui, stai familiarizzando, lo stai guardando negli occhi. Arriverà un giorno in cui lo conoscerai talmente bene che saprai come gestirlo e lasciarlo andare, perchè non sarà più in grado di sovrastarti. Tu sarai diventata più forte di lui.

Credo che tutta questa sofferenza ti aiuterà a gestire meglio almeno una fetta della tua paura, che probabilmente giace ancora prepotente dentro di te.

Ma comunque lo sai, è più forte la paura che abbiamo della vita rispetto alla sua reale durezza.

La mia psicoterapeuta un giorno mi ha detto:
“La paura della paura è tra le paure più invalidanti”

Ti abbraccio Yana

 

Sapevo dell’esistenza di questo dolore e l’ho rifiutato, avevo trovato come una sorta di compromesso…di convivenza possibile anche se solo sapere che lui esisteva dentro di me faceva male.

Adesso è come se si fosse incattivito per essere stato ignorato….è diventato di dimensioni enormi e così intenso che non è possibile non vederlo….non sentirlo.
L’assurdo è che quando molla la presa io ho come l’impressione di tornare ad ignorare per questo a volte, per assurdo, spero che non mi abbandoni perchè da quel dolore io ho la tendenza a scappare.

Non so nello specifico chi dei due sia cambiato. Se lui che indisturbato si è evoluto dentro di me oppure sono io che lo guardo con occhi diversi. Riconosco che la Sommer che aveva accettato quel compromesso non è più la Sommer di adesso.
Nessun compromesso è possibile: è guerra. Nella mia vita non c’è abbastanza spazio per entrambi o fuori lui o fuori io.

Quello che dici Yana in merito al patto con il dolore è più che altro una speranza. Spero che dopo ci sia una fase più serena…..una parte di me ci spera ma allo stesso tempo ha paura che quel dolore sia più forte un’altra ne è certa e pensa che davvero questo sia l’unico modo per uscirne e vede come hai detto tu in tutto questo dolore una fase di costruzione.

Rimane un momento difficile, ho qualche difficoltà sento molto dolore dentro di me e anche rabbia verso me stessa. Passerà…..come sono passate tante altre cose dolorose nella mia vita.

Grazie. Sommer

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

MA SE IL CUORE NON CE LA FA…?

Da “Ma se il cuore non ce la fa…?” (forum “Dipendenze Affettive”)

Argomento: codipendenza Autore: Marrifede

Ho bisogno di condividere con voi ciò che provo e che mi ha portato a fare una cosa che non ha nessuna coerenza con la lotta che sto combattendo da mesi…
Ma se è accaduto, se sento queste cose, è meglio che io le ammetta e le affronti per tentare di capirmi ancora di più, e di riuscire una volta di più a fare qualcosa per il mio bene…

Dopo tanti giorni di silenzio, lunedì scorso il mio ex si era fatto sentire.
Io il telefono lo spengo sempre di più, ma non l’ho mai spento del tutto.
Ogni giorno almeno una volta lo accendo.
Così mi aveva detto di essere stato via 15 giorni da solo, in moto, la moglie e la figlia in vacanza da un’altra parte, lui a cercare di ritrovarsi un po’… Mi aveva chiesto di vederci e gli avevo detto di no.
Mercoledì e giovedì sono andata al mare io, con sorella e nipotini, sperando che mi passasse un po’ il pensiero di lui.
Perchè c’era e forse, nel silenzio, la mia tristezza di dire davvero addio per sempre al sogno di questo grande amore, si era fatta più presente.
Lui mi cerca di nuovo giovedì sera e mi chiede di vederci nel fine settimana…
Ci penso.
E sabato accetto.

Ho passato con lui sabato sera e anche ieri.
Siamo stati anche bene.
Ci siamo lasciati andare anche fisicamente.

Che è un errore lo so.
Che avrei dovuto evitare lo so.
Che così alimento le sue e le mie speranze e soprattutto rafforzo il legame di dipendenza da cui vorrei tanto liberarmi, lo so…

Vorrei capire perchè.
Perchè se non riesco a coglierne i motivi, non riuscirò neanche mai a spegnere per sempre quel telefono che rappresenta il mio legame con lui.

Io ora esco, ho ripreso a fare una vita normale, ho ripreso vecchi contatti e conosciuto nuove persone.
Sto recuperando una serenità e un benessere che avevo perso completamente.
E che sento necessari per me e per vivere bene…

Eppure lui è dentro di me.
Non c’è verso.
Il mio sentimento per lui esiste ed è presente, non è del passato.
Così lo sforzo di non cercarlo sono in grado di farlo.
Ma se mi cerca lui, quando lo fa con modi tranquilli e normali e non con quelli esagerati e squilibrati che tanto mi fanno paura, io ci sono.

Ho accettato di vederlo perchè evidentemente anch’io ne sentivo esigenza.
Se non si ha voglia di fare una cosa, non la si fa, semplicemente.

Devo capire come affrontare questo sentimento perchè, dal momento che esiste e non mi abbandona, devo saperlo vivere e accettare senza che mi sconvolga e mi riporti a lui.

E questo perchè so bene che lui è fatto così e le cose che mi hanno fatto tanto soffrire e portato a dire basta, sono tutte lì e sarebbero ancora più devastanti.

Di fatto promette cambiamenti radicali, ma è sempre allo stesso punto, in primo luogo in famiglia e poi per il resto.
Anzi, a me sembra che la sua capacità di assumersi responsabilità sia ancora più offuscata dal periodo di evidente crisi e confusione.

Eppure il mio sentimento esiste e ne sento la presenza dentro di me pur nelle varie consapevolezze che ho, e nella gioia della ritrovata vita un po’ più serena e normale che tanto ho desiderato e lottato per raggiungerla.
Convive con me anche il sentimento per quest’uomo.

Il mio dott mi diceva, l’ultima volta, che i sentimenti sono di gran lunga molto più forti della ragione.
Con la ragione si fanno valutazioni e considerazioni, che ti portano a determinarti.
Mentre il sentimento sgorga da dentro, ha vita sua, e resta molto legato al ricordo delle sensazioni belle che abbiamo vissuto..

Io so anche che ho sempre fatto molta fatica a liberarmi dai sentimenti.
Fanno parte di me anche quelli di storie passate (ne parlavo anche in un altro thread)e il mio mondo interiore è sempre stato molto in balia dei sentimenti.
Nelle storie importanti che ho avuto, è sempre accaduto che, anche dopo la fine, ci si vedesse magari ogni tanto e si continuassero a vivere momenti intensi che poi non portavano a niente, così, sospesi. Come tornare a casa a ristorarsi dopo un lungo viaggio, sapendo già però di dover comunque ripartire e proseguire il viaggio, sapendo di non potersi fermare…

Mi rendo anche conto che è necessario che questa volta io affronti la cosa in modo diverso.
Sarebbe deleterio sia per me che per lui incunearsi in questo limbo in cui ci si vede magari ogni tanto, lui lasciandomi in pace negli intervalli, mentre ognuno si fa la sua vita.
Lo so..
Eppure saperlo non è bastato …

Devo accettare di provare questo amore dentro, ma devo altrettanto accettarne l’impossibilità perchè se no non esco più e mi rovino la vita…

Oggi sono un po’ sotto sopra, penso sia il minimo visto il guaio che ho combinato!
Ma sento anche che è ora di affrontare questo aspetto del problema, ossia il fatto che anche per me dentro al cuore non è finita ed è difficile finirla…

Spero di poterne trarre qualche insegnamento positivo e che le conseguenze non siano devastanti..

Marrifede

 

Cara Marrifede,

il tuo messaggio mi ha colpita molto, perché riguarda molto anche me.

E’ vero: si fa tanta strada verso se stessi, ci si riappropia di parti importanti del proprio essere, si comincia ad essere “curiosi” del mondo esterno, ci si emancipa dall’impeto della gelosia e dall’ansia di possesso, si sente il fresco di una serenità nuova, si sorride e si ride. E poi…però c’è ancora quel legame così profondo dentro di noi, che proprio nel momento in cui sembra staccarsi definitivamente, e finalmente, torna a stringere, a stringerci, a confonderci, a fare paura.

Quello che è nuovo fa paura, crea ansia, disagio, non solo serenità, e così è spesso più semplice tornare giusto un passo “indietro” per sentirsi di nuovo un po’ “a casa”, anche se è sempre stata una casa in cui non ci siamo sentiti totalmente felici e appagati, quella casa/situazione/persona la conosciamo.

Personalmente mi sto rendendo conto di quanto la mia “paura dell’intimità” mi faccia spesso tornare indietro. Mi scopro curiosa, come ho detto sopra, e mi sento serena, ma quando sento che la mia vita potrebbe effettivamente “cambiare”, o qualcuno o qualcosa vorrebbe entrare nel mio bozzolo, mi richiudo in me stessa e continuo a cercare lui, perché stare con lui mi è ormai “familiare” e mi rende una felicià momentanea che ho paura di cercare altrove, non ho il coraggio di farlo, mi sembra di perdermi, di perdere me stessa, invece in quel legame così precario e instabile, così carico di dolori e piaceri allo stesso tempo, ci sono io e c’è quel mio “amore” che mi caratterizza, che in questo momento mi dà un’identità fittizia, e mi lascia in “sospensione”.

Faccio molta fatica a non “giudicarmi” e non colpevolizzarmi, perché sento che “dovrebbe” essere arrivato per me il momento di crescere, e invece sto prolungando e prolungando ancora la costruzione della mia serenità, perché ho ancora tanta paura, e spesso le mie parole “sagge” si scontrano inesorabilmente con la realtà, ed eccomi di nuovo, ancora, tra le sue braccia ad elemosinare qualche carezza oppure ad avvertire una gelosia devastante quando riceve una chiamata che non so di chi sia, senza occuparmi invece di chi sono io e di quelli che sono i miei obiettivi.

D’altro canto però credo che tutte queste paure, la paura di ri-cadere, la paura di soffrire nuovamente e tanto come in passato, faccia perdere di nuovo e ancora di più il punto di osservazione su noi stesse. Perché se mi osservo con attenzione, nonostante io sia ancora totalmente decentrata e impelagata in un’ossessione, ho cominciato a costruire altre parti di me, a costruirmi a poco a poco quel percorso parallelo di auto-conoscenza, che oggi mi fa essere “diversa” e mi fa reagire diversamente a ciò che mi accade intorno, dandomi la possibilità di ferirmi meno o comunque di reagire diversamente a una stessa situazione, che magari un anno fa mi era totalmente insopportabile. Insopportabile perché non sapevo da dove venisse tutto quel dolore, mentre adesso di quel dolore e di quel sentimento ne ho riconosciute le tracce e ho imparato a riconoscerle e distinguerle.

Non credo che tu abbia combinato un guaio, se è accaduto questo riavvicinameto l’unica cosa da fare è osservarlo, ed è quello che tu stai già facendo, considerando la consapevolezza che hai nel dire: “ma sento anche che è ora di affrontare questo aspetto del problema, ossia il fatto che anche per me dentro al cuore non è finita ed è difficile finirla…”

Non è finita ed è difficile finirla. E’ così, questo mi “rallenta”, ma non posso fare altro che accettarlo e nel frattempo continuare a prendermi cura di me, fino a che il distacco “definitivo” diventi un dolore sopportabile e non devastante.

Intanto ti mando un sorriso e un abbraccio,
Elegys

 

 

Ciao Federica,
chi di noi può dire esattamente cosa è successo?
Ho provato ad immedesimarmi in questa tua dinamica per comprenderti al meglio, ed ho spinto la mente a tempi lontani, quando anche io tentavo disperatamente di staccarmi da storie distruttive, ma mi ritrovavo a cedere spesso e volentieri alle manifestazioni prepotenti delle mie emozioni.

E’ difficile scindere la costruttività per noi stessi e per la coppia dalle emozioni che scaturiscono dalla relazione stessa e che ci portiamo inevitabilmente dentro. O meglio, anche quando si riesce a fare questa operazione, come dici tu, è molto dura resistere davvero al tremore dei nostri sentimenti.
Il problema, per come la vedo io, è che anche in presenza di “oggettiva” (se così si può definire) dipendenza, questo non esclude la presenza di sentimenti ed emozioni.
Sta proprio qui la difficoltà secondo me, nel senso che le dinamiche distruttive alle quali sottostiamo sono le “colpevoli” di innescare un circolo vizioso cui non possiamo resistere, sono quelle che attivano emozioni verso determinate persone o una in particolare, ma appunto: le emozioni esistono, sono state attivate, per quanto non siano ascrivibili entro ciò che l’amore aspira ad essere (rispetto, libertà, comprensione, condivisione ecc.).
Un’emozione forte ed irresistibile per noi, è un’emozione forte ed irresistibile. Non la si può certamente scacciare con un ragionamento razionale, anche se lo si vorrebbe.

Il problema è “disattivare” il meccanismo che ci rende così vulnerabili e “conquistabili” da determinate situazioni e persone, disattivare quel meccanismo così forte che ci fa percepire quell’emozione forte come irresistibile e necessaria per noi. Ma questo è un processo lungo e tortuoso, che include spesso delle ricadute, a volte imprevedibili.

Arrivo al punto.
Io credo che una via percorribile potrebbe essere quella di accettare che la realtà dei fatti attualmente è questa: tu oggi sei ancora quella persona che è catturata da quest’emozione, da quest’uomo, a livello affettivo, e che sente ancora la necessità di abbandonarsi a tutto ciò.
Perchè? Lo devi senz’altro scoprire tu, perchè la risposta è strettamente personale.
Se così è, è chiaro che la questione non è semplice a livello pratico, perché di fatto per te questa persona riesce ad essere davvero pericolosa.
La strada potrebbe essere quella di staccarti “forzatamente” (vista la potenziale gravità dei suoi atteggiamenti) e contemporaneamente lavorare sulle cause più profonde che ancora ti portano istintivamente lì.
So che è quello che già stai facendo, ma forse manca l’accettazione nei confronti di te stessa di non essere ancora giunta al traguardo, ma di essere ancora nella fase dei “lavori in corso” e che questo prevede delle crisi “di astinenza” che ti possono fare inciampare.

Alcuni spunti per riflettere: una via di fuga?
Le vie di fuga possono servire per scaricare stress accumulato in eccesso dovuto ad un comportamento autopunitivo in cui alcune nostre dimensioni sono state represse da noi stessi (in riferimento ad un insegnamento ricevuto in proposito).
Nel momento in cui si attua consapevolmente “repressione” nei confronti di una situazione affettiva che sappiamo ci fa del male (come nel tuo caso), ma non si è superata ancora la causa emotivamente, si viene a creare un conflitto.
Anche perché di fatto si sta tentando di aiutarsi attraverso la stessa dinamica che può aver originato la problematica: la forzatura, l’autocostrizione.
Così si sente ancora la necessità di lasciarsi andare al proprio bisogno che, simultaneamente, ci permette di scaricarci e di soddisfare l’emozione e la spinta ancora esistenti, rispondendo però ad un dettame preciso interiorizzato (un pò come dire: “posso lasciarmi andare, perchè ne ho bisogno emotivamente, purchè questo non pregiudichi l’imperativo sotteso ed originario, per esempio: “non devo essere felice, perchè non lo merito”)

In questo cedimento può centrare anche molto semplicemente una “resistenza”: la paura inconscia ed incontrollabile di prendere davvero una strada nuova e di abbandonare quella vecchia, fatta di schemi che abbiamo scoperto non sono funzionali al nostro benessere, ma a cui ancora rispondiamo in modo reattivo.

Intraprendere sul serio un percorso di distacco dal modo di essere vecchio è qualcosa di duro da accettare e realizzare e porta con sè anche un pò di nostalgia.
La nostalgia di lasciare davvero il mondo della fanciullezza (a livello affettivo) per entrare in un mondo più adulto fatto anche di più responsabilità e di maggiori rinunce.

Non so quanto tutto questo possa avere a che fare con la tua situazione e so che di certo non ti risolverà il problema, ma è quello che mi è venuto in mente anche in riferimento alle mie esperienze passate.
E magari sviscerare alcuni punti un po’ di più, può favorire il raggiungimento di una soluzione, magari non prevista. Spero che riuscirai a trovarla, e nel frattempo spero che questa tua nuova condivisione ti aiuti a continuare a percorrere la strada per te più giusta.

Un abbraccio
Yana

 

Grazie a tutte,
perchè tutte mi fate sentire compresa e non giudicata ed è importante, perchè oggi mi sento già molto in colpa.
E tutte dite cose che esistono dentro di me e mi ci ritrovo, mi danno spunti per riflettere ancora…

Penso che il fatto del bisogno di lasciarmi andare un momento, dopo mesi che lotto non solo con lui ma anche con me stessa per “fare la cosa giusta”, ci sia stato e ci sia.
Mesi di lotta, la cura dal dott, l’ascolto della musico terapia ogni giorno, gli sforzi di reinserirmi in un contesto di socialità dopo tanto tempo.
Tutte cose molto faticose, anche se hanno portato evidenti risultati.

Forse però anche tutto questo forzarmi ed imporre cose a me stessa e a lui è stato duro.
Il bisogno del momento in cui ti lasci andare e non pensi a niente arriva…

Il mio è un legame che dentro di me esiste ancora e continuerà ad esistere.
Ma so anche che è distruttivo.

IL fatto è che ci sono mille implicazioni emozionali: nel momento che sento veramente che sto “lasciando andare”, ossia davvero giungendo alla fine sia per me che per lui, è tuttora molto duro e se proprio in quel momento lui mi cerca, probabilmente mi blocco per questo motivo. Perchè fare il passo successivo significherebbe lasciare davvero definitivamente andare ed emotivamente forse non sono ancora pronta a farlo.

Penso che il legame sia molto profondo e questo rappresenta un ostacolo grande ad andare oltre, sia per me che per lui.
Lui sarà anche bugiardo, disequilibrato, ossessivo ecc., ma penso che anche per lui si tratti, a questo punto, di dipendenza e non di un capriccio.
E’ quasi un anno da quando ho iniziato a dire “basta” e penso che se siamo ancora qui a cadere, evidentemente c’è un legame di dipendenza molto radicato per tutti e due, che tutti e due facciamo fatica a superare, andando finalmente avanti con le nostre vite e lasciando che anche l’altro lo faccia.

Purtroppo però devo trovare il modo di far fronte perchè le conseguenze per me possono essere davvero pesanti e pericolose, come dice Yana.

In effetti oggi mi ha già chiamata, per dirmi di pensare alla possibilità di andare una settimana in vacanza…
E visto che io ho reagito male, dicendo che allora ricomincia tutto come prima e ci eravamo detti di no, mi ha subito accusata di avere un altro…
Insomma la solita vecchia storia, proprio quel delirio che tanto mi distrugge…

E l’ennesima prova che lui non cambia: solo ieri diceva che non si sente più di essere geloso, che ha capito e che non mi accuserebbe più tanto per partito preso, ed oggi eccolo qua…

Ma non gliene faccio una colpa: è ovvio che dopo due giorni così lui mi cerchi, cosa speravo?
I patti chiari del “vediamoci poi ti prometto che ti lascio stare di nuovo” sono frutto del desiderio di vedermi, poi dopo è altrettanto chiaro che quello stesso desiderio spinge molto di più dell’impegno preso.
Non è neppure che mi manchi di rispetoo: sono io che manco di rispetto a me stessa, cosa pretendo da lui?
Lui mi cerca per lo stesso motivo per cui io faccio fatica ad eliminarlo del tutto: perchè ci sono emozioni che non si dominano, peggio ancora se vengono ancor più sollecitate…

LE dinamiche del “vedersi ogni tanto”, come dicevo prima, sono già sbagliate con una persona normale.
Ma con uno così sono boomerang che ti tornano addosso con una forza e violenza ipoteticamente dirompenti…

Ed è inutile che pretenda sforzi da lui, che era riuscito a stare silente per più di venti giorni e 25 senza vedermi..
Se poi però mi cerca e ci sono e per di più condivido con lui momenti nuovamenti belli e intensi, sono IO a dovermi chiedere qual è il mio problema e come risolverlo.
Lui mi cercherà finchè percepirà questo. Che io sono ancora legata a lui dentro di me.
E sparirà quando io non gli darò più questa percezione…

Ma IO come e quando arriverò a questo?
A che prezzo ancora?

Il sentimento c’è, è innegabile.
Ma porca miseria se al mondo c’è un amore sbagliato è sicuramente questo mio!

Lui promette, racconta che ha capito la mia libertà e la mia onestà e oggi è già lì che accusa, solo perchè gli ricordo la situazione che ci siamo ripetuti ieri…

Quindi LUI NON CAMBIA.

E io non reggo una situazione così.
Anche se è una persona che sento dentro di me.

Non so se sia la paura di qualcosa a tenermi ferma.
Non saprei di cosa.

Ma forse invece sì: il VUOTO.
Le uscite, le amicizie, i fine settimana al mare, il lavoro, le piccole cose: tutto bello che da serenità lì per lì.
Ma che non cancella il vuoto.

E allora se tu hai una persona dentro, e quella persona per di più ti cerca con un’insistenza che va avanti nonostante tutto, forse arriva anche il momento che la tentazione di riempire quel vuoto dall’esterno, con quella forma di amore che quella persona è in grado di darti, prevale…

E poi dopo come sempre, la vita presenta il conto.
Per ogni mia debolezza, tutta la vita, ho sempre pagato prezzi molto alti per me.

