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VOLER CAMBIARE UNA PERSONA

Tratto dalla discussione del forum “silenzioso risentimento/mi chiedo se sia lecito voler cambiare una persona” (forum “problematiche di coppia”)

Argomento: bisogno di cambiare l’altro, aspettative, risentimento

Autore: Ray

Selezione a cura di Carlotta Onali

 

Il mio ragazzo non è una persona che sa essere di aiuto o sa confortare qualcuno.
posso iniziare così.
adesso non so se sto esagerando io, ma in generale, dopo 4 anni, mi pare sia così.
Certo non è poi del tutto colpa sua. Conoscendo i suoi genitori direi che il suo comportamento è nella norma:
sua madre si lamenta sempre di tutto, e ti da l’impressione di non sapersela cavare mai da sola.
suo padre invece è un menefreghista, per la serie ha lasciato la sua famiglia e se ne è andato con un’altra.
se facciamo un cocktail fra una che si lamenta sempre e un egoista, ne viene fuori, secondo me, la propensione a cercare di non essere un egoista, ma nello stesso tempo con una certa ripugnanza verso chi si lamenta.
Posso dire che in quattro anni ho imparato a lamentarmi sempre meno, perchè ammetto che la tendenza a fare la vittima ce l’ho anch’io innata. Ma ripeto, sono migliorata e anche lui se ne è accorto.
Ma andiamo ad ora: sto passando dei problemi familiari e sono giù di morale, oltre ad essere a km di distanza da casa mia.
Avrei voluto che il mio ragazzo mi mostrasse un pò di sostegno (via telefono ovviamente), cose come: ‘hai bisogno di qualcosa?’, ‘posso fare niente?’ ecc.. ecc..
io ovviamente avrei risposto di no, perchè effettivamente non c’è niente che possa fare. ma è la forma quella che è mancata.
l’ho sentito preso da un evento a cui anch’io avrei dovuto partecipare, ma al quale, visti i problemi, ho dovuto rinunciare [non sto a dire che anche questo è un argomento delicato, per cui mesi fa aprii anche un topic, e cioè il fatto che inizialmente lui non voleva che io venissi per delle vecchie questioni].
Adesso è tornato e, forse, intuendo che ho passato una settimana di merda cerca di consolarmi, di dirmi che gli sono mancata…
Mentre io…sono più incazzata che mai, non tanto perchè è partito senza di me (cosa normale, visto che comunque io non ci sarei stata) ma perchè mi pare che il sostegno me lo dia adesso che non ha più niente da fare, e che è meno impegnato…
credetemi, sono così incazzata che neanche riesco a sentirlo al telefono.
sono sicura che se gli spiegassi perchè sono arrabbiata lui negherebbe, perchè probabilmente nemmeno si è reso conto di quanto poco sostegno mi abbia dato, e di sicuro finiremmo col litigare, fra me che gli dico come mi sono sentita e lui che affermerebbe l’opposto…
perciò non mi esprimo, non dico nulla. Mi limito a trattenere la mia rabbia, ma figuratevi se non traspare: io non riesco a fingere e francamente non voglio fingere.
e ogni volta lui mi chiede: ‘cosa hai?’, ‘sei arrabbiata?’, e la telefonata si conclude in silenzio e con una certa amarezza.

allora mi dico: sono esagerata io?

– è lecito incazzarsi per la ‘forma’ del suo comportamento: cioè il fatto che non mi ha chiesto se potesse fare qualcosa per me,se non di sfuggita,anche se materialmente NON POTEVA?

– ammettiamo il caso che nemmeno se ne accorga, visto che il suo atteggiamento è dovuto alla sua forma mentis familiare…è giusto che mi arrabbi? è giusto che gli dico quello che vorrei che facesse, anche se in fin dei conti so di non poterlo e di non avere il diritto di cambiarlo?

[in tutto questo si aggiunge il vecchio discorso che sembrava chiuso, con una certa cattiveria ho pensato ‘ma guarda il destino ha favorito lui, che all’inizio non voleva che venissi’…adesso so anche che non è giusto che tiri in ballo un argomento di mesi fa, ma intanto è più forte di me, e questo aumenta il mio risentimento]
Ray

Un pò ti capisco, è quello che sto passando io adesso.
E’ giusto, non è giusto… resta il fatto che ci sono delle cose nel vostro rapporto che non ti vanno bene.
Perché bisogna legittimare i propri bisogni? Questi bisogni ci sono e basta, e l’altro non li corrisponde.
Forse più che arrabbiarsi bisognerebbe alla fine prendere atto della realtà, se ti arrabbi è perché covi delle aspettative, e spesso con le nostre aspettative cuciamo un abito addosso all’altro che non è della sua taglia.
Le aspettative in amore, secondo me, sono la cosa peggiore del mondo. Dovremmo essere in grado di amare l’altro per ciò che è, e senza aspettative che ci fanno illudere siamo anche più capaci di conoscerlo e di vederlo, ed è più facile gestire la rabbia e le accuse che ci verrebbe spontaneo fare.
Ma il problema è e rimane nostro, non dell’altro che è come è.

– è lecito incazzarsi per la ‘forma’ del suo comportamento: cioè il fatto che non mi ha chiesto se potesse fare qualcosa per me,se non di sfuggita,anche se materialmente NON POTEVA?

è lecito fargli notare che in quel momento avevi bisogno di vicinanza e non ti sei sentita vista, in fondo una buona parola non costa nulla.
Ma alla fine sarai tu a dover decidere se la cosa comunque ti sta bene, anche per il futuro, oppure no.
E’ giusto dirgli quello che vorresti che facesse, ma se poi lui non lo fa o non è in grado di farlo sta a te decidere se accettare la cosa oppure no.
Per l’appunto non possiamo, e meno male, cambiare le persone, ma noi siamo liberi di decidere con chi stare.
Il suo passato, poi, non giustifica i suoi comportamenti.
Può aiutare a capirli, ma non a giustificarli, perché in ultima analisi siamo noi, e non il nostro passato, i responsabili delle nostre azioni odierne. Hiba

il punto è che dopo 4 anni penso sappia bene cosa voglio da lui, ma è evidente che non può darmelo.
si, è vero che noi siamo liberi di scegliere con chi stiamo…alle volte la mia pazienza arriva al limite, e se non fosse che ci sono molte cose che in lui apprezzo e che tutto sommato mi fanno credere che il nostro rapporto vada bene, mi chiederei anche io se è giusto stare insieme.
Non ho molte esperienze in amore, perchè non ho avuto poi così tanti uomini nei miei 23 anni, ma posso dire che non esiste la persona perfetta e senza difetti (se esiste buon per chi l’ha trovata!) e c’è sempre qualcosa dell’altro che dobbiamo accettare anche se non ci piace.
la sua mancanza di empatia si scontra con il mio altruismo…alle volte è dura, ma finora debbo dire che in tutte le persone che conosco, che siano amici/parenti/partner, c’è sempre qualcosa che non accetto e che si scontra con una parte del mio carattere.
Perciò, dico, va bene.
Non ho il diritto di cambiare nessuno, ma ho il diritto di arrabbiarmi? non lo so neppure. è un problema mio, come hai fatto notare;
eppure questo problema si riflette sugli altri.
la non accettazione dell’altro porta allo scontro, ma forse questo scontro con il prossimo è anche una crescita? non saprei.

è vero che il passato non giustifica il presente, ma è anche vero che il carattere di ognuno di noi è frutto delle nostre esperienze passate, perlopiù infantili.
il mio bisogno di sostegno fa parte della mia indole, e la mia indole è dovuta senz’altro al modo in cui mi sono formata.
potrei anche dire che non devo pretendere niente da nessuno quando sto male, perchè infondo nessuno è tenuto a fare qualcosa per me.
Ma per come sono fatta non riesce a entrarmi in testa, perchè se qualcuno che amo sta male mi sembra doveroso sostenerlo. questa è la mia visione. la sua è diversa.
chi ha ragione e chi ha torto?

in tutto questo mi sono calmata e stamattina ho risposto alla sua telefonata con estrema calma, forse mi è entrato in testa che ‘lui è fatto così e io non posso cambiarlo’. mi sono rassegnata? di sicuro non si può succhiare sangue da una pietra e non mi va di condurre una battaglia persa, anche se questi momenti di rabbia perchè lui non soddisfa le mie aspettative sono sempre dietro l’angolo e mi chiedo: riuscirò ad affrontarli?
può un essere umano smettere di farsi aspettative? Ray