Ma è inutile il vittimismo.

C’è che ci sono anche attimi in cui, dopo, mi chiedo se davvero non sarebbe possibile un miracolo, un cambiamento, un lieto fine.
Poi un attimo dopo sorrido amara con me stessa, per la mia testarda ingenuità, per il mio modo così triste di credere nell’amore a tutti i costi…

Spero di riuscire a trarre anche da questo passaggio un insegnamento, qualcosa che mi aiuti ad andare avanti.
Perchè è avanti che voglio andare, non di certo tornare indietro..

Grazie del vostro aiuto!

Marrifede

 

“Eppure lui è dentro di me.
Non c’è verso.
Il mio sentimento per lui esiste ed è presente, non è del passato.
Così lo sforzo di non cercarlo sono in grado di farlo.
Ma se mi cerca lui, quando lo fa con modi tranquilli e normali e non con quelli esagerati e squilibrati che tanto mi fanno paura, io ci sono.”
Cara Federica, penso che il nocciolo di quello che stai vivendo sia qui. al momento attuale tu, per tutto quello che hai maturato e compreso della tua storia e di te stessa in rapporto alla tua storia, riesci a non cercarlo. questo non era scontato qualche mese fa e tutto il forum è testimone del grande cammino di crescita che c’è dietro. al momento attuale, però, non riesci a sottrarti se lui ti cerca nei modi che, probabilmente, gli sono stati propri quando la storia è cominciata. penso che molti di noi maldamorati siano allo stesso punto in cui ti trovi tu. ed è per questo, dopo tutto, che siamo ancora qui. lui è ancora dentro di te, probabilmente lo sarà sempre, il problema è, come dici bene, che lo è nel presente, non nel passato.
ieri una cara amica mi ha fatto riflettere sulla forza e l’inganno dei ricordi. i ricordi ti legano alle persone come erano non come sono attualmente. allo stesso modo cristallizzano noi stessi in sentimenti e sensazioni che vorremmo superare ma che ci riproponiamo alimentate dal ricordo.
Penso che la via d’uscita sia, ancora una volta, la consapevolezza di cosa sia il tuo bene, come hai detto benissimo nel tuo intervento, che non significa negare un sentimento che c’è ed è reale. si tratta di “tagliarli” i viveri, non rifornirlo più di emozioni nuove e non alimentarlo coi ricordi del bello che c’è stato. Leggendoti e leggendo gli altri interventi mi sono anche interrogata sulla mia definizione di amore, acnhe a me piacerebbe che l’amore fosse, senza ombre, solo connotato da aspetti positivi, condivisione, comprensione libertà etc (per citare yana) ma per me non è così. non ho conosciuto amore che non avesse lati oscuri, che accanto alla comprensione non mettesse magari un pò di opportunismo, che a fianco della libertà non avesse anche cinismo etc.. l’amore è un sentimento molto “denso” che si ciba di tutto quello che siamo stati e siamo, non mi sento di dire che c’è un modo giusto di amare, nè che nell’amore non ci possa essere negatività odio addirittura… è giusto tendere a un amore che rispetti noi stessi e l’altro, che sia il nostro bene e il bene dell’altro… ma in modo sufficiente. questo l’ho imparato essendo madre e sperimentando l’amore più assoluto che si possa provare per un altro essere umano, cito non so più che psicologo o psicoterapeuta che di questo concetto ha fatto la sua teoria principale, si può solo sperare di diventare madri sufficienti non già buone madri. e se ne deve essere orgogliose! un abbraccio a tutte e a tutti

Zoe29

 

” Leggendoti e leggendo gli altri interventi mi sono anche interrogata sulla mia definizione di amore, acnhe a me piacerebbe che l’amore fosse, senza ombre, solo connotato da aspetti positivi, condivisione, comprensione libertà etc (per citare yana) ma per me non è così. non ho conosciuto amore che non avesse lati oscuri….”

Ciao Zoe,
il tuo intervento mi è piaciuto molto anche perchè secondo me hai toccato in modo molto acuto una questione subdola e difficile da controllare: quella dei ricordi, i ricordi che possono confonderci nel presente.
Ed aggiungo, come hai anche accennato tu, che oltre ai ricordi ci sono i lati “buoni” della persona (tutti ne hanno) che possono riemergere nel presente, ricollegarsi ai tempi “belli”, ed alimentare il sentimento e/o la dipendenza.

Ho riportato questo stralcio del tuo intervento perchè vorrei specificare una cosa. Anche io sono d’accordo che l’amore non sia solo un elenco di belle intenzioni e buoni atteggiamenti.
Le ombre ci sono e secondo me è normale che sia così: chi crea una relazione amorosa sono due esseri umani e gli esseri umani, con tutti i percorsi di autocostruzione che possono intraprendere, rimangono delle creature che contengono sempre e comunque delle ombre, dei limiti e dei difetti.

Ma un conto è non essere perfetti, avere anche dei punti su cui non si è in piena sintonia, attraversare delle crisi (che, per come la vedo io, fanno parte, prima o poi, di una relazione duratura); un altro è il totale non rispetto e la totale insanità di un rapporto.
Credo che il caso di Federica sia una situazione delicata e pericolosa, e probabilmente parlo così anche perchè ho vissuto la sua stessa esperienza.

Quello che lei ha subito e potrebbe subire ancora non sono delle piccole ombre, ma degli abissi che secondo me bisogna imparare a decidere di non sopportare.
Un conto è non cercare ed aspirare all’uomo ed alla relazione perfetti, un altro è accettare di annullarsi per non sentirsi soli, accogliere violeza psicologica e quant’altro pur di non lasciare andare….

Ecco, volevo solo specificare questo perchè non vorrei si fosse frainteso ciò che intendevo.
Una relazione soddisfacente di certo non può contenere solo esperienze e sentimenti “positivi”, ma per me di certo si deve “basare” sul rispetto. Il rispetto implica (in percentuale ed intensità differenti, a seconda delle persone, della storia, dlle esigenze ecc..) libertà, comprensione ecc…
Insomma credo che una relazione, qualsiasi, ci debba fare stare bene.
Questo vale anche e soprattutto proprio se si hanno dei figli.
Poi il modo per arrivare a questo ognuno lo fa a modo proprio, percorrendo il percorso che sente più suo e che riesce ad intravvedere.

Un abbraccio

Yana

 

Ciao Yana,
è proprio come dici tu.
sono consapevole che non esiste l’uomo perfetto e la relazione perfetta, io per prima non lo sono e nessuno può dire di esserlo.

Che l’amore ha anche ombre.

Ma il mio caso purtroppo è un caso limite, perchè ho toccato con mano che le sue “ombre” sono per me devastanti: si tratta non solo di difetti, ma di squilibri che lo portano a non rispettarmi, a invadere la mia testa con la sua gelosia ossessiva che mi aveva portato ad isolarmi dal mondo, lo portano a mentire anche su cose delicatissime, pur di trovare una via d’uscita, sempre in modi manipolatori per me e il mio cervello e le mie emozioni.
Senza contare che lo vedo come una persona che tuttora non è in grado di assumersi una responsabilità.
Continua in fondo a fare come ha sempre fatto, anzi anche peggio.
Non se ne va da quella casa, perchè in fondo non ce la fa, però con l’alibi del dolore e della disperazione, e del fatto che deve trovare se stesso, impone a moglie e figlia un modo di vivere totalmente ai margini, ai confini.
Lui è sempre più assente e distaccato anche dalla vita della bimba, però non se ne va.

E questo non mi da l’idea di alcuna affidabilità e stabilità, se lo guardo come compagno di vita.

E poi questa gelosia che lo porta ad accusare sempre.
A cercare sempre il marcio negli altri…

Se lui cambiasse…
Sì, se cambiasse ci sono lati di lui che indubbiamente mi piacciono e si incastrano con i miei, creando quell’alchimia che ci fece avvicinare tanto all’inizio…
Ma non cambia.
Le persone non cambiano, specie se non ci lavorano con reale esigenza di superare aspetti di se che percepiscono come disequilibri.
E non è il suo caso.

Sì, nella mia situazione io so che se mi lascio andare mi rovino la vita.
Ne ho il terrore e so che ho il dovere per me stessa e verso me stessa di non correre questo rischio.
Penso che è un rischio che, se poi va male, potrebbe annientarmi perchè se già sta volta faccio così fatica, dopo come potrei fare a rialzarmi?

Ma altrettanto sento che, seppure rafforzata, non sono ancora oltre.

A livello emotivo c’è ancora amore e lasciare amando ancora è molto difficile.
Mi è già successo in passato e infatti è stata una storia che ha segnato indelebilmente la vita.
Quella volta però fu più “facile” (se così si può dire), perchè dall’altra parte non c’era un matto.
QUindi dovetti affrontare “solo” il dolore immenso della perdita.

Qui c’è una persona che è squilibrata e dipendente come e più di me.
Tutto è più difficile.

Eppure ho 38 anni ed è necessario che io capisca che questo amore è un lusso che non posso permettermi….

Marrifede

 

Ciao Federica,
quando io ho vissuto la storia che somiglia molto alla tua, ho provato queste tue stesse sensazioni ed emozioni per un bel pò di tempo dopo la rottura finale (che è sopraggiunta dopo mille tira e molla come quelli che descrivi tu).

Anche per me accettare di perdere lui equivaleva a perdere per sempre il “vero amore”, come se stessi rinunciando alle emozioni ed ai sentimenti più forti e vivi che potessi provare.
Non sai quanto ti comprendo e leggendoti mi viene in mente tutto.
Questa è anche una caratteristica abbastanza normale e comune di quando si deve accettare il distacco da una persona per la quale ancora proviamo delle emozioni.

Quando si ama qualcuno, o comunque si sono condivisi esperienze e sentimenti che ci hanno toccato e coinvolto profondamente, si identifica questa persona con l’amore e questo dura fintanto che queste emozioni persistono.
Ci sono persone che vengono picchiate violentemente dai loro compagni per anni, che non riescono a lasciarli e che, a dispetto delle vere motivazioni che stanno sotto a questi rapporti insani, continuano a sostenere che non lo fanno perchè, nonostante tutto, “li amano”.

Un mese dopo la rottura definitiva con il mio ex, io ero ancora distrutta e pensavo ancora a lui.
Ricordo che pensavo, e scrivevo anche, che per il mio bene avevo rinunciato a lui, ma che sicuramente non avrei mai vissuto un amore più forte e che l’amore per me era finito.
Non è stato assolutamente così, anzi.
Anni dopo l’ho rincontrato e ti assicuro che ho provato rifiuto, assolutamente nessun tipo di attrazione o forte emozione nei suoi confronti, forse un pochino di pietà (brutta parola) per aver notato che era rimasto dove lo avevo lasciato e non aveva fatto nessun passo avanti per recuperarsi.

Ma dopo quell’incontro sono andata avanti con la mia vita come prima.
Poi tutte le storie sono diverse, non è dtto che la tua debba finire esattamente come la mia, e ci sono altre persone, magari meno disturbate di lui, che mi sono invece rimaste dentro molto di più.
Però mi riconosco in tutti i moti che descirvi riguardo a lui, compresa la connessione che fai dell’amore con la sua presenza nella tua vita e tutti i pensieri e le destabilizzazioni che ne conseguono.

Dopo aver sofferto molto per le sue violenze e poi per la sua mancanza (sembra assurdo, ma è proprio così), quando sono riuscita a riprendermi davvero, nè lui nè il suo pensiero riuscivano più a sconvolgermi nè mi sucitavano desiderio, pensieri d’amore o forti emozioni.
Anzi, ho provato per un pò di tempo paura, rifiuto, rabbia.
Alla fine tutto è diventato indifferenza e a pensarmi come ero nel periodo che lo frequentavo, quando ERO CONVINTA che nonostante tutto lui fosse l’uomo della mia vita, mi sembra di essere un’altra persona.

Mi colpisce molto quando scrivi che sicuramente non smetterai mai di contenere dentro di te queste emozioni per lui, perchè è la stessa cosa che pensavo io.
Ripeto che magari non ci sarà lo stesso epilogo, ma di certo non puoi ragionare col “per sempre” riguardo al futuro.
Non pensare al “mai più”, perchè non lo sai quale evoluzione potrai avere tu e nemmeno le tue emozioni attuali.
Ora le tue emozioni sono collegate fortemente non solo a lui, ma anche a quello che sei tu oggi e che non è lo stesso di ciò che potresti essere domani.

Questo per dirti che anche se non posso prevedere il tuo futuro, posso di certo dirti che quella mia esperienza del passato, molto simile alla tua nelle esperienze e nelle emozioni, nel tempo è stata superata in toto e che oggi io sto bene e non mi condiziona più.
Ma per arrivare a questo ho passato un anno molto travagliato, ho sofferto tanto e mi sono sentita per lungo tempo proprio come te.
Spero questo possa infonderti un minimo di speranza.

Un abbraccio forte

Yana

 

Grazie Yana,
lo so che col tempo si supera il peggio.

Forse a me spaventa vedere che il tempo per ora è contato un po’, ma non abbastanza…

Ossia: ad agosto sarà un anno che io ho iniziato a dire il basta, lo ricordo ancora.
Dopo avere sofferto come un cane tutti i mesi precedenti, andai dal dottore e feci il punto della situazione.
E poi dissi il mio basta.

E da lì scaturì tutto il delirio che sai.

E allora vedere che a distanza di quasi un anno sono ancora messa così, mi sgomenta, mi fa paura non più tanto di lui, ma proprio di me stessa.
Perchè a livello emotivo evidentemente c’è un legame fortissimo che ancora son ben lungi dall’avere supereato.

E questa precoccupazione aumenta se penso che, nel frattempo, ho concretamente compiuto passi avanti e, grazie anche alla terapia, ho iniziato un percorso di recupero della mia serenità che mi ha portato anche ad un reale miglioramento sia dei miei stati d’animo che della qualità della mia vita…
E allora a maggior ragione mi chiedo perchè tutto questo non sia stato e non sia ancora sufficientemente rafforzativo per me, per le mie determinazioni, quando è di tutta evidenza quanto è diversa la mia vita con lui dentro o fuori di essa…

Questo mi preoccupa e mi amareggia per me stessa, ripeto, ormai più che per lui…
E’ come se tutti gli sforzi che ho fatto li vedessi non dico vanificati, ma certo sviliti se il risultato è ritrovarmi fra le sue braccia…

Eppure lo so che le cose che dici sono vere.

Lo so razionalmente ma evidentemente emotivamente c’è stata e c’è una battuta d’arresto o non so bene come chiamarla, c’è un disagio dentro che devo in un qualche modo affrontare…

Grazie per il tuo sostegno!

Marrifede

 

Cara Federica solo in questa altalena fra piani diversi, razionalità, sentimenti, nuove consapevolezze, cadute, affermazioni, si cresce. e tu lo hai già fatto tanto! è una “danza relazionale” che non finisce mai, io sento da quello che dici e da come lo dici che tu sei già molto distante da questa esperienza, questo “tornare indietro” può servirti per prendere lo slancio per allontanarti ancora di più da quella esperienza e da quella persona. credi in te e nel tuo personale progetto di vita, in definitiva è quello il punto cardinale a cui restare ancorati, un abbraccio pieno di stima e di affetto

Zoe29

 

E’ come se tutti gli sforzi che ho fatto li vedessi non dico vanificati, ma certo sviliti se il risultato è ritrovarmi fra le sue braccia

Comprendo la sensazione, è legittima.
Ma la realtà dei fatti, come la tua stessa situzione (interiore e relazionale) ti dimostra, non è così lineare e scontata.

I tuoi sforzi non sono di certo vani, e nemmeno la tua continua introspezione e il tuo modo di riappropriarti piano piano di una vita più serena ed in un certo senso più adatta a te.
I passi che fai ti stanno dando delle piccole grandi soddisfazioni, comprese non solo le esperienze che hai accettato di accogliere nella tua vita quotidiana, ma anche le relative sensazioni di bellezza e libertà di cui ci hai resi partrecipi non molto tempo fa.

Tutto questo è il segno che qualcosa sta cambiando, ma nella vita non è come nei film americani, dove nel giro di due ore di riprese il protagonista passa da un passato infuocato ad un lieto fine definitivo ed assoluto grazie a qualche seduta dallo psicoterapeuta e magari qualche visitina ad un gruppo di autoaiuto
Nella realtà tutto è molto più complesso, articolato ed intrecciato.
Mentre si fanno passi avanti, la vita continua ed è comunque difficile tenerle testa, perchè ci sono mille cose cui far fronte, compreso lo stress quotidiano dovuto non solo al nostro particolare problema, ma a tante altre cose (sentimenti, implicazioni, ricordi, imprevisti, momenti di debolezza, doveri, responsabilità, paure, incostanza dell’umore, ecc..)

Il nostro modo di interagire con la vita non cambia certo da un giorno all’altro: sono tutte cose che sai, ma io te le voglio ricordare
Mentre procediamo, abbiamo bisogno di continuare a vivere, e non è che solo perchè stiamo procedendo e sforzandoci di pensare a noi stessi in modo più costruttivo, questo ci riesce automaticamente in modo perfetto ed immediato.
La ricostruzione di noi stessi abbiamo detto tante volte che si esplica attraverso un percorso. La durezza di questo percorso non è solo rappresentata dal tempo e dal dolore, ma anche dalle cadute, dai tentativi che falliscono, dalla debolezza che sopraggiunge (in alcuni momenti più di altri, è normale) e dalle resistenze che ci inducono sempre in tentazioni e che molte volte, purtroppo, quando non siamo ancora abbastanza forti, vincono.
Ma non essere ancora abbastanza forti, non vuol dire che non abbiamo fatto passi avanti, tutt’altro.

Senza contare che poi durante la vita, e durante la crescita, si imparano molte cose, se ne acquisiscono tante altre, ma ognuna a suo tempo. Non necessariamente tutto si evolve contemporaneamente, ed inoltre ciò che abbiamo appreso su di noi necessita anche di un certo periodo per essere digerito ed interiorizzato.
Stai riprendendo contatto con le belle sensazioni che puoi sperimentare anche senza di lui. Questo non ti ha fatto allontanare completamente dal bisogno e dalla tentazione di lui? Ebbene, ciò non deve indurti a pensare che allora sei allo stesso punto in cui eri prima.
Datti tempo, ancora, non pensare di aver fallito perchè non è così.
Tra il completo distacco e la completa ed inconsapevole dipendenza ci stanno delle vie intermedie e tu le stai attraversando.
Ci vuole costanza e pazienza e tutte le cose “piccole” che ti stai costruendo sono la base per poter essere più forte domani. Nel frattempo qualche caduta è praticamente normale, forse prevedibile.
E continuerà ad insegnarti qualcosa, non solamente in termini razionali, ma anche per quanto riguarda il tuo bagaglio emozionale ed esperenziale.

Quando la mia storia devastante è terminata, non senza conseguenze, in seguito non ho più desiderato contatti con lui nè ho ripetuto un’esperienza simile sotto molti aspetti. Ma sotto altri aspetti ho continuato a relazionarmi (con altre persone) in maniera prima inconsapevole ed insana, poi insana ma consapevole. Poi si è spezzato qualcosa, è nata una consapevolezza ancora nuova su di me, sulla mia vita, sono andata ancora in profondità, ho accettato di dialogare con alcune parti profonde che mi facevano paura come il mio senso di solitudine, e molto altro ancora..
Insomma, sono ancora in cammino, ma guardandomi indietro non posso certo dire di essere la stessa persona di parecchio tempo fa: mi sento non solo più consapevole, ma molto arricchita, più forte, più coraggiosa e più serena, nonostante le continue umane crisi che ogni tanto attraverso.
Questo per dirti che ognuno cammina sulla propria strada in modo personale ed assecondando le sue parti più intime, che non sono mai identiche a quelle degli altri, ma se decide di farlo, progredisce sempre.
Io l’ho fatto attraverso diverse relazioni, dove ho dovuto affrontare differenti aspetti del mio problema, tu magari stai facendo gran parte del lavoro tramite una sola relazione, ma questo non implica assolutamente un fallimento.

Ti sono vicina in questo momento di crisi

Yana

Le vostre osservazioni esterne, sul percorso fino ad ora fatto, mi sono di conforto.

Si sa che nei momenti difficili si tende a vedere tutto nero e le cose positive scompaiono o almeno si fanno piccole piccole ai nostri occhi.

In realtà io lo sento di essere andata anche avanti .
In due mesi e mezzo ho realizzato un’apertura e riaccarezzato il senso di libertà e benessere che erano veramente insperati sino a poco prima.
Se penso a quanto mi sentivo annientata e senza più la voglia e la forza di niente, capisco che i miei sforzi a qualcosa sono serviti…!