Cara Ray,
è vero, lo scontro è molto utile nella coppia, perché crea comunque un contatto e si comunicano i propri bisogni (sempre che lo scontro non sia l’unica modalità per farlo, altrimenti sai che fatica….?).
E’ giusto accettare i difetti dell’altro, se li possiamo accettare, perché per esempio io non potrei mai accettare l’egoismo o la violenza.
Accettiamo quei difetti che dopotutto non violano il nostro sistema di valori e con cui possiamo tranquillamente convivere perché, giustamente, nessuno è perfetto (sennò sai che noia!!!).
Quando stai male è giusto cercare il conforto e la vicinanza di chi ci è molto caro, ma ad un certo punto se questo ci viene negato, non vedo perché circondarci di persone su cui non si può fare nessun affidamento.
Voi avete una visione diversa di questa cosa, io mi sentirei di dare ragione a te, perché nel mio sistema di valori c’è la com-passione per l’altro, il desiderio di aiutare quando posso. Non riesco a immaginare una visione diversa, eppure c’è, ma non mi appartiene. Chi ha torto, chi ha ragione? Non essendo saggia io non posso dirlo, so solo che per me il mondo sarebbe un posto migliore se ci importasse un pò di più del nostro prossimo!
Può un essere umano smettere di farsi aspettative?
Io ci provo, ma ovviamente ciò non significa che siccome non mi aspetto niente da lui o dai miei amici o dai miei familiari o dal mio prossimo, io debba tollerare i comportamenti che mi offendono o mi feriscono oppure smettere di desiderare amore, vicinanza e conforto, e smettere di chiedere quando ho bisogno.
Poi, secondo me, nella coppia occorre anche essere flessibili e cercare di andare incontro ai bisogni del proprio partner.
Per me vale il principio di equità, si fa lo sforzo di venirsi incontro.
Ma se questo sforzo è unilaterale? E’ giusto questo?
Potrebbe, se si ha la forza e la maturità necessarie per dare, senza nulla voler ricevere. Se si riesce lo stesso ad essere felici, a sentirsi pieni di vita e di amore.
Io purtroppo mi arrabatto nei miei limiti, e se hai letto il mio 3d conosci la mia conclusione.
Anche io potrei soprassedere su certe cose per amore suo, perché apprezzo moltissime cose di lui, ma qual è il prezzo da pagare?
Io non sto con una persona desiderosa di capire e magari di migliorare qualcosina del rapporto.
Quindi smetto di aspettarmi da lui, dopo tre anni di intenso rapporto, che condivida questi miei valori solo quando gli conviene e vado a crescere da un’altra parte.
Quanto mi costa? Mi costa non dormire la notte e trascinarmi di giorno un peso di 100 kg sul cuore, mi costa ansia, mi costa fatica, mi costa tristezza, dolore e senso di vuoto.
Ma io sono più anzianotta di te, e di esperienze ne ho avute abbastanza per capire quali sono i miei limiti e quando arriva il momento di arrendersi all’evidenza.
Anche io dopo un poco mi calmo, e le cose non mi sembrano così gravi… fino alla prossima volta! Hiba

Ciao Ray,
volevo risponderti da qualche giorno.
Credo che ci siano delle affermazioni importanti in ciò che hai scritto.
come giustamente hai evidenziato tu, ognuno di noi cresce con una propria “mappa del mondo”,data da ciò che ci hanno insegnato e che poi abbiamo vissuto.
Il che significa che spesso abbiamo modi differenti di valutare gli accadimenti e di reagire.

Quindi ci sono persone con le quali possiamo essere empatici perché ci assomigliano, anche se spesso non sapremmo nemmeno dire perché e come, e con le quali riusciamo a sentirci a nostro agio e compresi.
E ci sono persone con le quali ci risulta più difficile, perché abbiamo reazioni e visioni opposte.

Quando ci sentiamo attratti da una persona, è perché abbiamo dei punti di contatto, come avete già sottolineato anche voi, ma non solo in senso positivo bensì anche in alcuni nostri limiti.
Ad esempio, mi ha molto colpita che tu ritrovi in te un meccanismo che al tuo ragazzo è ben noto:

Posso dire che in quattro anni ho imparato a lamentarmi sempre meno, perché ammetto che la tendenza a fare la vittima ce l’ho anch’io innata

A volte il nostro modo di chiedere le cose non fa sì che l’altra parte ne recepisca l’importanza o l’urgenza, non tanto perché noi non sappiamo spiegarci o perché l’altro se ne freghi ma perché abbiamo scelto una modalità che l’altro riconosce e classifica in un modo diverso dal nostro.
E oltretutto noi valutiamo la sua risposta, o non risposta alla nostra richiesta, ancora secondo il nostro modo di vedere e percepire le cose e non attraverso quello dell’altro.