Forse per questo sono un po’ delusa da me stessa: io ho la tendenza a pretendere un po’ molto da me, e questi scivoloni mi fanno arrabbiare.
Anche perchè mi viene da dire che proprio in una fase positiva, in cui non sono più sola e isolata come prima, in cui sento la possibilità di una vita serena e piacevole per me, in cui ho toccato con mano la differenza fra con lui e senza di lui e ho avuto conferma che senza è meglio…
Proprio qui vado a cadere?
Capisco quando sei più sola e indifesa, ma ora…

E allora affronto il fatto che il mio sentimento è vivo e vegeto, annidiato nella mia pancia come un piccolo parassita che vive di vita propria in parallelo alla mia vita e nutrendosene anche quando non me ne accorgo…

PEnso anch’io che sia tutto un fluire, questa benedetta vita.
In cui l’attimo determinante non è mai un miracoloso bagliore, ma frutto di tanti altri attimi, ore, giorni, a volte anni di cammino..

Questo momento mi insegna qualcosa ancora di me stessa.
Della mia fragilità.
Del mio essere donna (anzi, il mio dottore diceva che sono femmina, non donna!) che vive anche di emozioni e sentimenti, a causa o grazie alla mia natura molto molto sensibile che mi ha portato tanti dolori, ma certo mi ha donato anche di assaporare tante emozioni belle e di sentirmi viva. E non posso negare le mie emozioni tanto arrivano e dirompono quando poi meno me lo aspetto.

Del mio sentimento per quest’uomo che è per ora ancora presente, forse legato a ricordi e nostalgie, forse amplificato da attimi che vivi e neanche ti accorgi, ma ci sono.
Ma è presente.

Mi insegna anche che c’è ancora tanta strada da fare e un altro aspetto importante di me da approfondire: la mia difficoltà di sempre a chiudere i rapporti senza voltarmi indietro.
Questa non è la prima volta che, con la storia già finita e per mio volere, mi trovo a rivedere “ogni tanto” l’ex, trascorrendo momenti intensi, senza che ciò porti a niente senon a prolungare ed allungare il legame.
Siccome questa caratteristica tende a ripetersi in modo “seriale” nelle mie relazioni,anche questo forse è giunto il momento che io lo affronti e comprenda perchè, se voglio che questa volta sia diverso.

E con umiltà accetto che la mia fragilità può portare anche me a cadere, a vivere debolezze e insicurezze e non per questo non posso rialzarmi…

Forse ho tanta paura che la ricaduta di un attimo porti conseguenze ben peggiori, sia per come sono fatta io che per come è fatto lui. La paura è quella di non saper far fronte al momento e magari lasciarmi travolgere, mi terrorizza questa idea…
Però sono qua a parlarne proprio per scongiurare questo e darmi tempo di accettare il momento senza che le conseguenze si propaghino.
Spero che saprò davvero fare di questo momento un altro piccolo passo avanti e non una caduta libera in un precipizio!

Il forum come sempre è fonte non solo di comprensione e speranza, ma anche di aiuto concreto ad affrontare le situazioni..

Grazie a tutte di questo sostegno!

Marrifede

 

Due considerazioni: non sentivo lì per lì, quando lottavo per allontanarlo da me, di reprimere i miei sentimenti.
Mi pareva anzi di ricominciare a dare ascolto ad un amore più sano e veritiero: ossia quello per me stessa.
Sapevo di provare ancora amore per lui, ma era un amore privato di componenti essenziali: speranza, che è stata la prima che ho perso, poi fiducia, capacità di credere, stima, rispetto.
Quindi era un amore svuotato.
Ne restava la compoenente irrazionale, la emozione forse più per un sogno d’amore accarezzato nel primo anno bello e che vedevo infrangersi contro i muri di realtà che percepivo come ineluttabili…

Più che repressa, la componente dei sentimenti si era ridimensionata da se, senza uno sforzo mentale particolare in tal senso.
Anche perchè lui coi suoi comportamenti invasivi e manipolatori mi ha costretta ad una estenuante lotta per mesi e mesi semplicemente per sopravvivere, per sottrarmi finalmente a tutto ciò e ricominciare la mia vita.
Ho passato tanto tempo a lottare contro di lui, perchè quella era l’urgenza del momento, che non avevo semplicemente attenzioni per i miei sentimenti.
Era necessario pensare ad altro, a come andare avanti, a come liberarmi..

Finalmente ricomincio a vivere.
Due mesi e mezzo di libertà.
Lui che si fa vivo ogni tanto ma meno, sempre meno.
IL che mi permette di respirare.
Di conoscere di nuovo le sensazioni di serenità e libertà, di vita normale.

Ricordo che il 15 giugno me lo sono trovato sotto casa ad aspettarmi, dopo tanto tempo che non lo faceva.
E che lì per lì mi ero arrabbiata, ci ero stata male, mi ero anche avvilita.
Ma durò un giorno.
Poi ricominciai a spegnere il telefono e fare la mia…
Perchè si era trattato della ennesima sua manifestazione invasiva nei miei confronti, si era di nuovo manifestato per quello che era stato sino ad allora: gelosia ossessiva, mancanza di rispetto ecc.
Il tutto quindi mi aveva confermato nelle mie determinazioni…

Invece dopo sono seguiti 20 giorni di silenzio assoluto.
E io quando lui sparisce devo sempre affrontare il fatto che davvero non c’è più.
Che potrebbe essere la fine, sta volta.
E fa male.
Quindi i pensieri malinconici alla distanza arrivavano.
MA come qualcosa di necessario da superare per andare avanti ancora..

Poi lui si è fatto vivo e questa volta non invasivo, non con la sua solita mancanza di rispetto,col suo delirio.
Ma con toni dolci e rispettosi.
Mi ha chiesto di vederci,non me lo ha imposto.
Gli ho chiesto tempo per pensarci e lui me lo ha dato, senza tempestarmi di telefonate ansiose come sempre.
E così ho accettato.
E nel vederci è prevalsa la componente positiva del nostro rapporto, probabilmente perchè quella distruttiva l’abbiamo tutti e due voluta tenere a bada…

Insomma penso che è stata risvegliata la parte di me che lo ama, forse perchè lui si è proposto e dato a me non coi modi che me lo hanno fatto odiare (la rabbia di cui ti parlavo ieri), ma con quelle caratteristiche che me lo hanno fatto amare…

E ora forse lui ha più coraggio nel lasciarmi stare perchè ha percepito che se non devo combattere ogni giorno solo per un po’ di pace, può anche darsi che l’amore torni in superficie….

Marrifede

 

non sentivo lì per lì, quando lottavo per allontanarlo da me, di reprimere i miei sentimenti. 

Più che repressa, la componente dei sentimenti si era ridimensionata da se, senza uno sforzo mentale particolare in tal senso. 

Ho passato tanto tempo a lottare contro di lui, perchè quella era l’urgenza del momento, che non avevo semplicemente attenzioni per i miei sentimenti. 
Era necessario pensare ad altro, a come andare avanti, a come liberarmi.. 

Ciao Fede,
ho voluto portare l’attenzione su queste tue riflessioni.
La mia personale sensazione è che ci sia stata, come dice Innuendo, una qualche repressione dei sentimenti.
Purtroppo a complicare tutto, nelle situazioni già difficili di per sè, è il fatto che non tutte le nostre azioni sono coscienti, quanto meno nel momento in cui le stiamo sperimentando.
Questo avviene quanto meno si sono superate realmente le dinamiche legate alla situazione, o che la situazione in qualche modo ci risveglia.
Peggio ancora se il vissuto è condito da quell’urgenza impellente di salvaguardare la propria vita, o comunque di affrontare problematiche concrete e pericolose.
Secondo me la verità sta, in parte, in ciò che hai detto tu nelle righe che ho riportato: hai dovuto affrontare un momento in cui c’era l’urgenza di un distacco perchè eri ormai lucidamente consapevole della pericolosità del rapporto. Questa ricerca del distacco è in qualche modo diventata, volente o nolente, la tua priorità, che corrisponde a quell’istinto di sopravvivenza a cui, con parole diverse, alludi sopra.
Almeno secondo la mia percezione.
Questo ti ha portata a “non avere attenzioni per i tuoi sentimenti”, come hai detto tu, quindi ad accantonarli per un pò, per consentirti di concentrarti davvero su ciò che razionalmente avevi concepito essere la cosa “giusta”.
Accantonare i sentimenti non vuol dire superarli.

La razionalità, molto utile in questo caso per affrontare la necessità prima rispetto alla tua incolumità, non va di pari passo con l’emotività.
Quando un tossicodipendente smette di assumere droghe perchè questo è ciò che gli viene prescritto in comunità e che lui ha compreso essere una cosa pericolosa, il bisogno ed il desiderio nei confronti della droga non lo abbandonano immediatamente e per ottenere questo egli deve affrontare un lungo percorso interiore.

Può darsi che dopo una sbornia quasi letale un alcolista si spaventi e decida di mettersi in salvo da se stesso e dall’alcol buttando nella spazzatura tutti gli alcolici presenti in casa.
Ma finchè non avrà elaborato le cause che lo portano al bisogno del bere, molto probabilmente prima o poi andrà a comprarsi altre bottiglie.

Anche volendo non considerare per un attimo la dimensione “insana” di questo rapporto e delle dinamiche implicate, la stessa cosa accade anche con i sentimenti.
Non considerarli, negarli, accantonarli, non conduce all’estinguerli.
Molto spesso anzi, questi tornano più violenti. Bisogna affrontarli di petto, e ci vuole tempo.

Poi..prova ad immaginare se una bottiglia d’alcol potesse parlare e dicesse a chi ha bisogno di lei “da oggi ti prometto che ti offrirò solamente gli effetti divertenti di me e non più quelli distruttivi!”
Sarebbe invitante no?

Un abbraccio Fede..

yana

 

..ti ringrazio anzi tutto perchè mi hai fatto sorridere, all’idea della bottiglia parlante!

Sì, in fondo io ho sempre detto e ripetuto e pensato dentro di me che io lasciavo per necessità, a causa della distruttività delle dinamiche del rapporto, poichè così tanto lesive del mio equilibrio.
Per necessità perchè avevo capito che non c’era speranza comunque di vita nè comune nè serena, per noi due…
Non certo perchè fosse finito l’amore.

Ho messo tutte le mie forze per riuscire a staccarci e a riprendermi un po’ della mia vita e della mia serenità.

Ma l’amore non se n’era andato, altrimenti quel telefono che rappresenta il mio legame con lui (visto che ne ho un altro con un altro numero da mesi…!), non mi sarei limitata a tenerlo sempre più spento, specie quando ero fuori casa: lo avrei buttato.
Ma buttarlo significava perdere ogni legame.

Ed evidentemente non ero e non sono ancora pronta…

Ed eccolo qua, il sentimento, che mi fa confondere e tremare di paura.

Meglio così: forse questo momento doveva arrivare.
Lo devo affrontare.
Accettare che provo ancora amore e capire che cosa farne, di questo amore…

I rischi che sono in gioco li sanno anche i muri, ormai, ma al cuore e all’istintualità e al desiderio dei rischi non importa un accidente!
Il cuore sente e basta…

IO non so e non saprò mai cos’ha nella testa lui: forse ha ragione Innuendo, forse anche lui ha capito che ottiene di più così, lasciandomi anche in pace, e che in questo modo in ogni caso anche lui sarà sempre sollevato dal fare la scelta che tanto non saprebbe fare. A maggior ragione visto che gli dico che i problemi sono tanti, anche se lui si separasse…

Ma quel che pensa e sente lui non mi aiuterà a capire che cosa sento e desidero io PER IL MIO BENE.

Però mi rendo conto che devo affrontare anche questo momento con tutta la confusione che porta, ascoltare la componente emozionale che è rimasta inascoltata e sopita per troppo tempo.

Sono convinta che mi servirà in ogni caso per andare ancora avanti, anche se spero che questo non abbia il prezzo di altri errori e sofferenze troppo devastanti…

Infatti mi chiedo: in un caso così, ascoltare il cuore vorrebbe dire dare spazio di nuovo al rapporto e vedere che succede?
Eppure sappiamo tutti che sarebbe pericolosissimo per me.
E allora se io ascolto il segnale di pericolo e razionalmente evito e sopprimo, metto di nuovo a tacere quella componente che oggi esplode proprio perchè troppo a lungo soffocata…

Non è facile…

marrifede

Ciao ragazze,
mi viene da dire che questi legami sono la risonanza dei vostri legami con le vostre ferite (quelle che riguardano voi stesse) e che quindi vanno di pari passo.
Niente di nuovo, lo so, ma per dire che ognuna di voi, a modo suo, sta percorrendo un percorso in questo senso e quindi prima o poi, passo per passo, ne potrà uscire.

Certo non si può prevedere il futuro, nè a mio parere è costruttivo “giustificare”, procrastinare o scrivere le regole del percorso valide per tutti.
Però fare un respiro, “concedersi” di non essere ancora uscite emotivamente dal tunnel e non essere eccessivamente dure con se stesse, quello sì.

Ci vuole tempo, l’importante è utilizzarlo al meglio questo tempo.
Se ci mettete 1 anno a lavorare parallelamente per voi, ma lo fate, questo anno sarà stato costruttivo e non “tempo perso”. E sarà “propedeutico” all’allentamento di questi legami.
Lo stesso anno fingendo di non vedere il problema sarà stato probabilmente meno costruttuivo.
Lo dico perchè penso a me stessa anni fa e a quante volte ho ignorato certe “cose” che stavano dentro di me: in questo modo ho solo permesso loro di perseguitarmi; ogni tanto, quando meno me lo aspettavo, ritornavano a galla e mi distruggevano.

I sentimenti, le paure, le ferite, gli squilibri interiori e gli eventi e le storie della nostra vita sono tutti interconnessi.
Non si può pensare di sfuggire ad alcuni di loro e di migliorare il corso della propria vita.

Allo stesso tempo non si può pensare di superare le proprie paure e i propri disequilibri in modo immediato o semplice.
Già decidere di farlo è una scelta coraggiosa e non così comune.

Io vi auguro di sciogliere al più presto tutti i vostri conflitti più radicati, primo fra tutti quello di pretendere “tutto subito” da voi stesse.
So bene che molte di voi sono alle prese da molto tempo con questi legami che non si riescono a dissolvere, ma non vedo, oggi, alcuna strada alternativa se non quella di procedere per passi.
Evidentemente è solo da relativamente poco tempo che avete preso coscienza di alcuni aspetti legati a queste storie e che avete cominciato a sentirli emotivamente, quindi tutto il resto avverrà, con il vostro impegno certo, ma non si possono saltare tutte le fasi intermedie sia di consapevolezza che di evoluzione emozionale.

Se siete ancora qua ci sono delle motivazioni, probabilmente diverse per ognuna di voi, è su quelle che secondo me dovete lavorare di più.
Accettate di avere questa debolezza e anche che questo comunque non fa di voi dei mostri (neanche dei “rispettivi”, però, se mi posso permettere..).
Altrimenti è come ripetersi di volersi bene ma continuare a mettersi in punizione e prendersi le mani a bacchettate per ogni errore.

Un bacio

Ps. Fede..sono contenta di averti fatto sorridere..vedo che gli “oggetti parlanti” non funzionano solo con i bambini!!

Yana

Ciao Yana,
concordo sul fatto che non si deve aspettarsi così tanto da noi stesse e soprattutto che occorre continuare incessantemente ad analizzare i motivi profondi del nostro così complesso modo di vivere ancora questi legami…

Anzi,ti dirò che ieri sera, ad esempio, mi sono detta che ok, ora è un’altra fase che affronto e se smetto di torturarmi per trovare una soluzione immediata, il tempo e la mia ricerca mi porteranno là dove devo andare..Dopo stavo già meglio e la serenità devo dire, anche in questi giorni turbati, non mi ha abbandonata…

Tuttavia a volte l’urgenza si fa sentire più forte.
Nel mio caso, posso dire che penso di avere talmente paura delle conseguenze di gesti d’impulso, di come potrebbero di nuovo rosicchiarmi la vita, che mi sento di dover far qualcosa subito per evitarmi ilpeggio..
Nel senso che nel mio caso, sapendo le dinamiche malsane in cui tutti e due siamo stati per tanto inghiottiti, non posso dire “lasciamo andare le cose e vediamo”: lo sperimentare le emozioni e viverle fino in fondo, nel mio caso potrebbe essere devastante…
Di qui la sensazione di dover far qualcosa subito per evitare tutto questo…

E nello stesso tempo però, capisco che facendo così le cose non si chiariscono.
Nel senso che dovrei davvero sentire il mio bene e non impormi ancora cose in nome della sopravvivenza…
Non è facile..

Ma le sensazioni sono tutte sintomatiche di qualcosa che è in noi: nel mio caso il sentimento risvegliato, ma certo anche questa paura che sento di ritrovarmi di nuovo a terra è una sensazione altrettanto forte…

Penso solo che vorrei sentirmi libera di sentire le cose e magari sperimentare, come fa lui, che non filtra mai fra cuore e azioni (nei miei confronti, per lo meno), senza porsi il problema delle conseguenze.

Invece io me lo devo porre e a volte è questa l’ansia di risolvere che mi prende…

Marrifede

Ciao Fede,
lo so bene che “non è facile”.
La prima persona qui dentro che ha preteso e che per certi versi ancora tende a pretendere troppo da se stessa..sono io!
Proprio comprendendolo, lavorando ed affrontando questa cosa, cercando di scorgerne le cause ma anche di invertire questo atteggiamento così automatico per me, ho iniziato ad intravedere un’ “apertura”.

L’apertura è verso me stessa, perchè è proprio di questo che ho (abbiamo) bisogno in fondo.
Alla radice di tutto c’è una chiusura verso se stessi, per ognuno sviluppata attraverso vissuti intimi e diversi da quelli degli altri.
Questa secondo me è la chiave e l’inizio di tutto. Un vero percorso di ricostruzione non può esistere senza accoglienza ed apertura verso di sè.
Certo questa può non arrivare subito, può costituire uno dei traguardi, dopo aver lavorato su altro, ma quando ci si comincia ad arrivare diventa il vero inizio.
Perchè da lì in poi tutto cambia, anche il dolore stesso, che non si può smettere di incontrare nella vita.

Prima parlavo in generale, ma riferendomi a te, sono d’accordo: come ho detto altre volte, concordo sul fatto che la tua situazione è palesemente intrecciata con reazioni per te pericolose da parte dell’altro.
Per questo necessita, nella misura in cui ci riesci, di soluzioni a volte un pò drastiche.

Non consiglierei mai ad una donna che subisce violenza (di qualsiasi natura sia) di “lasciare che le cose vadano come devono andare e..poi si vedrà”.
Il mio discorso era un pò diverso e si riferiva ai sentimenti.
Credimi, ci si può allontanare fisicamente da una persona, magari aiutate, per proteggere la propria incolumità (se si vuole), e nello stesso tempo continuare ad accogliere il sentimento ed il legame dentro di sè.
Per il semplice fatto che “rifiutarlo” o “rinnegarlo” (peggio ancora “negarlo”) non porta ad un vero distacco emotivo e ad una vera elaborazione. E in questo modo si protrae la sofferenza e si procrastina la guarigione di sè.
Certamente questo “non è facile”, è proprio questo il punto: che per affrontare davvero i problemi di strade facili non ce ne sono.
L’elaborazione e il superamento prevedono sempre sofferenza, anche se poi pagano più delle scorciatoie.
Queste ultime danno la sensazione di ristoro momentaneo, ma continuano a trascinare nelle nostre vite gli stessi mostri con cui stiamo combattendo.

Accogliere la debolezza ed il dolore vuol dire non rifuggirli quando emergono, ma questo è un processo che si fa con se stessi e non si traduce necessariamente nella frequentazione concreta dell’altro.
E questo è sicuramente un atto che prevede coraggio e pazienza perchè è estremamente doloroso.
Per meglio spiegarmi ti faccio l’esempio di una cosa che mi tocca profondamente da vicino, anche se preferisco non esplicitarla perchè non mi va di renderla pubblica.
Io sto combattendo con un legame che dentro di me è molto vivo da anni e dal quale molte volte ho pensato di poter fuggire dando il classico colpo di spugna.
Così facendo, in realtà, ho permesso a questo legame di perseguitarmi. Di tanto in tanto si fa sentire ed in modo molto violento.
Molto probabilmente questo è un legame che non si estinguerà mai, ma io posso scegliere di conviverci in modo sereno e quindi ridimensionarne la “drammaticità”, accettando anche che c’è e che non c’è nulla di male in sè se persiste, oppure di accanirmi nel volerlo cancellare.
Compiendo questo lavoro di accettazione sto imparando a ridimensionarlo e a fare in modo che non mi condizioni nel raggiungimento del mio benessere.

Non so se mi sono spiegata..

Un bacio

Yana

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

VOLER CAMBIARE UNA PERSONA

Tratto dalla discussione del forum “silenzioso risentimento/mi chiedo se sia lecito voler cambiare una persona” (forum “problematiche di coppia”)

Argomento: bisogno di cambiare l’altro, aspettative, risentimento

Autore: Ray

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Il mio ragazzo non è una persona che sa essere di aiuto o sa confortare qualcuno.
posso iniziare così.
adesso non so se sto esagerando io, ma in generale, dopo 4 anni, mi pare sia così.
Certo non è poi del tutto colpa sua. Conoscendo i suoi genitori direi che il suo comportamento è nella norma:
sua madre si lamenta sempre di tutto, e ti da l’impressione di non sapersela cavare mai da sola.
suo padre invece è un menefreghista, per la serie ha lasciato la sua famiglia e se ne è andato con un’altra.
se facciamo un cocktail fra una che si lamenta sempre e un egoista, ne viene fuori, secondo me, la propensione a cercare di non essere un egoista, ma nello stesso tempo con una certa ripugnanza verso chi si lamenta.
Posso dire che in quattro anni ho imparato a lamentarmi sempre meno, perchè ammetto che la tendenza a fare la vittima ce l’ho anch’io innata. Ma ripeto, sono migliorata e anche lui se ne è accorto.
Ma andiamo ad ora: sto passando dei problemi familiari e sono giù di morale, oltre ad essere a km di distanza da casa mia.
Avrei voluto che il mio ragazzo mi mostrasse un pò di sostegno (via telefono ovviamente), cose come: ‘hai bisogno di qualcosa?’, ‘posso fare niente?’ ecc.. ecc..
io ovviamente avrei risposto di no, perchè effettivamente non c’è niente che possa fare. ma è la forma quella che è mancata.
l’ho sentito preso da un evento a cui anch’io avrei dovuto partecipare, ma al quale, visti i problemi, ho dovuto rinunciare [non sto a dire che anche questo è un argomento delicato, per cui mesi fa aprii anche un topic, e cioè il fatto che inizialmente lui non voleva che io venissi per delle vecchie questioni].
Adesso è tornato e, forse, intuendo che ho passato una settimana di merda cerca di consolarmi, di dirmi che gli sono mancata…
Mentre io…sono più incazzata che mai, non tanto perchè è partito senza di me (cosa normale, visto che comunque io non ci sarei stata) ma perchè mi pare che il sostegno me lo dia adesso che non ha più niente da fare, e che è meno impegnato…
credetemi, sono così incazzata che neanche riesco a sentirlo al telefono.
sono sicura che se gli spiegassi perchè sono arrabbiata lui negherebbe, perchè probabilmente nemmeno si è reso conto di quanto poco sostegno mi abbia dato, e di sicuro finiremmo col litigare, fra me che gli dico come mi sono sentita e lui che affermerebbe l’opposto…
perciò non mi esprimo, non dico nulla. Mi limito a trattenere la mia rabbia, ma figuratevi se non traspare: io non riesco a fingere e francamente non voglio fingere.
e ogni volta lui mi chiede: ‘cosa hai?’, ‘sei arrabbiata?’, e la telefonata si conclude in silenzio e con una certa amarezza.

allora mi dico: sono esagerata io?

– è lecito incazzarsi per la ‘forma’ del suo comportamento: cioè il fatto che non mi ha chiesto se potesse fare qualcosa per me,se non di sfuggita,anche se materialmente NON POTEVA?

– ammettiamo il caso che nemmeno se ne accorga, visto che il suo atteggiamento è dovuto alla sua forma mentis familiare…è giusto che mi arrabbi? è giusto che gli dico quello che vorrei che facesse, anche se in fin dei conti so di non poterlo e di non avere il diritto di cambiarlo?

[in tutto questo si aggiunge il vecchio discorso che sembrava chiuso, con una certa cattiveria ho pensato ‘ma guarda il destino ha favorito lui, che all’inizio non voleva che venissi’…adesso so anche che non è giusto che tiri in ballo un argomento di mesi fa, ma intanto è più forte di me, e questo aumenta il mio risentimento]
Ray

Un pò ti capisco, è quello che sto passando io adesso.
E’ giusto, non è giusto… resta il fatto che ci sono delle cose nel vostro rapporto che non ti vanno bene.
Perché bisogna legittimare i propri bisogni? Questi bisogni ci sono e basta, e l’altro non li corrisponde.
Forse più che arrabbiarsi bisognerebbe alla fine prendere atto della realtà, se ti arrabbi è perché covi delle aspettative, e spesso con le nostre aspettative cuciamo un abito addosso all’altro che non è della sua taglia.
Le aspettative in amore, secondo me, sono la cosa peggiore del mondo. Dovremmo essere in grado di amare l’altro per ciò che è, e senza aspettative che ci fanno illudere siamo anche più capaci di conoscerlo e di vederlo, ed è più facile gestire la rabbia e le accuse che ci verrebbe spontaneo fare.
Ma il problema è e rimane nostro, non dell’altro che è come è.

– è lecito incazzarsi per la ‘forma’ del suo comportamento: cioè il fatto che non mi ha chiesto se potesse fare qualcosa per me,se non di sfuggita,anche se materialmente NON POTEVA?

è lecito fargli notare che in quel momento avevi bisogno di vicinanza e non ti sei sentita vista, in fondo una buona parola non costa nulla.
Ma alla fine sarai tu a dover decidere se la cosa comunque ti sta bene, anche per il futuro, oppure no.
E’ giusto dirgli quello che vorresti che facesse, ma se poi lui non lo fa o non è in grado di farlo sta a te decidere se accettare la cosa oppure no.
Per l’appunto non possiamo, e meno male, cambiare le persone, ma noi siamo liberi di decidere con chi stare.
Il suo passato, poi, non giustifica i suoi comportamenti.
Può aiutare a capirli, ma non a giustificarli, perché in ultima analisi siamo noi, e non il nostro passato, i responsabili delle nostre azioni odierne. Hiba

il punto è che dopo 4 anni penso sappia bene cosa voglio da lui, ma è evidente che non può darmelo.
si, è vero che noi siamo liberi di scegliere con chi stiamo…alle volte la mia pazienza arriva al limite, e se non fosse che ci sono molte cose che in lui apprezzo e che tutto sommato mi fanno credere che il nostro rapporto vada bene, mi chiederei anche io se è giusto stare insieme.
Non ho molte esperienze in amore, perchè non ho avuto poi così tanti uomini nei miei 23 anni, ma posso dire che non esiste la persona perfetta e senza difetti (se esiste buon per chi l’ha trovata!) e c’è sempre qualcosa dell’altro che dobbiamo accettare anche se non ci piace.
la sua mancanza di empatia si scontra con il mio altruismo…alle volte è dura, ma finora debbo dire che in tutte le persone che conosco, che siano amici/parenti/partner, c’è sempre qualcosa che non accetto e che si scontra con una parte del mio carattere.
Perciò, dico, va bene.
Non ho il diritto di cambiare nessuno, ma ho il diritto di arrabbiarmi? non lo so neppure. è un problema mio, come hai fatto notare;
eppure questo problema si riflette sugli altri.
la non accettazione dell’altro porta allo scontro, ma forse questo scontro con il prossimo è anche una crescita? non saprei.

è vero che il passato non giustifica il presente, ma è anche vero che il carattere di ognuno di noi è frutto delle nostre esperienze passate, perlopiù infantili.
il mio bisogno di sostegno fa parte della mia indole, e la mia indole è dovuta senz’altro al modo in cui mi sono formata.
potrei anche dire che non devo pretendere niente da nessuno quando sto male, perchè infondo nessuno è tenuto a fare qualcosa per me.
Ma per come sono fatta non riesce a entrarmi in testa, perchè se qualcuno che amo sta male mi sembra doveroso sostenerlo. questa è la mia visione. la sua è diversa.
chi ha ragione e chi ha torto?

in tutto questo mi sono calmata e stamattina ho risposto alla sua telefonata con estrema calma, forse mi è entrato in testa che ‘lui è fatto così e io non posso cambiarlo’. mi sono rassegnata? di sicuro non si può succhiare sangue da una pietra e non mi va di condurre una battaglia persa, anche se questi momenti di rabbia perchè lui non soddisfa le mie aspettative sono sempre dietro l’angolo e mi chiedo: riuscirò ad affrontarli?
può un essere umano smettere di farsi aspettative? Ray

Cara Ray,
è vero, lo scontro è molto utile nella coppia, perché crea comunque un contatto e si comunicano i propri bisogni (sempre che lo scontro non sia l’unica modalità per farlo, altrimenti sai che fatica….?).
E’ giusto accettare i difetti dell’altro, se li possiamo accettare, perché per esempio io non potrei mai accettare l’egoismo o la violenza.
Accettiamo quei difetti che dopotutto non violano il nostro sistema di valori e con cui possiamo tranquillamente convivere perché, giustamente, nessuno è perfetto (sennò sai che noia!!!).
Quando stai male è giusto cercare il conforto e la vicinanza di chi ci è molto caro, ma ad un certo punto se questo ci viene negato, non vedo perché circondarci di persone su cui non si può fare nessun affidamento.
Voi avete una visione diversa di questa cosa, io mi sentirei di dare ragione a te, perché nel mio sistema di valori c’è la com-passione per l’altro, il desiderio di aiutare quando posso. Non riesco a immaginare una visione diversa, eppure c’è, ma non mi appartiene. Chi ha torto, chi ha ragione? Non essendo saggia io non posso dirlo, so solo che per me il mondo sarebbe un posto migliore se ci importasse un pò di più del nostro prossimo!
Può un essere umano smettere di farsi aspettative?
Io ci provo, ma ovviamente ciò non significa che siccome non mi aspetto niente da lui o dai miei amici o dai miei familiari o dal mio prossimo, io debba tollerare i comportamenti che mi offendono o mi feriscono oppure smettere di desiderare amore, vicinanza e conforto, e smettere di chiedere quando ho bisogno.
Poi, secondo me, nella coppia occorre anche essere flessibili e cercare di andare incontro ai bisogni del proprio partner.
Per me vale il principio di equità, si fa lo sforzo di venirsi incontro.
Ma se questo sforzo è unilaterale? E’ giusto questo?
Potrebbe, se si ha la forza e la maturità necessarie per dare, senza nulla voler ricevere. Se si riesce lo stesso ad essere felici, a sentirsi pieni di vita e di amore.
Io purtroppo mi arrabatto nei miei limiti, e se hai letto il mio 3d conosci la mia conclusione.
Anche io potrei soprassedere su certe cose per amore suo, perché apprezzo moltissime cose di lui, ma qual è il prezzo da pagare?
Io non sto con una persona desiderosa di capire e magari di migliorare qualcosina del rapporto.
Quindi smetto di aspettarmi da lui, dopo tre anni di intenso rapporto, che condivida questi miei valori solo quando gli conviene e vado a crescere da un’altra parte.
Quanto mi costa? Mi costa non dormire la notte e trascinarmi di giorno un peso di 100 kg sul cuore, mi costa ansia, mi costa fatica, mi costa tristezza, dolore e senso di vuoto.
Ma io sono più anzianotta di te, e di esperienze ne ho avute abbastanza per capire quali sono i miei limiti e quando arriva il momento di arrendersi all’evidenza.
Anche io dopo un poco mi calmo, e le cose non mi sembrano così gravi… fino alla prossima volta! Hiba

Ciao Ray,
volevo risponderti da qualche giorno.
Credo che ci siano delle affermazioni importanti in ciò che hai scritto.
come giustamente hai evidenziato tu, ognuno di noi cresce con una propria “mappa del mondo”,data da ciò che ci hanno insegnato e che poi abbiamo vissuto.
Il che significa che spesso abbiamo modi differenti di valutare gli accadimenti e di reagire.

Quindi ci sono persone con le quali possiamo essere empatici perché ci assomigliano, anche se spesso non sapremmo nemmeno dire perché e come, e con le quali riusciamo a sentirci a nostro agio e compresi.
E ci sono persone con le quali ci risulta più difficile, perché abbiamo reazioni e visioni opposte.

Quando ci sentiamo attratti da una persona, è perché abbiamo dei punti di contatto, come avete già sottolineato anche voi, ma non solo in senso positivo bensì anche in alcuni nostri limiti.
Ad esempio, mi ha molto colpita che tu ritrovi in te un meccanismo che al tuo ragazzo è ben noto:

Posso dire che in quattro anni ho imparato a lamentarmi sempre meno, perché ammetto che la tendenza a fare la vittima ce l’ho anch’io innata

A volte il nostro modo di chiedere le cose non fa sì che l’altra parte ne recepisca l’importanza o l’urgenza, non tanto perché noi non sappiamo spiegarci o perché l’altro se ne freghi ma perché abbiamo scelto una modalità che l’altro riconosce e classifica in un modo diverso dal nostro.
E oltretutto noi valutiamo la sua risposta, o non risposta alla nostra richiesta, ancora secondo il nostro modo di vedere e percepire le cose e non attraverso quello dell’altro.

Quando valutiamo una persona, possiamo dire cosa di lei non è sulla nostra lunghezza d’onda, cioè valutare il suo comportamento rapportandolo a noi, alla nostra visione soggettiva, tenendo questo ben presente però.
Altrimenti stiamo giudicando l’altro basandoci sulle nostre convinzioni.
Non so se davvero il tuo ragazzo non sia empatico con nessuno: è certo che, almeno su questo aspetto che ci hai raccontato, non lo è con te.

Può essere però che le modalità di chiedere che tu hai siano molto simili a quelle da lui conosciute in precedenza e che lo inducono a pensare che tali richieste siano meno gravi del reale?
Penso a mio padre, al suo modo melodrammatico di chiedere qualsiasi cosa, per cui al mio orecchio e al mio cuore, le sue richieste risultano sempre falsate.
Se qualcun altro mi chiedesse le stesse cose, in modo diverso, più pacato, meno enfatizzato, sarei maggiormente disposta ad accoglierle.
Se me le chiedono nel suo stesso modo, resto sempre perplessa.

Questo non per dire che tu sia melodrammatica (spero di essermi spiegata) ma che di fronte alla stessa modalità, a prescindere da chi la effettua, io reagisco in modo simile.
E mi chiedevo se questo non potesse essere il caso anche del tuo ragazzo.

Come del resto, è evidente che di fronte ad una richiesta di aiuto,tu agisci secondo uno schema a te famigliare e ti aspetti dagli altri la stessa reazione.
Perché questo significherebbe esprimere in un codice a te noto, vicinanza e supporto.

Hai provato a spiegare a lui ciò che hai sentito nello stesso modo in cui l’hai fatto con noi?
Senza farlo sentire “sbagliato” o sentendotici tu, ma semplicemente sottolineando la vostra diversità, nell’ottica di comprendervi?
Se poi risulta che siete troppo diversi per capirvi e venirvi incontro, allora spetterà a te decidere quanto questo aspetto possa gravare sulla vostra relazione.

E’ importante che noi riusciamo a comprendere il modo che gli altri hanno di reagire e interpretare, senza giudicare ma spiegando loro la nostra mappa.
Credo che sia un passaggio necessario in qualsiasi relazione, ed in particolare in quelle di coppia, poiché in questo modo si riesce a farsi capire e a capire e anche a parlare una lingua più simile.

può un essere umano smettere di farsi aspettative?

Non credo che un essere umano possa o debba smettere di farsi aspettative: forse si tratta solo di avere le aspettative più corrette per noi.
Si tratta, magari, di volgere la aspettative su noi stessi piuttosto che sugli altri.
Se ci aspettiamo che gli altri siano come noi vorremmo, ci stiamo ancora infilando in quel pericolosissimo tunnel che conduce a volerli cambiare.

Credo che alla fine sia importante imparare ad accettarsi e ad accettare gli altri e questo significa anche il dover prendere atto, a volte, che si è troppo diversi per poter stare bene insieme.
Tuttavia, un conto è decidere questo accogliendo pienamente l’altro e noi stessi; un conto è farlo perché l’altro non si comporta come noi, dando a questo una valenza negativa assoluta.

Nessuno di noi è esente dal rischio di ferire: anzi, tutti abbiamo ferito una persona che amiamo, almeno una volta nella vita, anche non volendo.
Che sia stato un genitore, un amico, un parente, il nostro compagno/a.
E questa consapevolezza è molto importante perché serve a comprendere che gli altri possono sbagliare proprio come possiamo sbagliare noi.
Ci aiuta ad amarci per ciò che siamo, ad accettarci e ad accettare, di conseguenza, anche gli altri.

A volte semplicemente le persone sono diverse da noi e questa diversità ci porta confusione se cerchiamo di valutarli attraverso ciò che faremmo noi.
A volte queste diversità sono appianabili, se si riesce ad avvicinarsi; altre volte si è talmente diversi che questo non è possibile.

E non si tratta di comprendere chi è giusto e chi è sbagliato ma solo cosa è bene per noi.
Molte di queste riflessioni sono il frutto delle sedute di terapia di coppia: non so se e quanto tu ti ci possa ritrovare o quanto possano esserti utili.
Spero che in qualche modo lo possano essere.

Un abbraccio Zebretta 

Ciao a tutti, questo post è davvero molto interessante e illuminante.

Io credo che accettarsi e accettare l’altro è una forma di equilibrio del rapporto è vero… ma se l’altro chiaramente non ti accetta con tutte le tue belle qualità e anche i difetti?

E’ chiaro che se io che ho l’accettazione di me e accetto l’altro e mi impegno quando si crea una certa situazione a “vedere” anche con gli occhi dell’altro perchè essendo due persone distinte (ognuno ha il suo modo di vedere e sentire le cose e bisogna reciprocamente accettarle anche se non le si condivide) e quindi qui entra anche in gioco l’empatia, oltre all’accettazione dell’altro…

Ma se l’altra parte non ha fatto questo percorso e quindi non ha tale consapevolezza… quell’equilibrio necessario nella coppia non si viene a creare…

La mia domanda è: Perchè io dovrei ” continuare a giustificare” la persona per tutta una serie di cose che sono la sua provenienza famigliare, il suo vissuto, la sua non empatia, ecc ecc. insomma : il suo carattere e accettare situazioni (come quello di non starmi accando in un momento mio di bisogno) situazioni che comunque mi fanno soffrire e che col tempo genererebbero astio nei confronti dell’altro.

La coppia non è forse equilibrio, vicinanza, sostegno, amore, e tutta una serie di cose fondamentali per il rapporto e la sua crescita… pur mantenendo la cosiddetta “distanza” per non rischiare di farla scoppiare?
Suete

Cara Suete,
non credo che empatia e comprensione si traducano in giustificazione .
Se si giustifica l’altro per il suo dolore, per i suoi problemi, non si lo si sta amando perchè non gli si sta dando la possibilità di prendersi le proprie responsabilità, quindi di crescere.

Accettare l’altro presuppone prima di tutto saper accettare se stessi.
E nel momento in cui riusciamo ad accettarci e ad accoglierci pienamente (o quantomeno sufficientemente) non abbiamo più bisogno di giustificare l’altro, perchè se lui ci ferisce siamo in grado di poterlo esprimere e di parlarne senza temere fini catastrofiche ed accettando che, se non si sta bene insieme, una relazione può anche, tra le altre cose, terminare.
Questo perchè bastiamo finalmente a noi stessi e dentro di noi nasce il desiderio di stare con qualcuno nella misura in cui con questa persona ci sentiamo appagati ed in sintonia, ci sentiamo accolte, ci sentiamo in equilibrio, pur con tutti i problemi che s’incontrano nella vita, di coppia e non.

Subire la non empatia dell’altro, accettare dei compromessi che ci fanno vivere con malessere la relazione non vuol dire accettare l’altro, vuol dire secondo me non accettare abbastanza noi stessi e quindi offrire un’immagine eccessivamente accondiscendente. Questo perchè dentro di noi abita una convinzione subdola e irrazionale ci fa credere di non poter meritare amore se diciamo no, se chiediamo rispetto, se chiediamo di essere accettate per come siamo (con nostre esigenze, gusti, modi di essere in tutti i sensi possibili) e se chiediamo di cooperare per il benessere della coppia, lasciando l’altra metà delle responsabilità all’altro.

Se l’altro non riesce ad apprezzare ciò che siamo in tutta la nostra interezza, anche nei nostri lati deboli, se non riesce a stare bene con noi per via del nostro modo di essere, di certo non ne ha colpa. Ma non può pretendere di restare con noi e nello stesso tempo lamentarsi per come siamo (non so se questo è il tuo caso), oppure sentirsi giustificato nel non “dare” (che si traduce in mille cose, tra cui ascoltare, accogliere l’altro) per via del suo dolore, del suo passato, della sua famiglia.

Gli altri decidono cosa fare della propria esistenza, può essere che incontriamo e viviamo persone che non sono in grado o non hanno voglia di mettersi in gioco davvero e di superare le loro paure, i loro limiti, le loro ferite, ma noi non possiamo certo lavorare su questo.

Come sempre, possiamo invece compiere il medesimo lavoro su di noi e possiamo prendere delle decisioni in merito alle nostre relazioni. Accettare che l’altro è fatto in un certo modo non implica necessariamente di dovergli rimanere accanto; può voler dire anche lasciarlo andare, se non ci sta bene com’è.
Dire “lo accetto” e poi in realtà soffrire per quello che l’altro è in grado di offrirci ed incaponirci affinchè lui ci dia altro, o in un altro modo, si traduce in “sperare che in qualche modo cambi”= “non accettare”.
Quantomeno il suo modo di amarci.

Ma questa è un’utopia. Se anche l’altro decidesse di affrontare un viaggio di cambiamento, questo sarebbe un percorso lunghissimo e lento e non muterebbe completamente il suo modo di essere.

Comprendere l’altro vuol dire prendere atto di una sua difficoltà, di un suo limite, del suo dolore. Ma questo non ci deve far sentire in obbligo di condividere il suo modo di relazionarsi.