Quando valutiamo una persona, possiamo dire cosa di lei non è sulla nostra lunghezza d’onda, cioè valutare il suo comportamento rapportandolo a noi, alla nostra visione soggettiva, tenendo questo ben presente però.
Altrimenti stiamo giudicando l’altro basandoci sulle nostre convinzioni.
Non so se davvero il tuo ragazzo non sia empatico con nessuno: è certo che, almeno su questo aspetto che ci hai raccontato, non lo è con te.

Può essere però che le modalità di chiedere che tu hai siano molto simili a quelle da lui conosciute in precedenza e che lo inducono a pensare che tali richieste siano meno gravi del reale?
Penso a mio padre, al suo modo melodrammatico di chiedere qualsiasi cosa, per cui al mio orecchio e al mio cuore, le sue richieste risultano sempre falsate.
Se qualcun altro mi chiedesse le stesse cose, in modo diverso, più pacato, meno enfatizzato, sarei maggiormente disposta ad accoglierle.
Se me le chiedono nel suo stesso modo, resto sempre perplessa.

Questo non per dire che tu sia melodrammatica (spero di essermi spiegata) ma che di fronte alla stessa modalità, a prescindere da chi la effettua, io reagisco in modo simile.
E mi chiedevo se questo non potesse essere il caso anche del tuo ragazzo.

Come del resto, è evidente che di fronte ad una richiesta di aiuto,tu agisci secondo uno schema a te famigliare e ti aspetti dagli altri la stessa reazione.
Perché questo significherebbe esprimere in un codice a te noto, vicinanza e supporto.

Hai provato a spiegare a lui ciò che hai sentito nello stesso modo in cui l’hai fatto con noi?
Senza farlo sentire “sbagliato” o sentendotici tu, ma semplicemente sottolineando la vostra diversità, nell’ottica di comprendervi?
Se poi risulta che siete troppo diversi per capirvi e venirvi incontro, allora spetterà a te decidere quanto questo aspetto possa gravare sulla vostra relazione.

E’ importante che noi riusciamo a comprendere il modo che gli altri hanno di reagire e interpretare, senza giudicare ma spiegando loro la nostra mappa.
Credo che sia un passaggio necessario in qualsiasi relazione, ed in particolare in quelle di coppia, poiché in questo modo si riesce a farsi capire e a capire e anche a parlare una lingua più simile.

può un essere umano smettere di farsi aspettative?

Non credo che un essere umano possa o debba smettere di farsi aspettative: forse si tratta solo di avere le aspettative più corrette per noi.
Si tratta, magari, di volgere la aspettative su noi stessi piuttosto che sugli altri.
Se ci aspettiamo che gli altri siano come noi vorremmo, ci stiamo ancora infilando in quel pericolosissimo tunnel che conduce a volerli cambiare.

Credo che alla fine sia importante imparare ad accettarsi e ad accettare gli altri e questo significa anche il dover prendere atto, a volte, che si è troppo diversi per poter stare bene insieme.
Tuttavia, un conto è decidere questo accogliendo pienamente l’altro e noi stessi; un conto è farlo perché l’altro non si comporta come noi, dando a questo una valenza negativa assoluta.

Nessuno di noi è esente dal rischio di ferire: anzi, tutti abbiamo ferito una persona che amiamo, almeno una volta nella vita, anche non volendo.
Che sia stato un genitore, un amico, un parente, il nostro compagno/a.
E questa consapevolezza è molto importante perché serve a comprendere che gli altri possono sbagliare proprio come possiamo sbagliare noi.
Ci aiuta ad amarci per ciò che siamo, ad accettarci e ad accettare, di conseguenza, anche gli altri.

A volte semplicemente le persone sono diverse da noi e questa diversità ci porta confusione se cerchiamo di valutarli attraverso ciò che faremmo noi.
A volte queste diversità sono appianabili, se si riesce ad avvicinarsi; altre volte si è talmente diversi che questo non è possibile.

E non si tratta di comprendere chi è giusto e chi è sbagliato ma solo cosa è bene per noi.
Molte di queste riflessioni sono il frutto delle sedute di terapia di coppia: non so se e quanto tu ti ci possa ritrovare o quanto possano esserti utili.
Spero che in qualche modo lo possano essere.

Un abbraccio Zebretta 

Ciao a tutti, questo post è davvero molto interessante e illuminante.

Io credo che accettarsi e accettare l’altro è una forma di equilibrio del rapporto è vero… ma se l’altro chiaramente non ti accetta con tutte le tue belle qualità e anche i difetti?