Giustificarlo , invece, significa non concedergli in fondo la dignità di uomo che, se vuole, può cambiare la sua vita, il suo modo di porsi. Significa trattarlo come un bambino, avere bisogno di lui in un certo senso come se fosse un bambino da indirizzare.
Ma questo è ben lontano dall’amore maturo.
E contiene al suo interno una paura terrificante di esprimersi per quello che si è, di chiedere esplicitamente di essere amati esattamente per quello che si è. E senza barattare questo con l’accondiscendenza, la giustificazione, la sottomissione, la presa in carico materna o psicologica, che non spetta a noi.
Un abbraccio Yana

Grazie Yana…
Credo ora di avere le idee un po’ più chiare…

Ed è vero che ognuno ha il suo modo di amare proprio perchè è una persona a se stante… e accettare un modo di amare e di relazionarsi diverso dal nostro e che non ci faccia soffrire vuol dire accettare l’altro per quello che è senza voglia di cambiarlo… e laddove noi non ci troviamo e non ci sentiamo a nostro agio all’interno di un rapporto dobbiamo semplicemente decidere quello che è meglio per noi… E questo richiede una grande autostima e forza che nasce solo dentro di noi…

E’ tutto vero.
Ma nella vita di tutti i giorni e nella pratica credo che non sia sempre così facile.

Credo che anche la persona con la più grande austostima, le idee chiare e con tanta forza soffra per le mancanze e la non vicinanza (in situazione che lo richiedono) dell’altra parte…e questo non credo che significhi che non si accetti l’altro per quello che realmente è…
Semplicemente non ti lasci schiacciare da questo proprio perchè alla base hai una tua forza …. ma non credo che l’accettazione dell’altro ci lasci sempre immuni dalle sofferenze…
Suete

Ciao Suete,
Non penso che accettare se stessi e gli altri, crescere, migliorarsi, capirsi, conduca ad una sorta di paradiso dove si è immuni dalle sofferenze
Questa sarebbe un’altra utopia, esattamente l’altra faccia della medaglia, per quanto riguarda la paura: credere di poter tenere i legami e i sentimenti sotto controllo ed arrivare un giorno a non soffrire mai.
Ma questa è la stessa motivazione di base che muove le nostre stesse paure, il nostro stesso modo disequilibrato di relazionarci (qualora ci sia): tentare di attuare strategie per eludere il dolore.

E’ chiaro che tutti (anche le persone piu equilibrate e forti) preferirebbero non soffrire.
Quanto di noi fa parte della nostra distruttività appartiene comunque a caratteristiche umane.
Tutti gli esseri umani preferiscono la gioia al dolore, a tutti non piacciono la solitudine, la paura, l’abbandono, il rifiuto, la tristezza. Tutti hanno tratti narcisisti e dipendenti. E’ la natura umana.
Semplicemente chi contiene dentro di sè delle fratture profonde che non sono state affrontate e risolte, chi ha un’autostima molto bassa esprime, in base al tipo di ferite e all’esperienza vissute, una qualche debolezza umana aldilà della soglia della normalità (dove “normale”, che non sarebbe la parola adatta, significa solamente “costruttiva o tesa al proprio benessere”).

Conoscersi e relazionarsi è una cosa complessa per chiunque, ma come dici tu chi ha dei vuoti nella propria autostima incontra più difficoltà.
Crescere dove la nostra maturità affettiva ed emotiva è stata arrestata significa prendere consapevolezza ed imparare, attraverso un difficilissimo e lungo percorso, a colmare quei vuoti che ci fanno istintivamente agire contro la nostra stessa serenità.
E non solamente nell’ambito delle relazioni.

Parlo sempre in riferimento al benessere , e non alla “perfezione” o all’ “assenza di dolore nella vita”, che sono cose che non esistono.
Accettare , fra le varie cose, significa anche prendere atto prorpio di questa realtà.
Credo però che quando qualcosa, come una relazione (momento in cui le nostre debolezze emergono maggiormente), ci fa sentire persi, infelici, non sereni, inadeguati, dipendenti e quant’altro ci sia qualcosa che si può curare dentro di noi.
Un abbraccio

Yana

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

SCELGO ME e LA FUGA VERSO ALTROVE

Tratto dalla discussione del forum “scelgo me!” (forum “fine di un amore”)

Autore: v_veronica07

Sezione: Messaggi di Speranza

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Ciao a tutti,
è la prima volta che scrivo anche se conosco questo forum da oltre un anno. La mia relazione a distanza si è appena conclusa (anche se temo che non fosse mai iniziata…). Ho 38 anni e sin da piccola un unico romantico sogno…una mia famiglia! Durante lo svolgersi della mia esistenza ho accumulato esperienze che erano il riflesso della mia convinzione interna:l’obiettivo di una famiglia è per me impossibile. Non ne sono capace. Ed ho fatto di tutto per dimostrarmelo. Unicamente attratta da uomini sfuggenti, indifferenti, immaturi, incapaci di dare. A 27 anni mi sono resa conto, dopo la lettura del libro della Norwood, di essere affetta da dipendenza affettiva. Segue psicoterapia di 5 anni con una psicologa e di altri 3 anni con psichiatra…ambedue utili a livello di acquisizione di consapevolezza ma nulla di più. Con enormi difficoltà, abitando in una piccola provincia del sud dove l’amore che fa soffrire è assolutamente normale, creo un gruppo per donne con dip affettiva che ha breve vita dato che era composto da solo 4 donne peraltro neanche molto motivate.
E quindi veniamo alla mia ultima “storia”. Lo conosco in chat oltre un anno fa. Fu subito passione. Lui separato, 2 figli e appena uscito da una storia di 2 anni. Mi convinco che è affidabile nonostante sia fantastico quando stiamo insieme ma scompaia non appena ritorna nella sua città. Poi dopo un mese, alla vigilia della nostra prima lunga vacanza insieme, mi lascia per tornare con la sua ex. Decido di non sentirlo più. Dopo 2 mesi torna da me dichiarando di avermi sempre pensato e che vorrebbe stare con me “seriamente”. L’idillio dura 2 mesi durante i quali si rifiuta di farmi conoscere i suoi figli, perchè da troppo poco tempo si è lasciato con la sua ex e mi nasconde a sua sorella ….sembriamo amanti clandestini. Infine non si fa sentire…lo sorprendo a chattare con altre e lo lascio. Il tutto con enorme dolore. Mi fa sentire rifiutata, la mattina mi sveglio (se riesco ad addormentarmi) con una forte ansia. Trascorre l’intero inverno e a giugno ricompare dichiarando di non volere storie al momento e raccontandomi che negli scorsi mesi era ritornato per la terza volta con la sua ex facendo in tempo a firmare un compromesso per l’acquisto di una casa in cui vivere con lei, poi per una sfuriata di lei si sono lasciati. Io sono molto fredda e distaccata e più lo sono e più mi corre dietro fino ad offrirmi una crociera insieme a titolo risarcimento danni per la vacanza che l’anno prima non avevamo mai fatto. Non senza titubanze accetto. Solito film lui è presente e affettuoso finchè siamo insieme, sempre che non senta da parte mia alcuna richiesta, e appena distanti diventa irraggiungibile. Al ritorno dalla crociera mi confessa di essere un pò malinconico perchè ricorda solo i momenti più belli trascorsi con la sua ex e che gli fa bene sentirla per ricordarsi l’impossibilità della loro relazione. Mi sento usata e glielo dico. Lui afferma che ho equivocato. Di nascosto guardo i messaggi sul suo cell e scopro che manda gli stessi sms a me alla sua ex e ad altre 2 donne. Dopo un meraviglioso weekend trascorso insieme, con lui amorevole come non mai, lo ritrovo in chat. Nel suo profilo ha messo una foto in cui eravamo insieme naturalmente epurata della mia immagine. Uso questo ultimo dolore per trovare la forza di troncare e scompaio per un paio di giorni. Mi manda un sms in cui mi dice che suo padre è molto grave ed è ricoverato in ospedale. Lo chiamo, gli sono vicina. Lo rassicuro, gli dò tutto il mio calore. Il giorno dopo (oggi) lui di nuovo in chat, con quella foto. Gli faccio presente che mi ha dato un dispiacere mettendo proprio quella foto. Non mi risponde.
Fine del terzo atto BASTA!
E ci vuole coraggio e forza per non rispondere alle sue richieste di aiuto e scegliere per una volta ME.
Scegliere l’immancabile vuoto, i sensi di colpa, l’ansia, la solitudine e l’inferno che conosco bene. Ma rimane poco tempo ed il mio sogno da realizzare e una battaglia tutta mia da combattere …quella contro la vocina interna che dice “non ce la fai, non è per te”
Chiudo con una frase che ho letto oggi “Dì a te stesso dapprima che vuoi essere; poi fa di conseguenza ciò che devi fare” Epitteto.
Un grazie a tutti per l”ascolto”

v_veronica07

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Tratto dalla discussione del forum

“La fuga verso “Altrove” ovvero mi presento”

Autore: Skara

Sezione: Messaggi di Speranza

Selezione a cura di Carlotta Onali

Dopo aver interagito un poco con voi, aver letto moltissimo, mi sono resa conto di non essermi presentata, ma di aver lasciato qua e là qualche orma sulla mia storia.

Famiglia difficile la mia, povera di tutto, soldi, affetto, cultura, una crescita con nonna e zia dai due anni ai dodici, del prima nulla si sa per certo le versioni sono discordanti, due anni fino ai 14 con dei genitori ricomparsi dal nulla, violenza e abuso pane quotidiano, nasce la fuga verso “altrove”, da casa con l’aiuto di un assistente sociale e il rientro ad una vita più serena, pare tutto vada bene studio, mi diplomo, mi laureo, trovo un lavoro stabile, ma nel frattempo passano gli anni e a 38 dopo l’ennesima ricaduta in una storia “persa” già in partenza, l’inizio della terapia che mi ha condotto fino a voi.

Apparentemente tutto scorre, c’è il lavoro, il mutuo, ma nel frattempo ho traslocato 14 volte, cambiato 7 città, perchè “altrove” ovvero io, neppure sapeva di fuggire, pensava solo di essere una dinamica donna nell’era della flessibilità, invece era sempre una fuga, dai rapporti, tre storie importanti in 40 anni di vita, tutte segnate, a vederle ora dopo due anni di analisi, dall’infattibilità di ognuna.

“Altrove” ha scoperto alla non piccola età di 40 anni che ha sempre avuto paura delle relazioni, che dentro le riecheggiano o come abbandoni o come violenza, quindi o si evitano scegliendo accuratamente persone complesse, ad incastro mirabilante con le proprie nevrosi, uno molto grande da fanciulla, un peter pan da adulta, uno sposato nella maturità, o peggio scelte in modo da far risuonare quella corda mai ricucita della ferita antica.

Vivo così la mia duplicità adesso, consapevole che il mio funzionamento adattivo e sociale è buono, il mio mondo affettivo un deserto, che anche io ho contribuito a creare. Cosa farò di questa consapevolezza non so, forse le emozioni ed i sentimenti non si riallineeranno mai con il pensiero, però ora scatta la campanella d’allarme, e tolto il carro armato con cui ho superato senza dubbio difficili traguardi, finalmente sento che ho anche un anima, piena di bellezza e desolazione, che trema e palpita, ho scoperto cosa voglia dire sentirsi, sentire se stessi.

E poi ho scoperto voi, tanti, diversi, vivi.

Una carezza

Skara

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

IL RESTO E’ NELLE NOSTRE MANI

Tratto dalla discussione del forum “….il resto è nelle nostre mani….” (forum “fine di un amore”)

Autore: Dana

Sezione: Messaggi di Speranza

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Ciao amici miei,
ogni tanto sento la voglia di scrivervi, non so bene perché e, a volte, non so neanche bene cosa… Così, spesso, decido di lasciar perdere e mi limito a leggervi. Ma oggi no. Oggi ho il cuore in subbuglio e, anche se mi appresto a scrivere in modo sconclusionato, ho deciso di non reprimere quest’impulso e lasciare che le mie dita si muovano su questa tastiera sull’onda dell’emozione più che del pensiero.

Sono innamorata. Ecco. L’ho detto. Semplice e conciso. L’amore ha bussato di nuovo alla mia porta. Ed è magnifico…

Conosci un ragazzo, inizi a parlarci, a frequentarlo, il rapporto si stringe, diventa un’amicizia “molto speciale” (cerchi di chiamarla così…o almeno ci provi) e poi….e poi non te lo sai spiegare perché le regole dell’attrazione funzionano in maniera a noi sconosciuta, ma smetti di pensare a lui come all’amico speciale. Non sai bene come e quando è successo, sai solo che ora lui è la prima persona a cui pensi al mattino e l’ultima che ti accompagna mentre sei lì lì per abbandonarti al sonno.

Iniziare una storia è una bella sensazione. E’ sempre così…beh, sì dai…altrimenti non la inizieresti proprio… Ma scoprirsi innamorati è un colpo al cuore. Sarà che l’ultima volta che mi sono sentita così avevo 17 anni…ma avevo dimenticato cosa volesse dire il passaggio dal “mi piace” al “sono innamorata di lui”…cosa volesse dire ammetterlo a sé stessi…..ma soprattutto dirlo A LUI.
Fare uscire quelle parole dopo che per giorni hanno vagato tra la mente e il cuore, provocando strane fitte allo stomaco…è stato un momento che non dimenticherò mai.

Stavolta è successo ad un’età e dopo la fine di un’esperienza che mi hanno consentito di vedere le cose in un’ottica diversa. Più consapevole. Ho detto per la prima volta “ti amo” da adolescente… quando pensavo ingenuamente che ogni cotta era amore. Poi con quel ragazzo sono stata 11 anni. Non so se quel primo “ti amo” fosse la misura dei miei reali sentimenti di allora. So solo che negli anni il sentimento è cresciuto e si è consolidato e che quelle due parole hanno avuto un senso per molto molto tempo. Poi quella storia è finita e per un attimo ho persino pensato che, se è vero che l’Amore, quello con la A maiuscola, è così raro, se è vero che lo provi una volta, se ti va bene, e che a qualcuno non è dato di provarlo mai…beh, per un attimo ho pensato che allora mi ero giocata la mia occasione….che il destino non mi avrebbe concesso una seconda possibilità. Perché avrebbe dovuto?

Questi pensieri li ho condivisi un po’ con voi quando sono approdata su questo forum e mai avrei pensato che dopo 7 mesi avrei potuto scrivere un post come quello che sto scrivendo oggi.
Perché vi dico tutto questo? Principalmente perché ho voglia di condividermi, e poi perché tra le righe dei messaggi che leggo si nasconde troppo spesso una mancanza di fiducia nel domani. Mancanza di fiducia che mi apparteneva qualche mese fa e che, ricordo bene, era una delle principali fonti di sofferenza.

La fine della mia relazione, alla luce delle riflessioni che ne sono seguite, era imminente e inevitabile. Non me n’ero accorta perché ero “distratta” dalla convinzione che dopo 11 anni i giochi erano fatti. Avevo trovato il vero amore, avevo un progetto di vita, avevo delle ambizioni, avevo delle certezze. Certezze che qualunque cosa potesse succedere il nostro essere “una coppia” non sarebbe mai stato messo in discussione. Quanto mi sbagliavo… E non lo dico con rimpianto o rammarico. Lo dico semplicemente constatando che nulla viene da sé, nulla è immutabile, nulla è prevedibile, nulla è immune…La mia sofferenza di allora, l’ho compreso più tardi, era legata, sì, alla perdita dell’uomo che amavo…ma soprattutto al fallimento di un progetto, al fatto che ero impreparata a veder cambiare il mio mondo, la mia certissima e rassicurante realtà.
Ecco il perché dei miei tentativi estenuanti di recupero… Ma poi mi sono arresa all’evidenza dei fatti: non si può costringere qualcuno ad amarci. Nel momento stesso in cui ho capito che dovevo andare avanti con la mia vita ho smesso di pensare alla possibilità di un suo ritorno e cominciato a pensare al come e al perché eravamo arrivati a quel punto, per poter ricominciare la mia vita con una nuova consapevolezza….per poter fare tesoro dell’esperienza e dare un senso a tutto quel dolore.
Risultato? Tutta colpa mia come voleva farmi credere? No. Responsabilità condivise. Ognuno ha fatto il suo e le cose sono andate così. Amen. L’importante è imparare dai propri errori.

Un’amica mi ha detto: “l’atto d’amore più grande che ha fatto nei tuoi confronti è stato lasciarti. Con lui vivevi al di sotto delle tue potenzialità”. Sul momento ci sono rimasta di sasso. Poi dal nulla, quando meno me l’aspettavo, la vita mi ha regalato qualcosa per cui essere di nuovo felice…e pensando a tante lacrime versate, l’unica cosa che mi viene da fare ora è sorridere. Ho smesso di aspettare il suo ritorno e questo mi ha permesso di vedere al di là del mio naso quello che di bello stava per succedere. Gli sono andata incontro, sono andata incontro alla vita, e ora sono felice. Ora le parole della mia amica suonano chiare, cristalline. Ho recuperato me stessa e mi sto esprimendo senza vincoli avendo di fronte una persona che non fa altro che accogliermi e donarsi.

Si chiama amore? Non so, probabilmente lo è…..io l’ho chiamato così. Ma dare un’etichetta a quello che provo è l’ultima cosa che mi interessa. E’ sicuramente libertà, è condivisione, è supporto, è emozione, è attrazione, è fiducia, è impegno, è speranza, è amicizia, è vicinanza, è contatto, è promessa….è VITA!!!

Volevo condividere tutto questo con voi, miei compagni di viaggio, perché, al di là dell’ormai acquisita consapevolezza che niente va dato per scontato, l’altra lezione che ho imparato da quello che mi è successo è che solo alla morte non c’è rimedio. IL RESTO E’ NELLE NOSTRE MANI.

Un abbraccio sincero

Dana

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

IL LUNGO CAMMINO DEL PERDONO

Tratto dalla discussione del forum “ll lungo, lunghissimo cammino del perdono”

Argomento: Perdono

Autore: Zebretta

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Oggi è un giorno particolare per me: esattamente un anno fa mio marito mi ha confessato la sua relazione extraconiugale; un anno fa quella storia è finita….ed è cominciata la mia.
Non ha confessato spontaneamente: l’ho costretto quando ho scelto di smettere di non vedere.
Ricordo tutto di quel giorno: lui che tra le lacrime confessava una storia con una donna che non amava e che ciononostante non era riuscito a chiudere;il tempo; che ora era ed il silenzio…
Sono rimasta seduta sul divano incapace di dire e provare nulla.
L’unica cosa che sono riuscita a dirgli è stata : “non toccarmi”; dopo mesi di dolore, di disperazione, di annullamento di me stessa ho visto per la prima volta il dolore nei suoi occhi.
Ho passato il pomeriggio a parlare con una mia amica, sbrodolandole letteralmente addosso quello che avevo tenuto per me tanto a lungo e lei mi ha detto che ci avrei messo tanto tempo a guarire:” tra un anno sarai ancora qui a cercare di riprenderti”.
Un anno?! No no, un anno così io non lo passo….

Beh, è passato un anno, mi è passato sotto il naso senza che nemmeno me ne accorgessi.
E’ stato così pieno e così intenso che sembra ne siano passati dieci.
Della donna che ero è rimasto poco e su quel poco ho dovuto lavorare tantissimo, rimettendo in discussione tutto di me stessa, di mio marito e del nostro matrimonio.
La cosa buffa è che io ero convinta di essere una donna lineare,con un’idea estremamente radicata e ferma di cosa è giusto e cosa è sbagliato e invece adesso mi ritrovo a fare i conti con una persona complessa, con idee complesse.
E’ come percepirsi non più ad una sola dimensione ma tridimensionale.
Ho ancora tanto da scoprire di me perché sento di avere solo dato una prima piccola occhiatina dell’universo immenso che c’è dentro di me.
Questo da una parte lo trovo molto bello e stimolante, dall’altro mi spaventa.
E’ meraviglioso scoprire di possedere risorse a noi ignote ma proprio questa non conoscenza di sé implica anche non conoscere bene tutti i propri limiti e le proprie incapacità.
Ma non posso e non voglio tornare indietro.

Oggi sono ancora qui, con mio marito: è lui che mi tiene per mano, lui che mi dice che ce la possiamo fare e che mi consola nei, seppur rari oramai, momenti di crisi.
Sicuramente abbiamo camminato tanto e siamo cambiati altrettanto ma siamo anche consapevoli delle difficoltà che ancora dobbiamo affrontare.
Proseguire la nostra storia necessita il perdonare e perdonarsi.
Lui ancora non si è perdonato: per un certo verso questo mi rassicura.
Indubbiamente non è giusto ma mi da la certezza del suo essere in grado di percepire l’errore commesso.
D’altronde mi rendo conto che mi aggrappo a questo facendone una sicurezza per il nostro rapporto: ma non è sano.
Sarebbe opportuno che si perdonasse, che imparasse ad accettare che non è perfetto ed anche io dovrei fare altrettanto.