E’ chiaro che se io che ho l’accettazione di me e accetto l’altro e mi impegno quando si crea una certa situazione a “vedere” anche con gli occhi dell’altro perchè essendo due persone distinte (ognuno ha il suo modo di vedere e sentire le cose e bisogna reciprocamente accettarle anche se non le si condivide) e quindi qui entra anche in gioco l’empatia, oltre all’accettazione dell’altro…

Ma se l’altra parte non ha fatto questo percorso e quindi non ha tale consapevolezza… quell’equilibrio necessario nella coppia non si viene a creare…

La mia domanda è: Perchè io dovrei ” continuare a giustificare” la persona per tutta una serie di cose che sono la sua provenienza famigliare, il suo vissuto, la sua non empatia, ecc ecc. insomma : il suo carattere e accettare situazioni (come quello di non starmi accando in un momento mio di bisogno) situazioni che comunque mi fanno soffrire e che col tempo genererebbero astio nei confronti dell’altro.

La coppia non è forse equilibrio, vicinanza, sostegno, amore, e tutta una serie di cose fondamentali per il rapporto e la sua crescita… pur mantenendo la cosiddetta “distanza” per non rischiare di farla scoppiare?
Suete

Cara Suete,
non credo che empatia e comprensione si traducano in giustificazione .
Se si giustifica l’altro per il suo dolore, per i suoi problemi, non si lo si sta amando perchè non gli si sta dando la possibilità di prendersi le proprie responsabilità, quindi di crescere.

Accettare l’altro presuppone prima di tutto saper accettare se stessi.
E nel momento in cui riusciamo ad accettarci e ad accoglierci pienamente (o quantomeno sufficientemente) non abbiamo più bisogno di giustificare l’altro, perchè se lui ci ferisce siamo in grado di poterlo esprimere e di parlarne senza temere fini catastrofiche ed accettando che, se non si sta bene insieme, una relazione può anche, tra le altre cose, terminare.
Questo perchè bastiamo finalmente a noi stessi e dentro di noi nasce il desiderio di stare con qualcuno nella misura in cui con questa persona ci sentiamo appagati ed in sintonia, ci sentiamo accolte, ci sentiamo in equilibrio, pur con tutti i problemi che s’incontrano nella vita, di coppia e non.

Subire la non empatia dell’altro, accettare dei compromessi che ci fanno vivere con malessere la relazione non vuol dire accettare l’altro, vuol dire secondo me non accettare abbastanza noi stessi e quindi offrire un’immagine eccessivamente accondiscendente. Questo perchè dentro di noi abita una convinzione subdola e irrazionale ci fa credere di non poter meritare amore se diciamo no, se chiediamo rispetto, se chiediamo di essere accettate per come siamo (con nostre esigenze, gusti, modi di essere in tutti i sensi possibili) e se chiediamo di cooperare per il benessere della coppia, lasciando l’altra metà delle responsabilità all’altro.

Se l’altro non riesce ad apprezzare ciò che siamo in tutta la nostra interezza, anche nei nostri lati deboli, se non riesce a stare bene con noi per via del nostro modo di essere, di certo non ne ha colpa. Ma non può pretendere di restare con noi e nello stesso tempo lamentarsi per come siamo (non so se questo è il tuo caso), oppure sentirsi giustificato nel non “dare” (che si traduce in mille cose, tra cui ascoltare, accogliere l’altro) per via del suo dolore, del suo passato, della sua famiglia.

Gli altri decidono cosa fare della propria esistenza, può essere che incontriamo e viviamo persone che non sono in grado o non hanno voglia di mettersi in gioco davvero e di superare le loro paure, i loro limiti, le loro ferite, ma noi non possiamo certo lavorare su questo.

Come sempre, possiamo invece compiere il medesimo lavoro su di noi e possiamo prendere delle decisioni in merito alle nostre relazioni. Accettare che l’altro è fatto in un certo modo non implica necessariamente di dovergli rimanere accanto; può voler dire anche lasciarlo andare, se non ci sta bene com’è.
Dire “lo accetto” e poi in realtà soffrire per quello che l’altro è in grado di offrirci ed incaponirci affinchè lui ci dia altro, o in un altro modo, si traduce in “sperare che in qualche modo cambi”= “non accettare”.
Quantomeno il suo modo di amarci.

Ma questa è un’utopia. Se anche l’altro decidesse di affrontare un viaggio di cambiamento, questo sarebbe un percorso lunghissimo e lento e non muterebbe completamente il suo modo di essere.