Ultimamente il tema del perdono è emerso più volte nel corso di varie discussioni e mi sembra importante affrontarlo, per lo meno io lo considero importante forse perché mi ci sto confrontando pienamente.
Ho postato qui perché credo che sia un processo necessario in tutte le storie relazionali, sia che siano finite o ancora in corso.
Ma più che altro per capire come arrivare a perdonare è necessario capire cosa è veramente il perdono

Spesso infatti si tende a confondere il perdono con la riconciliazione ma sono due atti totalmente autonomi.
Perdonare significa riuscire a vedere i limiti di chi ci ha ferito, ridargli una dimensione più reale, di persona con pregi e difetti, comprendere senza per questo giustificare.
E’ un atto che richiede profondo equilibrio interiore nonché l’accettazione profonda di noi stessi.
Comprendere ed accettare i nostri difetti e le nostre fragilità ci permette di farlo poi con gli altri.
Perdonare non significa dimenticare ma far sì che il passato non continui a ferirci, ricordare senza provare dolore.
In quest’ottica il perdono non è qualcosa che serve a chi ci ha offeso per liberarsi delle sue responsabilità ma innanzitutto un processo per liberare noi delle conseguenze dell’offesa che abbiamo ricevuto.
Non è facile perché molto spesso crediamo di aver perdonato e non è vero.

Io ho capito di non averlo fatto ancora veramente perché non riesco a ricordare senza provare dolore o rabbia in alcuni momenti.
E quando non perdoniamo l’offesa rivive nella nostra mente e nel nostro cuore continuando a ferirci.
Sono cosciente di ciò che mi impedisce di perdonare: sono arrabbiata con me stessa per avergli permesso di ferirmi e non mi fido più della mia capacità di giudizio.
Comprendo che questo mi porta sempre al punto di partenza: la scarsa accettazione di me stessa e la conseguente scarsa autostima.
Non so dire in che misura essa fosse comunque presente prima di questa dolorosa esperienza e quanto questa abbia contribuito nell’acutizzarla ma so quanto sia difficile recuperarla.
Cercando di salvare il mio matrimonio ho lavorato, sto lavorando molto sul tema del perdono.
Certo alla fine dovrò trovare dentro di me la forza e la capacità di perdonare, me stessa in primo luogo e so che la strada è ancora lunga.
Tuttavia nel lungo cammino di questo anno il confronto in questo forum mi è stato di grande aiuto e penso che il possa esserlo anche su questo tema.
Ho cercato di condensare in poche righe un argomento così difficile ma poi un post troppo lungo magari può essere faticoso da leggere.
Spero che ne nasca un terreno fertile di discussione …..
Un abbraccio a tutti

Zebretta 

ciao zebretta… dopo aver letto il tuo racconto ci sono in me sentimenti dolorosi e contrastanti: solidarietà, tristezza per quanto ti è accaduto, gioia per aver letto che il tuo matrimonio continua e che tuo marito ti tiene per mano, rammarico e delusione per il ricordo di quanto accaduto a me.
A suo tempo avevo scoperto la tresca e mettendo insieme i pezzi avevo capito quanto era successo. In quel momento ho provato una disperazione che mai avevo provato prima e che mi ha segnato permanentemente in quanto da quel momento una parte di me è cambiata, si è spenta… non sò come descriverlo. Il dolore più grande era, ed è, quando nella mia testa rivivevo i momenti in cui lei era l’oggetto del desiderio, coronato, di un’altro (lo conoscevo pure).
Ho chiesto, voluto ascoltare il suo racconto nel dettaglio per tranquillizzarla, consolarla, liberarla, capire come fosse potuto accadere. Era sera e quella notte mi chiese di dormire semplicemente con lei (ci eravamo lasciati e non ci vedevamo da diversi giorni). Una notte infinita, tormentata, con la voglia di andarmene per la sofferenza che provavo, e il desiderio di restare perchè potevo ancora guardarla mentre dormiva.
In seguito, anche lei rimase segnata da quanto accaduto e io rimasi paziente, cercando di essere il più dolce e sensibile possibile. Rimasi in attesa che le cose migliorassero, che lei superasse i suoi blocchi e le sue difficoltà… per 4 anni! 4 anni che ora mi rendo conto furono devastanti per me, per la mia persona, per la mia autostima. Per tutto quel tempo mi sono annientato: ho vissuto per lei, per far star bene lei, per far ripartire in nostro rapporto. Ho lasciato perdere tutto per concentrarmi su noi, per tornare ad essere felici. 4 anni in cui credevo di aver perdonato ma in cui in realtà soffrivo, il ricordo (frequente) mi logorava, la rabbia per la non curanza del mio dolore cresceva dentro di me. Gli sforzi infiniti per accontentarla, risultare unico, migliore, valido, amabile.
Sorrido ironicamente nel pensare che per 4 anni ho atteso instancabilmente mentre lei si curava unicamente dei fatti suoi! Il comportamento da me adottato doveva essere il suo e viceversa. Invece il mio donarmi agli altri, in particolar modo alla persona che più amavo al mondo, unito al suo egoismo hanno ribaltato quanto doveva naturalmente essere.
A differenza tua zebretta, una volta capito il suo tradimento ho cercato di comprenderla e perdonarla: questo è stato il più grande errore che potessi commettere. Così facendo, lei si è liberata del fardello che portava, passandolo interamente a me, per poi lavarsene le mani: non mi ha mai chiesto perdono, scusa, non ha mai capito quanto mi avesse fatto e quale tremenda agonia stessi vivendo. Non ho mai avuto il piacere di essere preso per mano, consolato, confortato, mai, neppure una volta in tutto questo tempo.
In conclusione, mi ha lasciato: stesso copione di quel tradimento, solo che questa volta ha voluto andare oltre a quello che sostanzialmente fu una notte e via, e mossa dal desiderio di innamorarsi nuovamente, provare forti emozioni mi ha lasciato. In quel momento la gelosia nel pensare lei ancora tra le braccia di un’altro e la rabbia per tutto quello che ho dovuto passare per cercare di farla stare bene mi stavano facendo impazzire e ancora non l’ho superato completamente.
Questo accadde un anno fa e, come per te, pare sia volato in un batter d’occhio: sembra ieri che mi diceva di non amarmi più. Ma allo stesso tempo, se ripenso al ragazzo che ero, ai sentimenti che provavo sembra passata un’eternità.
Ora ho paura di esser diventato più freddo, più razionale e distaccato, più attento a non essere ferito e di conseguenza più distratto, assente nei confronti di chi mi affiancherà nel prossimo futuro.
L’augurio, per entrambi, è che tutta questa sofferenza si traduca in qualcosa di meraviglioso.
Un abbraccio,

Flender


Dal punto di vista etimologico perdonare significa concedere un DONO: è così in tutte le lingue, dall’inglese ‘forgive’ al francese ‘pardonner’ ed al tedesco ‘vergeben’. Non sono molte le persone predisposte all’atto di donare, ed anche se dal punto di vista etico o religioso si può essere d’accordo sul principio,…………… metterlo in pratica è tutt’altra cosa
Il perdono implica la propria liberazione da un nemico interno, costituito dall’odio.
L’odio, come l’amore, è un sentimento molto forte, che può legare indissolubilmente ad una persona e che dunque fa si che l’offensore sia sempre nei pensieri dell’offeso, nei suoi ricordi, nei suoi progetti.
L’odio crea una dipendenza.
Un forte abbraccio

Ros

Ciao Zebretta.. Ho pensato a lungo su cosa potere scrivere in risposta a questo tuo bellissimo thread e non so se sarà appropriato.
Leggendoti ho pensato al perdono e mi è venuto in mente mio papà. Il percorso che mi ha portata al perdono adesso mi sembra semplice ed inevitabile( ehmm ci sono voluti un po’ di anni). E’ come se semplicemente avessi seguito una strada che era già segnata. Il perdono è stato per me la trasformazione dall’odio all’amore.
Poi ho pensato al mio ex…. Mi ha fatto molto male e gli ho portato molto rancore. Ma poi sono giunta all’indifferenza… dal rancore profondo sono giunta all’accettazione capendo che quell’uomo è più malato di me e che non avrebbe mai potuto amarmi come io desideravo. L’ho scelto apposta! Questo è perdono? Non so
Penso al padre di mia figlia. Non lo perdono. Razionalmente mi dico che lui è fatto così e non potrò mai cambiarlo ma solo accettarlo per quello che è.. ma non riesco ad accettarlo.. mi fa ancora troppo male il suo comportamento.
Perdono? Anche nel suo caso forse dovrebbe essere accettazione.. forse anche affetto perché in fondo abbiamo condiviso e condividiamo la cosa più bella che abbiamo potuto fare: una figlia! Mi verrebbe da dire che forse non è indispensabile perdonare sempre.. ma quando in mezzo ci sono dei figli forse è un cammino che vale la pena di tentare di percorrere.

Poi ho pensato al tradimento.. Io ho vissuto una serie di storie nelle quali il mio compagno mi tradiva ma “il tradimento vero” è stato solo quello di mio marito.. quando, come hai detto tu, ho deciso che volevo smettere di non vedere e, nel mio caso, smettere di permettere di tradirmi. E’ stato un giro di boa nella mia vita. Ringrazio quel tradimento perché è stato l’inizio di un cambiamento molto lento e doloroso che mi ha portata dove sono adesso. Purtroppo per me il tradimento non ci ha portati a riavvicinarci ma ad allontanarci ancora di più e definitivamente perché penso che questa unione avesse delle fondamenta molto fatiscenti..
Gio62

Il tradimento è una grave ferita e va collocata in un contesto. Ha un motivo di essere. Nella maggioranza delle storie il motivo è il non amore o la fine dell’amore e quando è così noi lo sappiamo ( dentro di noi) perchè il tradimento , in questo caso, é la conseguenza di molte cose che non vogliamo vedere o non siamo pronte o non riusciamo. Io la penso così e non solo per la mia esperienza ma anche per quello che vedo intorno a me. In questo senso un tradimento ci obbliga a guardare anche dentro di noi profondamente prendendoci le nostre responsabilità ( non colpe!!!) senza per questo assolvere un tradimento che è davvero un colpo basso.
Gio62
Gio…la tua risposta la aspettavo con impazienza per la verità….ci contavo
Mentre scrivevo pensavo a mio padre, a tuo padre e a te.
Ultimamente mi capita spesso di associarti al pensiero del mio babbo, forse perchè so che devo compiere un cammino simile al tuo e ho tanta ammirazione per te che sei riuscita a risolvere il tuo rapporto con lui.
Mi rendo conto che dovrei perdonare anche papà ma sarà che lui mi ha ferito quando ero più indifesa, sarà che le mie aspettative su di lui erano grandi, io sento di riuscire a perdonarlo con maggiore difficoltà rispetto a mio marito.
Questo mi stupisce perchè se ripenso a me da piccola ricordo il dolore ma molto ovattato, mentre quello di oggi con mio marito è più vivo e acuto.
Si, credo fermamente che il perdono sia accettazione che porta con sè la fine del logorio interno, del dolore.
Sono consapevole, come te, che il tradimento sia stato un giro di boa: mi ha costretto a guardare di me anche ciò che non volevo vedere.
E lo fa ancora ma non riesco, proprio non ce la faccio a ringraziare che sia accaduto benchè sia cosciente che alcuni aspetti di me e della mia vita non li avrei considerati nè modificati altrimenti.
Ma probabilmente dipende dal fatto che ancora mi procura dolore, che ancora non ho perdonato fino in fondo.

Credo anche io che perdonare non sia sempre necessario: penso lo sia in proporzione al dolore che noi avvertiamo.
Ci sono persone che mi hanno ferito molto, volontariamente; che ancora cercano di farlo…le stesse che hanno creato tutte le difficoltà a mio marito dando origine a situazioni tanto complesse da essere ancora in atto.
So per certo che queste persone hanno cercato di farmi del male, ancora, proprio pochi giorni fa.
E mi sono chiesta se ho perdonato: la risposta è no e non credo che lo farò mai.
Non riesco a perdonare chi persevera nel volermi ferire, non ce la faccio proprio.
Le offese che ho subito, le angherie erano e sono grandissime: tempo fa li ho odiati, non mi vergogno a dirlo.
Oggi non più: penso che questo dipenda dal fatto che erano persone che anni fa consideravo amiche ma dalle quali avevo già cominciato a staccarmi perchè percepivo che qualcosa non andava: dunque le mie aspettative su di loro erano ormai bassissime.
Non ho bisogno di perdonarli perchè non sento più dolore dentro di me ma non ho accettato e non lo farò mai.

Caro Flender,
quando ho letto il tuo post mi sono molto dispiaciuta: non volevo alimentare un dolore che so essere enorme.
Capire come agire e reagire nei confronti di un tradimento non è facile.
Ma credo che tu abbia usato la parola chiave: autostima.
Sinceramente penso che tutti noi abbiamo dei buchetti qua e la in essa, nel senso che non sarebbe reale nè sano secondo me pensare ad un autostima totale.
Certo è che le dimensioni dei buchetti contano enormemente quando accade un tradimento.
Perchè il tradimento di per sè è il più potente mezzo di annientamento dell’autostima: non solo ti chiedi cosa c’è in te che non va per aver dovuto subire tanto ma ti domandi anche come hai potuto non vedere e non capire.
Ricostruire l’autostima dopo un tradimento è come ricostruire una città rasa completamente al suolo e deserta.

Gli sforzi infiniti per accontentarla, risultare unico, migliore, valido, amabile .

Questa tua frase mi ha colpito moltissimo: in essa c’è tutta la ferita della tua autostima, della tua ricerca di cambiarti per essere meritevole di amore.
Ma l’amore, quello vero, è quello ti accetta e che non ti cambia.
Il perdono è un processo lungo e doloroso: quando si perdona troppo celermente in realtà stiamo solo cercando un modo di difenderci, stiamo cercando di proteggerci dal dolore.
Cercare di comprendere e giustificare il tradimento credo tecnicamente si chiami NEGAZIONE.
Il perdono per essere tale deve essere rivolto proprio alle persone che non scusiamo.
Ho letto un libro veramente interessante su questa tema: lo consiglierò nell’apposita sezione. Penso che possa essere utile, a parte per il perdono in sè, anche e soprattutto per comprendere quali sono i nostri meccanismi di difesa e le ferite sottese.

Ha aiutato anche me a comprendere quali siano le motivazioni che mi impediscono o comunque rendono difficile il proseguire il mio cammino: sono diverse ma credo che questa frase ne condensi il senso complessivo

perdonare significa anche correre il rischio e superare la paura di essere umiliati una volta di più.

Ecco, credo che non avrei potuto descrivermi meglio in questo momento…

Un grande abbraccio a tutti

Zebretta 

Da dove comincio..
Mio papà per me il vero perdono è quello.. Ho detto che è stato semplice ma lo è stato adesso che lo vedo a ritroso, naturalmente. Mi ricordo ancora quando proprio su questa tastiera piangevo lacrime come fossi un fiume in piena senza riuscire a trattenermi come non ho mai pianto, come se tutte quelle lacrime lavassero via il dolore, quando ho visto mio padre oltre quella cortina di nebbia fittissima perenne. Ma ancora non avevo perdonato. Avevo solo iniziato a vederlo per quello che era: un uomo con tante difficoltà, con tante debolezze, con un infinito timore, tanto, troppo simile a me, al punto tale che per anni ci siamo scontrati. Due bambini che non hanno mai imparato ad esprimere se stessi. Credo che tutto fosse fondato sull’incomunicabilità e il fatto che io abbia iniziato un cammino dentro di me e abbia trovato un pezzetto di persona più adulta, ha fatto in modo di cambiare atteggiamento di fronte e lui e a cominciare a slegarmi da un modello oramai consolidato
Non sarei mai riuscita a dirgli le cose che gli ho detto poco tempo fa. Anzi, solo alcuni mesi fa gli ho urlato addosso il mio odio e proprio di questo poco tempo fa, gli ho chiesto scusa, perché non lo provavo più. Gliel’ho chiesto con il cuore in mano. E’ stato semplice perché nel momento in cui questo processo è iniziato ho solo dovuto seguire me stessa vincendo le mie paura.
Prima delle ferie volevo chiarirmi con lui ma non l’ho fatto perché mi sentivo ancora debole .. ero su un terreno scivoloso e avevo paura che, oltre a non riuscire ad esprimere per il meglio quello che avevo dentro, lui potesse rifiutarmi ancora e non sapevo come lo avei preso.
“perdonare significa anche correre il rischio e superare la paura di essere umiliati una volta di più”. 
Ecco era proprio per questo che non trovavo il coraggio.. ma poi,un giorno, ho solo dovuto seguire la strada verso casa sua consapevole che dovevo farlo per me, che l’unico modo per trovare lui era concedere a me stessa di esprimere quello che avevo dentro. E io gli ho sempre voluto bene, lui non me lo avrebbe detto e non avrebbe mai cambiato modo di agire…solo io potevo fare quel passo.
E dopo questo ho visto un miracolo perché lui ha fatto dei piccoli tentativi per cambiare.. e questo mi fa comprendere che avevo visto giusto nel suo cuore. Continuiamo a non parlarci molto ma quel poco è sufficiente. Non vedo più mio padre come un mostro ma neppure solo come una persona debole. Mio padre ha trovato il suo posto e mi sta insegnando ora più di quando ero piccola. In questo momento mi sta accompagnando a comprendere l’abbandono che è il mio terrore e mi sta insegnando la dignità della morte e delle sofferenza.
Lui non voleva farsi ricoverare a luglio, quando gli hanno trovato un tumore, e aveva tutti contro.. anche me in parte.. poi ha fatto altri esami e abbiamo scoperto che è davvero molto compromesso. Anche i medici adesso dicono: lasciamolo stare. Lui, che è sempre taciturno e non ho mai capito, comprende perfettamente la sua situazione ascoltando se stesso e con estrema dignità sta andando contro il suo destino.
Penso che in realtà sia più semplice perdonare un genitore che un partner: perché dentro di noi amiamo i nostri genitori, tanto più li odiamo tanto più li amiamo perché ci hanno feriti, perché ci aspettavamo da loro qualcosa che non potevano o non hanno saputo darci. Il filo che ci lega è fortissimo. Ma i nostri genitori sono esseri umani come noi, non sono gli esseri prefetti che avremmo voluto. Mi viene difficile pensare che un genitore, in genere, non ami un figlio, anche se ho degli esempi molto vicini, di persone cha hanno ripudiato perfino i propri figli. Non so che dire in questi casi…. Per fortuna non è stato il mio caso! ( e già di danni ce ne sono stati!)
Per quanto riguarda i partner.. come vedi essere riuscita in una tale impresa non mi insegna a sapermi gestire con il padre di mia figlia! Ci lavorerò anche perché lo devo a mia figlia.. anche se penso che ogni cosa che superiamo ci rende più forti e il giorno in cui sarò riuscita a separarmi da mio marito senza nessun rancore sarò una persona migliore e quindi devo farlo anche per me.
Un abbraccio forte
Gio62

Ho letto il tuo racconto letteralmente rapita…
In un certo senso mi ci ritrovo: non nelle parti fondamentali( non ancora almeno!) ma anche io comincio ad avvertire il desiderio di parlare con mio padre e come te temo non solo di essere respinta ma che lui non possa capire, nel senso che secondo me mio padre mi vive come figlia poco amorevole ma per causa mia.
In sostanza io sarei quella con il caratteraccio: e non è solo il mio senso di colpa a indurmi a fare questa considerazione( perchè ovviamente sento di essere manchevole, di non comportarmi come una brava figlia dovrebbe) ma anche la consapevolezza che mio padre ha la tendenza a “riaggiustare” gli eventi del passato in modo più gradevole per lui, possibilmente deresponsabilizzandosi.

Credo sarebbe più semplice, dopo un tradimento, lasciarsi pittosto che cercare di ricominciare insieme.

Sapessi quanto mi ha fatto tribulare questo pensiero!
Su questa considerazione ho speso tutte le energie che avevo nel tentativo di stabilire se ero o meno dipendente..
Sia io che mio marito abbiamo sempre considerato che non riuscivamo ad immaginare il nostro futuro senza l’altro.
In un certo senso è ancora così: mi sembra che la sua presenza nel mio futuro sia naturale come l’aria ma adesso sono perfettamente cosciente che potrei vivere benissimo anche senza lui ( e in questo mi è stato utilissimo andarmene di casa per un mese).
Magari a molti sembrerà banale ma io ho accolto questa consapevolezza con immensa gioia e sollievo.

Proprio ieri, dopo aver visto che ero un po’ triste dato il particolare anniversario, mio marito mi ha chiesto se non mi venisse mai la voglia di mollare tutto, di lasciar perdere per evitare la sofferenza.
Beh io mi sono sentita rispondere:”si, eccome!”. Non ci ho nemmeno pensato…
Lui è rimasto un po’ male e mi ha detto che per lui la sofferenza vale il nostro rapporto ma ha anche aggiunto che certo sono io quella che soffre di più….
Io sono contenta, contenta di sapere, adesso, che per me sarebbe più facile andarmene e invece scelgo di restare.

Non so se sono riuscita a spiegarmi….a volte nel tentativo di fare maggiore chiarezza mi ingarbuglio ancora di più
Zebretta
E’ possibile che tu abbia un gran brutto carattere. Anche io l’ho sempre avuto e me lo porto dietro e penso sia il risultato di come siamo cresciute, Zebretta. Ne sarai anche un pò responsabile tu ma lo è anche il rapporto con tuo papà e quindi.. dove sta la colpa? Prova a cambiare l’angolatura con cui vedi la situazione con tuo padre. Io penso sia importante lasciare gli schemi che ci imprigionano.
Il tuo comportamento è la risposta al suo e viceversa. Se nessuno di voi cambierà continuerete così.. allora tu che sei più giovane e più motivata e più sensibile.. cambia! semplice eh? ehmmm lo so che non lo è per niente..
E poi cerca di vincere la paura che hai di non essere compresa. fallo per te. Sai, molte volte andavo dalla psicologa e mi mettevo a piangere perchè dicevo: Ho compreso il modo di comunicare con molte persone.. ma non riesco a trovare un varco per comunicare con mio papà.. con chi porto dentro, perchè metà di me porta i suoi cromosomi! Mi sembrava assurdo.. era come se ci forse un muro insormontabile.. Ma se ti metti in ascolto e soprattutto ti dai fiducia forse arriverai a vedere quello squarcio. Non è detto che debba avvenire.. ma se tu lo vuoi io credo che ci siano buone probabilità che questo avvenga. Non avere fretta, segui le tue emozioni. Per me è stato così.. spero possa esserlo anche per te.
Gio62

Hai ragione cambiare non è semplice soprattutto quando implica perdonare chi ci ha ferito.
So anche che necessariamente uno di noi due deve rompere il circolo vizioso che abbiamo innescato ma lotto ancora con me stessa perchè sento una vocina che mi chiede perchè devo sempre essere io a fare la prima mossa.
E’ infantile, lo so ma è la verità.
La bimba che c’è in me vorrebbe sentire il suo papà che le dice che le vuole bene e la protegge.
Ecco io non mi sono sentita abbandonata, non nel senso stretto del termine: mi sono sentita non protetta.
Sono grande ormai e solo io posso proteggere me stessa, lo so…

Credo che il desiderio di ricostruire il rapporto con mio padre stia nascendo anche per la voglia incredibile che ho di pace, di avere una vita serena.
Voglio chiudere questo capitolo e iniziarne uno nuovo, senza nessuno strascico del passato.
Non so se ci riuscirò perchè non dipende solo da me.

Forse, come te, sono impegnata su troppi fronti e devo necessariamente trovare un po’ di equilibrio: non ho la forza necessaria per affrontare due problemi così impegnativi nello stesso momento.
Mi sento ancora fragile e non sufficientemente “attrezzata” per correre il rischio ed essere eventualmente nuovamente umiliata.

Credo comunque che sia solo questione di tempo: basta sapersi ascoltare ( che è più facile a dirsi che a farsi a volte…)
Zebretta

ciao zebretta e ciao gio62
questo thread è iniziato con un primo anniversario speciale che da inizio al “lungo, lunghissimo cammino del perdono” per qualcosa che zebretta, ma in realtà moltissimi di noi, ha ricevuto senza richiedere, qualcosa che ha fatto soffrire moltissimo, qualcosa che nessuno meriterebbe mai,
poi siamo passati al perdono dei papà e la cosa scusate mi ha un po’ infastidito, vi spiego perchè però…

io ho lo stesso identico problema vostro solo che il mio perdono, prima ancora la mia rabbia, coinvolge la mamma, il papà è morto tantissimi anni fa

stesse dinamica, terrore di parlarle, terrore di ascoltare le sue ragioni e per qualche fantomatico circolo vizioso riprendere come sempre sulle mie spalle tutte le colpe

quando è iniziata la crisi con mio marito la prima cosa che mi è stata rinfacciata è stata “ti ho dovuto fare anche da padre” ed io mi sono accollata anche questa colpa, come sempre

sono bastate poche sedute dalla psicoterapeuta per capire che il mio problema non era la mancanza di un papà, ma la presenza stile condor di una madre frustrata sia per infanzia sia per cultura sia per vedovanza sia per carattere

lei stessa pensate all’inizio non voleva che lo sposassi, non proprio ma avrebbe preferito un “medico”, diciamo così un uomo con una posizione migliore, che poi mio marito ha realizzato, io tra l’altro l’ho incontrato ancora studente svogliato

perchè sono arrabbiata? parlavamo di una piccola e grandissima al tempo stesso vittoria di zebretta di cui io ero entusiasta, per andare a sbattere sull’argomento genitori dove ancora sono alla ricerca di serenità, di protezione con un amaro retrogusto di rabbia protratta negli anni

sono molto contorta lo so, il mio lavoro sta anche nello srotolare la matassa che ho negli anni raggomitolato male
buona giornata ad entrambe
un grosso bacio
Laura.m

Cara Laura,
questo thread è nato, nelle mie intenzioni, per confrontarsi su un tema così difficile come il perdono.
Lo è tanto che io ancora ci lotto, anche e soprattutto con mio marito.
Ciò che mi premeva di più era parlare del perdono non come qualcosa dovuto o cercato per gli altri ma come mezzo per il raggiungimento della nostra pace interiore.
E soprattutto il perdono non coincide con la riconciliazione: questo passaggio è fondamentale.
Significa che in fondo io non posso scegliere veramente di restare con mio marito, di riconciliarmi con lui se prima non lo perdono e non viceversa.
Tanti di noi hanno creduto di avere perdonato in certe occasioni ed invece non era vero: io credevo di aver già perdonato mio padre e purtroppo non è così; Gio e Flender pensavano di aver perdonato i rispettivi partners ma anche loro si erano illusi.

Cos’è il vero perdono, come raggiungerlo veramente….questo è il tema di questo thread, che sia perdono per un padre, una madre o un compagno.
Il processo è sempre lo stesso, poi naturalmente i tempi sono diversi a seconda delle persone coinvolte, delle nostre aspettative nei loro confronti e del nostro dolore.

Sicuramente in questo momento io sento più prepotente in me la necessità di trovare un equilibrio vero con mio marito: lui è il mio presente, il mio progetto di vita in un certo senso.
Ma credo fortemente che sia necessario anche il perdono, che per me è vera accettazione, anche nei confronti di mio padre, che rappresenta il mio rapporto con il mondo maschile.
Il perdono di papà mi serve per ricostruire, per perdonare ed accettare anche me stessa: la parte di me che gli assomiglia, quella che si sente in colpa,quella che non si accetta e non si piace.
Non posso perdonare gli altri se non perdono anche me stessa.
E la difficoltà della situazione attuale è forse quella generata dal legame che sento tra questi fronti, diversi eppure simili, di perdono che sto affrontando.
Devo necessariamente perdonare tutti e due, anzi tutti e tre me compresa, ma fatico a farlo contemporaneamente.
D’altra parte so, sento, che essi sono strettamente dipendenti l’uno dall’altro.

Laura, io credo che il mio cammino per il perdono sia iniziato molto tempo fa: la differenza tra allora, quando questa storia dolorosissima è iniziata, e adesso è che prima io volevo perdonare, ora ne sento il desiderio.
Prima lo volevo perchè volevo il mio matrimonio ( perdono = riconciliazione), ora ne sento la necessità per me, con la consapevolezza che è sì un mezzo assolutamente indispensabile per la riconciliazione ma anche che scelgo il perdono per me stessa prima che per chiunque altro.
In questo senso io sento di aver ottenuto una piccola vittoria: non puoi ottenere ciò che non conosci e soprattutto non lo puoi nemmeno desiderare veramente.

Non sei contorta: solo, forse, avevi voglia di sentire qualcosa di positivo, di vedere che c’è un cammino possibile, tenuto conto anche che da un certo punto di vista le nostre storie si assomigliano tanto, ma poi ti sei ritrovata in un argomento, evidentemente, per te ancora più doloroso del tuo matrimonio.
Nei tuoi ultimi posts si legge un aumento di consapevolezza della reale situazione matrimoniale che stai vivendo, uno spostamento delle responsabilità, che oggettivamente e giustamente, non riconosci più a tuo totale carico.
Piano piano stai diventando “padrona” della situazione e benchè questo possa procurarti dolore unitamente alla consapevolezza che possa anche essere che il tuo matrimonio sia irrecuperabile, tutto ciò ti rende contemporaneamente più autonoma e più forte.
Ed è in ogni caso una bella sensazione.
Al contempo la difficoltà con tua madre ti fa sentire ancora fragile.

Non so Laura, la mia è un’ipotesi che si basa anche sulla mia esperienza.
In questo lungo cammino sono riuscita ad individuare quali sono le motivazioni che mi impediscono di andare oltre, di progredire.
So che è un cammino che nessuno può compiere al posto mio ma credo che parlarne aiuti, specie con chi ha saputo raggiungere il vero perdono, a prescindere dal fatto che sia stato perdonato un padre piuttosto che un marito.
Ti abbraccio forte

Zebretta

Cara zeb,
come vedi il perdono non è legato solo al contingente; anzi spesso quello che non riusciamo a “perdonare” nell’immediato è qualcosa che non riusciamo a fare altrettanto per il passato. Zeb questo thread mi piace molto perché dal dolore ricordato con una data fatidica, poi con naturalezza la tua prospettiva si è spostata su ciò che, probabilmente, ti impedisce di lasciar andare rabbia e dolore e accettare la fragilità dell’altro in pieno, senza per questo sentirti sminuita o meno donna.
“Credo che il desiderio di ricostruire il rapporto con mio padre stia nascendo anche per la voglia incredibile che ho di pace, di avere una vita serena.
Voglio chiudere questo capitolo e iniziarne uno nuovo, senza nessuno strascico del passato. Non so se ci riuscirò perchè non dipende solo da me.”
Io credo che questo desiderio nasce dal fatto che oggi ti senti più forte, hai affrontato un “tradimento” doloroso e stai ricostruendo il tuo rapporto con tuo marito, questo ti da la sicurezza che se vuoi, da parte tua c’è la capacità di andare incontro all’altro, hai acquisito la sicurezza dentro di te.
Credo che sì per ricostruire un rapporto con tuo padre serva la sua collaborazione, ma credo fermamente che per non avere nessuno strascico ti serva comunque un confronto con lui, che questo significhi ricostruire un nuovo rapporto o accettare ciò che lui è.
Zeb qualche settimana fa io ho avuto il mio confronto, lo avevo rimandato per molto tempo credendo che non mi fosse più necessario; che non servisse più.
Ora posso dirlo, non solo è servito per chiudere un capitolo lunghissimo della mia vita, ma per lasciare uscire fuori la mia “bambina” ferita, umiliata, non protetta; lasciarla andare costringendo mia madre a lasciare andare la madre “matrigna”, ossessiva, ipercontrollata e costringerla a vedere i suoi errori e capire che sono adulta e deve trattarmi da adulta. Mia madre oggi, pur con grande fatica, “cerca” di avere con me un rapporto maturo. Non so quanto riuscirà a controllarsi o a cambiare, tocca a lei. Io mi sento in pace, anche se la sua “non presenza” ossessiva a volte “mi disorienta”, nel senso che chi ha sempre avuto un ombra ha paura di non farcela a camminare senza.
Zeb quando sarà arrivato il momento di questo confronto accadrà, non ci sarà bisogno di programmarlo, io non l’ho programmato è arrivato così, come una tempesta a dissipare le mie “ombre”.
Zeb stai camminando verso il perdono…quando sentirai di non avere più rabbia verso il tuo lui sarai pronta per cominciare a ritroso il cammino verso tuo padre. Sei vicina, non affrettarti, lasciati portare dalla tua “coscienza interiore”. Un abbraccio

Pat

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

SEHNSCUCHT: LA RICERCA DELL’IRRAGGIUNGIBILE

Hai tante cose dentro di te e la più nobile di tutte, il senso della felicità. 
Ma non aspettarti la vita da un uomo. 
Per questo tante donne s’ingannano. 
Aspettala da te stessa. 
Non sarai mai felice se continui a cercare in che cosa consista la felicità. 
Non vivrai mai se stai cercando il significato della vita. 
Come rimedio alla vita di società suggerirei la grande città. 
Ai giorni nostri, è l’unico deserto alla portata dei nostri mezzi. 
Non conosco che un solo dovere: quello di amare. 
Nel bel mezzo dell’inverno ho infine imparato che vi era in me un’invincibile estate.

Albert Camus

 

Sehnsucht è una parola tedesca, non traducibile in italiano, che esprime un concetto della cultura romantica ad indicare l’anelito verso qualcosa di irraggiungibile. Il termine fù introdotto dai fratelli Schlegel che lo usarono per delineare una particolare sensibilità particolare della psicologia romantica . Questa sensibilità è intesa come uno stato d’animo eccessivo o perenne di impressionabilità, di irritabilità e di reattività. Potrebbe avere analogie col concetto di nostalgia, ma mentre la nostalgia è il desiderio di riappropriarsi del passato, spesso legato ad oggetti precisi, la Sehnsucht è la ricerca di qualcosa di indefinito nel futuro. Più precisamente, si potrebbe tradurre il termine Sehnsucht con “desiderio del desiderio”: deriva infatti dai termini das Sehnen , il desiderio ardente, e die Sucht , la dipendenza. Letteralmente quindi, Sehnsucht potrebbe essere tradotto come dipendenza dal desiderio, ovvero il costante anelito che porta l’Uomo a non accontentarsi mai di ciò che raggiunge o possiede, ma lo spinge sempre verso nuovi traguardi, trasformando il sentimento in una forza distruttiva e autodistruttiva.

Il termine tedesco SEHNSUCHT ha quindi il compito di indicare quella tendenza a sognare e a fantasticare e quello stato d’essere perennemente inquieto e scontento della realtà, proteso alla vita del sentimento, della fantasia e del sogno che all’inizio del XIX° secolo si era particolarmente accentuato nello spirito dell’uomo.

Lo scrittore C.S. Lewis da un ulteriore descrizione di tale concetto descrivendo la Sehnsucht come “l’inconsolabile desiderio” nel cuore dell’Uomo “per non si sa che cosa”.

In questa sede prendo a prestito tale termine ad indicare la ricerca da parte di taluni di una amore pieno ed assoluto da parte del potenziale o proprio partnert, che quest’ultimo non potrà mai dare, perché come qualsiasi essere umano, ha i propri limiti. Conseguentemente il desiderio ardente di tale assolutezza è destinato a rimanere insoddisfatto. Come afferma De Rougemont: “E’ cercare l’infinito in un essere finito”.

Invito a leggere la discussione tratta dal forum sul concetto che troverete pubblicata di seguito

Dott. Roberto Cavaliere

 

DISCUSSIONE TRATTA DAL FORUM

MAAB Novalis la chiamava Sehnsucht..la malatia della ricerca inesausta di qualcosa di eternamente irraggiungibile..la tensione continua dello spirito verso un’ideale che si allontana ogni volta che sei quasi arrivato a toccarlo….tipico di un’anima lacerata…ci strugge e ci distrugge la voglia di raggiungere un ideale di amore che forse nn esiste..e man mano che si cresce quella favola che ci avevano raccontato da piccoli si trasforma in un tabulato di dati sconfortevoli, con un conto finale dove c’è scritto ogni volta” fai i conti con te stesso”.

A 33 anni..giro di boa..mi chiedo se questa tensione, questo desiderio di desiderare qualcosa che nn esiste (forse) nn sia destinata a restare tale per tutta la vita!

Chiedetevi, cari lettori per caso o per scelta, ma nn sarà che spesso più che amare chi abbiamo di fronte, nn gli mettiamo addosso un abito da noi cucito, così che quella persona possa essere esattamente come NOI l’abbiamo anelata? proiettiamo in quella persona tutto il sogno, ci perdiamo in esso..

e poi..chiaro nn abbiamo considerato che forse quell’abito nn gli appartiene affatto! Restare individui nella coppia….due universi a parte che si sfiorano per condividere e poi ritornano in se stessi! C’è qualcuno che ha un manuale di istruzione? A chi dice di nn chiedersi i perchè

di ciò che ci succede..come fa una mente, per la quale la ricerca inesausta è necessaria alla sua esistenza, a smettere di domandare??

 

CIPA 73Il dramma degli uomini è,secondo i filosofi, l’aspirazione all’infinito irragiungibile in virtù della nostra finitezza. Quando si proietta sull’altro un ideale che esiste solo nella nostra testa si perde il senso della realtà e si carica di aspettative impossibili il rapporto sentimentale.

Posso risponderti alla luce della mia esperienza che è poco”magico” restare con i piedi per terra. Ma credo che sia la sola strada per un rapporto sano.

Non può un partner essere la risposta ai nostri dilemmi esistenziali. Le risposte sono dentro ognuno di noi.

 

MAAB Quanto è pietrosa la strada da percorrere verso noi stessi..già, cipa, con i piedi per terra..ma perchè rinunciare a rivolgere la testa verso il cielo?

e quanto è bella la magia dei frammenti d’amore?? A volte ho la sensazione che per quanta vita ho dentro potrei bastare a me stessa..però poi sento la necessità e l’urgenza entusiastica di condividere e mostrare alla gente la mia magia! Meditate, gente, meditate!

 

CIPA73 Ognuno ha dentro un universo inesplorato da condividere con gli altri. Spesso mi è capitato di passare per “strana” quando con entusiasmo comunicavo agli altri,compreso il mio ex,le mie osservazioni, le mie riflessioni, il mio disperato tentativo di trovare la chiave d’accesso all’infinito. Mi definiva cervellotica. Di recente ho ritrovato la fede,lo slancio mistico verso il trascendente. Una risposta spirituale all’umana disperazione…

 

HARRY 2003 X maab

Cara amica del tavoliere, le tue riflessioni sul SEHNSUCHT, le trovo molto appropriate invece, anche se non di facile digestione. M metto in primis, che con i miei studi rivolti più alla matematica piuttosto che alla filosofia, mi rendo conto quanto difficili possano essere le valutazioni da fare.

Ad ogni modo se si pensa a ciò che significa quella parola, SEHNSUCHT, ci potrebbero venire i brividi lungo la schiena, allora perchè viviamo a fare, se ci poniamo obiettivi irragiungibili, se una volta raggiunta la vetta, ci accorgiamo che davanti a noi ce n’è una ancor più grande, da superare, e via così. Non so dare una definizione razionale a tutto ciò, ma forse è proprio perchè voglio trovare il razionale in ogni cosa e non capisco il linguaggio di NOVALIS, che oltre che matematico (pure lui) era anche filosofo, e se non sbaglio è stato anche uno dei fondatori del cosiddetto Romanticismo.

Non sono preparato sul tema, ma posso dare la mia umile interpretazione, che credo sia un pò il filo conduttore del forum; dici che forse abbiamo fatto un errore di valutazione, attribuendo ai nostri ex compagni un valore che volevamo vedere noi, potrei essere d’accordo, ma, e questa è la mia personalissima visione, prima di tutto ci si piace, poi ci si frequenta, poi si comincia a condividere un pò delle nostre vita, se ad un dato momento ci si accorge che non era proprio quello che volevamo, che si deve fare? continuare per quella strada e immolarci per la scelta che è stata fatta, oppure salutarsi e andare ognuno per la propria strada? Forse ho dato una visione troppo semplicistica, ne sono al corrente, non era mio intento dare delle soluzioni, solo una riflessione!!!! Ciao e complimenti

 

ELEGYS Il desiderio del desiderio, l’anelito all’infinito, all’intraducibile, l’idea della perfezione. Credo sia un meraviglioso volo verso l’alto, in perpendicolare sopra se stessi.

Per me è la voglia divampante di continuare a vivere, di superare il tempo e lo spazio, è una proiezione al di sopra del cielo, alla ricerca di un indescrivibile sentire, di immobilità, di trascendenza.

Questa idea luminosa e accecante, è ciò da cui si può trarre energia, passione, bellezza e forza, ed è anche ciò che genera “dipendenza” a mio parere, come “il demone creativo che si trasforma in amante demonio” (tanto per citare un libro che sto leggendo).

La tragicità del pensiero della fine, della carne e del tempo che passa, dell’impossibilità di continuare, la responsabilità di decidere chi e cosa scegliere: questi pensieri sono quelli che sciolgono dall’immobilità della “sehnsucht”.Un sorriso, Elegys

 

MELANIA2 maab,sei incredibile sai che da grande sostenitrice della forza della mente e del pensiero,sto diventando grande sostenitrice della forza del cuore e dell’istinto?

sarebbe opportuno,a volte ,invece di andare in su’,verso la testa ,la mente,l’infinito,che lo dice pure la parola,senza fine ,senza limiti o traguardi;provare ad andare giu’,verso il cuore,verso la terra. se tu premi sulla terra ti rimanda energia,non sprofondi,hai una sorta di rimbalzo,se invece vai verso il cielo,fluttui senza sosta ne riposo.

provare a tornare alle origini,l’acqua,la terra senza farsi tanti condizionamenti. ritrovare le piccole cose che ci fanno star bene,toccare con mano quello che gia’ c’è. toccarlo con il cuore,non con la mente.

siamo nati in natura,non in un ipermercato,dove tutto è condizionato dalla vendita del prodotto,dove tutto è ben messo,dove il prodotto che devi vendere di piu’ in quel momente, è messo alla giusta altezza.

prova a ritornare,alle cose semplici,ai luoghi comuni,apprezza questa maab,che è semplicemente una donna,e tale si deve riconoscere.

se riesci, guarda oltre cio’ che ti sembra di vedere. oltre non significa guardare lontano,ma vedere quello che veramente c’è. un abbraccio forte

 

YANA Ciao, mi sono piaciute le riflessioni e le domande che poni Maab.