Comprendere l’altro vuol dire prendere atto di una sua difficoltà, di un suo limite, del suo dolore. Ma questo non ci deve far sentire in obbligo di condividere il suo modo di relazionarsi.

Giustificarlo , invece, significa non concedergli in fondo la dignità di uomo che, se vuole, può cambiare la sua vita, il suo modo di porsi. Significa trattarlo come un bambino, avere bisogno di lui in un certo senso come se fosse un bambino da indirizzare.
Ma questo è ben lontano dall’amore maturo.
E contiene al suo interno una paura terrificante di esprimersi per quello che si è, di chiedere esplicitamente di essere amati esattamente per quello che si è. E senza barattare questo con l’accondiscendenza, la giustificazione, la sottomissione, la presa in carico materna o psicologica, che non spetta a noi.
Un abbraccio Yana

Grazie Yana…
Credo ora di avere le idee un po’ più chiare…

Ed è vero che ognuno ha il suo modo di amare proprio perchè è una persona a se stante… e accettare un modo di amare e di relazionarsi diverso dal nostro e che non ci faccia soffrire vuol dire accettare l’altro per quello che è senza voglia di cambiarlo… e laddove noi non ci troviamo e non ci sentiamo a nostro agio all’interno di un rapporto dobbiamo semplicemente decidere quello che è meglio per noi… E questo richiede una grande autostima e forza che nasce solo dentro di noi…

E’ tutto vero.
Ma nella vita di tutti i giorni e nella pratica credo che non sia sempre così facile.

Credo che anche la persona con la più grande austostima, le idee chiare e con tanta forza soffra per le mancanze e la non vicinanza (in situazione che lo richiedono) dell’altra parte…e questo non credo che significhi che non si accetti l’altro per quello che realmente è…
Semplicemente non ti lasci schiacciare da questo proprio perchè alla base hai una tua forza …. ma non credo che l’accettazione dell’altro ci lasci sempre immuni dalle sofferenze…
Suete

Ciao Suete,
Non penso che accettare se stessi e gli altri, crescere, migliorarsi, capirsi, conduca ad una sorta di paradiso dove si è immuni dalle sofferenze
Questa sarebbe un’altra utopia, esattamente l’altra faccia della medaglia, per quanto riguarda la paura: credere di poter tenere i legami e i sentimenti sotto controllo ed arrivare un giorno a non soffrire mai.
Ma questa è la stessa motivazione di base che muove le nostre stesse paure, il nostro stesso modo disequilibrato di relazionarci (qualora ci sia): tentare di attuare strategie per eludere il dolore.

E’ chiaro che tutti (anche le persone piu equilibrate e forti) preferirebbero non soffrire.
Quanto di noi fa parte della nostra distruttività appartiene comunque a caratteristiche umane.
Tutti gli esseri umani preferiscono la gioia al dolore, a tutti non piacciono la solitudine, la paura, l’abbandono, il rifiuto, la tristezza. Tutti hanno tratti narcisisti e dipendenti. E’ la natura umana.
Semplicemente chi contiene dentro di sè delle fratture profonde che non sono state affrontate e risolte, chi ha un’autostima molto bassa esprime, in base al tipo di ferite e all’esperienza vissute, una qualche debolezza umana aldilà della soglia della normalità (dove “normale”, che non sarebbe la parola adatta, significa solamente “costruttiva o tesa al proprio benessere”).

Conoscersi e relazionarsi è una cosa complessa per chiunque, ma come dici tu chi ha dei vuoti nella propria autostima incontra più difficoltà.
Crescere dove la nostra maturità affettiva ed emotiva è stata arrestata significa prendere consapevolezza ed imparare, attraverso un difficilissimo e lungo percorso, a colmare quei vuoti che ci fanno istintivamente agire contro la nostra stessa serenità.
E non solamente nell’ambito delle relazioni.

Parlo sempre in riferimento al benessere , e non alla “perfezione” o all’ “assenza di dolore nella vita”, che sono cose che non esistono.
Accettare , fra le varie cose, significa anche prendere atto prorpio di questa realtà.
Credo però che quando qualcosa, come una relazione (momento in cui le nostre debolezze emergono maggiormente), ci fa sentire persi, infelici, non sereni, inadeguati, dipendenti e quant’altro ci sia qualcosa che si può curare dentro di noi.
Un abbraccio

Yana

 

Dott. Roberto Cavaliere

Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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