Secondo me bisogna distinguere due livelli in questa tendenza alla ricerca di infinitezza.

Uno è “sano”, ed è quello che ricorda Cipa quando parla del “dramma degli uomini” spesso descritto dai filosofi. Credo che questa tendenza sia, come la paura e le altre emozioni e fragilità umane, una caratteristica del genere umano e che in una certa misura sia inevitabile, proprio perchè, secondo me, non è tanto una conseguenza di qualche trauma specifico, ma è implicita nelle fattezze dell’uomo: ne è una sua caratteristica intrinseca, per via della struttura del suo pensiero e di molto altro. Quindi più che sana, la chiamerei una caratteristica “normale”.

L’altro livello è quello patologico, o insano, o distruttivo, che, per vari motivi, è portato all’eccesso e che può condurre a vivere male la vita e i rapporti, incessantemente insoddisfatti, scontenti, irrequieti.

Ovviamente non c’è una linea netta tra i due livelli, ma credo sia importante individuare, se ci sono, i propri aspetti insani della questione ed accettarne invece il lato sano, comune un pò a tutti gli individui e tipicamente umano.

Detto questo, mi ha colpito una frase di Cipa negli interventi iniziali:

“posso risponderti alla luce della mia esperienza che è poco “magico” restare con i piedi per terra. Ma credo che sia la sola strada per un rapporto sano.”

Io credo invece che un rapporto sia veramente sano quando è “magico” pur percepito nella sua dimensione “reale”.

Non so se ho inteso bene le parole di Cipa, ma dal mio punto di vista odierno invece c’è molta magia anche nel restare con i piedi per terra, anzi è proprio quella la vera magia a mio avviso. Riuscire a godere della vita così com’è, senza avere bisogno di rifugiarsi troppo nelle proprie fantasie ed aspettative, è una cosa a volte complicata da raggiungere, ma dona delle sensazioni fantastiche.

Nel suo aspetto sano, questa difficoltà è una delle sfide che la vita e la crescita degli individui presuppongono e a cui è giusto arrivare in un certo senso gradatamente, scoprendo ogni aspetto di questo modo di vivere man mano che si procede nella propria maturità.

Ma se lo stile di vita, specie nelle fasi da adulti, è fortemente legato ad una ricerca spasmodica di “altro”, se non si sa godere delle cose naturali e reali della vita (tutto..rapporti, attimi, come le cose più concrete) allora bisogna rivedere quello che sta alla base delle proprie percezioni.

L’altro giorno ero con dei bambini.

Non avevamo grandi cose a disposizione, apparentemente. Avevamo un prato, l’aria, il sole, una palla e le gambe per poter correre.

Non è per fare retorica, ma abbiamo passato dei momenti davvero speciali ed io mi sono sentita veramente viva solamente perché stavo correndo, giocando e stavo condividendo l’entusiasmo.

Eppure non c’era nulla di paranormale o straordinario in quello che stavamo facendo, in quello che stavo vivendo. Ma era magico e la magia sta nel fatto di riuscire ad apprezzare le cose della vita, anche quelle più semplici, per quelle che sono, godersele, catturarne l’autenticità e farne propria ricchezza. A volte c’è più amore in una corsa o un gioco condiviso che in un rapporto che dura da anni. E’ da questa forma di amore apparentemente inutile ed insignificante che bisogna partire.

In quel momento, come in molti altri, io ero molto di più con i piedi per terra che in tanti altri frangenti, eppure dentro di me sembravo volare.

Non sono costantemente in quello stato d’animo nella mia vita, mentirei.

Ma da quando sto meglio con me ed ho imparato a guardare la vita e le cose che ho sotto un’altra ottica riesco maggiormente e più spesso a gioire della semplicità della vita e a ravvicinare le mie aspettative alla realtà così com’è e come evolve.

Forse riuscire a fare questo in senso assoluto non è possibile, proprio per via dei limiti umani. Ma regalarsi sempre più esperienze di autenticità e lucidità è possibile a mio avviso, senza per questo dover mozzare le proprie sensazioni e le proprie aspirazioni. Anzi, è proprio il contrario.

Per fare questo è, come sempre, necessario, oltre che porsi domande, riavvicinarsi un pò di più a se stessi, anche e soprattutto nel senso di riavvicinarsi alle proprie sensazioni spontanee: tutto questo è racchiusio dentro di noi, dobbiamo solo capire, in modo personale, come fare a riscoprirlo e quindi a percepirlo. Un abbraccio

 

MAAB cara yana, grazie del tuo intervento, ero curiosa di sapere come la pensavi..la cosa paradossale è che il magico e quella tensione verso il desiderare qualcosa che nn si realizza

per me risiede proprio nell’incanto di quella semplicità di cui parli..l’incanto delle piccole cose..di una risata cristallina, di una corsa sui prati, degli occhi di tuo foglio che ti sorridono…di un amore sincero e compassionevole….e sai perchè si trasforma in qualcosa che si allontana ogni volta che pensi di averla afferrata? perchè per qualche strano motivo oggi tutto questo diventa sempre più un miraggio..ed ogni fallimento accresce l’appetito di quel miracolo..ed è allora che s’incorre nel pericolo di idealizzare chiunque, anche se stessi, pur di avere un raggio di quel sole! Infatti, chissà perchè il primo grande amore resta sempre il migliore..perchè ci è arrivato addosso senza il nostro intervento..senza idealizzazione..senza quel senso di mancanza che le delusioni successive hanno creato. E allora si capisce bene perchè è necessario restare soli e ritrovare quella purezza di accogliere senza vincoli un nuovo amore..bisogna resettare il sistema perchè funzioni ben..come in origine..vicini a quella fonte di piccole e semplici cose!

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

per contatti e consulenze private tel.320-8573502 email:cavalierer@iltuopsicologo.it

 

VIOLENZA NELLA COPPIA

Tratto dal thread “vi racconto la mia storia….”

Autore: Virna

Argomento: violenza nella coppia

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Ciao a tutti, ho 30 anni. vi racconto la mia storia perchè spero sia d’aiuto e di speranza a tutti quelli che come me hanno subito o subiscono ancora violenze psicologiche o fisiche, perchè oltre a queste righe ci sia un messaggio che anche nelle giornate sterili e disperate un seme può fiorire.
ho 30 anni, lui l’ho conosciuto a 19 perchè era venuto a studiare nella mia città. amore bellissimo, travolgente, di quelli che per anni ti baci e senti dentro “le farfalle” che borbottano, che lo sogni tutte le notti e ti svegli col sorriso sapendo che poi lo vedrai… poi.. poi il tracollo. la mia famiglia di origine si sfascia, nel giro di tre mesi mi ritrovo orfana di padre, stroncato da un tumore, e con una madre invalidata da un ictus. e lui al mio fianco, un pò più oscuro, più nervoso, fino al suo ricovero in ospedale per esaurimento nervoso. andiamo a vivere assieme, facciamo il “grande passo” e mi sembrava di essere felice, ma poco a poco le cose peggiorano. sempre più nervoso e distante, capita che mi insulta per la fiamma del gas troppo alta, perchè gli sposto le cose… non che si litiga o si discute, mi sento insultare, dare della stupida, della superficiale.. si alza la voce per un nonnulla, all’inizio rispondo, poi inizio a far parte di questo gioco, poco alla volta le discussioni si fanno più accese, lui non lavora, non è nella sua città, io ho una mamma alla quale dedicare certe attenzioni… l’alcool entra prepotentemente nella sua vita, due o tre bottiglie prima di birra poi di vino al giorno, ogni volta che provo a farlo smettere sono nomi e “sono io l’essere inferiore invidioso della sua vita rock and roll”. non si decideva a trovare lavoro, avevamo perso tutti gli amici..tre anni fa le prime botte, eravamo in montagna a cuocere della carne alla brace e allo squillo del mio telefonino ha preso dei sassi, 4 o 5, grandi come una mano, e me li ha lanciati urlandomi che mia madre non doveva disturbarci in montagna. all’inizio credevo fosse un episodio sporadico, volevo dimenticare e godermi quei mesi di pace e serenità che sarebbero seguiti, pensando che se mi fossi comportata bene non ce ne sarebbero stati più. forse nel mio inconscio speravo anche di “cambiarlo”, di renderlo mite come l’avevo conosciuto. un anno dopo, dopo una serata tranquilla ad ascoltare musica, mentre mi apprestavo a dormire .. ha iniziato a prendermi a calci, a insultarmi in ogni modo, a darmi degli schiaffi urlandomi dietro che non mi potevo permettere di addormentarmi senza il suo consenso, perchè lui era ancora li che ascoltava musica e io l’avevo abbandonato. quando sei dentro a certi meccanismi, non è facile come per chi legge capire le cose, quando giorno dopo giorno e per anni sei abituata a certe cose, come dire, ci fai il callo, l’amore diventa ossessione, morbosità, paura, fobia, essere succube dell’altro e infine giustificare certe azioni. quella sera prese una bottiglia cercando di spaccarmela in testa, mi mise le mani sul collo, la bava alla bocca, e io urlavo se potevo, altrimenti tacevo in silenzio, io non so quant’è durato quel raptus, in quei momenti mi sentivo come spettatrice, la paura mi paralizzava e una parte di me diceva non stà succedendo davvero… sangue, sangue caldo da dietro la testa, poi il suono del citofono, i carabinieri allarmati da qualche vicino che probabilmente aveva sentito le mie urla, o la mia testa contro il muro.. poco importa.. ad ogni modo la salvezza. voi direte… ma poi l’hai lasciato? no, non ancora, dopo due settimane durante le quali mi sono fatta negare ho ceduto alla mia debolezza, ancora una volta sono stata debole, non mi sono amata come avrei dovuto, e sono tornata da lui, che era in un mare di lacrime, forse pentito, sicuramente mi sono fatta impietosire dallo stato in cui si era ridotto in mia assenza. un’altro anno c’è voluto prima che lo lasciassi, un altro anno di insulti, schiaffi, isolamento dal resto del mondo (solo andando da mia madre o a lavorare mi distraevo) e quel che fa più male quella minaccia psicologia, quel sottile stato di continua tensione, quel fino a qui tutto bene…. ma anche quell’ossessione che se me ne fossi andata mi sarei sentita in colpa di averlo abbandonato, quell’intestardirmi sul pensiero di amare che in realtà era un gioco morboso in cui ero vittima e carnefice, incapace di liberarmene e succube della situazione. una volta si arrabbiò con me perchè entrai in un pub a chiedere se avevano un bagno, e si ruppe una mano dal pugno violento che diede contro a un cartello stradale mentre mi urlava che ero una stupida a chiedere le cose, ad essere gentile.. un’altra volta alzò le mani anche contro mia madre facendola cadere, per fortuna su un letto, e dovemmo passare la notte io e mia madre chiuse a chiave in camera con la paura che lui, nella stanza a fianco, tornasse a darci il resto delle botte. quest’estate, di ritorno da un concerto, l’ennesima crisi, un raptus in autostrada mentre guidavo, all’improvviso ha iniziato a darmi dei pugni forti in testa. ho accostato, sono scappata, ho chiamato la polizia. pronto soccorso, prognosi di 7 giorni per trauma celebrale…- lei signorina lo vuole denunciare? – -no, ha dei disturbi, sicuramente è solo perchè ha bevuto troppo- iniziai a soffrire di attacchi di panico, all’improvviso il respiro si faceva convulso e il cuore mi saliva alla gola, iniziavo a urlare, a piangere, a sbattere la mia testa contro a un muro. poi a settembre, la liberazione. l’ho lasciato. ho sofferto della lontananza, si, ho perso 5 kg in meno di un mese. come prima cosa mi sono rivolta a un istituto di igiene mentale spiegando degli attacchi di panico, dell’apatia che avevo addosso, raccontando la mia storia a una psicologa e uno psichiatra che mi seguono tutt’ora. che dire… finchè non raggiungi il fondo, ma proprio il fondo, non te ne accorgi, e forse a volte non serve neanche quello. ad ogni modo ora è aprile e sono qui, e capita sempre più spesso che sono serena. di notte lo sogno, a volte, che mi mette le mani addosso o mi dice che torna e non mi lascia più, e io nel sogno mi sento soffocare, inizio a piangere. anche stanotte l’ho sognato, era dolce e premuroso come i primi anni e poi mentre mi baciava mi stringeva sempre più forte il collo…
e continuo a ricevere telefonate anonime, e so che lui è stato ricoverato in condizioni pessime e con ricovero obbligatorio in psichiatria, minaccia di uccidermi una volta uscito, a me sembra di vivere un incubo senza fine perchè più cerco di rifarmi una vita più so che lui è ancora ossessionato da me, e spero solo che i medici che lo hanno in cura si rendano conto della situazione e della pericolosità del soggetto.
che dire ancora? sul perchè io abbia voluto subire, sui meccanismi celebrali, ci stò lavorando, sulla qualità della vita ora non ne ho dubbi, anche se con molte cicatrici e qualche ferita aperta sono io, con la mia integrità, e voglio vivere. ho conosciuto un ragazzo qualche mese fa, ed è stato colpo di fulmine, ci conoscevamo già da qualche anno, ma eravamo entrambi alle prese con relazioni infelici. sto vivendo un rapporto sereno e alla pari, lui sa tutto del mio passato e mi appoggia e ogni mattina mi sorride solo perchè è contento che al mondo ci sono anch’io, senza pretese ma semplicemente amandomi. progettiamo un futuro assieme, senza fretta, passo a passo e nel completo rispetto uno dell’altro, sono felice, e come me anche voi lo sarete, ne sono certa.
un abbraccio.

Virna

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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LA NEGOZIAZIONE DI COPPIA

Jules ebbe degli echi dei loro attriti. Raccontò loro una storia indù:

«Due amanti provavano i tormenti dell’amore e della gelosia. Conobbero insieme la più grande felicità, e la sciuparono. Molte volte si separarono e si ritrovarono, più innamorati di prima. Ma ognuno fece soffrire l’altro. Si lasciarono per sempre. Qualche anno dopo lui, col cuore spezzato, volle rivederla prima di morire. La cercò, viaggiò, pensando che, dovunque lei fosse, la sua bellezza l’avrebbe resa famosa. La ritrovò vedétte di una di una compagnia di danzatrici che conducevano un’esistenza frivola. Le andò incontro, la guardò, e non trovava niente da dirle, e le lacrime gli scendevano dagli occhi. Seguì la compagnia, e contemplava l’amica che ballava e sorrideva per gli altri. Non c’era rimprovero in lui, e non desiderava da lei che il permesso di guardarla. “Finalmente mi ami davvero!” gli disse lei».

Jules disse a Kathe: «La tua massima è questa: in una coppia bisogna che almeno uno dei due sia fedele: l’altro».

Disse pure: «Se si ama qualcuno, lo si ama così com’è. Non si desidera influenzarlo, perchè, se ci si riuscisse, non sarebbe più lui. Meglio rinunciare all’essere che si ama che cercare di modificarlo con la pietà o la tirannia».

Jim avrebbe voluto morire di Kathe. Sopravvivere era un’offesa. I ragni maschi lo sanno, e anche le loro femmine.

dal film Jules et Jim – Francois Truffaut –

 

Avete presente quando discutete su come spendere i vostri soldi, come suddividervi la gestione della casa, dove andare in vacanza, ecco, in quei momenti state negoziando o almeno ci provate.
Possiamo dire che è un’esperienza abbastanza comune, un modo particolare di comunicare e in quanto tale può sicuramente essere migliorato. Seguendo semplici indicazioni potrai diventare abile nel chiedere ciò che desideri senza dover manipolare o mettere in disparte il tuo partner.
Visto che ormai è chiaro a tutti che il conflitto tra due persone, che desiderano cose diverse, è inevitabile, vediamo come si può affrontare meglio.
Cominciamo sottolineando che è opportuno non attaccare direttamente l’altra persona ma cercare di separare i propri sentimenti dalla questione in discussione, concentrandosi sugli interessi ricercati e non su posizioni rigide, arrivando ad una decisione reciprocamente accettabile con flessibilità e perserveranza.
Allora a lavoro!!!!
La negoziazione si svolge attraverso cinque stadi.
PREPARAZIONE
REGOLE DI BASE:
Accetto il conflitto con serenità: il conflitto è inevitabile, essere in disaccordo è naturale e può essere un momento di crescita. Non è la rovina della coppia.
Voglio riuscire a raggiungere un accordo che sia per entrambi positivo.
Voglio abbandonare l’idea di volere vincere a tutti i costi.
Voglio essere flessibile, voglio cercare di liberare la mia mente dai pregiudizi
Dopo esserti chiarito queste regole di base inizia con una descrizione della situazione.

Adesso descrivi quali sentimenti ed emozioni ti caratterizzano nel momento in cui pensi a ciò che sta succedendo.
SENTIMENTI /EMOZIONI
Quindi cerca di descrivere quali sono gli interessi del tuo partner e i tuoi e quali possono essere comuni.

I mie interessi: ….
Gli interessi del partner: ….
I nostri interessi: ….

A questo punto analizza le soluzioni possibili considerando quale sarebbe per te la soluzione ideale, come potresti andare incontro al tuo partner e cosa invece sarebbe inaccettabile.

Soluzione ideale:

Come potresti andare incontro a:

Soluzione inaccettabile:

DISCUSSIONE

In questa fase si comincia a parlare ed è opportuno seguire le fasi della Preparazione quindi si comincia a:

Descrivere i fatti come si vedono

Esprimere le emozioni sia le tue sia quelle del tuo partner

Come si vede il problema rispetto agli interessi del tuo partner, ai tuoi e a quelli in comune

Osservare come il problema sia complicato da desideri di sostegno, fiducia, contatto e libertà

Lavorare su possibili soluzioni finché non sono chiari bisogni e interessi. Proponi la tua soluzione ideale.

Se si è impantanati in una discussione è opportuno fare un passo indietro e ricominciare seguendo questa logica:
Io penso (i fatti concreti)……………………………..
Io sento (le emozioni)………………………………….
Io voglio (gli interessi)……………………………….
Io desidero (le astrazioni)……………………………..
Forse si potrebbe (tentativo di soluzione)………………..

Nella negoziazione è importante utilizzare una comunicazione efficace e quindi seguire alcune regole fondamentali:

Non attaccare, non minacciare, non incolpare, non scoraggiare.

Avere una atteggiamento empatico, mettersi nei panni del partner per meglio comprenderlo.

Utilizzare l’ascolto attivo, parafrasare, riassumere e fare domande per comprendere meglio il punto di vista dell’altro.

Perseguire l’obiettivo: raggiungere una soluzione reciprocamente accettabile.

PROPOSTA/CONTROPROPOSTA

In questa fase entrambi i partner propongono una soluzione possibile, inizialmente estremamente diverse poi a poco a poco la soluzione più plausibile si connota come interesse di entrambi.

Per facilitare questo processo si possono tenere in considerazione alcuni classici metodi per raggiungere un compromesso.

“Io taglio la torta e tu fai la prima scelta”, o meglio uno decide come poter dividere una situazione e poi l’altro sceglie una delle due possibilità.

“Facciamolo entrambi avremo così un migliore risultato per tutti.” Ad esempio perché non stendiamo insieme i panni così io finisco prima e posso fare una buona cena e tu hai il tempo per leggere il giornale.

“Periodo di prova.” Lasciamo che tu vada una volta a settimana a fare quella cosa vediamo se in questo modo migliora la qualità del tempo che trascorri in casa.

“Facciamo a modo mio quando tocca a me, a modo tuo quando tocca a te.” Quando guido io vado a questa velocità, quando guidi te a quella che vuoi.

“Pari e patta.” Se tu pulisci il bagno una volta a settimana io farò la lavatrice una volta a settimana.

“Uniamo ciò che voglio io con ciò che vuoi tu.” Io mi prendo carico di fare questa cosa che a te non piace ma tu fai questa altra per me.

“Dividiamo la differenza.” Non mi interessa spendere per quell’oggetto, ma a te sì io mi prendo la metà del prezzo e compro un’altra cosa.

DISACCORDO

Questa è la fase più difficile. Per riuscire a superarla bisogna dirsi che non è la fine di tutto, ma solo una fase naturale della negoziazione. Quando si giunge alla fase del disaccordo è segno che bisogna fare qualche revisione alle fasi precedenti. Vediamo come:

Cerca una nuova controproposta, usando una diversa strategia di compromesso.

Ritorna alla discussione sugli interessi e i bisogni.

Fate un brainstorming (scrivete su carte tutte le possibili soluzioni che vi vengono in mente anche quelle meno sensate)

Quando uno dei due o entrambi siete veramente stanchi chiedete una pausa.

Ritorna alla fase della preparazione. Trascorri più tempo a cercare gli interessi comuni e le risoluzioni creative. Riesamina i tuoi sentimenti. Acquisisci ulteriori informazioni necessarie.

ACCORDO

Finalmente siete entrambi d’accordo su un’opzione che vi rende felici. Prima di dichiarare chiusa la negoziazione siate ben sicuri che vada per entrambi bene e ognuno di voi potrà per evidenziare ciò esprimere ad alta voce il suo consenso.

ARTICOLO SCRITTO DA BARBARA MODERATRICE DEL FORUM

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

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